giovedì 21 maggio 2015

Burundi: Intervista a Fulvio Beltrami – Il terzo mandato Nkurunziza. Il suicidio di una nazione.

Riportiamo l’intervista intergrale fatta dalla giornalista di Internationa Business Times Ludovica Iaccino a Fulvio Beltrami, giornalista free lance italo-ugandese esperto della regione dei Grandi Laghi. L’intervista, pubblicata parzialmente su IBTimes è precedente alla fallita rivoluzione dell’esercito democratico. Viene riportata in quanto contiene interessanti ed accurate informazioni storico culturali che facilitano la comprensione degli avvenimenti attuali in Burundi.
1) Parliamo della guerra civile in Burundi ..da cosa e’ scaturita? Chi ha ucciso chi? Quali sono stati gli accordi di pace?
L’attuale crisi in Burundi ha origine da degli accordi di pace forzati ed inappropriati per il contesto storico e culturale del paese. Di fatto la mediazione del 2000 della Nazioni Unite, Stati Uniti, Francia e Vaticano (attraverso la Comunità di Sant’Egidio) rifiutò la proposta del ex presidente Pierre Buyoya di un passaggio graduale del potere al fine di permettere alla nuova classe politica Hutu di prendere familiarità con la gestione amministrativa civile di un paese dopo anni di bush war condotta da soldati e generali semi analfabeti. Al posto di questa proposta gli accordi di Arusha (2000) previdero libere elezioni in un paese non abituato all’esercizio democratico. Il risultato fu le elezioni del 2005 dove gli elettori, (sia tutsi che hutu) hanno espresso il loro voto su basi strettamente etniche. La principale formazione guerrigliera CNDD-FDD e l’attuale presidente Pierre Nkurunziza si sono trovati al potere non per il programma politico proposto (all’epoca del tutto inesistente) ma grazie alla rivendicazione di difendere la popolazione hutu. La pace in Burundi coincide con l’epoca dei vari accordi di pace nel continente (RD Congo, RCA, Sud Sudan) che di fatto hanno posto le basi per la cronicizzazione dei conflitti (est della RDC) nuovi tremende guerre civili (RCA) e falliti esperimenti di secessioni (Sud Sudan).
Un denominatore comune di tutti questi accordi di pace è stato purtroppo il sacrificio della giustizia per far terminare le guerre civili e raggiungere un compromesso. Nessun responsabile degli orrendi crimini contro l’umanità commessi in questi paesi è stato processato. Nel caso del Burundi al ex presidente tutsi Pierre Buyoya è stata garantita l’impunità mentre il suo omologo Nkurunziza si è ritrovato alla guida del paese. Eppure entrambi sono responsabili di atroci crimini di guerra e pulizie etniche. Anche in Africa rimane valido il principio che l’assenza di giustizia non può generare una pace genuina Quindi non meravigliamoci del fiorire di mille gruppi terroristici e guerriglieri nella regione dei Grandi Laghi. Il messaggio veicolato è che la violenza paga, riamane impunita e fa accedere a porzioni di potere.
È triste constatare che solo i paesi africani sconvolti da guerre civili croniche negli anni Ottanta e Novanta in cui il conflitto è terminato con vincitori e vinti si è potuto ottenere una stabilità politica e uno sviluppo economico, vedi il Congo Brazzaville, l’Angola e il Mozambico. Gli accordi di Arusha prevedevano un’alternanza politica tra componenti tutsi e hutu. Alternanza non rispettata dall’attuale presidente. Un’alternanza deleteria per il paese poiché si basava sulla cronicizzazione della contrapposizione di due etnie (hutu e tusti) che storicamente rappresentano due classi sociali di uno stesso popolo: coltivatori ed allevatori. Per ironia della storia è stato il popolo burundese che, in questi anni di relativa pace, ha saputo superare le divergenze etniche iniziando a ragionare su convenienze politiche ed economiche senza l’aiuto della Comunità Internazionale della Comunità di Sant’Egidio o dei suoi politici al governo o all’opposizione, ancora ancorati sul confronto hutu tutsi.
