sabato 31 luglio 2010

Lottiamo per un futuro migliore


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Firmate la petizione a :Petizione antinucleare www.perilbenecomune.org


Azioni di vero fascismo

29 Luglio 2010

Due militanti del P-CARC denunciati per aver preso parte alla manifestazione dei lavoratori Nexans del 15 Luglio: solleviamoci contro le prove di fascismo dei CC di Priverno e della Digos !!!
Ieri pomeriggio la stazione dei CC di Priverno ha notificato una denuncia per “manifestazione non autorizzata” ad Andrea De Marchis, segretario della sezione “Luigi Di Rosa” del Partito dei CARC e ad un’altra militante della sezione. Secondo i CC di Priverno e la Digos di Latina i due militanti del P-CARC sarebbero “rei” di aver compiuto “manifestazione non autorizzata” (art.18 Tulps) per aver partecipato alla manifestazione tenuta il 15 Luglio a Fossanova dai lavoratori della Nexans di Latina in lotta contro i licenziamenti e la delocalizzazione della loro fabbrica (manifestazione autorizzata dalla Questura).
L’atto notificato quest’oggi ai due compagni del P-CARC rappresenta molto di più che una semplice denuncia. Siamo di fronte ad una palese e mastodontica violazione dei diritti costituzionali e di tutte quelle leggi che sanciscono e tutelano le libertà d’espressione, associazione e organizzazione. Questa denuncia è una prova di fascismo al pari di tanti altri fatti che dimostrano come in Italia sia un atto un tentativo di riscrivere i diritti costituzionali e mettere in discussione le libertà ad oggi esistenti.
Digos e CC di Priverno con queste denunce alzano il tiro nell’accanimento repressivo contro la nostra attività. Giocano a mostrare i muscoli per intimidirci, limitare la nostra agibilità politica e dunque soffocare la nostra attività a sostegno resistenza che le masse popolari oppongono alla crisi.
Denunciamo che questi provvedimenti repressivi sono anzitutto un attacco mirato all’attività del nostro Partito. Le forze dell’ordine vogliono tenerci lontani dalla classe operaia e soprattutto vogliono introdurre una sorta di legislazione speciale cui sottoporre i militanti del nostro Partito. Se in passato denunciavamo di subire un trattamento da “sorvegliati speciali” oggi i CC di Priverno e la Digos di Latina ce ne danno la conferma in maniera plateale!
Denunciamo che queste provvedimenti repressivi rappresentano un attacco a tutta la classe operaia della provincia in lotta contro la crisi, i licenziamenti e i piani di lacrime e sangue della banda Berlusconi. Il messaggio è chiaro: gli operai in lotta contro i licenziamenti devono restare soli, addomesticati dai sindacati di regime e rassegnati alla sconfitta.
Le Autorità, i politicanti corrotti che le dirigono e la loro schiera di magistrati e sbirri scodinzolanti hanno paura del Partito dei CARC! Per quanto rappresentiamo una piccola forza, temono l’influenza che possiamo esercitare su tutti quei lavoratori che oggi scendono in strada e si organizzano per non pagare il prezzo della crisi generata dai padroni. Ci colpiscono perché temono che con il nostro intervento nelle lotte operaie possiamo contribuire a farle uscire dal vicolo cieco della concertazione tra padroni e sindacati di regime (linea che equivale alla morte delle rivendicazioni operaie). Ci colpiscono perché diciamo agli operai che devono pretendere misure d’emergenza dalle Autorità a tutela del posto di lavoro e perché indichiamo nella lotta di piazza lo strumento principale tramite cui far avanzare le loro rivendicazioni. Ci colpiscono perché indichiamo agli operai che la sola alternativa alla miseria, ai licenziamenti e ai piani di lacrime e sangue dei governi della Repubblica Pontificia, che la sola via d’uscita dalla crisi sta nell’instaurazione del socialismo, sta nel liberarsi della cricca di mafiosi, padroni, faccendieri, cardinali e parassiti vari che ci governano e costruire una società basata su superiori relazioni sociali in cui il potere stia nelle mani dei legittimi detentori: i lavoratori!
Chiediamo a tutte le forze sociali, alle RSU della Nexans, alla CGIL e al sindacalismo di base, ai democratici, ai progressisti e ai comunisti, di prendere posizione e chiedere il ritiro di queste denunce: è un atto opportuno e necessario a fronte di un azione repressiva che se dovesse passare non rappresenterebbe soltanto un colpo al Partito dei CARC ma un colpo rivolto a tutti quei soggetti che in provincia di Latina si fanno promotori della lotta per non pagare la crisi dei padroni.
Per quel che ci riguarda mandiamo a dire a CC di Priverno e Digos di Latina che con queste denunce non ottengono nulla: saremo come prima e più di prima al fianco degli operai della Nexans!
Le denunce per la manifestazione del 15 Luglio sono vere e proprie prove di fascismo che fanno il paio con tantissimi fatti ed eventi che stanno accadendo nel nostro paese nell’ultimo periodo e che mirano a riscrivere i diritti costituzionali in senso autoritario. Sono i passaggi con cui chi ci governa cerca di creare il terreno per l’instaurazione di un governo d’emergenza reazionario che con l’autoritarismo e il terrore imponga alle masse popolari di pagare la crisi.
E’ possibile stroncare le “prove di fascismo” che la destra reazionaria sta facendo per mettere alla prova e selezionare individui e organismi che facciano quello che i nazisti e fascisti fecero nello scorso secolo. E’ possibile impedire l’istituzione di nuovi tribunali speciali. E’ possibile impedire l’istituzione di un governo d’emergenza della destra reazionaria. Per raggiungere tutti questi obiettivi, la Organizzazioni Operaie e Popolari devono prendere in mano le redini del paese e costruire un loro governo d’emergenza, che adotti le misure necessarie per far fronte agli effetti peggiori della crisi e sbarri la strada a fascisti e razzisti.
Partito dei Comitati d’Appoggio alla Resistenza – per il Comunismo (P-CARC) Sezione “Luigi Di Rosa” Priverno/Roccasecca d.V. Tel: 3355430321 ; Mail: roccaseccapriverno@carc.it

