mercoledì 12 dicembre 2018

LA DISPERAZIONE E' SEDUTA SU UNA PANCHINA di Jacques Prévert


In un giardinetto su una panchina
C'è un tale che vi chiama se passate

Ha un paio d'occhialini un vecchio abito grigio
Fuma un piccolo sigaro è seduto
E vi chiama se passate
O più timidamente vi fa un cenno
Non bisogna guardarlo
Non bisogna ascoltarlo
Ma tirar dritto
Fingere di non vederlo
Fingere di non averlo neppure sentito
Passare via frettolosi
Perchè se lo guardate
O se gli date retta
Vi fa un suo cenno e niente nessuno
Vi può impedire di sedergli accanto
Allora vi guarda in faccia vi sorride
Facendovi soffrire atrocemente
E lui continua il suo sorriso
E voi stessi sorridete esattamente
Di quel sorriso
Più sorridete e più soffrite
Atrocemente
E più soffrite più sorridete
Irrimediabilmente
Restando fissi là
Come congelati

Sorridendo sulla panchina
Bambini giocano a due passi da voi
Passanti passano
Tranquillamente
Uccelli volano
Volano via da un albero
Si posano su un altro
E voi restate là
Sulla panchina
E già sapete bene
Che non potrete più
Giocare come quei bambini
Sapete che non potrete più
Passare come quei passanti
Tranquillamente
Né che mai più potrete volar via
Lasciando un albero per l'altro
Come quegli uccelli.
Jacques Prévert

martedì 4 dicembre 2018

Fabrizio Delprete

“Caro” (per dire) Luigi Di Maio,
è brutto quando piovono merda e fango su te e sulla tua famiglia, vero?
E’ devastante essere messi alla gogna, con la macchina del fango che non ti permette neanche di respirare per delle colpe che non sarebbero neanche tue, vero?
E’ mortificante e svilente vedere un padre che piange in diretta per quello che ha fatto, provando a scagionarti, vero?
Vorresti urlare e spaccare il mondo per quello che stai passando. Vero?
Come, sei lì per fare politica, per provare a cambiare in meglio il Paese e questi mascalzoni ti vomitano addosso robe vecchie di anni in cui neanche saresti responsabile? Che vergogna, eh?

Peccato, “caro” (sempre per dire) Di Maio, che tutto questo è colpa TUA. E degli indegni sodali con cui hai fatto comunella per anni. La colpa è VOSTRA.
Voi, che per anni avete latrato come cani rabbiosi contro tutto e tutti; voi presunti, ridicoli, “puri” che avete vomitato merda e fango su ogni avversario politico; voi che gli altri erano tutti “bastardi”, “collusi”, “mafiosi”, “venduti”, “corrotti”, “evasori”, “figli di ladri”.
Voi, che avete inquinato in maniera irreversibile i pozzi della società italiana, creando dei mostri da stadio pronti unicamente a portare il vessillo e a fare a botte con il nemico.
Voi, che poi avete svenduto anima, decenza e dignità pur di stare al potere. Ingoiando condoni e decreti violenti e razzisti.
Voi, unici colpevoli.

Mi ha sempre fatto schifo la vostra politica inutile, vuota, violenta e urlata. L’ho sempre combattuta.
Tu no. In quella politica, in quel brodo primordiale d’odio, ci hai sguazzato. Era il tuo unico modo di emergere, dato il nulla che ti contraddistingue.
E adesso stai solo pagando pegno per ciò che hai, che avete, fatto.

Si chiama legge del contrappasso.
Mentre a noi restano le macerie di un Paese che avete contribuito in maniera precisa a distruggere.


