venerdì 8 maggio 2015

Ecco i paradisi dei bambini Gli asili nido più belli d'Italia




Pitture, giochi, atelier al posto delle aule, spazi verdi, piscine. E programmi pedagogici innovativi. Il modello nato a Reggio Emilia è stato esportato in tutto il paese. Facendo crescere eccellenze nell'educazione infantile. Pubbliche o private, ma certo non per tutti

di Francesca Sironi, foto di Massimo Siragusa per l'Espresso








Ecco i paradisi dei bambini 
Gli asili nido più belli d'Italia
Pigne, sabbia, tempere e pennelli. Ciotole, tamburi, seggiole e cappelli. Stoffe, cartoncini, frutta e mattarelli. E alle pareti, riproduzioni di Renoir, perché «uno spazio per bambini non significa per forza gigantografie di Paperino sul muro e giocattoli alla rinfusa in una scatola». Benvenuti all’asilo nido comunale Loris Malaguzzi di Roma: uno spazio pubblico, in periferia, (eppure) eccellente; con stanze luminose, orari flessibili, un progetto pedagogico innovativo ed educatrici affiatate. Senza rette astronomiche. E senza pareti scrostate.



Sono asili comunali o privati, con rette da 70 a 700 euro al mese, tavolini rigorosamente in legno e merende tendenzialmente bio. E seguono quasi tutti un modello, quello sviluppato a Reggio Emilia cinquant’anni fa e considerato una grande tradizione italiana: l’approccio educativo di “Reggio Children”, che richiama migliaia di studiosi dall’estero ogni anno per il suo straordinario mix di ascolto, partecipazione e creatività.

Ora, prendendo spunto da questi esempi, dalle esigenze dei genitori, e dalle numerose ricerche sull’impatto positivo del nido, è entrato il settore “baby” anche nella riforma della “Buona Scuola”. Proposta: costruire percorsi che seguano i piccoli dai tre mesi ai sei anni; stabilire standard di qualità; e soprattutto aumentare le risorse pubbliche, riducendo i costi a carico delle famiglie. I fondi nazionali per le scuole d’infanzia finora si sono solo ridotti, passando dai sei miliardi del 2013 ai cinque del 2015. Anche i comuni impongono risparmi su strutture, formazione e personale, diminuendo i posti per i neonati a disposizione, già terribilmente pochi rispetto alle medie europee.

Indifferenti alla crisi, i nidi accoglienti in cui è entrato “l’Espresso” sono rimasti saldi sui loro rami. E continuano a garantire giochi straordinari, piante profumate e pappe prelibate. Come quelle che cucina la cuoca di “Clorofilla”, uno spazio per bimbi da zero a sei anni in centro a Milano. «Privata, purtroppo: ho chiesto al Comune di avviare una convenzione ma mi hanno risposto che non hanno più fondi», racconta la fondatrice, Giovanna Gulli, che ha ricavato da un antico convento le sale che oggi contano 150 iscritti in sette sezioni. Qui la luce è naturale, le pareti sono trasparenti, i fiori abbondano e i pavimenti luccicano.

Nella “piazza” (come è chiamato il grande spazio centrale, secondo il modello reggiano che vuole la scuola come una città) c’è l’angolo del commercio: «Con un gruppo di bambini-ricercatori siamo andati a fotografare i negozi del quartiere, parlando ai proprietari», racconta Gulli. Dopo una lunga discussione, i bimbi hanno deciso di aprire una pasticceria: a torte di cartone e soldi di carta restituiscono resti in sorrisi. Per il 2015 hanno voluto ingrandirsi, e la pasticceria è diventata un supermercato.

«Non li trattiamo come bambolotti. Li ascoltiamo come grandi», spiega la fondatrice: «Sono loro spesso ad insegnare, ad aprirci gli occhi». A “Clorofilla” le lezioni nell’orto sono tenute da una ragazza di Chicago, laureata in botanica, che parla in inglese. La scuola è bilingue e prima di pranzo è possibile captare un «vado a washarmi le mani» e altri segni del grammelot inventato dai pupi per dialogare con le maestre, cogliendo i suoni di ognuna: italiane, inglesi e spagnole.