martedì 27 luglio 2010

La Bp sta per cominciare a trivellare nel Mediterraneo


Con estrema cautela, senza dare troppo nell’occhio, tra qualche settimana cominceranno le operazioni di perforazione a 200Km a ovest di Bengasi in un’area dove vennero affondati da parte degli americani i vascelli della marina libica. A questo punto sarebbe utile sapere che razza di mondo è questo, dove in piena tragedia - la storia del Golfo del Messico non è ancora finita, anzi ancora non si sa come venirne fuori - si passa al mediterraneo, che nel suo 1% di mare è la patria della biodiversità e, tra l’altro, un mare semichiuso. Vediamo subito alle reazioni che ci sono state da parte delle opposizioni e da parte delle associazioni ambientaliste.
Ermete Realacci responsabile green economy del Pd afferma:”E’ una notizia che desta grande preoccupazione. Il governo italiano deve intervenire con urgenza e promuovere, a livello internazionale, la richiesta di una moratoria per lo stop a nuove trivellazioni nel Mediterraneo.
E sempre Realacci in una nota aggiunge: ”E’ particolarmente critica perché si dovrebbe effettuare a grandi profondità e questo è un elemento di ulteriore insicurezza in caso di incidente. Se quello che sta accadendo in Messico accadesse nel Mediterraneo, un mare chiuso e con un ricambio lentissimo, sarebbe una sciagura senza eguali. Il nostro paese, per la posizione geografica e politica che ha nel bacino del Mediterraneo, ha il dovere di essere capofila in un’azione internazionale di tutela dei nostri mari e fare pressione presso il governo libico per fermare questa nuova trivellazione”.
Fulco Pratesi Presidente onorario del Wwf Italia invece afferma: ”’Assurdo: il Mediterraneo non è un mare qualsiasi; pur rappresentando solo l’1% della superficie dei mari del mondo, presenta un concentrato di biodiversità, di ambienti e di paesaggi introvabile altrove. ’La minaccia che incombe su questo gioiello non solo naturalistico - osserva ancora Pratesi -, con la previsione di trivellazioni petrolifere nel Golfo della Sirte a ben 1700 metri di profondità (superiore a quelli del Golfo del Messico), potrebbe rappresentare un colpo gravissimo alle numerosissime specie. Molte delle quali uniche al mondo, come la posidonia, una pianta marina che solo in Mediterraneo vegeta, il corallo rosso, la foca monaca, il gabbiano corso, una sottospecie endemica di balenottera, e, dal punto di vista della loro riproduzione, alcune specie di tartarughe marine. Ci preoccupa moltissimo – sottolinea Pratesi - la mancanza a oggi di regole e norme, trattati internazionali e convenzioni globali che mettano al riparo questo piccolo e prezioso mare dalle minacce petrolifere che stanno assassinando le coste meridionali degli Usa. E anche la saggia decisione del nostro governo di impedire queste perforazioni a meno di 10 miglia dal litorale non basta a tranquillizzarci. Le precauzioni già adottate in Norvegia per le piattaforme nel Mare del Nord e la moratoria imposta dal presidente Obama alle trivellazioni marine possono rappresentare un primo passo. Ma per il Mediterraneo, un mare chiuso su cui si affacciano centinaia di milioni di abitanti, di pescatori e di turisti, - conclude - occorre molto di piu”.
Per Paolo Brutti dell’Italia dei valori, le nuove trivellazioni ”devono essere immediatamente sventate con un intervento da parte dell’Unione Europea e dell’Italia, che sarebbe direttamente interessata dagli effetti di un eventuale incidente. E’ molto grave che sia stato proprio il ministro Prestigiacomo ad autorizzare le perforazioni in Sicilia da parte della Shell. Un’autorizzazione che non ha tenuto in alcun conto delle crescenti preoccupazioni per le perforazioni sottomarine rivolte da moltissimi ambienti europei all’Italia, che consente vaste concessioni estrattive nell’Adriatico, nello Jonio e in Sardegna. Tutto questo - aggiunge l’esponente dell’IdV - dimostra che il ministro Prestigiacomo, invece di garantire la difesa dell’ambiente italiano, non solo è al servizio del potentato industriale militare che ruota intorno al nucleare, ma è anche il ministro delle società petrolifere.Forse le decisioni del presidente libico sulla Bp e quelle del governo italiano sulla Shell fanno parte di un’intesa volta a trasformare il Mediterraneo in un immenso campo petrolifero sottomarino?”(Alfredo d'Ecclesia-http://www.agoravox.it)

domenica 25 luglio 2010

La marea nera in Nigeria

Lagos Nigeria: In Nigeria esiste una situazione drammatica, veramente drammatica, non ci sono persone da risarcire, non ci sono luoghi da bonificare, ci sono soltanto persone a cui è stato tolto tutto .
In quest'area le perdite di greggio, vanno avanti da parecchio tempo, dal 1958, anno in cui cominciarono le perforazioni in questa area, tra le più popolate dell'Africa, si sono riversate nel delta tanti di quei milioni di barili, da distruggere completamente un intero Habitat.
Di questo non si è mai parlato e non si deve parlare, di tutto si deve parlare, ma non di questo.
Della lotta tra cristiani e mussulmani si può parlare, dei rapimenti si può parlare, della guerriglia si può parlare, ma non del più grave disastro ambientale di un area, il delta del Niger, che comprende
oltre 700.000 mila km quadrati, area popolata da oltre 31 milioni di persone, tra le più importanti zone umide del mondo .Dice Judith Kimerling, professoressa di scienze politiche alla City University of New York: “sversamenti, perdite e fuoriuscite volontarie avvengono nei campi petroliferi di tutto il mondo e sembra che la cosa non importi a nessuno. L'incidente del Golfo del Messico dimostra che le compagnie petrolifere sono fuori da ogni controllo e, anzi, influenzano su questo la politica in USA e altrove, bloccando qualsiasi strumento in materia. In Nigeria hanno sempre vissuto al di sopra della legge e ora sono chiaramente un pericolo per il pianeta”.
Nnimmo Bassey uno dei 30 eroi per l'ambiente nel 2009, secondo la rivista Time, dice :”Sono decine di anni che i Nigeriani convivono sistematicamente con gli stessi problemi che ora affliggono le coste della Louisiana: il greggio scorre più o meno indisturbato fra campi, foreste e lagune del delta del Niger, dove le compagnie occidentali ricavano petrolio probabilmente senza usare le accortezze che userebbero a casa loro “
In un intervista al giornale inglese “The Observer “ Nnimmo Bassey dichiara :”In Nigeria le compagnie petrolifere ignorano completamente i loro sversamenti, distruggendo l'ambiente e arrecando gravi danni alla salute degli abitanti. L'incidente del golfo è una metafora di quello che succede quotidianamente nei campi petroliferi della Nigeria e di altre zone dell'Africa”.
Le compagnie dovevano portare lavoro, ricchezza, benessere, hanno cancellato e distrutto tutto, la popolazione vive con una madia di un dollaro al giorno, senza avere più la possibilità di procurarsi del cibo dall'ambiente circostante.
Le organizzazioni ambientaliste parlano di oltre 2.000 siti da bonificare, e accusano le compagnie di operare, nella totale illegalità e con attrezzature poco sicure e vecchie .
Pesci non c'è ne sono più, le mangrovie sono tinte di nero, pennacchi di olio scuro infestano i fiumi vicini, un disastro, una vergogna, uno degli ambienti più belli del mondo, completamente distrutti, gli abitanti sono stati trasformati in zombie, quando prima il 60% della popolazione di questa area, trovava sostentamento nelle risorse naturali .
Le compagnie si sa, ora cercheranno posti come il Niger, dove non devono risarcire nessuno, per il loro sporco e schifoso business. (Alfredo d'Ecclesia-http://www.ladysilvia.com)

