mercoledì 27 giugno 2018

Che analisi stupenda

Ieri sfogliando distrattamente le pagine di FB, stavo per chiudere perchè stanca di leggere le solite cose di ogni giorno, quando mi sono imbattuta in questo link. L'ho subito copiato e dopo aver chiesto il permesso di pubblicarlo oggi ve lo dedico, Leggetelo , ne vale davvero la pena.

Chiara Portesine
23 giugno alle ore 15:35
Ieri sono stata al comizio di Salvini; per curiosità, soprattutto, e per capire.

Per uscire dal circuito autoreferenziale e sostanzialmente confermativo delle mie relazioni personali, su cui quotidianamente misuro il mio dissenso, e perché gli unici ‘comizi’ a cui fossi stata, dal vivo, erano quelli organizzati dalle feste dell’unità a Genova, prima della ‘fase Renzi’; un discorso di piazza del tutto inattuale se non nostalgicamente vintage.

Per elaborare un’analisi, soprattuto, e per misurare la mia responsabilità.

‘Il capitano’ arriva all’improvviso dalle retrovie, gli smartphone si sollevano come nuovi accendini che salutano l’ingresso di una rockstar. Da politico scaltrito, si presenta al pubblico raccontando di aver appena ricevuto una telefonata (in realtà, aveva già discusso della notizia, poche ore prima, a Siena) che lo informava di una nuova nave con a bordo 239 migranti; la folla grida “no”, Salvini risponde che se ne sta già interessando, e il dissenso si trasforma in sollievo. Tutti si sentono, per un attimo, protagonisti in presa diretta della storia, stanno vivendo l'evento insieme ai potenti, vengono per la prima volta messi a parte (artificialmente) di un evento politico prima e in alternativa alle istituzioni. Al pubblico senese e a quello pisano viene data la stessa illusoria speranza di sorprendere la politica nel suo farsi, di poterla, attraverso il megafono-Salvini, orientare e telecomandare come una macchinina semplice, che gli intellettualoidi della 'vecchia politica' (le presunte "cooperative rosse") volevano dipingere come un dispositivo complesso soltanto per truffare la gente perbene. Salvini, invece, sembra vero, in tempo reale, senza che alle sue spalle esista un palazzo, nella sua infallibile retorica è tutto e sempre decidibile nella scenografia della piazza.

Qualcuno si sta occupando di tutti loro, i telefoni certificano la presenza concreta di un volto che qui ed ora si sta impegnando personalmente per rispondere ai fantasmi lasciati per troppo tempo latenti negli sgabuzzini della coscienza. Lui è arrivato a esibirli in piazza, ad assegnare loro la dignità di discorso, promette come individuo di sostenere sulle proprie spalle larghe il peso di un disagio sociale che si trova finalmente legittimato a esistere come posizione politica, senza alcuno strascico di sensi di colpa (saranno i buonisti di sinistra, al massimo, a piagnucolare e a invocare vecchi illuminismi umanitari per élite).

L’ironia di Salvini mi spaventa. Riconosco il tono canzonatorio del bullo che al liceo sfoderava un repertorio di battute pronte (“signora, non mi parli di pensioni; prima sognavo l’uomo nero, oggi sogno la Fornero”), che non dialoga con l’antagonista politico ma lo squalifica a priori (“tu sei l’unico con la maglietta rossa in tutta la piazza”). L’unico fondamento logico del suo sarcasmo è, in fondo, la diversità, è un’ironia separativa, che per confermare la maggioranza ha bisogno di capri espiatori ben visibili, di cui si ammette l’esistenza solo per beffa, senza cercare mai un reale confronto argomentativo. All’avversario Salvini spesso non imputa colpe precise, ma la persona stessa del nemico giustifica l’irrisione (“ormai se passa un giorno senza che la Boldrini mi contesti, allora significa che quel giorno ho sbagliato qualcosa”); Balotelli, Saviano, Gad Lerner vengono citati come puri nomi che in sé fanno ridere il pubblico, non importa il discorso specifico di cui si siano fatti, di volta in volta, portatori.