sabato 27 ottobre 2018

INDUSTRIA
Raccolta rifiuti, l’Italia sommersa verso la paralisi totale
di Jacopo Giliberto
Il sistema italiano di raccolta dei rifiuti, di raccolta differenziata e riciclo di materiali ricuperabili, di smaltimento sta andando alla paralisi perché alcune città come Roma paralizzano il sistema, perché le quantità riciclabili raccolte nel resto d’Italia sono sempre più alte, ma non cresce il minuscolo mercato dei prodotti riciclati; si potrebbe ricorrere a impianti alternativi di smaltimento come gli inceneritori ma — per le contestazioni nimby e per l’appoggio che i comitati del no trovano in chi fa leggi e norme — non solamente è bloccata la costruzione di qualsiasi impianto ma addirittura sindaci, magistrati e assessori fanno chiudere quelli che ci sono.
Conseguenza: gli impianti di trattamento sono strapieni, i prezzi di trattamento e smaltimento diventano superbi, i rifiuti e i materiali riciclabili non trovano destinazione, sono più facili e pericolosi gli incendi involontari, si dà spazio alla malavita degli smaltimenti abusivi, degli incendi nei capannoni e delle esportazioni clandestine di spazzatura.
Risposte semplici e sbagliate 
«Mediamente negli ultimi 3 anni sono bruciati quasi 300 siti di stoccaggio dei rifiuti. Prima non accadeva. C’è qualcosa di strutturale. Le procure e le forze di polizia, in prima fila i carabinieri, stanno indagando», ha detto il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, area Cinquestelle. Al quesito che tormenta il ministro Costa e tanti cittadini c’è una risposta in tre puntate. 
Purtroppo la riposta deve essere così complessa perché complesso è il problema e, come amava ripetere lo scrittore irlandese George Bernard Shaw (1856-1950), «per ogni problema complesso c’è sempre una soluzione semplice e sbagliata».
Così a furia di risposte semplici e sbagliate il servizio rifiuti e l’intera raccolta differenziata potrebbero bloccarsi nella crisi della spazzatura più severa mai sperimentata in Italia.
I sintomi della malattia 
I prezzi sul mercato dello smaltimento sono sempre più alti e insostenibili, gli impianti si fermano intasati di rifiuti, basta un incidente da nulla per scatenare un incendio colossale di spazzatura accumulata, si dà spazio alla malavita che risolve il problema dei rifiuti con una tanica di gasolio e un accendino che fanno respirare ai polmoni dei cittadini quelle diossine che gli inceneritori non producono. 
Oppure ci sono soluzioni semplicissime e sbagliatissime come quelle proposte da persone, mai viste prima nel settore, che avvicinano le imprese o le municipalizzate con problemi di rifiuti e «ho una nave pronta per caricare 1 milione di tonnellate di rifiuti verso una discarica sicurissima in Guatemala» oppure «in Macedonia: dia a noi e bruciamo tutto in una centrale a lignite in Macedonia».
A smaltimento bloccato, le raccolte differenziate stanno per fermarsi.
Non c’è domanda sufficiente di prodotti riciclati 
La risposta complessa al problema complesso può essere divisa in tre parti.
Prima risposta: non è ancora decollato il mercato dei prodotti ottenuti da materie prime rigenerate. Decollerà, come viene spiegato più sotto, ma oggi si accumulano materiali che non hanno mercato.
Crescono i materiali da riciclare 
Seconda parte della risposta: anche se per molte persone la raccolta differenziata dei rifiuti è immaginata come una soluzione, in realtà la raccolta differenziata è uno strumento e non un fine.
Oggi gli italiani differenziano il 52% della spazzatura. Carta, plastica, vetro, metalli, legno, materiale organico. 
Le quantità di materiali da riciclare aumentano di giorno in giorno e ormai per molti settori l’offerta di materiali supera la domanda dell’industria; le vetrerie respingono i camion carichi di vetro usato, le cartiere rimandano indietro i carichi. 
I materiali selezionati da aziende e cittadini si accumulano. Basta una scintilla occasionale per scatenare incendi di grandi dimensioni, e si crea spazio alla malavita che offre soluzioni di comodo.
Gli impianti bloccati 
Terza parte della risposta complessa. Come si potrà leggere più sotto, oggi non si riesce a costruire alcun impianto per il trattamento dei rifiuti. 
Mi correggo: si riescono a costruire solamente gli impianti di compostaggio per produrre ammendante agricolo con i rifiuti organici, cioè i fondi del caffè, l’erba tosata del giardino e gli avanzi della cucina. E stanno per partire alcuni impianti di selezione per plastica di qualità (uno sarà avviato a breve nel Biellese e uno in primavera nel Milanese), che andranno ad aggiungere plastica alla plastica che non trova mercato. 
Ma zero inceneritori. 
I politici fanno a gara per seminare la paura contro gli impianti e per incoraggiare la chiusura degli impianti di riciclo e smaltimento dei rifiuti, come è appena accaduto per esempio in Sicilia e nel Lazio. 
E gli italiani pagano: chi paga i 120mila euro al giorno di multa europea per i 6 milioni di tonnellate di spazzatura accumulate negli anni a Napoli? Noi.
Salvaguardare il paesaggio della raffineriaDalla Sicilia e da Roma due esempi semplici di come paralizzare il mercato dei rifiuti.
Mentre la Sicilia che si avvia a passo di cavallo verso la peggiore e più drammatica crisi rifiuti della sua storia, il Consiglio dei ministri ha detto no all’inceneritore in progetto per sostituire la vecchia centrale a olio combustibile di San Filippo del Mela (Messina), a fianco della raffineria Q8 di Milazzo. 
Il motivo del no? 
I Beni culturali si sono opposti e hanno vinto contro l’inceneritore perché — pareri del 2 dicembre 2015 e 11 gennaio 2018 — questo impianto da costruire al posto della colossale centrale termoelettrica potrebbe turbare il delicato paesaggio a fianco della raffineria di petrolio. E alcuni politici locali della regione che avanza di un distruttivo cupio dissolvi della spazzatura hanno stappato (in senso non metaforico) un brindisi di vittoria per avere scampato la «devastazione del territorio».
Sarà spento l’inceneritore, si aprirà una discaricaE mentre Roma è assediata dalla spazzatura che non riesce a smaltire, il giorno 16 ottobre il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, ha annunciato che rinuncerà all’inceneritore di Colleferro, l’ultima àncora che salva la città. 
Sarà spento l’inceneritore e al suo posto bisognerà (le parole che seguono sono di Zingaretti) «individuare in quel sito un impianto moderno che trattando e rimettendo nel sistema i materiali provenienti dai Tmb abbassa la quantità di conferimento. Il rifiuto diventa una risorsa da rimettere nel circolo. Una soluzione innovativa che può essere risolutiva per l’equilibrio del sistema Lazio». 
E poi — ecco il passepartout — ci sarà anche una discarica, cui la Regione Lazio aggiunge un rasserenante “di servizio” per far digerire più facilmente il boccone amaro.
Entusiasta il ministro Costa: «Superare il concetto di incenerimento è una cosa che gradisco. Su questo ci siamo avvicinati molto». 
E nello stesso giorno in cui ha annunciato un impianto asservito ai Tmb, Zingaretti ha firmato una delibera che proroga sino a fine anno il trasporto di rifiuti non trattati da Roma all’Aquila, 39mila tonnellate romane sulle spalle degli abruzzesi.
In settembre a Roma sono state raccolte 142mila tonnellate di rifiuti, 77.800 indifferenziati e 64.400 differenziati, per un valore medio del 45,3%, ha riferito il direttore operativo dell’Ama, Massimo Bagatti.
La classificazione dei rifiuti 
I rifiuti sono classificati in rifiuti urbani (la spazzatura delle famiglie) e speciali (la spazzatura delle attività economiche). I rifiuti urbani devono essere smaltiti nella regione in cui sono stati prodotti. I rifiuti speciali possono essere smaltiti anche in altre regioni. 
Poi c’è la categoria dei rifiuti pericolosi, categoria che come è ovvio ha un regime a parte. 
Ci sono anche altre categorie, come gli ospedalieri, come la forsu (frazione organica da rifiuti solidi urbani) e come gli assimilati (per esteso: rifiuti speciali assimilati agli urbani). Gli assimilati sono generati dalle attività economiche (sono rifiuti speciali) ma in realtà è immondizia normalissima come i cestini sotto la scrivania degli uffici, la polvere spazzata dal pavimento dei negozi e così via. Gli assimilati seguono il destino dei rifiuti urbani. 
Infine ci sono i prodotti della raccolta differenziata delle famiglie e delle imprese, come la carta, i pallet di legno, le plastiche dei grandi imballaggi industriali o le bottiglie della minerale. 
L’export di rifiuti è sottoposto a regole severissime. 