mercoledì 21 luglio 2010

Una lettera toccante da L'Aquila

Vogliamo pubblicare una lettera davvero toccante che ci giunge da L'Aquila. Ce la manda Emanuela Pichelli. Vi consigliamo davvero di dedicare due minuti per leggere le sue parole, e magari condividerle con i vostri amici. Sapere che l'Italia è fatta da persone come Emanuela ci fa sentire meglio.
Cari balconi d'Italia,
innanzitutto vi ringrazio per questa iniziativa delle bandiere e dei lenzuoli ai balconi in memoria del giudice Borsellino e di tutte le vittime di mafia. Vi ringrazio perché mi ha dato la possibilità, non essendo potuta andare a Palermo per il presidio alla memoria, di sentirmene comunque partecipe.Vi mando la foto del mio balcone (anzi della mia finestra :)).
Prima di andare a lavoro ho deciso di fermarmi sul percoso più volte per attaccare dei volantini in memoria di questa giornata, sperando che la sensibilità delle persone torni a farsi sentire in una generale richiesta di verità per questa e per le altre stragi di mafia.Per ognuno che ne ho attaccato, era un orgoglio per me spiegare a chi mi chiedeva e dire "ricordatelo anche voi oggi e passate parola, non dobbiamo dimenticare". Per ognuno che ne attaccavo sentivo la gioia di fare qualcosa che ridesse al giudice un piccolo respiro. Lui credeva molto in noi giovani e io credo molto nelle sue parole della "lotta alla mafia" come "movimento culturale e morale" che coinvolga soprattuto "le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà".L'ultimo che ho attaccato è stato in centro, a L'Aquila, e questo vuole portare un doppio messaggio: verità per le stragi di mafia e verità per la mia città. L'Aquila da dopo il terremoto è diventato un terreno ben fertile per la criminalità organizzata, sia quella che striscia, sia quella che passa per i palazzi del potere. Un po' di sconforto mi è preso al pensiero che "se dopo 18 anni una strage come quella del giudice Borsellino, così chiaramente piena di colpevoli, ancora non riceve giustizia e verità, cosa accadrà per la strage dei nostri studenti nel terremoto del 6 aprile 2009?quanto dovremo aspettare?". Apprezzo la vostra iniziativa per la libertà di informazione e vi prego, visto il potere del web, fate circolare anche la verità su L'Aquila.
Vi ringrazio e mi scuso per essermi troppo dilungata.CiaoEmanuela
L'Aquila 19 Luglio 2010
da Facebook I balconi........allo sbavaglio

I diritti calpestati

Il Naga, associazione milanese per la cura socio sanitaria e la tutelea legale dei migranti, ha formalmente denunciato Milano per gli oltre 100 sgomberi effettuati a danno della comunità sinti e rom. “La nostra denuncia si concentra sugli oltre 100 sgomberi avvenuti nei primi sei mesi del 2010 e che si sono abbattuti spesso contro gli stessi nuclei familiari -dichiarano i referenti del servizio legale del Naga-. Attraverso una dettagliata documentazione dei fatti integrata con riferimenti alla normativa italiana ed europea, denunciamo come gli sgomberi avvenuti a Milano e quelli preannunciati per i prossimi mesi abbiano violato e violeranno diritti umani fondamentali e assumano i tratti di una in una vera e propria persecuzione contro le minoranze rom e sinti presenti all’interno del territorio”. “Di fronte allo sconcertante silenzio delle istituzioni milanesi ed italiane su questi fatti gravissimi -prosegue il Naga -ci auguriamo che la Commissione europea faccia valere le sue prerogative di vigilanza sulla corretta applicazione del diritto europeo e richiami, quindi, l’Italia alle sue responsabilità di garanzia e tutela dei diritti fondamentali di tutti i cittadini”. (da corriere Immigrazione blogspot)


A Quaracchi c’è una emergenza umanitaria.
A Quaracchi c’è una Favela senza acqua, luce, servizi igienici.A Quaracchi vivono famiglie, esseri umani: bambini, disabili, anziani, donne, uomini che dal 16 gennaio, con la loro lotta affermano il DIRITTO ALLA VITA PER I ROM RUMENI.Nella “Civile Toscana”, nel Cuore della “CIVILE TOSCANA” esseri umani, Rom Rumeni,cittadini Europei vengono lasciati con 40 gradi senza acqua.Siamo di fronte ad uno scenario che ricorda Gaza, la Palestina.Anche in Palestina i bambini vengono lasciati senza acqua.Anche in Palestina esiste solo repressione e nessuna inclusione sociale.Sino ad oggi, per i Rom solo fogli di via, repressione, minacce, maltrattamenti e botte in Questura.Sono state fatte 4 denunce alla Magistratura Ordinaria, denunciando ampiamente le responsabilità dei Sindaci Matteo Renzi e Gianni Gianassi.L’Asl di Firenze e Sesto, La Regione Toscana dipartimento Igiene Pubblica afferma che le condizioni Igienico Sanitarie sono“INCOMPATIBILI CON LA PRESENZA DI PERSONE”I Rom sono ESSERI UMANII Rom vanno a scuolaI Rom sono lavoratoriI Rom sono come noiCHIEDIAMO URGENTEMENTE UN TAVOLO DI INCLUSIONE SOCIALECHIEDIAMO DI ADOTTARE IL PROGETTO“un percorso di cittadinanza attiva peril Popolo Rom dell’Ex-Osmatex”CHIEDIAMO ACQUACHIEDIAMO SERVIZI IGIENICICHIEDIAMO DI RIMUOVERE LA SPAZZATURABASTA CON L’INDIFFERENZA
EMERGENZA UMANITARIA
Alla Regione Toscana Enrico Rossi
Al Sindaco di Sesto Fiorentino Gianni Gianassi
Al Sindaco di Firenze Matteo Renzi
Alla Società della Salute
A tutti i Partiti, le Associazioni, I Sindacati
Alla Società Civile
Associazione Nazionale Antirazzista 3 febbraio – Prato