2) Si parla della possibilità’ di una seconda guerra civile – cosa ne pensi? e’ possibile? Ci sono ancora tensioni etniche tra Hutu e Tutsi o queste sono fomentate dal presidente? Più’ di 40,000 Burundesi sono ormai scappati..che cosa comporta questo esodo?
Come spiegato sopra il popolo burundese ha una caratteristica innata di superare le tensioni etniche che purtroppo non è stata riscontrata nella storia del paese gemello: il Rwanda. Se prendiamo in considerazione i massacri e le pulizie etniche degli anni Cinquanta, Sessanta, Ottanta e la guerra civile iniziata nel 1993, non troviamo la presenza di piani premeditati o di intenzioni di attuare genocidi da nessuna delle due etnie rivali. Al contrario questi piani erano radicati nel regime ruandese di Juvenal Habirimana e portarono al dramma del 1994 che tutti conosciamo. Possiamo affermare che l’odio etnico in Burundi è stato sempre istigato dai vati governi (hutu o tutsi che siano stati) per logiche di potere ma non interiorizzato dalla popolazione. A più riprese i presidenti (come Melchior Ndadaye) hanno tentato di scatenare il genocidio contro la minoranza tutsi fallendo miserabilmente.
In realtà lo stesso Nkurunziza utilizza la minaccia del genocidio come arma politica ma se raggiungesse il potere attraverso il terzo mandato non lo attuerebbe sia per convenienze regionali sia per le caratteristiche culturali e sociali del popolo burundese. I matrimoni misti in Burundi sono maggiori anche dell’attuale Rwanda dove il presidente Paul Kagame afferma di aver creato una società multietnica. Il burundese medio è più legato all’appartenenza regionale o addirittura collinare e si sente leale alla comunità della collina e della regione in cui è nato e cresciuto. Una comunità composta inevitabilmente da hutu, tutsi e twa (i pigmei). Da qui nascono rivalità, gelosie e anche conflitti regionali che contrappongono le persone del comune di Ngozi a quelle di Muynga o quelle di Bujumbura. Nella stessa capitale si assiste a solidarietà o conflittualità tra le comunità dei vari quartieri. Nella seconda formazione guerrigliera che si contrappose al governo tutsi (il Fronte Nazionale di Liberazione – FNL) la componente di odio etnico era ancora più marcata rispetto a quella presente nel CNDD-FDD ai tempi della guerra civile. Erano gli estremisti HutuPower per eccellenza.
Eppure il FNL negli anni del dopo guerra ha subito un radicale cambiamento abbandonando le ideologie razziali per abbracciare il percorso democratico. Anche all’interno del CNDD-FDD il processo di abbandono del credo rivoluzionario del Manifesto Bahutu del 1957 è avvenuto ma purtroppo è stato bloccato da Nkurunziza in quanto l’odio razziale è l’unica arma a lui rimasta per conservare il potere. La nutrita opposizione dei dirigenti del CNDD-FDD e la richiesta ufficiale di non presentarsi alle elezioni sottoposta lo scorso marzo è la prova eclatante che anche all’interno del CNDD-FDD i fautori della supremazia razziale hutu sono in netta minoranza.
Occorre notare che il presidente per giocare la minaccia del genocidio ha dovuto far ricorso alle milizie paramilitari Imbonerakure (quelli che vedono lontano) che in realtà è l’ala giovanile del partito al potere. Anche sulle Imbonerakure sarebbe opportuno e doveroso fare una precisazione. Non sono nate come milizie genocidarie e non hanno coltivato l’odio atavico contro i tutsi. Le pulsioni genocidarie sono state loro inculcate durante l’anno di addestramento all’est del Congo da parte dei terroristi ruandesi delle FDLR, i responsabili dell’Olocausto Africano. Le prove dell’addestramento delle Imbonerakure da parte delle FDLR furono la principale causa della morte delle tre suore italiane avvenuta nel settembre 2014 secondo indagini di autorevoli media burundesi mai smentite dal Vaticano. In ultima analisi il presidente Nkurunziza è costretto a basarsi sulla pericolosissima alleanza politica e militare con questi terroristi ruandesi che hanno accettato di offrire i loro servizi di mercenari in cambio di un supporto finanziario e politico per una futura invasione del Rwanda.