Secondo il censimento dell’Ispra, nel 2016 l’Italia ha prodotto 125,5 milioni di tonnellate di rifiuti speciali non pericolosi (in media 2.070,9 chili per abitante) mentre la produzione annua dei rifiuti urbani è pari a 497,1 chili per abitante.
La beffa dei Tmb 
Gli italiani raccolgono in modo differenziato circa il 52% dell’immondizia. Quel 48% di immondizia che rimane è chiamata “indifferenziata”, ed è il misto marcescente di tutta la spazzatura. 
E dove va questa immondizia indifferenziata? 
Circa il 40% viene usato come combustibile negli inceneritori che ricuperano energia, come per esempio fanno società come Hera, Iren, Amsa-A2a, Veritas per riscaldare le città al posto delle caldaiette condominiali meno efficienti. Le grandi città come Milano, Torino, Brescia, Venezia e Bologna hanno tassi altissimi di raccolta differenziata.
Poi c’è quel 60% di indifferenziato che finisce in discarica, ma non dovrebbe. 
Per legge i rifiuti indifferenziati non possono andare in discarica. Vietatissimo. Buttare nella discarica la spazzatura generica è un’infrazione da procedura europea. 
Per poter gettare in discarica la spazzatura mista è stato inventato un modo furbetto che consente di scavalcare il divieto europeo e italiano: il modo è l’impianto Tmb, sigla di trattamento meccanico biologico. A Napoli il nome cambia un poco, si chiama Stir, ma ha la stessa funzione.
I Tmb sono la tecnologia che incatena Roma alla schiavitù dei rifiuti, insieme con l’opportunismo di quei politici pronti ad appoggiare le proteste dei comitati nimby contro la costruzione di impianti.
La beffa del Tmb funziona in questo modo
L’impianto Tmb è un cilindro rotante e bucherellato. Da una parte entra la spazzatura generica e non differenziata; attraverso i buchi del cilindro cadono i rifiuti “umidi” avanzi alimentari e altra spazzatura più pesante, che vengono stabilizzati per fermarne la fermentazione, mentre dall’altra estremità del cilindro rotante escono i rifiuti più leggeri come plastica e carta.
La parte umida (un misto di bassissima qualità e piuttosto schifoso che non si può usare per produrre compost da spargere sui campi come concime) va negli inceneritori e viene mescolato con i rifiuti secchi dell’inceneritore.
La parte secca e leggera è classificata come rifiuto speciale, non più urbano, e di conseguenza può essere buttata in qualsiasi discarica italiana, anche fuori regione.
I Tmb sono uno strumento di emergenza per situazioni provvisorie, come dovette fare vent’anni fa nell’impianto abbandonato della Maserati di Lambrate l’allora assessore all’Ambiente del Comune di Milano, Walter Ganapini, chiamato dal sindaco leghista Marco Formentini per salvare la città dall’emergenza rifiuti provocata dalla chiusura della discarica di Cerro Maggiore della famiglia Berlusconi.
Ganapini, affiancato dall’allora presidente dell’Amsa, l’economista Andrea Gilardoni, con quei Tmb allestiti in via provvisoria salvò Milano per un soffio; impostò la raccolta differenziata che oggi fa di Milano la metropoli più avanzata ed efficiente d’Europa; dotò la città di un sistema impiantistico poderoso per il compostaggio, il riciclo e il ricupero energetico con l’impianto di Silla-Figino che usa la spazzatura come combustibile per riscaldare interi quartieri al posto delle vecchie caldaie condominiali a gasolio. 
Oggi Milano non ha bisogno di discariche.
Invece Roma puntò tutto sul trucco di moltiplicare il numero di Tmb e di renderli definitivi, sorda a ogni proposta di allargare la raccolta differenziata e di realizzare impianti. 
Comitati di cittadini sono insorti per bloccare qualsiasi proposta di impianto alternativo ai Tmb e alla discarica monstre di Malagrotta, vicina a Fiumicino, asserendo nei cortei di protesta e nelle lettere indignate ai giornali, sulle pagine social e sui blog che (qualunque impianto fosse e dovunque fosse immaginato) il progetto «devasterà il nostro territorio», distruggerà «il futuro e la salute dei nostri bambini», perché «ben altra è la soluzione» oppure «non è questo il modello di sviluppo che noi vogliamo» e giustificazioni simili.
La crisi: Napoli e RomaNapoli spedisce ogni settimana una nave carica di 3mila tonnellate di spazzatura verso la Spagna e il Portogallo. 
La Roma resa schiava dai Tmb da mesi prova a bandire gare per lo smaltimento dei rifiuti che non riesce a collocare. Silenzio raggelante dalle imprese che potrebbero candidarsi, ormai vanno deserte una gara dopo l’altra, le offerte di gara in gara sono sempre più alte e appetitose ma nessuno si fida a giocare una partita in cui si rischia un processo penale e un fallimento aziendale, e soprattutto non c’è il mercato capace di assorbire l’immondizia dei romani. 
La gara più recente è arrivata a offrire ben 207 euro la tonnellata, trasporto compreso. Ma nemmeno 207 euro possono far aprire le porte a impianti intasati di immondizia.
Molti cittadini di Roma danno la colpa al grande complotto, immaginano che le gare vadano deserte per via di un sabotaggio o di un disegno oscuro contro di loro. 
No, è una condizione cui la loro città ha contribuito attivamente con anni di arretratezza che ha riempito l’Italia di spazzatura romana, e di cui oggi si sentono gli effetti. 
Come i 13 milioni di euro di spesa prevista da settembre a dicembre per esportare la spazzatura di Roma in un’Austria che ha gli impianti sempre più chiusi.
I 41 inceneritori italianiIn Italia ci sono 41 inceneritori, la maggior parte dei quali di dimensioni piccole perché concepiti quando, 20 anni fa, l’incentivo della tariffa Cip6 rendeva economici anche gli impianti meno interessanti. Quegli inceneritori non bastano a risolvere il problema: sui 31-32 milioni di rifiuti urbani prodotti dagli italiani, il sistema degli inceneritori ne distrugge circa 5 milioni di tonnellate e ne servirebbero altrettanti, altri 5 milioni di tonnellate. Se si pensa però anche ai rifiuti delle aziende, cioè ai rifiuti speciali, il fabbisogno triplica. 
Mentre c’è bisogno di impianti, alcuni di questi inceneritori hanno già delineato un percorso di dismissione, come il termovalorizzatore di Colleferro nel Lazio descritto prima, mentre svaporano altri progetti che erano già programmati, come a Firenze o come quello di San Filippo del Mela a Milazzo raccontato poche righe più su.
I nemici degli impianti 
Il riciclo dei rifiuti e lo smaltimento corretto hanno tanti nemici, i quali in modo inconsapevole aiutano la malavita. 
Per esempio il riciclo dei rifiuti speciali venne paralizzato nel 2015 quando una “manina” riuscì a inserire nottetempo in una legge un emendamento suo cosiddetti “codici specchio”. La norma che paralizzava il settore del riciclo fu superata in breve da una regola europea. 
Ma tentativi simili non si contano, come quando la Regione Marche in estate ha vietato il ricorso all’incenerimento di rifiuti, che così vengono spediti a bruciare nelle regioni confinanti come l’Abruzzo o l’Emilia Romagna.
Gli esempi sono tantissimi. 
Per esempio nel marzo scorso una sentenza del Consiglio di Stato riuscì a bloccare non solamente l’impianto sperimentale (e studiato in mezzo mondo) che nel Trevisano ricicla i pannolini per bambini ma anche buona parte del sistema del riciclo basato sulle normative europee End of Waste.
Non a caso di recente il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, ha annunciato un intervento per applicare in Italia le corrette regole End of Waste europee.
Ma casi simili hanno paralizzato impianti di trattamento e riciclo dei rifiuti a Viggiano, a Prisciano in Umbria, a Scarlino in provincia di Grosseto, oppure la discarica di Casal Ser Ugo a Padova, l’inceneritore Hera a Coriano in provincia di Forlì. Titoloni sui giornali, procure in allerta, blocco dell’attività di riciclo e smaltimento; le conseguenze del tamtam mediatico contro gli impianti sono in genere danni all’ambiente, rifiuti gestiti male, parcelle sontuose per legioni di avvocati e manipoli di consulenti; processi che finiscono in nulla.
Per superare il blocco, nel 2014 l’allora Governo Renzi aveva varato il decreto Sblocca Italia che all’articolo 35 prevedeva la costruzione di alcuni inceneritori, soprattutto nel Mezzogiorno. Contestatissimo, l’articolo 35 anche se convertito in legge non ha mai superato lo stadio dell’enunciazione del principio.
Gli impianti contestati 
Prima ancora che si profilasse l’ipotesi (non c’era nemmeno il progetto) di realizzare un impianti di compost al posto di una vecchia centrale a carbone spenta, il consiglio comunale di Brindisi è insorto e ha espresso un duro voto: no. No per principio prima ancora che qualcuno proponesse l’idea.