martedì 20 luglio 2010

VI RACCONTIAMO COME BERLUSCONI HA USATO LA PROTEZIONE CIVILE PER TENTARE IL COLPO DI STATO


Nel 1992 una legge stabilisce che la Protezione Civile nel caso di emergenze possa agire velocemente e, se necessario, scavalcare le procedure correnti. Di questa legge nel 2001 si accorgono gli esperti che lavorano per Berlusconi, e che cosa si inventano? Alla parola 'emergenza', aggiungono la parola 'grandi eventi'. Perchè lo fanno? Perchè se l'emergenza permette di scavalcare la legge, e se i grandi eventi sono come l'emergenza, allora anch'essi permettono di aggirare la legge. Ma cosa intende Berlusconi per emergenza e grandi eventi? Un grande evento è ciò che il Governo decide essere un grande evento! Siccome lo stato di emergenza crea le condizioni per fare delle ordinanze e per agevolare questi poteri dittatorieli assoluti, è il Governo a stabilire cosa sia emergenza. Non sono solo i grandi eventi: se il Governo decide che è emergenza qualsiasi cosa, ad esempio il traffico nelle grandi città, può aggirare le leggi in nome di questa ordinanza.
Una volta dichiarato lo stato di emergenza, Guido Bertolaso (direttore del dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio) su proposta di Silvio Berlusconi, firma un'ordinanza nella quale dichiara che 'tizio' è nominato commissario straordinario in un determinato territorio per risolvere una determinata emergenza, il quale può agire in deroga a queste norme.
Quest'ordinanza c'è sempre stata, ma il problema consiste nel fatto che nessun presidente del consiglio l'ha mai utilizzata così sfacciatamente come Berlusconi stà facendo, nessuno mai ha giocato sulla pelle dei morti, nessuno mai ha giocato e speculato sulle emergenze gravi.Sono infinite le possibilità della nuova Protezione Civile voluta da Berlusconi, come per esempio trasformare l'emergenza rifiuti in una gigantesca operazione di propaganda (sono sotto gli occhi di tutti le immagini di Berlusconi con secchio e paletta a Napoli).Con la nuova Protezione Civile è possibile ad esempio bruciare negli inceneritori, anche quello che per legge non si può bruciare perchè tossico e perchè va a inquinare irreparabilmente terreni e falde acquifere e quindi è possibile far diventare legale ciò che è illegale.Questo ha fatto sì che diventasse reato punibile con il carcere da 1 a 5 anni, il manifestare pacificamente contro le decisioni della Protezione Civile.
Forse non tutti sanno che in Italia le grandi manifestazioni, anche sportive come i Mondiali di Nuoto o i Giochi del Mediterraneo, sono gestite dalla Protezione Civile, che può elergire centinaia di milioni di euro per la creazione di strutture non solo pubbliche ma anche private. Per i Mondiali di nuoto ad esempio, il commissario straordinario Angelo Balducci, può indirizzare finanziamenti pubblici a favore di suo figlio che viene autorizzato a costruire in piena zona esondazione Tevere.Quando il tribunale dà ragione ai comitati cittadini che lamentano il fatto che molte costruzioni non sono di pubblico utilizzo, Berlusconi risponde infilando due righe in un decreto in cui all 'pubblico' si aggiunge 'ed anche privato'. Il 30 giugno Berlusconi decreta una nuova ordinanza nella quale si equipara l'ente pubblico al privato, cosa questa aberrante perchè in questo modo soldi pubblici vanno a rimpinguare le tasche dei privati.Facciamo notare che in questi ultimi anni i decreti del Presidente del Consiglio a favore della Protezione Civile sono praticamente raddoppiati.
Da quando è stata modificata la legge, Berlusconi ha dichiarato ben 35 GRANDI EVENTI, di questi più della metà sono eventi religiosi:
- Quarto centenario della nascita di S.Giuseppe da Copertino- Canonizzazione del Beato Josèmaira Escrivà, fondatore dell'Opus Dei- Beatificazione di Madre Teresa di Calcutta- Celebrazione dell'anno giubilare Paolino- Il 24 congresso Eucaristico Nazionale- L'incontro dei giovani italiani- Celebrazione del congresso europeo delle famiglie numerose (?)- Visita pastorale di Benedetto XVI a Brindisi- Visita pastorale di Benedetto XVI a Savona- Visita pastorale di Benedetto XVI a Cagliari
Tutti questi "GRANDI" eventi elencati e tutto ciò che essi comportano, dai viaggi alle cene, dai buffet alle infrastrutture (palchi), sono gentilmente offerti dalla Protezione Civile, e indovinate un po' la Protezione Civile da dove prende i soldi? DA NOI!! NOI ONESTI CITTADINI CHE PAGHIAMO LE TASSE!!!
Il braccio destro economico di questo governo è la Protezione Civile: tutto passa per le mani della protezione civile e la Protezione Civile può fare tutto, anche quello che normalmente richiederebbe delle procedure lunge e legali.Ecco perchè la Protezione Civile può occuparsi di edilizia, come nel caso della costruzione delle new town di L'Aquila (i mostri di cemento), potendole edificare anche la dove era vietato costruire per legge, e può anche permettersi di sperimentare i costosissimi progetti di una fondazione privata a cui è collegata, questo spiega come mai, a L'Aquila per la costruzione dei nuovi alloggi per gli sfollati, si sia raggiunta la cifra costruttiva di 2800 euro a metro quadro, edificando case ben oltre le necessità che il piano antisismico richiedeva.Piani ammortizzati sopra il terreno, sui quali si possono costruire addirittura grattacieli, colonne antisismiche e case antisismiche. Dalla serie "pago io non ci facciamo mancar nulla!"
Si svela così il piano di Berlusconi che è dunque quello di ridurre drasticamente i controlli democratici sugli investimenti pubblici e privati. Si serve del successo d'immagine della Protezione Civile per tentare il passo decisivo: TRASFORMARE LA PROTEZIONE CIVILE IN UNA SOCIETA' PER AZIONI, così Berlusconi stesso sarebbe in grado di gestire tutto il denaro pubblico che vuole attraverso una struttura che regoli il consiglio di amministrazione scelto da lui stesso e di cui lui sarebbe il presidente.In pratica senza modificare la costituzione reale il cavaliere sta tentando di modificare la costituzione materiale di questo paese.
Quasi avesse sentore di ciò che stava per accadere, non appena i suoi avvocati riuscirono a far passare la legge sull'immunità delle cariche dello stato (lodo Alfano), Berlusconi tentò anche di promuove Bertolaso ministro, garantendogli così il legittimo impedimento.Al suo massimo storico di popolarità, Berlusconi era ad un passo dal realizzare il suo sogno, gestire il paese come una delle sue aziende (P3), ma proprio in quel momento, intercettazioni e scandali sugli appalti e sulle commissioni edilizie fecero implodere il suo progetto facendolo vertiginosamente ripiombare nella crisi di immagine alla quale era sino a 5 minuti prima della scossa di terremoto del 6 aprile 2009.Da queste intercettazioni uscirà che la criminilatà organizzata, mafia, 'ndrangheta, imprenditori corrotti e politici usavano la Protezione Civile per compiere il malaffare e lo stesso Bertolaso aveva "appaltato" i lavori del primo sito, la Maddalena, del G8 a suo cognato.Bertolaso viene indagato per corruzione ed il suo ex numero due per corruzione e per prostituzione.
Il resto è storia dei nostri giorni, come è storia dei nostri giorni il film DRAQUILA, da cui abbiamo estrapolato quanto sopra scritto, ed è storia dei nostri giorni il video che abbiamo girato noi stessi in prima persona a L'Aquila, ed è storia dei nostri giorni il decadimento morale e politico di un despota che ha tentato fino all'ultimo di emogenizzare il nostro paese.Se rileggete tutto quanto sopra scritto, se già non vi si sono mostrati gli ingranaggi di questo tremendo e pericolosissimo macchinario politico, vi renderete conto che, quanto provato a fare con l'ausilo della Protezione Civile, e cioè il controllo di una democrazia, collima con la nascita della loggia massonica P3, e collima con un vero e proprio colpo di stato... SILENZIOSO!
- PARTIGIANI DEL TERZO MILLENNIO -