Salvini raramente commette gaffe, non ha il talento dell’ultimo Berlusconi di risultare inopportuno e maldestramente inattendibile; non presenta dati smaccatamente ‘sbagliati’, ma semplici illazioni, slogan inverificabili, porta alla ribalta frasi di senso comune che assistono alla propria legittimazione pubblica per un semplice effetto ottico di prospettiva e di tranfert. Sopra la tribuna, in giacca e cravatta, un politico può diventare il megafono per la pancia della gente, può permettersi di ripetere esattamente quei discorsi da bar della stazione che prima ciascuno si sarebbe vergognato di sostenere nel passaggio alla dimensione pubblica del discorso sociale.

Salvini è un maestro nello scendere in picchiata da un livello general-nazionale alla cronaca aneddotica locale (il noir un po’ morboso che tradizionalmente appassiona), e cita un episodio del giorno precedente – l’arresto di un trentenne tunisino che, durante una rissa, ha ferito il proprietario di un celebre locale-discoteca pisano. L’espatrio non è stato possibile perché il colpevole è sposato con una donna italiana incinta. Silenzio volontario, aspetta e ottiene la risata del pubblico; la notizia in sé viene letta come se fosse una barzelletta. Salvini sorride, commenta con l’eloquenza dei gesti, sottolinea maliziosamente di non voler entrare nella camera da letto degli italiani ma consiglia alle donne di scegliersi un marito italiano (ancora meglio, pisano). Non importa se alla notizia della donna ‘ingravidata’ dal migrante qualcuno dal pubblico abbia urlato “abbattiamola”, e che la risposta, attorno, sia stata un riso di consenso, al massimo uno sguardo bonariamente torvo di chi pensa ‘è una bravata, ma in fondo ha ragione”.

È troppo facile e semplicemente controproducente etichettare Salvini attraverso le definizioni di razzista, fascista o populista; è semplice e inutile sentirsi ‘dalla parte giusta’ sfoderando i temi, gli slogan e la contestazione dell’antifascismo storico, in cui la coscienza dell’uomo di centrosinistra può sentirsi pacificata e legittimata nel rifiuto di ascoltare o dialogare con questa fetta consistente dell’elettorato italiano.

La retorica di Salvini procede per auto-legittimazioni causali: io sono una persona perbene, do per scontato che il mio elettorato sia composto da persone per bene (frase che Salvini ha adoperato quando un giornalista, poche ore prima a Siena, gli aveva domandato se sapesse che, in prima fila al suo comizio a Rosarno, si trovassero persone affiliate alle cosche mafiose), quindi tutto quello che dirò sarà l’espressione del buonsenso ‘giusto’ della brava gente. I commercianti, la brava gente che si sente orgogliosa e compiaciuta di essere inclusa in questo paradigma morale, viene ulteriormente rassicurata dall’insistenza percussiva di clausole come “a Dio piacendo” o “nel giorno del Signore”. Quando Salvini si propone come padre di famiglia e uomo di Chiesa, sembra del tutto naturale accompagnare con un boato di cieca violenza e rifiuto la proposta di edificare una moschea, perché la moschea diventa, in questo regime di discorso, il nemico delle persone oneste. Se una piazza gremita può accettare e applaudire il passaggio logico secondo cui la sinistra risolve il problema della bassa natalità regalando alle giovani coppie senza figli i migranti ventenni già cresciuti ("senza che ci sia bisogno di portarli all’asilo o di curarli"), allora significa che con la auto-giustificazione di essere ‘brava gente’ si può accettare ogni argomentazione, è una sorta di passepartout ideologico che legittima e manleva dalle conseguenze di qualsiasi spregiudicatezza retorica. Io sono perbene, dunque tutto quello che dirò sarà legittimato e accettabile senza necessità di verifica.

Se questi comizi oggi sono possibili è perché non si è formato un contro discorso, una prospettiva politica alternativa che spieghi che le migrazioni internazionali non sono né il problema né la soluzione. Se Salvini aizza le folle spiegando che i rom non pagano le tasse, bisognerebbe chiedere a quegli stessi pisani stipati in Piazza Carrara (i commercianti, la brava gente) se loro stessi paghino diligentemente le tasse, producano fatture e scontrini fiscali, nel loro quotidiano fieramente italico e pisanissimo. Nella mia esperienza di studentessa e ‘cittadina pisana’ da cinque anni, che abita nel centro della città e che prende spesso il treno in quella stazione paragonata ieri a Nairobi, posso dire che i problemi non sono quelli posti sotto i riflettori da Salvini, e vorrei una politica che spiegasse che un altro discorso è possibile.