E così non c’è nemmeno alcun cementificio che non sia contestato dal comitato locale non appena c’è il sospetto che voglia usare carta e plastica come combustibile di qualità raffinata al posto del pet-coke, un carbonaccio artificiale che si ottiene da ciò che residua alla fine della raffinazione del greggio.
Pochi cementifici riescono a usare questo Css (combustibile solido secondario) che, quando viene bruciato, fa scendere le emissioni della ciminiera della cementeria, ma se anche si arrivasse a sostituire il 40% del pet-coke con il più file Css non si riuscirebbe a distruggere più di 1 milione di tonnellate l’anno su una produzione teorica di circa 15 milioni di tonnellate di klinker. 
In Italia non ri arriva al 10% di sostituzione. In Germania si usano rifiuti selezionati per circa l’80% di combustibili di cementeria.
Attenzione: i cementifici italiani adesso stanno marciando a regime bassissimo perché la domanda dell’edilizia è modesta.
La diossina dell’inceneritore e quella di Fuorigrotta 
A Napoli l’entusiasmo dei botti e dei razzi produce nella notte del 31 dicembre tanta diossina quanta ne emettono in un anno 120 inceneritori in piena attività. Questi numeri vanno ripetuti: i botti di Capodanno a Napoli producono tanta diossina quanto 120 inceneritori in un anno.
Per esempio l’incendio che si è sviluppato nel deposito di rifiuti Ipb di Quarto Oggiaro, dove erano state accatastate 16mila tonnellate di residui plastici e di altri residui, può aver prodotto tante polveri quante ne potrebbero emettere tutti gli inceneritori italiani in 2.700 anni di funzionamento.
Impianti intasati, capannoni abbandonati 
Dal 2014 Il Sole 24 Ore ha potuto censire 343 casi di incendi a impianti o macchinari di lavorazione dei rifiuti.
• Impianti di trattamento rifiuti andati a fuoco: 136.
• Incendi in discariche: 31. 
• Fuoco in isole ecologiche, a compattatori, a piattaforme di selezione: 45.
• Impianti di compostaggio danneggiati dalle fiamme: 6. 
• Discariche abusive incendiate: 103. 
• Ecoballe date alle fiamme in Campania: 5 casi. 
• Inceneritori colpiti da incendi: 14. 
• Altri eventi: 3.
In qualche caso si è trattato di malavita, come quella scoperta a Corteolona (Pavia). Nell’autunno 2017 gli abitanti della zona avevano segnalato al sindaco e alle forze dell’ordine un singolare viavai di camion in uno stabilimento abbandonato. Sono state disposte le telecamere e avviate le intercettazioni, è stato possibile perfino filmare il giorno in cui uno dei criminali ha chiuso il cancello della fabbrica abbandonata con il nastro colorato che indicava il via libera, ed è stato intercettato anche il messaggio : «La torta è pronta, ho sparso liquore in diversi punti, soprattutto al centro. Domani puoi andare a ritirarla» (intercettazione telefonica del 3 gennaio 2018). E nella notte il “liquore” ha incendiato la “torta”, disseminando diossina. Gli autori sono stati arrestati.
Parrebbe simile il caso dell’incendio a Quarto Oggiaro (Milano), il cui fumo pungente ha spaventato per giorni i milanesi. Più difficile da valutare l’incendio contemporaneo di un deposito di carta da riciclare a Novate Milanese.
Ma non tutti i casi sono riconducibili alla malavita.
Ogni imprenditore del settore dei rifiuti ha, nella sua storia professionale, la testimonianza diretta dello svilupparsi di un incendio involontario e casuale: lo scintillare di un quadro elettrico, lo sfregamento di un cuscinetto di un nastro trasportatore, il miscelarsi di rifiuti infiammabili e di vapori esplosivi. 
Alcuni incendi sono scatenati perfino dalle braci della stufa di cui qualche famiglia si è liberata soffocandole in mezzo all’immondizia normale, che riprendono rossore quando il compattatore rivolta la spazzatura.
In condizioni consuete, un’avaria seguita da un incendio si risolvono con l’estintore. 
Il problema di queste settimane è il fatto che gli impianti di selezione e riciclo sono strapieni di materiali infiammabilissimi come plastica e carta; un incidente stupido può trasformarsi in un problema ambientale enorme e in un rischio altissimo per chi lavora nell’impianto.
In alcuni casi c’è chi individua capannoni abbandonati e li riempie a dismisura, oppure trasforma in discariche i terreni incolti. Un esempio: il 20 ottobre militari del Nucleo operativo ecologico (Noe) di Lecce hanno sequestrato in località Paglione, nell’agro di Manduria (Taranto), un oliveto abbandonato di circa 5mila metri quadri sbancato per una profondità media di circa 1-2 metri e adibito a deposito illecito di rifiuti speciali non pericolosi come calcinacci da demolizione, plastica, ingombranti e sfalci di potatura.
Esportazioni bloccate dalle fideiussioni 
C’è chi riesce a esportare verso l’Africa Settentrionale o verso i Paesi dell’Est Europa, ma le fideiussioni chieste dalle norme italiane per i Paesi non-Ocse secondo lo standard K2 sono in media 10 volte più salate rispetto alle normali fideiussioni imposte per chi esporta rifiuti transfrontalieri verso Francia o Portogallo. 
Nel caso di una spedizione transfrontaliera di 2.500 tonnellate, il divario tra garanzia finanziaria imposta alle imprese italiane è rilevante:
• Applicando il coefficiente K2, si tratta di garantire per 2.667.588 euro.
• Non applicando il coefficiente K2, la garanzia sarebbe invece solo pari a 85.303 euro.
All’estero è diverso. Gli unici 2 Stati membri che, allo stato, risultano fare spedizioni in Paesi non-Ocse con la procedura di notifica e autorizzazione sono la Spagna e la Francia.
•Spagna: 122.500 euro di garanzie
•Francia: 200.000 euro di garanzie.
«Ciò dimostra l’incoerenza dell’approccio italiano, ma anche lo svantaggio competitivo che tale regola comporta per le aziende italiane», osserva l’avvocato d’ambiente David Röttgen.
L’ecotassa inglese sulla discarica paralizza l’Europa 
Sono strapieni anche gli inceneritori tedeschi e olandesi. A causa dei rifiuti inglesi. È successo che l’Inghilterra, per arrivare all’obiettivo di chiudere le discariche, ha fissato un’ecotassa altissima, una multa che sale gradualmente con il passare del tempo per arrivare fino a 120 sterline per ogni tonnellata di spazzatura ficcata in discarica. 
Di fronte a questa sanzione, agli inglesi diventa conveniente perfino un inceneritore olandese o tedesco. 
Così vengono riempite le stive delle navi e l’immondizia inglese va a riempire le linee di combustione degli inceneritori europei. 
Ovviamente i prezzi salgono, e rincara anche lo smaltimento dei rifiuti italiani.  
Scarti alimentari come «idrocarburi inquinanti»Ci sono aziende alimentari che accumulano gli scarti delle lavorazioni. 
Sono materiali putrescibili ottimi per diventare compost, ma nessuno li ritira perché gli incendi paralizzano gli impianti, perché il mercato è fermo e perché ci sono le sentenze e le proteste contro l’uso dei fanghi in agricoltura.
Nel caso delle analisi sui “fanghi di depurazione” usati come concime in agricoltura succede che le farine residuali, i composti zuccherini, le melasse dell’industria alimentare, concimi strepitosi per i campi, invece vengono classificate dai nemici dell’ambiente come “idrocarburi” e quindi ci sono fortissimi problemi per quelle aziende alimentari i cui bidoni non trovano destinazione e non vengono svuotati.
Andamenti del mercato 
Mentre non si costruiscono nuove discariche, i prezzi dello smaltimento dei rifiuti stanno correndo. 
I prezzi di smaltimento in discarica si stanno impennando, ora hanno superato perfino il prezzo del servizio di incenerimento dei rifiuti e in Lombardia arrivano sui 140 euro per tonnellata.
L’allarme dei rigeneratori 
Secondo l’associazione delle aziende di riciclo di materiali rigenerabili, l’Unirima, «mentre i dati Ispra evidenziano il costante aumento della produzione di tali rifiuti, le capacità degli impianti di destinazione che devono riceverli si stanno drasticamente riducendo con conseguente esponenziale incremento delle difficoltà da parte delle imprese del nostro settore nell’allocare tali scarti di lavorazione». Il problema sorge anche per carta e cartone provenienti dalle raccolte differenziate dei Comuni, e da altre raccolte differenziate di attività commerciali e industriali, perché «dalle attività di selezione e recupero di questi rifiuti finalizzate alla produzione di materia prima secondaria derivano scarti non riciclabili destinati al recupero energetico (inceneritori) o allo smaltimento in discarica». 
Ma non ci sono più spazi nelle discariche o negli inceneritori, i magazzini si riempiono e presto la raccolta si fermerà. 