lunedì 19 luglio 2010

Una stupenda lettera del figlio di Borsellino

Il primo pomeriggio di quel 23 maggio studiavo a casa dei miei genitori, preparavo l’esame di diritto commerciale, ero esattamente allo “zenit” del mio percorso universitario. Mio padre era andato, da solo e a piedi, eludendo come solo lui sapeva fare i ragazzi della scorta, dal barbiere Paolo Biondo, nella via Zandonai, dove nel bel mezzo del “taglio” fu raggiunto dalla telefonata di un collega che gli comunicava dell’attentato a Giovanni Falcone lungo l’autostrada Palermo-Punta Raisi.
Ricordo bene che mio padre, ancora con tracce di schiuma da barba sul viso, avendo dimenticato le chiavi di casa bussò alla porta mentre io ero già pietrificato innanzi la televisione che in diretta trasmetteva le prime notizie sull’accaduto. Aprii la porta ad un uomo sconvolto, non ebbi il coraggio di chiedergli nulla né lui proferì parola.
Si cambiò e raccomandandomi di non allontanarmi da casa si precipitò, non ricordo se accompagnato da qualcuno o guidando lui stesso la macchina di servizio, nell’ospedale dove prima Giovanni Falcone, poi Francesca Morvillo, gli sarebbero spirati tra le braccia. Quel giorno per me e per tutta la mia famiglia segnò un momento di non ritorno. Era l’inizio della fine di nostro padre che poco a poco, giorno dopo giorno, fino a quel tragico 19 luglio, salvo rari momenti, non sarebbe stato più lo stesso, quell’uomo dissacrante e sempre pronto a non prendersi sul serio che tutti conoscevamo.
Ho iniziato a piangere la morte di mio padre con lui accanto mentre vegliavamo la salma di Falcone nella camera ardente allestita all’interno del Palazzo di Giustizia. Non potrò mai dimenticare che quel giorno piangevo la scomparsa di un collega ed amico fraterno di mio padre ma in realtà è come se con largo anticipo stessi già piangendo la sua.Dal 23 maggio al 19 luglio divennero assai ricorrenti i sogni di attentati e scene di guerra nella mia città ma la mattina rimuovevo tutto, come se questi incubi non mi riguardassero e soprattutto non riguardassero mio padre, che invece nel mio subconscio era la vittima. Dopo la strage di Capaci, eccetto che nei giorni immediatamente successivi, proseguii i miei studi, sostenendo gli esami di diritto commerciale, scienze delle finanze, diritto tributario e diritto privato dell’economia. In mio padre avvertivo un graduale distacco, lo stesso che avrebbero percepito le mie sorelle, ma lo attribuivo (e giustificavo) al carico di lavoro e di preoccupazioni che lo assalivano in quei giorni. Solo dopo la sua morte seppi da padre Cesare Rattoballi che era un distacco voluto, calcolato, perché gradualmente, e quindi senza particolari traumi, noi figli ci abituassimo alla sua assenza e ci trovassimo un giorno in qualche modo “preparati” qualora a lui fosse toccato lo stesso destino dell’amico e collega Giovanni.
La mattina del 19 luglio, complice il fatto che si trattava di una domenica ed ero oramai libero da impegni universitari, mi alzai abbastanza tardi, perlomeno rispetto all’orario in cui solitamente si alzava mio padre che amava dire che si alzava ogni giorno (compresa la domenica) alle 5 del mattino per “fottere” il mondo con due ore di anticipo. In quei giorni di luglio erano nostri ospiti, come d’altra parte ogni estate, dei nostri zii con la loro unica figlia, Silvia, ed era proprio con lei che mio padre di buon mattino ci aveva anticipati nel recarsi a Villagrazia di Carini dove si trova la residenza estiva dei miei nonni materni e dove, nella villa accanto alla nostra, ci aveva invitati a pranzo il professore “Pippo” Tricoli, titolare della cattedra di Storia contemporanea dell’Università di Palermo e storico esponente dell’Msi siciliano, un uomo di grande spessore culturale ed umano con la cui famiglia condividevamo ogni anno spensierate stagioni estive.
Mio padre, in verità, tentò di scuotermi dalla mia “loffia” domenicale tradendo un certo desiderio di “fare strada” insieme, ma non ci riuscì. L’avremmo raggiunto successivamente insieme agli zii ed a mia madre. Mia sorella Lucia sarebbe stata impegnata tutto il giorno a ripassare una materia universitaria di cui avrebbe dovuto sostenere il relativo esame il giorno successivo (cosa che fece!) a casa di una sua collega, mentre Fiammetta, come è noto, era in Thailandia con amici di famiglia e sarebbe rientrata in Italia solo tre giorni dopo la morte di suo padre.Non era la prima estate che, per ragioni di sicurezza, rinunciavamo alle vacanze al mare; ve ne erano state altre come quella dell’85, quando dopo gli assassini di Montana e Cassarà eravamo stati “deportati” all’Asinara, o quella dell’anno precedente, nel corso della quale mio padre era stato destinatario di pesanti minacce di morte da parte di talune famiglie mafiose del trapanese. Ma quella era un’estate particolare, rispetto alle precedenti mio padre ci disse che non era più nelle condizioni di sottrarsi all’apparato di sicurezza cui, soprattutto dolo la morte di Falcone, lo avevano sottoposto, e di riflesso non avrebbe potuto garantire a noi figli ed a mia madre quella libertà di movimento che negli anni precedenti era riuscito ad assicurarci.
Così quell’estate la villa dei nonni materni, nella quale avevamo trascorso sin dalla nostra nascita forse i momenti più belli e spensierati, era rimasta chiusa. Troppo “esposta” per la sua adiacenza all’autostrada per rendere possibile un’adeguata protezione di chi vi dimorava. Ricordo una bellissima giornata, quando arrivai mio padre si era appena allontanato con la barchetta di un suo amico per quello che sarebbe stato l’ultimo bagno nel “suo” mare e non posso dimenticare i ragazzi della sua scorta, gli stessi di via D’Amelio, sulla spiaggia a seguire mio padre con lo sguardo e a godersi quel sole e quel mare.Anche il pranzo in casa Tricoli fu un momento piacevole per tutti, era un tipico pranzo palermitano a base di panelle, crocché, arancine e quanto di più pesante la cucina siciliana possa contemplare, insomma per stomaci forti. Ricordo che in Tv vi erano le immagini del Tour de France ma mio padre, sebbene fosse un grande appassionato di ciclismo, dopo il pranzo, nel corso del quale non si era risparmiato nel “tenere comizio” come suo solito, decise di appisolarsi in una camera della nostra villa. In realtà non dormì nemmeno un minuto, trovammo sul portacenere accanto al letto un cumulo di cicche di sigarette che lasciava poco spazio all’immaginazione.