Al “Circolo dei bambini” di Bergamo, fondato da Cecilia Arnoldi, non ci si ferma all’inglese: le lezioni possono essere in portoghese, russo, perfino in cinese per la matematica. Le stanze sono piene di disegni, acquarelli e collage: c’è una pinacoteca intera per le opere ispirate dalle mostre a cui vanno tutti, anche a tre anni, per imparare la grammatica dell’arte da Chagall o Mirò.

E se a Bergamo ci sono i rampolli delle famiglie per bene, al Mast di Bologna sono accolti per l’ottanta per cento i figli dei dipendenti della società di Isabella Seragnoli, il gruppo Coesa (macchinari): «Il nido rientra in un programma di welfare aziendale», spiegano: «L’obiettivo è favorire lo scambio tra i collaboratori e il territorio». Così, tra i mille metri quadri di architetture morbide, iPad, libri e giocattoli di ultima generazione, oggi scorrazzano 64 bambini, oltre ai 28 che si sono iscritti alla nuova scuola per l’infanzia.

Al Malaguzzi di Roma, invece, arrivano sì nipoti di artisti, musicisti e ballerine, ma anche i pargoli di famiglie del quartiere popolare in cui si trova l’asilo. «Abbiamo scelto apposta di aprire qui, in periferia», racconta un’educatrice “storica” della scuola, Anna Maria Temperanza: «La sfida era portare un messaggio pedagogico rivoluzionario in un territorio difficile. Con il Comune alle spalle. Perché il meglio dell’educazione dev’essere accessibile a tutti».

Da dodici anni, nell’ala prima abbandonata di un edificio scolastico, dieci educatrici riescono così a costruire ogni giorno mondi meravigliosi per 69 bambini, che partecipano in due turni, chi al mattino e chi al pomeriggio, «una flessibilità che ci ha permesso di andare incontro a molti genitori», spiega la coordinatrice, Filomena di Cesare. I bimbi si mescolano oltre che per ceto anche per età: «Così i più piccoli hanno più stimoli e i grandi si fanno più responsabili», spiega Temperanza: «Spesso sono loro a rassicurare i neonati che si disperano alla partenza della mamma, dicendo: “Dai non fare così, vedi che poi torna, è successo anche a me”».

Da soli o a gruppetti, sono i piccoli a decidere come impiegare le ore, passando da un atelier all’altro, dai giochi alle tempere. «Siamo una squadra, lavoriamo alla pari, con passione», racconta Anna Maria: «È per questo che abbiamo protestato contro la giunta di Ignazio Marino: se dovessimo accettare le regole che ci vogliono imporre dovremmo creare gerarchie e fare straordinari per escludere i precari. Ma non vogliamo rovinare quello che abbiamo costruito».

Il Comune, infatti, per esigenze di bilancio, ha ordinato a tutti i suoi dipendenti, compresi gli educatori, di adottare parametri di “produttività”. Regimi simili arrivano anche altrove, portati da obblighi di spending review. Ma le conseguenze dei risparmi sull’infanzia si sentono: nel 2011, per la prima volta, il numero di mini cittadini che è potuto entrare all’asilo è diminuito. L’effetto è continuato nel 2012 (ultimo dato Istat disponibile): 2.600 bimbi in meno.

Colpa della crisi, dei genitori a casa e quindi disponibili a curare i figli? O delle rette troppo alte? Di entrambi i fattori, probabilmente. La spesa per le famiglie, secondo i dati di CittadinanzaAttiva, è mediamente di 300 euro al mese. Nel pubblico. E varia moltissimo: a Lecco è 547 euro, il triplo di Roma (146 euro), sette volte tanto Catanzaro. Con il prefisso però cambiano anche le possibilità: l’offerta per i bimbi da zero a tre anni è garantita dal 76 per cento dei comuni del Nord Est e solo dal 22 di quelli del Sud.

Una costante resta: le tariffe continuano ad aumentare, a Sassari come a Bologna, denuncia la rete dei consumatori. Il paradiso dei bambini c’è, insomma, ma non certo per tutti.

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