Scrive l’Unirima (un gruppo di ricuperatori che aderisce alla Cisambiente Confindustria) in una nota riservata alle autorità: «Gravissimi problemi logistici, di sicurezza ed ambientali e con la inevitabile conseguenza sul blocco dei conferimenti e quindi delle raccolte differenziate».
Per chi ha bisogno di traduzione, significa che c’è rischio di incendio altissimo, con pericoli per chi vi lavora, e c’è un forte rischio ambientale, e intanto fra un po’ si fermerà la raccolta dei rifiuti, compresa quella differenziata.
Pochi impianti per i rifiuti pericolosi 
I rifiuti pericolosi sono in una situazione simile, e spesso devono essere smaltiti nel resto d’Europa. Ci sono quattro inceneritori per distruggere i residui tossici ; il più grande è quello nel polo chimico di Filago (Bergamo), assai più piccoli sono quelli a fianco della Raffineria di Augusta (Siracusa), nel polo industriale di Melfi (Potenza) e nel petrolchimico di Ravenna. Nel Torinese c’è la discarica di Barricalla, la maggiore delle 12 discariche italiane per rifiuti nocivi.
Il malinteso dei piani regionali 
La pianificazione nella gestione dei rifiuti spetta alle Regioni, ma come ha dimostrato il caso del Lazio i piani regionali dei rifiuti sono strumenti di propaganda politica e di lubrificazione del consenso. Il classico piano regionale dice che nei cinque anni a venire la raccolta differenziata dei rifiuti farà faville, che ci sarà sempre meno bisogno di impianti. Secondo i piani regionali classici, gli impianti che più disturbano il consenso verranno chiusi o convertiti verso soluzioni innovative di economia circolare e rifiuti zero, il più delle volte inapplicate.
Mercato senza sbocchi: il caso cinese 
A inizio 2018 la Cina aveva chiuso le frontiere a carta, plastica e altri materiali riciclabili, riaprendole poi per i soli materiali di qualità migliore e rimandando a casa le navi cariche di rifiuti mal selezionati e pieni di contaminazioni, come quelli che venivano spediti da alcune aziende olandesi. 
Non a caso l’Olanda, invasa dai rifiuti inglesi e dai suoi propri materiali che non riescono ad andare in Cina, ormai fatica ad aprire i suoi impianti al materiale italiano. 
Nel caso della carta, l’import cinese è crollato da 24 milioni di tonnellate a 18 milioni di tonnellate di carta con standard rigorosi di qualità.
Mercati senza sbocchi: la carta 
La carta non trova una collocazione adeguata. La domanda delle cartiere italiane (ed europee) è molto più basso rispetto all’offerta enorme rappresentata dalla carta raccolta con diligenza da noi cittadini. 
Le cartiere che usano carta riciclata hanno bisogno di un inceneritore per eliminare la spazzatura che i cittadini disattenti mescolano nei cassonetti della carta (come per esempio le buste di plastica che avvolgono le riviste o come la plastica dei cartoni del latte) e per esempio la cartiera della Pro Gest a Mantova non riesce ad accendersi perché i comitati nimby paralizzano l’inceneritore che le è asservito.
Mercati senza sbocchi: il vetro 
Il vetro ormai va in pochissimi impianti e anche in questo caso viene riciclato solamente quello che risponde al fabbisogno, mentre le quantità ingenti di vetro raccolto devono finire in discarica. Veralia Oi ne consumano, ma le quantità disponibili sono assai inferiori al fabbisogno delle vetrerie. 
l consorzio ricupero vetro Coreve, uno dei consorzi del sistema Conai, scrive allarmato a un’azienda: «I lotti rimasti senza aggiudicatario nelle ultime aste ordinarie (n° 26, 27 e 28) e della successiva asta semplificata, che ammontano a 65mila tonnellate su base annua, stanno creando un grava grave situazione di emergenza ambientale». Il consorzio non è più in grado di avviare il vetro al riciclo.
Gli ispettori delle Arpa regionali stanno imponendo la chiusura d’autorità dei raccoglitori di vetro per eccesso di accumulo di rifiuti di bottiglie e si segnalano accumuli lungo le strade.
Mercati senza sbocchi: la plastica 
La plastica è uno dei materiali più esposti alla paralisi del mercato, i consumatori non esigono prodotti di plastica riciclata; veniva scambiata anche per 200 euro la tonnellata e oggi nessuno è più interessato perché non trova più la destinazione del mercato. 
Le aziende di selezione e riciclo si riempiono di plastica pulita che non riescono a vendere, ma si trovano pieni anche di tutti i rifiuti che erano mescolati con la plastica nei bidoni della raccolta differenziata, e non trovano inceneritori o discariche disponibili ad accettare quel materiale.
Perfino le imprese aderenti all’, l’associazione confindustriale dei riciclatori, hanno dovuto lanciare un allarme per il «mancato ritiro degli imballaggi in plastica pressati dai Centri Comprensoriali»:  le aziende selezionano la plastica per darle nuova vita ma nessuno viene a ritirare il materiale.
La plastica che non riesce a finire negli inceneritori viene accumulata dai riciclatori che non trovano acquirenti del prodotto finito, con un rischio grande di incidenti. 
Oppure finisce in mano alla malavita, che riempie di plastica di capannoni che bruciano. 
È una situazione temporanea perché l’Europa sta spingendo per riuscire a creare un mercato secondario della plastica rigenerata. Ma gli effetti si sentiranno fra anni.
Le aziende di servizi pubblici locali 
Per Filippo Brandolini, vicepresidente di Utilitalia «non si tratta più di emergenze locali e regionali sui rifiuti indifferenziati, siamo di fronte ad una crisi generalizzata che riguarda sia i gestori dei rifiuti che il tessuto produttivo fino agli scarti dei materiali riciclati. Il recepimento delle direttive europee sul pacchetto per l'economia circolare, dovrà essere per l'Italia l'occasione per una strategia nazionale sulla gestione dei rifiuti, che individui azioni e strumenti».
Ma ecco Andrea Ramonda, amministratore delegato di Herambiente: «Gli impianti del mercato del riciclo sono strapieni: cartiere, impianti di trattamento e selezione della materia prima seconda, la plastica».
Ha detto Alessandro Bratti, direttore generale dell’Ispra: «È tutto tremendamente semplice. Quando non si riescono trattare e smaltire i rifiuti si bruciano. Prima o poi si capirà?»
Il parere di Claudio Andrea Gemme 
Claudio Gemme è presidente del gruppo tecnico industria e ambiente di Confindustria. Ecco il suo parere. 
«Le aziende manifatturiere stanno affrontando una crisi senza precedenti. Parliamo di imprese che fanno economia circolare, ma che sono in crisi perché non riescono a collocare lo scarto non riciclabile originato dalle loro attività. I costi per lo smaltimento dei rifiuti stanno diventando insostenibili (in alcune realtà sono più che raddoppiati negli ultimi 2 anni) e gli spazi si stanno esaurendo. Il Paese ha bisogno di impianti e infrastrutture, dobbiamo affrontare con le tecnologie più innovative e con l'informazione la sindrome nimby. Industria, ambiente e salute possono viaggiare nella stessa direzione. A Copenaghen è presente nel centro cittadino un termovalorizzatore che, oltre a non inquinare e produrre energia dai rifiuti a favore della città, dando corrente a 62.500 abitazioni e acqua calda ad altre 160mila, è dotato sul tetto anche di una pista da sci».
Le imprese aderenti a Cisambiente 
Dice Enzo Scalia, direttore del gruppo Benfante: «La gestione dello smaltimento assicura canali privilegiati agli “urbani” (che peraltro soffrono di regimi emergenziali e costi insostenibili in diverse aree del paese), finendo per trascurare la questione degli “speciali”. Se a questa miopia strategica si aggiunge una rappresentazione mediatica presbite, otteniamo l’effetto attuale». Nel frattempo, avverte Scalia, «gli stoccaggi di rifiuti crescono, e i rischi di incendio aumentano, sia per le imprese private sia per le imprese pubbliche».
Parola a Roberto Romiti, Lamacart: «Una soluzione temporanea che si potrebbe disporre, sarebbe quella di trovare ulteriori mercati di sbocco rispetto a quelli esistenti, ed in particolare le aziende dei Paesi dell’Est Europeo». Testimonianza raccolta da Cisambiente fra le imprese del Mezzogiorno: «Una possibile soluzione di emergenza per evitare questo? Creare con urgenza, a valle della filiera di trattamento, una serie di grossi centri di stoccaggio temporaneo da parte dei consorzi nazionali di concerto con il ministero dell’Ambiente, per sbloccare gli impianti di selezione ed evitare il crearsi di una nuova, diffusa, terribile emergenza ambientale nelle nostre città, in attesa di trovare la giusta collocazione sul mercato dei suddetti materiali».
Lucia Leonessi, direttrice generale della Cisambiente Confindustria: «Quanto accaduto nell’ultimo anno, con la raccolta di quantità inaspettate di rifiuti, soprattutto da superfici urbane grazie al comportamento virtuoso dei cittadini che hanno scelto la raccolta differenziata come vero e proprio stile di vita, è dovuto a un fermo imprevisto di alcuni canali di smaltimento tale da creare la paralisi e costi immensi per il gestore degli impianti di trattamento dei rifiuti. Gli stessi roghi di rifiuti evidenziano ovviamente il problema, e pongono l'attenzione sulla ricerca di una reale soluzione: impianti di smaltimento che sarebbero anche centro di produzione di energia sana e pulita, contrariamente al rogo».
Verso le soluzioni: usare materiali di riciclo 
Oltre agli interessanti materiali biodegradabili come il Mater Bi dell’italiana Novamont, che oggi non sono ancora riciclabili, la tecnologia comincia a individuare le soluzioni per creare la domanda di materiali rigenerati. Per esempio il produttore di plastica Equipolymers, che produce Pet per le bottiglie e per altre applicazioni, ha messo a punto una nuova tipologia di plastica che si presta al contatto con gli alimenti. La formulazione di Pet si chiama Viridis 25, contiene fino al 25% di materia rigenerata e anticipa le raccomandazioni contenute nella Plastic strategy Ue sull’utilizzo di materiali riciclati in nuovi prodotti. A regime la produzione del nuovo grado assorbirà un volume pari a 30mila tonnellate di Pet rigenerato, equivalente al 3% di quello oggi disponibile in Europa.
Gli pneumatici saranno bruciati all’estero 
La paralisi ha fatto sì che moltissimi fra gommisti, stazioni di servizio e autofficine abbiano accumulato giacenze di pneumatici fuori uso in eccesso. 
Il riciclo di materiale in questo momento ha infatti subìto un rallentamento a causa della sentenza del Consiglio di Stato sull’End of Waste, che ha portato incertezza nella filiera industriale, per il rischio reale che non venga più riconosciuto neppure lo status di prodotti ai granuli e polverini di gomma riciclata, che verrebbero al contrario riportati allo status di rifiuto, con conseguenti indubbie difficoltà di collocazione sul mercato. 
«In più, i ritardi e le incertezze circa l’uscita del decreto End of Waste non consentono lo sblocco di molti settori applicativi a oggi fermi in attesa di questo provvedimento», avverte il consorzio di raccolta e riciclo Ecopneus. «Gli pneumatici fuori uso raccolti con questo intervento straordinario saranno dunque avviati in larga parte al recupero energetico all’estero»