Dopo quello che fu tutto fuorché un riposo pomeridiano mio padre raccolse i suoi effetti, compreso il costume da bagno (restituitoci ancora bagnato dopo l’eccidio) e l’agenda rossa della quale tanto si sarebbe parlato negli anni successivi, e dopo avere salutato tutti si diresse verso la sua macchina parcheggiata sul piazzale limitrofo le ville insieme a quelle della scorta. Mia madre lo salutò sull’uscio della villa del professore Tricoli, io l’accompagnai portandogli la borsa sino alla macchina, sapevo che aveva l’appuntamento con mia nonna per portarla dal cardiologo per cui non ebbi bisogno di chiedergli nulla. Mi sorrise, gli sorrisi, sicuri entrambi che di lì a poche ore ci saremmo ritrovati a casa a Palermo con gli zii.Ho realizzato che mio padre non c’era più mentre quel pomeriggio giocavo a ping pong e vidi passarmi accanto il volto funereo di mia cugina Silvia, aveva appena appreso dell’attentato dalla radio. Non so perché ma prima di decidere il da farsi io e mia madre ci preoccupammo di chiudere la villa. Quindi, mentre affidavo mia madre ai miei zii ed ai Tricoli, sono salito sulla moto di un amico d’infanzia che villeggia lì vicino ed a grande velocità ci recammo in via D’Amelio.
Non vidi mio padre, o meglio i suoi “resti”, perché quando giunsi in via D’Amelio fui riconosciuto dall’allora presidente della Corte d’Appello, il dottor Carmelo Conti, che volle condurmi presso il centro di Medicina legale dove poco dopo fui raggiunto da mia madre e dalla mia nonna paterna. Seppi successivamente che mia sorella Lucia non solo volle vedere ciò che era rimasto di mio padre, ma lo volle anche ricomporre e vestire all’interno della camera mortuaria. Mia sorella Lucia, la stessa che poche ore dopo la morte del padre avrebbe sostenuto un esame universitario lasciando incredula la commissione, ci riferì che nostro padre è morto sorridendo, sotto i suoi baffi affumicati dalla fuliggine dell’esplosione ha intravisto il suo solito ghigno, il suo sorriso di sempre; a differenza di quello che si può pensare mia sorella ha tratto una grande forza da quell’ultima immagine del padre, è come se si fossero voluti salutare un’ultima volta.
La mia vita, come d’altra parte quella delle mie sorelle e di mia madre, è certamente cambiata dopo quel 19 luglio, siamo cresciuti tutti molto in fretta ed abbiamo capito, da subito, che dovevamo sottrarci senza “se” e senza “ma” a qualsivoglia sollecitazione ci pervenisse dal mondo esterno e da quello mediatico in particolare. Sapevamo che mio padre non avrebbe gradito che noi ci trasformassimo in “familiari superstiti di una vittima della mafia”, che noi vivessimo come figli o moglie di ….., desiderava che noi proseguissimo i nostri studi, ci realizzassimo nel lavoro e nella vita, e gli dessimo quei nipoti che lui tanto desiderava. A me in particolare mi chiedeva “Paolino” sin da quando avevo le prime fidanzate, non oso immaginare la sua gioia se fosse stato con noi il 20 dicembre 2007, quando è nato Paolo Borsellino, il suo primo e, per il momento, unico nipote maschio.
Oggi vorrei dire a mio padre che la nostra vita è sì cambiata dopo che ci ha lasciati ma non nel senso che lui temeva: siamo rimasti gli stessi che eravamo e che lui ben conosceva, abbiamo percorso le nostre strade senza “farci largo” con il nostro cognome, divenuto “pesante” in tutti i sensi, abbiamo costruito le nostre famiglie cui sono rivolte la maggior parte delle nostre attenzioni come lui ci ha insegnato, non ci siamo “montati la testa”, rischio purtroppo ricorrente quando si ha la fortuna e l’onore di avere un padre come lui, insomma siamo rimasti con i piedi per terra. E vorrei anche dirgli che la mamma dopo essere stata il suo principale sostegno è stata in questi lunghi anni la nostra forza, senza di lei tutto sarebbe stato più difficile e molto probabilmente nessuno di noi tre ce l’avrebbe fatta.
Mi piace pensare che oggi sono quello che sono, ossia un dirigente di polizia appassionato del suo lavoro che nel suo piccolo serve lo Stato ed i propri concittadini come, in una dimensione ben più grande ed importante, faceva suo padre, indipendentemente dall’evento drammatico che mi sono trovato a vivere.D’altra parte è certo quello che non sarei mai voluto diventare dopo la morte di mio padre, una persona che in un modo o nell’altro avrebbe “sfruttato” questo rapporto di sangue, avrebbe “cavalcato” l’evento traendone vantaggi personali non dovuti, avrebbe ricoperto cariche o assunto incarichi in quanto figlio di …. o perché di cognome fa Borsellino. A tal proposito ho ben presente l’insegnamento di mio padre, per il quale nulla si doveva chiedere che non fosse già dovuto o che non si potesse ottenere con le sole proprie forze. Diceva mio padre che chiedere un favore o una raccomandazione significa mettersi nelle condizioni di dovere essere debitore nei riguardi di chi elargisce il favore o la raccomandazione, quindi non essere più liberi ma condizionati, sotto il ricatto, fino a quando non si restituisce il favore o la raccomandazione ricevuta.
Ai miei figli, ancora troppo piccoli perché possa iniziare a parlargli del nonno, vorrei farglielo conoscere proprio tramite i suoi insegnamenti, raccontandogli piccoli ma significativi episodi tramite i quali trasmettergli i valori portanti della sua vita.
Caro papà, ogni sera prima di addormentarci ti ringraziamo per il dono più grande, il modo in cui ci hai insegnato a vivere.
( La testimonianza del figlio del giudice – pubblicata per gentile concessione dell’editore – chiude il libro “Era d’estate”, curato dai giornalisti Roberto Puglisi e Alessandra Turrisi- Pietro Vittorietti editore).
FONTE:http://carloruberto.blogspot.com/2010/07/grazie-caro-papa.html