Se, tuttavia, è possibile assistere a un comizio che si appoggia soltanto su premesse indimostrabili e facili giochi di ‘amplificazione’, forse è anche colpa nostra, di quelli che Salvini apostrofa come "sfigati", gli intellettuali che "vivono chiusi nelle biblioteche". Rivendico orgogliosamente il fatto di studiare e lavorare per acquisire conoscenza e per 'comprendere' il mondo, Salvini non potrà fare in modo che io viva la mia istruzione come una colpa e una sottrazione rispetto a un presunto ‘fare quello che vuole la gente con il linguaggio che vuole sentire la gente' ; eppure, quando la musica epica accompagna la fine del comizio, sento che qualcosa, nel mio ruolo di intellettuale, è storicamente fallito.


È fallito perché sembra troppo facile mostrare le contraddizioni logiche del discorso di Salvini e dei ‘presentatori’ leghisti che l’hanno preceduto (“il candidato di sinistra ha partecipato per anni alle sedute in Consiglio e non è stato capace di fare nulla” - stacco di dieci minuti “il candidato di destra ha l’esperienza politica di essere stato in Consiglio per anni, non è ignorante come lo dipingono i giornali rossi”). Il tradizionalista tecnobofo che non vuole far crescere i figli di fronte al Grande Fratello e agli schermi televisivi, conclude il comizio invitando gli elettori ad avvicinarsi al palco per ricevere la loro dose di selfie quotidiana, ma l’ossimoro logico non viene percepito come tale, tutto fa brodo. Sembra così facile da decostruire, sembra non valerne la pena.

È fallito perché se l’unico discorso da opporre alla propaganda salviniana è quello che si limita aristocraticamente a considerare ‘sbagliate’ e ‘razziste’ le posizioni di Salvini, la sinistra ha perso la capacità di orientare e costruire una posizione politica autonoma che prescinda dall’ormai fantomatico ‘buonismo alla Fabio Fazio’.

È fallito, in fondo, perché il modo 'classico' di contestare un linguaggio che giudico inaccettabile non è più possibile, perché l'atto stesso della contestazione contribuisce soltanto ad alimentare il circolo vizioso del 'solito centro sociale' (i figli di papà annoiati - stereotipo che reintroduce anche, in forme paradossali, una sorta di 'lotta di classe') che minaccia la libertà d'espressione di un onesto cittadino virtuoso. Perché non si riesce a spostare il discorso pubblico su altri temi, riempire i 'non detti' di Salvini con interpretazioni che non suonino come sterili antagonismi che si limitano a misurarsi (da perdenti) sullo stesso terreno discorsivo? Salvini ha criticato i contestatori che non sanno godere della bellezza di una cena su un Ponte di Mezzo barricato, ma quanti tra i presenti al comizio hanno davvero potuto usufruire di quella sofisticata opportunità gastronomica, e non hanno, invece, visto sottrarsi la possibilità di spostarsi in uno spazio pubblico che appartiene alla cittadinanza? Quante persone hanno applaudito al 'presentatore leghista' quando ha accusato i rom che rubano i portafogli di disincentivare il turismo e impedire a Pisa di diventare una delle città più ricche d'Italia, quando il problema per i turisti è perlopiù costituito dai pisani stessi e dalle strutture/modalità per l'accoglienza dei turisti presenti sul territorio italiano? Forse quegli stessi commercianti, supportati da una medesima e contraria operazione di propaganda, si scaglierebbero contro i turisti che 'sporcano' la città e diminuiscono il tasso di una presunta "pisanità", se Pisa diventasse realmente una città-vetrina assediata dalle 'migrazioni ricche' del turismo globale.

Credo che ci sia bisogno di costruire un discorso, senza partire dallo stesso meccanismo perverso di degradazione retorica e snobistica dell’avversario e dell'opinione altrui, e senza appellarsi a un astratto quanto pericoloso 'buon senso'.