giovedì 25 ottobre 2018

"Abbiate il coraggio di restare soli" La lettera di Mimmo Lucano letta ieri in piazza a Riace.


È inutile dirvi che avrei voluto essere presente in mezzo a voi non solo per i saluti formali ma per qualcosa di più, per parlare senza necessità e obblighi di dover scrivere, per avvertire quella sensazione di spontaneità, per sentire l’emozione che le parole producono dall’anima, infine per ringraziarvi uno a uno, a tutti, per un abbraccio collettivo forte, con tutto l’affetto di cui gli esseri umani sono capaci.
A voi tutti che siete un popolo in viaggio verso un sogno di umanità, verso un immaginario luogo di giustizia, mettendo da parte ognuno i propri impegni quotidiani e sfidare anche l’inclemenza del tempo. Vi dico grazie.
Il cielo attraversato da tante nuvole scure, gli stessi colori, la stessa onda nera che attraversa i cieli d’Europa, che non fanno più intravedere gli orizzonti indescrivibili di vette e di abissi, di terre, di dolori e di croci, di crudeltà di nuove barbarie fasciste.
Qui, in quell’orizzonte, i popoli ci sono. E con le loro sofferenze, lotte e conquiste. Tra le piccole grandi cose del quotidiano, i fatti si intersecano con gli avvenimenti politici, i cruciali problemi di sempre alle rinnovate minacce di espulsione, agli attentati, alla morte e alla repressione.
Oggi, in questo luogo di frontiera, in questo piccolo paese del Sud italiano, terra di sofferenza, speranza e resistenza, vivremo un giorno che sarà destinato a passare alla storia.
La storia siamo noi. Con le nostre scelte, le nostre convinzioni, i nostri errori, i nostri ideali, le nostre speranze di giustizia che nessuno potrà mai sopprimere.
Verrà un giorno in cui ci sarà più rispetto dei diritti umani, più pace che guerre, più uguaglianza, più libertà che barbarie. Dove non ci saranno più persone che viaggiano in business class ed altre ammassate come merci umane provenienti da porti coloniali con le mani aggrappate alle onde nei mari dell’odio.
Sulla mia situazione personale e sulle mie vicende giudiziarie non ho tanto da aggiungere rispetto a ciò che è stato ampiamente raccontato. Non ho rancori né rivendicazioni contro nessuno.
Vorrei però dire a tutto il mondo che non ho niente di cui vergognarmi, niente da nascondere. Rifarei sempre le stesse cose, che hanno dato un senso alla mia vita. Non dimenticherò questo travolgente fiume di solidarietà.
Vi porterò per tanto tempo nel cuore. Non dobbiamo tirarci indietro, se siamo uniti e restiamo umani, potremo accarezzare il sogno dell’utopia sociale.
Vi auguro di avere il coraggio di restare soli e l’ardimento di restare insieme, sotto gli stessi ideali.
Di poter essere disubbidienti ogni qual volta si ricevono ordini che umiliano la nostra coscienza.
Di meritare che ci chiamino ribelli, come quelli che si rifiutano di dimenticare nei tempi delle amnesie obbligatorie.
Di essere così ostinati da continuare a credere, anche contro ogni evidenza, che vale la pena di essere uomini e donne.
Di continuare a camminare nonostante le cadute, i tradimenti e le sconfitte, perché la storia continua, anche dopo di noi, e quando lei dice addio, sta dicendo un arrivederci.
Ci dobbiamo augurare di mantenere viva la certezza che è possibile essere contemporanei di tutti coloro che vivono animati dalla volontà di giustizia e di bellezza, ovunque siamo e ovunque viviamo, perché le cartine dell’anima e del tempo non hanno frontiere.

Mimmo Lucano.


Fatela circolare dovunque e comunque.

venerdì 5 ottobre 2018

Cercate le prove se volete accusare qualcuno invece di metterlo alla gogna mediatica


Penso che questa risposta del Procuratore di Locri, D Alessio, sia molto grave. E come dire che se fai qualcosa senza essere disturbato dalla ‘Ndrangheta vuol dire che è d accordo, quindi Lucano avrebbe il consenso della criminalità aggiungendo che non siano emerse ancora prove in tal senso. INCREDIBILE . Leggete;”Il problema di Riace si chiama 'ndrangheta. Non pensa che un sistema di accoglienza come quello del sindaco Lucano fosse un contrasto agli interessi della criminalità organizzata di stampo mafioso sul settore?