venerdì 16 luglio 2010

Un comunicato stampa sulla vicenda del ragazzo milanese cui non è stato fatto donare il sangue a Milano

"Il sangue di un omosessuale rifiutato in un ospedale. Non è la prima volta che accade a Milano e non deve stupire: si tratta dello stesso modello si sanità ideologica che rende praticamente impossibile abortire ma che non impedisce il verificarsi di casi, come quelli del Santa Rita, dove vittime innocenti sono state sottoposte a interventi chirurgici inutili". Così Ivan Scalfarotto, vicepresidente del PD, ha commentato il caso del giovane milanese cui è stato impedito di donare il sangue al Gaetano Pini di Milano.
"Sin dai tempi di Veronesi ministro è stato reso chiaro che non si può escludere nessuno dalla donazione del sangue sulla base di ciò che è, ma solo sulla base dei comportamenti sessuali che tiene. Un eterosessuale che ha comportamenti a rischio è più pericoloso di un omosessuale che vive in un rapporto di coppia. Sembrerebbe ovvio, ma quando si vuole curare la gente con i paraocchi dell'ideologia, anche la logica più semplice diventa una sfida intellettualmente impossibile", ha proseguito Scalfarotto.
"Si crede di discriminare i gay ma io non posso non pensare al malato in attesa di quel flacone di sangue che magari gli avrebbe salvato la vita. Mi piacerebbe capire dove stia la carità cristiana in tutto questo. Bisognerà che me lo faccia chiarire dal presidente Formigoni e dai signori di Comunione e Liberazione", ha poi concluso Ivan Scalfarotto.(tratto da Facebook)
MI VERGOGNO SEMPRE PIU' DI ESSERE ITALIANA

lunedì 12 luglio 2010

Non si sfugge

tratto da Facebook: I balconi..............allo sbavaglio

UNA CHICCA FRESCA FRESCA DAL MONDO DELLA PUBBLICA (D)ISTRUZIONE

Pubblicato in riflettori sullo stivale Contrassegnato da tag 800mila euro, budget, euro, federalismo, federalsmo fiscale, fondi, lega, lega nord, libera scuola dei popoli padani, manuela morrone, mezzogiorno, padania, politica, pubblica istruzione, renzo bossi, scuola, umberto bossi, università
Federalismo fiscale e pubblica istruzione: accoppiata davvero inconciliabile. a quanto pare, fra gli innumerevoli deliri della Lega Nord, esiste la “Libera Scuola dei Popoli Padani”, fondata nientepopodimeno che da Manuela Morrone; moglie del senatur nonchè siciliana d’origine. La famiglia Bossi deve avere un grosso problema con il mondo della didattica, visto che i membri di tale famiglia passano da un eccesso all’altro. Renzo, il figlio-trota, è, infatti l’unico consigliere regionale ad avere alle spalle un retroterra scolastico fatto da alcune bocciature. La madre, invece, ha fondato questo deliro, degno della professoressa che a Zelig insegnava usi e costumi dei tuscolani, basato unicamente sull’essere identitariamente padano. Una sorta di rivoluzione culturale maoista ma accompagnata da un bel piatto di polenta con gli osei e territorialismo di stampo cavernicolo elargito con generosità. Per carità, ognuno è libero di diffondere la (propria? Ma se è siciliana) cultura a cui appartiene (?), ma come la mettiamo con gli 800 mila euro elargiti a tale progetto i quali, inevitabilmente, rappresentano un ulteriore prosciugamento delle casse statali? Come mai alcune facoltà universitarie meridionali rischiano la chiusura, causa budget, e le scuole dei “terùn” non stanno messe tanto bene? La parola spetterebbe a chi sventola con orgoglio lo stendardo del federalismo fiscale, solo che tali personaggi non hanno risposto perchè, a domanda fatta, avevano la bocca piena di Polenta Valsugana. Noi resteremo qui, in attesa che ingoino.
(Guarda sopra un ipotetico pieghevole della Scuola. )

venerdì 9 luglio 2010

Riconosciuta ai profughi eritrei in Libia la libertà di lavorare come schiavi.


