martedì 6 febbraio 2024

Il paradosso come principio escatologico per l'evoluzione della filosofia?

 Dal punto di vista prettamente filosofico l'uomo, psichicamente e ontologicamente, si è evoluto al di sopra dell'animale in un ambito misterico e religioso, bisogna ammetterlo con onestà intellettuale. In siffatto computo psichico ed ontologico si sono evoluti l'Essere, l'io, la coscienza, gli istinti (i quali istinti sono diventati sentimenti a tutti gli effetti), insomma l'uomo, per gli "effetti collaterali" derivanti dai vari timori che la natura gli causava, ha sviluppato un karma escatologico e destinale. Si è evoluta a tal punto la sua coscienza escatologica da iniziare a porsi domande esistenziali e cosmologiche, tali domande e la conseguente ricerca a delle risposte, hanno contribuito significativamente ad assegnarli un posto di preminenza nell'Artemisio cosmogonico universale: infatti Dio è ogni divinità che l'uomo si è via via rappresentato in forma sovrumana sono diventati, anzitutto, il determinismo escatologico col quale ha avvertito la necessità di una società interiore ordinata in grado di relegare il caos primordiale nel ripostiglio degli archetipi, cioè Dio e vari dèi sono divenuti la proiezione plastica del suo intelletto atto alla formazione e determinazione dell'Essere così come oggi ce lo prefiguriamo. In siffatto determinismo l'uomo ha trovato se stesso, si è riconosciuto ed ha nel tempo plasmato la sua memoria atavica e futuristica, si è connesso coi principi cardinali del tempo ed ha acquisito una coscienza empirica, logica e razionale, ma non oggettiva! Perocchè, in mancanza di tale sostanza puramente ontica, ha altresì dovuto acquisire una seconda coscienza metafisica, alogica e irrazionale, affinché intelletto e Essere trovassero in se stessi l'equilibrio indispensabile della "soggettività". Così Dio e dèi - che l'uomo voglia o non voglia -, si son dovuti "accontentare" di esistere nella sola sostanza metafisica che l'Essere iniziò a produrre con generosa prodigalità: l'onirismo - o la fede, se vogliamo traslare d'imperio ogni elemento paradossale che il concetto di fede possiede nell'elemento gnoseologico per antonomasia che è la "prospettiva". Tuttavia il paradosso della fede (ma in generale ogni paradosso) trachiude in sè ogni possibilità di realtà, di prospettiva appunto, in quanto il paradosso non inchioda l'intelletto in qualcosa di ineluttabilmente improbabile o perfino impossibile, bensì diveniente. La fede teologica infatti non è un sentimento veramente paradossale ma racchiude in sè le mille percezioni di realtà della teogonia interiore della quale il super-io è oramai testimone e custode: il paradosso è il pregiudizio di una coscienza ancora legata a un'abitudine, a un determinato punto di vista, ad valore dato per certo, a un vizio formale dello stereotipo, ecc. La filosofia primigenia ha contribuito non poco all'evoluzione di tale coscienza cosmogonica e oggi possiamo affermare, a ragione seconda me, che la filosofia si sia formata nelle menti degli antichi presocratici come elemento misterico dell'archè-tipico principio dell'uomo di volersi comparare a qualcosa di universale, così ha inventato gli dèi, dèi che dessero un senso a tutti i misteri esistenziali, la physis ne è un esempio eclatante: e non che la physis abbia avuto il solo compito di indagare ogni elemento naturale di per sè, ma tale ricerca si è spinta ben oltre, fino alla creazione di un mondo dietro il mondo, o di un mondo parallelo che giustificasse la dischiusa dell'Uovo: l'assurdità invero associata e dissociata insieme che si trova in ogni elemento materico fondamentale, tant'è che senza l'altrettanto fondamentale legge dei contrari l'elemento materico sarebbe rimasto privo del necessario elemento spirituale: allora a che prò gli "dèi" negli abissi ontologici simili a riflessi istintuali? E riflessi istintuali sono diventati e rimasti. Mito e mitologia hanno così edificato L'estetismo di ogni filosofia presocratica, e ancora oggi tale estetismo quanto ci affascina! Ed ecco rivelato il contenuto del paradosso della fede di per sè: il fascino! L'inganno! L'illusione! Ma non una mancanza di realtà, anzi di mistero della realtà. Cos'è realtà infine? Apparenza! Ma L'apparenza può ingannare, illudere: un paradosso? Oppure le mille possibilità di realtà della prospettiva? Per ciò ritengo che Dio e dèi sono figli di una prospettiva equazionale e soggettiva, tuttavia il fedele non dubita affatto che sia una prospettiva equazionale oggettiva; insomma ciò che è oggettivo e soggettivo sembrano proprio avere la loro orbita intorno al paradosso. Perocchè concludo, con un pò di sfrontatezza, che la filosofia si è evoluta attraversando continuamente i sentieri dei paradossi, alias del divenire (?).Giovanni Provvidenti