"Non penso che possa essere di contrasto. Indubbiamente Lucano è riuscito a dare un'opportunità diversa. Se l'avesse perseguita per fini sociali si poteva fare di meglio. Sul discorso del contrasto e della estraneità della mafia, sinceramente, non posso che essere prudente. Siamo ancora in una fase in cui non è emerso nulla, né in un modo né nell'altro. Se quello di Lucano fosse stato un contrasto fastidioso per la criminalità organizzata di stampo mafioso non credo che sarebbe riuscito a portarlo avanti, che glielo avrebbero fatto fare". Ecco cosa afferma,invece,il GIP di Locri che ha rigettato ben 7 accuse, fra le più gravi :”Congetture, errori procedurali, inesattezze: nell'accogliere la richiesta d'arresto nei confronti del sindaco di Riace Mimmo Lucano, il gip di Locri Domenico di Croce ha rigettato diverse accuse ipotizzate nei confronti del primo cittadino - dall'associazione a delinquere alla truffa aggravata, dal falso al concorso in corruzione, dall'abuso d'ufficio alla malversazione - criticando in diverse parti dell'ordinanza l'operato di magistrati e investigatori.
L'indagine, durata 18 mesi e fondata su intercettazioni ambientali e telefoniche, oltre che sull'acquisizione di diversi atti amministrativi, scrive il giudice, ha prodotto una "corposa istanza coercitiva" da parte del pm. Che però si è limitato ad un "acritico recepimento" delle "conclusioni raggiunte all'esito di una lunga attivitá della Gdf di Locri". Le accuse dei pm relative alla turbativa dei procedimenti per l'assegnazione dei servizi d'accoglienza, dice ad esempio il giudice, sono così "vaghe e generiche" da rendere il capo d'imputazione "inidoneo a rappresentare" una contestazione "alla quale 'agganciare' un qualsivoglia procedimento custodiale". Ma non solo: "pur volendo ipotizzare che fosse intenzione degli inquirenti rimproverare agli indagati l'affidamento diretto dei servizi - scrive il Gip - ...il mero riferimento a 'collusioni' ed 'altri mezzi fraudolenti' che avrebbero condotto alla perpetrazione dell'illecito si risolve in una formula vuota". Stando così le cose dovrebbe essere il gip, "indebitamente sostituendosi al pm", ad individuare le collusioni o i mezzi fraudolenti.
Un'operazione che non solo "è impedita dai piú elementari principi processuali e penalistici" ma è anche "ostacolata" dalla "mancanza, tra gli allegati alla richiesta, sia degli atti con i quali tali affidamenti diretti venivano decisi sia dalle convenzioni che agli stessi facevano seguito". Anche volendo, quindi, "non vi sarebbe modo di capire nè quali motivazioni sorreggevano tale ipotetico modus operandi, nè quale sarebbe il corrispettivo dei servizi affidati".
Per quanto riguarda l'accusa di truffa aggravata, il Gip afferma che il contenuto delle intercettazioni "lascia trasparire una modalitá quando meno opaca delle somme destinate agli operatori privati" ma, al di lá di questa considerazione, gli inquirenti "sembrano incorsi in un errore tanto grossolano da pregiudicare irrimediabilmente la validitá dell'assunto accusatorio". Di fatto, dice sempre il Gip, viene individuato l'ingiusto profitto nel totale delle somme incassate dalle cooperative, quando invece andava individuato nella differenza tra il totale e le spese realmente sostenute. Ed inoltre "gran parte delle conclusioni a cui giungono gli inquirenti appaiono o indimostrabili" o "presuntive e congetturali" o, infine, "sfornite di precisi riscontri estrinseci". Piú o meno stesso discorso sull'accusa di falso: "nella richiesta di misura le considerazioni addotte a sostegno della sua fondatezza sono quantomeno laconiche".
Critiche pesanti anche per quanto riguarda l'accusa di concorso in corruzione. Nonostante sia il reato piú grave contestato al sindaco, annota il Gip, "gli inquirenti non hanno approfondito con la dovuta ed opportuna attenzione l'ipotesi investigativa". Vi è in sostanza una "assoluta carenza di riscontri estrinseci" ed inoltre la persona che denuncia di aver emesso fatture false perchè minacciato da Lucano "è persona tutt'altro che attendibile" in quanto aveva un "chiaro interesse" a "sostenere la loro emissione". E "non appaiono idonei" gli elementi raccolti per sostenere l'accusa di malversazione ai danni dello stato, anche se le condotte sono "certamente torbide". (ANSA).


mercoledì 12 settembre 2018

Stephen Bantu Biko



Il 12 settembre 1977 è una data tragica per chi crede nella libertà, nella giustizia e nell'uguaglianza tra gli uomini. Quel giorno, sul pavimento di una cella vuota della prigione di Pretoria in Sudafrica si spense la giovane vita (pochi mesi dopo avrebbe compiuto 31 anni) di Stephen Bantu Biko,il leader pacifista e antirazzista del partito comunista sudafricano (all'epoca fuorilegge), ucciso dalla polizia del regime dell'Apartheid.
Biko era stato arrestato poco meno di un mese prima, il 18 agosto 1977. Rinchiuso in una cella per il colore della sua pelle, nera. Fin dai tempi della scuola, quella per soli neri, Bantu Stephen Biko, nato nel dicembre 1946, iniziò la sua battaglia politica per i diritti dei neri in Sudafrica. Prima nei movimenti studenteschi e infine nella Black Consciousness (la Consapevolezza Nera), che ispirata dai movimenti della Negritudine in Africa (Frantz Fenon, Kwame Nhrumah, Amilcar Cabral) e negli Stati Uniti (Melcom X, i Black Power), voleva essere la "rinascita politica e culturale di un popolo oppresso". Un movimento totalmente libero dalla presenza dei bianchi. Per questa ragione l'ANC (African National Congress) di Nelson Mandela non fu mai un riferimento, politico e culturale per Biko che, perfino quando l'ANC scelse la lotta armata, non osò definire il movimento di Nelson Mandela "troppo moderato".
Il 6 settembre 1977 Biko fu interrogato dai sui aguzzini, tra cui Gideon Niuwoudt, morto nel 2005, nella stanza 619. Le percosse furono tali che lo ridussero in fin di vita. I suoi carcerieri bianchi dissero che si agitava troppo e per una spiacevole fatalità sbattè la testa contro le sbarre della cella.
L'11 settembre venne trovato nella sua cella in condizioni disperate e si decise di trasportarlo a Pretoria dove il carcere era attrezzato con un'unità medica. La traduzione, per usare il gergo carcerario, avvenne su di una Land Rover che di notte viaggiò per 1100 chilometri. 

giovedì 6 settembre 2018

I miei primi 40 anni da emigrata in Africa Conversazione con Riccarda Vivarelli Matondo 4 SETTEMBRE 2018, RAETHIA CORSINI

                                    Il bacino del Congo

«L’Africa può essere il nostro futuro, un laboratorio per un nuovo sviluppo capace di invertire la rotta del Pianeta. Per le sue immense ricchezze naturali si presta a un avvenire ecosostenibile. Spetta alle nuove generazioni cogliere l’opportunità, ma devono essere istruite. Vogliamo davvero aiutare gli africani “a casa loro”? Occorre coraggio da parte di chi governa qui e nei Paesi che invece qui vengono con le loro multinazionali i cui guadagni emigrano altrove. L’Africa occidentale è ricca di oro, ma i processi estrattivi usati dalle imprese straniere sono inquinanti, devastano le zone agricole e la popolazione resta senza lavoro. Le aziende straniere corrompono i governi locali per operare senza controlli. I governanti locali imboscano i soldi nei paradisi fiscali e il corto circuito è innescato. Coraggioso sarebbe rifiutare certi accordi. Gli africani emigrano, certo: la popolazione è in maggioranza di giovani e sono troppi rispetto alle opportunità di occupazione, anche nei paesi con buone economie come Senegal, Costa d’avorio, il lavoro per tutti non c’è. Così, come accade ovunque, si cerca di andare dove si può vivere meglio, ma al contrario di quanto si crede in Occidente, la maggior parte non sceglie l’Europa. I congolesi “miei connazionali” migrano nella Repubblica del Sudafrica, in Zimbabwe, Zambia, Brasile, Canada. Invece per chi scappa da tragedie, da Paesi come Sudan ed Etiopia, ogni meta va bene purché sia in altri continenti e, nella disperazione, si è disposti anche a seguire barconi della morte. Poi c’è chi prova semplicemente a seguire un sogno. Noi italiani nel Novecento seguivamo il sogno americano. Loro oggi quello europeo. Io negli anni Settanta sognavo l’Africa».

Riccarda Vivarelli, nata povera in canna e cresciuta nella provincia dell’Appennino Tosco Emiliano, oggi è un’artista affermata: ha trovato riconoscimenti di critica e pubblico tra il Congo, la Costa d’Avorio, la Tunisia esportando la sua arte in Europa e in America. Un’emigrata al contrario.