Il lavoro forzato non rende liberi, “Arbeit macht frei” stava scritto sulla porta del lager di Auschwitz.
Riconosciuta ai profughi eritrei in Libia la libertà di lavorare come schiavi. Chi garantirà il diritto d’asilo e chi salverà i feriti e le vittime di tortura?( Fulvio Vassallo Paleologo, Università di Palermo)Un"Accordo di liberazione e residenza in cambio di lavoro", secondo il ministro della Pubblica Sicurezza Libico, il generale Younis Al Obeidi, dovrebbe consentire ai 250 rifugiati eritrei rinchiusi nel carcere libico di Brak, nei pressi di Sebha, in Libia la libertà: la libertà di essere schiavi a tempo indeterminato in un campo di lavoro libico senza alcun riconoscimento del loro diritto di asilo e senza alcuna garanzia che gli abusi che hanno già subito non continuino.Il"lavoro socialmente utile in diverse shabie (comuni) della Libia", loro promesso, che una parte soltanto dei detenuti di Sebha ha accettato, non permetterà loro alcuna libertà di circolazione, come spetterebbe a qualunque titolare del diritto di asilo, e li consegnerà ad una rigida catena gerarchica che esigerà da loro un vero e proprio lavoro forzato.Che fine faranno poi coloro che non accetteranno l’imposizione di questa ulteriore deportazione? Quali mezzi di persuasione verranno impiegati?Il lavoro promesso in cambio della libertà appare solo come un tentativo di disperdere il gruppo di profughi eritrei, da giorni vittima di torture e violenze da parte della polizia libica, e rendere più difficili le inchieste internazionali sulle responsabilità di questa ennesima deportazione violenta subita da persone che avrebbero dovuto essere accolte come rifugiati.Se questo è anche il risultato dell’intervento del governo italiano non ci si può certo stupire per tanta “umanità”, nelle stesse ore nelle quali a Roma la polizia di Maroni ha caricato a freddo, con una violenza che purtroppo sta diventando consuetudine in ogni manifestazione di protesta, migliaia di cittadini aquilani che protestavano per l’abbandono nel quale il governo ha lasciato il loro territorio dopo i mesi di propaganda elettorale. I rifugiati eritrei, che si trovano nel centro di detenzione di Braq da 8 giorni, durante i quali sono stati maltrattati e torturati, nel silenzio di tutte le autorità italiane che si sono dovute accorgere del caso soltanto dopo che alcune associazioni umanitarie, RaiTre e l’Unità avevano avviato una mobilitazione che ogni giorno va crescendo, avevano fatto appello all’Italia e all’Europa per essere inseriti in un programma di ritrasferimento in Europa verso paesi che avrebbero riconosciuto effettivamente il loro diritto di asilo.Maroni non può affermare che "Il governo italiano non ha alcuna responsabilità nella vicenda dei profughi eritrei trattenuti in Libia", per il ministro “resta indimostrato che gli eritrei abbiano fatto parte degli 850 respingimenti”. Le sue dichiarazioni sono smentite da diverse testimonianze, una delle quali, raccolta da un giornalista del Manifesto, conferma che tra i reclusi di Brak vi sono diversi migranti respinti lo scorso anno in Libia dai mezzi militari italiani. E su queste vicende, presto, la Corte Europea dei diritti dell’Uomo potrebbe emettere una sentenza di condanna per i respingimenti collettivi verso la Libia, vietati da tutte le convenzioni internazionali, effettuati dal nostro paese a partire dal 7 maggio dello scorso anno.Maroni afferma oggi che "se si chiederà al nostro governo di fare una missione umanitaria in Libia, il ministro degli esteri ne vaglierà l’opportunità, ma. Dall’Europa non è venuto nessun interessamento, cosa davvero singolare e incredibile perchè dovrebbero essere proprio le istituzioni europee ad intervenire e non a chiedere ad altri di farlo". Quella missione è doverosa perchè la impone un ordine del giorno già approvato lo scorso anno quasi all’unanimità dal Parlamento ( ordine del giorno Marcenaro), e l’Europa non è tenuta a risolvere i guai che combina la collaborazione del governo italiano con il regime di Gheddafi.Da parte sua l’Europa, meglio, il Parlamento Europeo lo scorso 17 giugno hanno ricordato a tutti, e dunque anche al governo italiano, che in Libia vengono violati i diritti fondamentali dei migranti e dunque dovrebbero cessare quelle forme di collaborazione, come i respingimenti, che rendono possibili le più terribili violazioni dei diritti fondamentali della persona. Quelle violazioni che qualcuno forse in Italia ritiene accettabili, come effetti collaterali del “successo storico” consistente nel blocco degli arrivi, in gran parte di potenziali richiedenti asilo come appunto erano e sono gli eritrei incarcerati a Brak. Domandiamo agli italiani se si sentano più sicuri dopo questo scempio di umanità.Maroni non può eludere le responsabilità che anche a livello internazionale vengono attribuite all’Italia ed al suo governo. E’ vero che esistono accordi bilaterali con almeno 30 Paesi ma non si può concordare con il ministro dell’interno quando afferma che “questo non vuol dire che dobbiamo occuparci di quello che accade in ciascuno di essi. Certo, la Libia ci è vicina, non avrei obiezioni personalmente a un’azione di tipo diplomatico, ma più e meglio di noi dovrebbe fare l’Unione europea". Secondo il ministro, da parte dell’Europa c’è stato "un atteggiamento di disinteresse incredibile e singolare’’. La verità che il governo italiano non vuole ammettere è che gli altri accordi bilaterali sono solo accordi di riammissione, ma non prevedono il respingimento collettivo in acque internazionali, come nel caso degli accordi con la Libia, in particolare per effetto dei protocolli aggiuntivi stipulati dallo stesso Maroni con il ministro dell’interno libico nel corso di una missione lampo nei primi giorni di febbraio dello scorso anno. Lo stesso accordo tra Spagna e Marocco, troppo spesso richiamato a sproposito, ha consentito il respingimento di natanti fermati in acque marocchine, e non i acque internazionali, ed in ogni caso il Marocco, a differenza della Libia, aderisce alla Convenzione di Ginevra e consente, sia pure con gravi limiti le attività dell’UNHCR ( Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati).Il ministro Maroni dovrebbe ricordare bene la differenza degli accordi con la Libia rispetto agli altri accordi di riammissione che l’Italia ha stipulato con altri paesi dal 1998 in poi, perché è stato proprio lui l’artefice delle nuove regole operative che nel febbraio 2009 ( quando restò chiuso all’interno di un ascensore guasto in un ministero libico, tanto per ricordare) hanno integrato i protocolli firmati da Amato nel dicembre del 2007, poi recepiti ed espressamente richiamati nel Trattato di amicizia italo-libico sottoscritto da Berlusconi nell’agosto del 2008. Contro tutte le ipocrisie e le manovre strumentali coperte da una disinformazione sistematica che il governo impone o suggerisce alla maggior parte degli organi di stampa, con la coraggiosa resistenza di Rai Tre, dell’Unità e di qualche altro giornale, continuiamo a chiedere la liberazione immediata e incondizionata di tutti i profughi eritrei detenuti a Brak, l’accesso per tutti coloro che lo chiedano alla procedura di asilo e ad un ritrasferimento in un paese firmatario della Convenzione di Ginevra. Chiediamo anche che la Libia, con la copertura politica e finanziaria del governo italiano, cessi le deportazioni di potenziali richiedenti asilo e di soggetti vulnerabili come donne e minori verso paesi dittatoriali nei quali potrebbero subire torture o trattamenti inumani o degradanti. Nei giorni scorsi centinaia di nigerini presenti in Libia sono stati deportati in Niger, come riferisce la stessa agenzia di stampa ufficiale Jana, senza che a nessuno di essi fosse consentito chiedere asilo in Libia o far valere la protezione internazionale.Chiediamo ancora una volta ai parlamentari italiani di impegnarsi per la sospensione del Trattato di amicizia con la Libia, in base al quale l’Italia dovrà pagare a Gheddafi diversi miliardi di euro nei prossimi anni per continuare a garantirsi il blocco degli sbarchi, e lucrosi affari per alcune nostre imprese. Un blocco che produce esattamente quella tragedia umanitaria e quei corpi violati, nel carcere di Brak come in altre parti della Libia, che nessuna velina ministeriale potrà mai occultare. Il lavoro forzato non rende liberi, “Arbeit macht frei” stava scritto sulla porta del lager di Auschwitz.Per informarsi su tutto ciò che si può fare e su cosa accade,le iniziative, gli appelli e le testimonianze.

Libertà di coscienza

giovedì 8 luglio 2010

Cecità: un’epidemia collettiva


Qualche settimana fa è morto Josè Saramago, uno dei più grandi scrittori di sempre. Uno dei suoi libri più belli e più originali si intitola Cecità. In una città qualunque, di un paese qualunque, un guidatore sta fermo al semaforo in attesa del verde quando si accorge di aver perso la vista. All’inizio pensa che si tratti di un fenomeno passeggero, poi passa attraverso un crogiuolo di emozioni che vanno dalla incredulità, alla speranza, alla disperazione.
È l’inizio di un’epidemia che colpisce progressivamente tutta la città e l’intero paese creando un’emergenza per cui i ciechi vengono rinchiusi in un ex manicomio e lì vivono nell’abbrutimento più totale, sorvegliati a vista da soldati armati che non esitano a sparare contro quelli che tentano di fuggire. Quella condizione scatena nei più gli istinti peggiori, l’individualismo più esasperato, la sopraffazione dei più deboli.
Si tratta di un’allegoria spietata su quanto può accadere quando il vivere sociale riceve una turbativa che allontana la comunità dalle regole e crea spinte selvagge alla realizzazione egocentrica degli interessi individuali, condotta fino alla soppressione fisica di chi potrebbe contenderli. Poi, inspiegabilmente come si era manifestata, l’epidemia si risolve, tutti riacquistano la vista e constatano quanta desolazione e quante macerie quello stato collettivo aveva provocato.
Nel nostro Paese, invece, la perdita della vista è uno stato di disagio che va dall'indifferenza fino alla visione falsata dei fatti.
Nel libro di Saramago un’unica donna era riuscita miracolosamente a conservare la vista e non lo manifestava agli altri per pudore e per timore, pur guidandoli nell’assillo delle necessità quotidiane. Da noi fortunatamente sono ancora molti le donne e gli uomini che sono riusciti a conservare questo indispensabile senso. Alcuni anzi, come avviene in certe situazioni nel mondo animale che stimolano l’istinto di conservazione della specie, sono riusciti perfino ad acuirlo.
È a questi che dovremo affidarci nel presente e nel futuro perché tutti questi ciechi, come nella parabola di Bruegel, non finiscano nel precipizio.
fonte: http://domani.arcoiris.tv/