Sono le FDLR e non gli Imbonerakure a commettere attualmente la maggioranza dei massacri contro la comunità tutsi nelle zone rurali più isolate. A Bujumbura la popolazione ha massacrato decine di questi terroristi, dandogli fuoco con i copertoni comparsi di benzina in quanto li aveva scoperti tra i ranghi della polizia. La prova finale che l’attuale crisi è politica e non etnica è la composizione dei manifestanti. La maggioranza di essi sono hutu incattiviti poiché si sentono traditi dal loro stesso partito che pretendeva di rappresentarli e di difenderli. Occorre comprendere i loro sentimenti. Per tredici anni le donne hutu hanno accettato di diventare vedove, e i padri di perdere i loro figli nelle battaglie contro il regime dispotico tutsi di Pierre Buyoya nella speranza di costruire un Burundi migliore, democratico e civile. Ora comprendono che i martiri sono morti invano e Nkurunziza è ancorato al passato di dittature e divisioni razziali. Non c’è peggior cosa per una popolazione lottare per un sogno e vedere i propri leader tradirlo spudoratamente.
Confermo i quaranta mila profughi in Rwanda, Congo e Tanzania ma anche questo esodo dalle proporzioni bibliche rispecchia la realtà del Burundi di oggi. I precedenti esodi (1957, 1962, 1974, 1983, 1993, 1996) sono esodi mono-etnici di tutsi o hutu a seconda della comunità che subiva le violenze e le pulizie etniche. L’esodo che stiamo assistendo ora è di hutu e tutsi, tutti terrorizzati a morte dal loro presidente e dai mercenari stranieri: i terroristi ruandesi delle FDLR. La guerra civile è all’ordine del giorno ma non come vorrebbe il presidente Nkurunziza: hutu contro tutsi. La popolazione burundese ora rifiuta anche gli appelli alla pace e al dialogo lanciati dalla Chiesa Cattolica sospettata di favorire il regime tramite diplomazie sotterrane condotte dalla Comunità di Sant’Egidio di cui ho ampiamente parlato in alcuni recenti articoli. Rimane intenzionata a conquistare la democrazia e la libertà. Divenire un esempio per la regione e uscire dalla miseria degradante che genera disoccupati e prostitute. Vogliono lavoro, studi universitari, tre pasti al giorno e con il tempo la motocicletta e poi la piccola macchina per portare la famiglia a fare la gita sul meraviglioso lago Tanganika. I burundesi nutrono gli stessi desideri di vita normale che nutrivano i nostri nonni nell’Italia dell’immediato dopoguerra attirati dal desiderio di possedere la Fiat 500. Questi desideri sono la forza motrice della determinazione dei manifestanti che si stanno già armando. Se la guerra civile scoppierà non sarà etnica ma tra le forze conservatrici di un orrendo passato e le forze democratiche che aspirano ad una società multietnica e al benessere che constatano nei vicini Rwanda, Uganda, Tanzania e Kenya.
3) Quali paesi confinanti supportano il presidente? Chi si e’ schierato a favore o contro?
Il presidente è fondamentalmente isolato non solo presso la Comunità dell’Africa Orientale (East African Community) ma anche presso l’Unione Africana. Il Sud Africa, paese chiave per gli accordi di Arusha, ha esternato tutto il suo rammarico per l’accanimento al potere di Nkurunziza e per la grave crisi da lui provocata. L’Uganda e il Rwanda sono militarmente pronti ad invadere il paese sia per distruggere i terroristi delle FDLR sia per fermare un eventuale genocidio. L’Unione Africana è pronta a sospendere il Burundi qualora non siano rispettate le regole democratiche. Il presidente Nkurunziza può contare su un ambiguo supporto della Tanzania e sul chiaro supporto della Repubblica Democratica del Congo. Su questo ultimo alleato è opportuno soffermarsi. Il presidente Joseph Kabila si trova nella stessa situazione del suo omologo burundese: vuole ottenere il terzo mandato ma è odiato dalla popolazione. Anche egli gioca la carte etnica ventilando il pericolo tutsi del Rwanda mentre i problemi del Congo sotto tutti ed esclusivamente interni. Pressato dalla Comunità Internazionale affinché eliminasse i terroristi FLDR ha stretto accordi segreti con Nkurunziza per farli passare indenni dal Congo al Burundi con tutte le armi.