Negli anni Sessanta con la famiglia, in cerca di una vita migliore, trasloca a Milano dove si forma e la sua anima in movimento trova spazio grazie alla pittura, contro la volontà dei suoi perché «con l’arte non si campa, men che meno la figlia di proletari». Eppure vince lei. S’iscrive all’Accademia e per pagarla fa vendite porta a porta, cameriera, comparsa per gli sceneggiati della Rai «un lavoro ben retribuito e in più potevi mangiare alla mensa per un prezzo stracciato», ricorda Riccarda. Lavora, studia e frequenta il bar Jamaica a Brera, allora quartiere di artisti in cerca di fama o affamati di cibo, ma anche celebri: «potevi trovarti a bere il caffè accanto a Fontana, Crippa, Dova, Brindisi, Pomodoro, Bianco – racconta Riccarda -. C’era confronto e capitava di vedere questi maestri al lavoro nel loro studio». Lei si misura col suo talento e Milano glielo conferma: inizia a vendere le proprie opere e intanto si fa largo il desiderio profondo di partire per scoprire orizzonti diversi che si dischiudono in Congo, «all’epoca Paese pacifico che mi ha aperto il cuore sulle bellezze e gli occhi sui contrasti di un continente che cattura l’anima più nascosta di ogni “essere umano”». Poi, al ritorno in Italia, il destino le apparecchia la svolta.

«A casa di amici a Milano comparve Samuel, un ingegnere congolese, sei anni più giovane di me, in città per una formazione presso il Centro Elettrotecnico Sperimentale Italiano. In Congo (allora Zaire, ndr) studiava sotto i lampioni della luce pubblica perché non aveva la corrente elettrica a casa; il padre faceva l’autista e la madre coltivava le arachidi per venderle al mercato; una scuola cattolica di frati e l’università che all’epoca di Moboutu aveva professori provenienti dai paesi dell’Est e dal Belgio, erano state la sua fortuna. Assunto appena laureato dalla società nazionale dell’elettricità, perché il Congo aveva - e ha - immense risorse idroelettriche, nel 1976 lo mandarono in Italia per la formazione. Ed eccolo lì, davanti a me: talmente bello! E con un’educazione d’altri tempi. Quello è stato l’unico coup de foudre della mia vita. Da quel giorno è cominciata la nostra storia». Due anni dopo, Riccarda prende la grande decisione: «Vado a vivere in Africa, comunico a mia madre. E lei: che ti devo dire? Non sono riuscita a domarti quando avevi quattro anni, figurati se ci provo ora che ne hai 30!».

Dunque: Milano-Kinshasa solo andata, anno 1978. Che cosa accade da quel momento?
«All’epoca il Congo era base americana per contrastare “l’avanzata comunista” in Africa. Nella vicina Angola, in piena guerra fredda, prese il potere Agostinho Neto sostenuto dall’allora URSS. L’Occidente non poteva permettere che i comunisti si appropriassero di quei territori ricchissimi di diamanti e petrolio. Pure il Congo Brazzaville era “socialista” anche se sotto tutela della Francia, la cui compagnia petrolifera ELF, divenuta poi Total, ha sempre sfruttato e tuttora sfrutta i pozzi di petrolio di Pointe Noire. Così, per bloccare il comunismo, l’Occidente abbandonò un intero popolo a una dittatura feroce. Volevo tenere negli occhi e nel cuore il paradiso terrestre che conobbi nel mio primo viaggio, invece vedevo povertà, ingiustizie sociali enormi perché anche se la gente era ed è piena di dignità e “proprietaria” di tante ricchezze, vive da diseredata. Per esempio: qui in Congo sono stati scoperti i giacimenti di coltan più ricchi del mondo, circa l’85% delle riserve mondiali, un minerale che oggi usiamo per cellulari, computer, televisioni al plasma; un metallo che ha odore di sangue, di morte, di donne abusate ogni giorno dalla soldataglia che occupa la regione minacciando le popolazioni locali, obbligandole a esodi biblici. Il coltan non arricchisce il Congo, non aiuta lo sviluppo: è esportato illegalmente in Ruanda da dove prende il volo per tutti i Paesi che fabbricano tali device. Questo è accaduto quando sono arrivata: ho aperto gli occhi. Poi ci sono stati momenti difficili con la famiglia di Sam».

Non ti accettavano?
La madre di Sam sì, ma le altre persone anziane erano ostili: memori della colonizzazione belga non volevano imparentarsi con una “mundele” (bianca). Fondamentale fu l’intervento di una bisnonna: convocò tutte le persone contrarie al nostro matrimonio minacciando di scagliare maledizioni su chi si opponeva. Pare ne sapesse molto di pratiche magiche. Non so se fu per questo, ma le cose cambiarono davvero.

E lì continuavi la tua arte
No. All’inizio dovevo capire quel mondo. La mia vicina di casa, una bella donna di Kisangani, laureata in economia, direttore commerciale presso l‘Ufficio Nazionale del Caffè (di cui il Congo era ed è grande produttore, ndr) mi ha aiutato ad accettare la cosa per me più difficile: in Africa non si è – non si può – essere mai soli. I parenti di ogni grado sono sempre in casa, rari i momenti d’intimità. Rifiutare è un affronto. Mi è stato difficile anche accettare la quotidiana contraddizione tra esplosione di sorrisi, gioia, spontaneità mescolati a sofferenza profonda. Non sapevo conciliarle finché non ho imparato a dare. E per dare, visto che all’epoca non avevamo molti soldi anche se Sam lavorava, all’inizio ho improvvisato lavori al limite della legalità, all’insaputa di mio marito. Il ricavato serviva soprattutto ad aiutare gente per gli studi o la salute. Aprii pure un ristorante e in seguito una scuola, dando lavoro ai locali. Poi sono arrivati i figli: nel 1981 Aime, nell’82 Hervé e nell’84 Yannick. Dipingevo ogni tanto, distrattamente, finché un francese vide i miei quadri e disse che ero pazza ad aver smesso.

Intanto la prole cresce, studia, ma gli eventi travolgono il Congo: nel ‘91 scoppiano i primi tumulti causati dai militari che, con l'arrivo di Laurent Kabila al potere, dopo gli anni orribili del genocidio in Ruanda si tramutano nella Prima e Seconda guerra del Congo (‘96-‘97; ‘98-2002.). Per capirne la portata pensiamo alla nostra Seconda guerra mondiale: ha coinvolto una decina di Stati, causato oltre cinque milioni di morti per malattia e fame e molti milioni di profughi richiedenti asilo. Riccarda e i figli si trasferiscono in Italia, Sam resta, cambia impiego e passa alla Banca africana di sviluppo con sede in Costa d’Avorio, ad Abidjan. Lì la famiglia lo raggiunge e per undici anni vivono in pace. «È grazie al popolo ivoriano, di grande cultura, che ricominciai a dipingere e in modo nuovo: cambiavo la luce, diventavo più illustrativa, inserivo tessuti e poi ho avviato una proficua produzione scultorea. In poco tempo fui presentata come un’artista ivoriana sia in Africa sia all’estero. Devo molto a quel popolo».

Nel 2002 però in Costa d’Avorio c'è un tentativo di colpo di stato che taglia il paese in due e sfocia in una guerra civile. Gli stranieri sono i primi a doversene andare. Riccarda e famiglia si confinano a Tunisi. Il tempo di vivere la primavera araba ma poi, in seguito agli attentati, dovranno andarsene. Solo nel 2015 torneranno in Congo. «Sam oggi è in pensione ma non smette di impegnarsi per questo Paese che è il suo e dei nostri figli. Noi speriamo di poter salvare il salvabile evitando di commettere gli stessi errori che sono stati fatti altrove, spiegando che il sogno europeo è diverso da quello americano di ieri e che l’Europa non è l’America, ed è in crisi. L’emigrazione attuale in Italia, per esempio, è sorella di quella favorita da francesi e inglesi per far entrare forza lavoro, senza integrazione, neppure per la seconda generazione. Ce lo confermano anche i nostri figli, che pure sono migranti privilegiati».

I vostri figli sono andati a formarsi in Europa, come aveva fatto il padre. Oggi, laureati, due in economia, uno in architettura, parlano quattro lingue, lavorano tra Madrid, Milano e Berlino.
Li vedo due volte l’anno quando tornano a casa, a Kinshasa. Sono ragazzi senza frontiere. Come dovremmo esserlo tutti.