C’è bisogno, in fondo, di un pensiero dialettico.
Claudio Khaled Ser
Non intendo rispondere a Salvini e alle sue balorde salvinate.
Dovrebbe vergognarsi di cosi' tanta cialtroneria, almeno come mi vergogno io d'averlo come Ministro della Repubblica.
PREMETTO :
Io parlo perché conosco,
io parlo perché ci ho vissuto
io parlo perché da trentanni é questo il mio lavoro.
Quindi so cosa dico e non mi metto a contestare chi parla inutilmente senza conoscere.
I campi "ufficiali" in Libia sono 11, quelli non ufficiali, 7.
Totale 18 campi con oltre trentamila persone rinchiuse.
Sono lager, prigioni infami, centri di criminalità organizzata dove non esiste NESSUN diritto compreso quello di vivere.
Sono gestiti da criminali, la feccia dell'esercito, della polizia, dei contrabbandieri di schiavi, dal racket della prostituzione.
Non c'é assistenza medica, si muore di niente, di fame, di sete, di botte, di torture, di stupri.
Si muore e si viene gettati nelle discariche insieme ai rifiuti.
I cani fanno il resto.
Lo sai Salvini quanto costa comperarsi uno schiavo nei campi libici ?
Te lo dico io :
Ragazzo sotto i 10 anni : 100 dollari
Dai dieci ai venti : 200 dollari
Ragazza sotto i dieci 300 dollari
Ragazza sopra i dieci e già "usata" 200 dollari
Pochi spiccioli, qualche euro, per gli altri.
Quale ipotetico campo profughi ha visitato Salvini ?
Lui dice uno in costruzione....forse nel suo cervello.
Non é stato ricevuto da nessuno.
Ribadisco da NESSUNO.
Non da Serraj ne da altri influenti leccapiedi di quell'inutile governo marionetta messo in piedi dall'UE.
Non parliamo di Haftar che gli ha perfino negato il permesso di andare a Bengasi, e nemmeno da Saif Gheddafi che lo impalerebbe nel deserto.
Salvini parla di hotspot nel Sud della Libia.
Saif Gheddafi si mette a ridere e dice che li brucia in un giorno.
Lui allora dice li metteremo fuori dai confini.....
cioé dove ?
In Sudan ? In Niger ? in Chad ?
Non stiamo giocando a Monopoli caro Salvini, magari bisognerebbe interpellare gli Stati e sapere cosa ne pensano.
Io lo so cosa ne pensano, visto che ne uccidono mille al giorno.
E' grottesco, é assurdo, é impensabile che costui sia Ministro degli Interni.
E' una barzelletta.
Ma non fa ridere nessuno.


martedì 26 giugno 2018

Le dieci regole della manipolazione mediatica



1. La strategia della distrazione

L’elemento primordiale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel deviare l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dei cambiamenti decisi dalle élite politiche ed economiche, attraverso la tecnica del diluvio o inondazioni di continue distrazioni e di informazioni insignificanti. La strategia della distrazione è anche indispensabile per impedire al pubblico d’interessarsi alle conoscenze essenziali, nell'area della scienza, l’economia, la psicologia, la neurobiologia e la cibernetica. Mantenere l’Attenzione del pubblico deviata dai veri problemi sociali, imprigionata da temi senza vera importanza. Mantenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza nessun tempo per pensare, di ritorno alla fattoria come gli altri animali.

2. Creare problemi e poi offrire le soluzioni
Questo metodo è anche chiamato "problema- reazione- soluzione". Si crea un problema, una "situazione" prevista per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che si dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, o organizzare attentati sanguinosi, con lo scopo che il pubblico sia chi richiede le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito della libertà. O anche: creare una crisi economica per far accettare come un male necessario la retrocessione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.

3. La strategia della gradualità
Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi. È in questo modo che condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte durante i decenni degli anni 80 e 90: Stato minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero state applicate in una sola volta.

4. La strategia del differire
Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come "dolorosa e necessaria", ottenendo l’accettazione pubblica, nel momento, per un’applicazione futura. È più facile accettare un sacrificio futuro che un sacrificio immediato. Prima, perché lo sforzo non è quello impiegato immediatamente. Secondo, perché il pubblico, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che "tutto andrà meglio domani" e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. Questo dà più tempo al pubblico per abituarsi all'idea del cambiamento e di accettarlo rassegnato quando arriva il momento.

5. Rivolgersi al pubblico come ai bambini
La maggior parte della pubblicità diretta al gran pubblico, usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, molte volte vicino alla debolezza, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente mentale. Quando più si cerca di ingannare lo spettatore più si tende ad usare un tono infantile. Perché? Se qualcuno si rivolge ad una persona come se avesse 12 anni o meno, allora, in base alla suggestionabilità, lei tenderà, con certa probabilità, ad una risposta o reazione anche sprovvista di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno.

6. Usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione
Sfruttate l'emozione è una tecnica classica per provocare un corto circuito su un'analisi razionale e, infine, il senso critico dell'individuo. Inoltre, l'uso del registro emotivo permette aprire la porta d’accesso all'inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o indurre comportamenti...

7. Mantenere il pubblico nell'ignoranza e nella mediocrità
Far sì che il pubblico sia incapace di comprendere le tecnologie ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. "La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza dell’ignoranza che pianifica tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare dalle classi inferiori".

8. Stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità
Spingere il pubblico a ritenere che è di moda essere stupidi, volgari e ignoranti...

9. Rafforzare l’auto-colpevolezza
Far credere all'individuo che è soltanto lui il colpevole della sua disgrazia, per causa della sua insufficiente intelligenza, delle sue capacità o dei suoi sforzi. Così, invece di ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e s’incolpa, cosa che crea a sua volta uno stato depressivo, uno dei cui effetti è l’inibizione della sua azione. E senza azione non c’è rivoluzione!

10. Conoscere agli individui meglio di quanto loro stessi si conoscano
Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno generato un divario crescente tra le conoscenze del pubblico e quelle possedute e utilizzate dalle élites dominanti. Grazie alla biologia, la neurobiologia, e la psicologia applicata, il "sistema" ha goduto di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia nella sua forma fisica che psichica. Il sistema è riuscito a conoscere meglio l’individuo comune di quanto egli stesso si conosca. Questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un controllo maggiore ed un gran potere sugli individui, maggiore di quello che lo stesso individuo esercita su sé stesso.

TOP TEN DELLA SETTIMANA


26 GIU 2018

1) Arieccoce! Dopo un po' di tempo torna la più sconclusionata, scorretta e infame top ten della storia. Sará autorevole come Conte, intelligente come Sibilia, simpatica come Salvini, fresca come Savona, consapevole come la Raggi, scaltra come Luca Bergamo, vincente come Orfini, lungimirante come Marcucci. E comunque, a Roma, chi se offenne, paga da beve.

2) Conte. Piace al 56% degli italiani. E perché no? Sta li, bono bono, senza rompe i cojoni a nessuno, fa tutto quello che gli dicono di fare, quindi praticamente un cazzo e c'ha er capello dandy. Perfetto.

3) Pare che Al Bano e Romina se risposano. Figuramose se la sinistra nun po rimettese insieme.

4) Sulla storia dello stadio della Roma er peggio è stato Casaleggio. Lo beccheno a cena co Lanzalone e dice che era un caso. In pratica è colpa de Tripadvisor.

5) A proposito, mo sto Lanzalone non lo conosce più nessuno. Guarda se non va a finì che je lo appioppano a Marino.

6) In Toscana ormai stamo sur cazzo pure ai Cantuccini. Sembramo la Polonia a sti mondiali de calcio. Nun prennemo più palla.

7) Quanto me piacerebbe vede er profilo facebook de sti 120 finti terremotati che ad Amatrice hanno intascato i soldi senza averne diritto.

8 ) Quello che sta facendo Salvini al povero di Maio si chiama “circonvenzione di incapace”. In Italia è un reato. Venivano accusati di questo reato, quelli che a Porta Portese facevano il gioco delle tre carte. Per farvi capire il livello.

9) Ora è vero che alcuni autorevoli esponenti romani del PD trovano difficoltà a capire anche la trama di un episodio de Peppa Pig. Ma dopo la vittoria in terzo e ottavo municipio e facile capì come si può tornare a vincere. Intanto cominciando a fa l'esatto contrario di quello che suggeriscono certi geni. L'esatto contrario. Fidateve.

10) Gli assessori della giunta Raggi. Ora chi e quanti sono? Che fanno? Ndo stanno? Ormai tranne che qualche addetto ai lavori, i romani ne sanno più o meno di quello che sanno dell’attività degli assessori del comune di Akkaduk in Kazakistan.

http://toptendimarcomiccoli.altervista.org/

Nel blog troverete, oltre alla Top Ten di oggi, anche l'archivio di tutte le Top del 2016 e 2017.