Dopo di che ha architettato la messinscena dell’offensiva militare contro le FLDR all’est del paese. Una buffonata a cui le forze speciali di pronto intervento della Tanzania e del Sud Africa e i caschi blu dell’ONU (MONUSCO) si sono rifiutati di partecipare. Perché questa difesa ad oltranza di un gruppo genocidario presente dal 1996 nella lista dei gruppi terroristi internazionale redatta dagli Stati Uniti? La ragione è semplice ed ha basi finanziarie. L’impero mafioso economico della Famiglia Kabila si basa sulla rapina e sul traffico illegale dei metalli preziosi dell’est del paese: oro, diamanti e coltan. Questo traffico illegale (a cui va aggiunto il massacro di elefanti per l’avorio) è gestito dai terroristi delle FDLR che collaborano con lo Stato Maggiore dell’esercito congolese e la famiglia presidenziale. Inoltre le FDLR sono considerate le uniche forze capaci di controbilanciare l’imperialismo regionale del Rwanda e sono state utilizzate contro la recente ribellione tutsi del Movimento 23 Marzo noto sotto la sigla M23 (marzo 2012 – dicembre 2013). I destini di Nkurunziza e Kabila sono strettamente legati. La vittoria o la sconfitta del presidente burundese determinerà la sorte del presidente congolese.
4) Il Burundi- come tanti paesi Africani – e’ stato colonizzato più’ volte…le rivalità’ etniche tra Hutu e Tutsi derivano dalla colonizzazione? Quanto delle tensioni politiche che vediamo oggi hanno a che fare con i resti del colonialismo?
Mi stai chiedendo di rispondere ad una domanda complessa che necessita di accurati approfondimenti storici. Tenterò di semplificare la risposta al fine di offrire un quadro chiaro ai lettori. Nel periodo pre coloniale hutu e tutsi non erano considerati etnie diverse: parlano la stessa lingua, condividono gli stessi dei, la stessa cultura e le stesse abitudini alimentari. Erano due classi sociali: i coltivatori (considerati inferiori) e i allevatori (considerati superiori). La mobilità tra le due classi sociali era estremamente elevata. L’Hutu che riusciva dopo anni di duro lavoro a possedere più di quattro mucche diventava un tutsi mentre il tutsi che perdeva il suo bestiame (per debiti o gioco d’azzardo) diveniva un hutu, perdendo i privilegi. Anche il potere si basava su un complicatissimo equilibrio sociale.
Il Re e i suoi discendenti erano solo Tutsi ma egli aveva l’obbligo di sposare almeno una hutu tra le sue cinque mogli. I figli generati dalla moglie hutu diventavano principi ma senza diritto di accedere al trono. L’esercito reale era guidato da due comandanti supremi uno hutu e uno tutsi. Anche all’interno del consiglio dei saggi il 50% era hutu e il 50% era tutsi. Certamente si può far notare che questo equilibrio favoriva la classe sociale tutsi (che è stimata al 10% della popolazione) ma se osservino i servi della gleba nelle nostre società medioevali (paragonabili agli Hutu) di certo non godevano di privilegi ne di condivisione del potere. Fu l’avvento del colonialismo belga a stravolgere il tutto. I Padri Bianchi individuarono nei tutsi la classe sociale più idonea a collaborare con l’amministrazione coloniale belga e inculcarono nei tutsi il concetto dei servi della gleba ben conosciuto dalla Chiesa Cattolica durante il suo potere incontrastato dei secoli bui in Europa. Verso l’indipendenza, all’inizio degli anni Cinquanta, i Padri Bianchi si accorsero che la classe tutsi che avevano elevato a superiorità nutriva sentimenti nazionalistici e comunisti. Per mantenere il paese sotto il gioco coloniale invertirono la strategia ed improvvisamente furono gli hutu a diventare i “buon selvaggi” soggiogati dalla tirannia dei tutsi. Si inventarono origini nilotiche per i tutsi senza prove. Essi erano venuti dall’Egitto e avevano sterminato e soggiogato gli hutu che avevano trovato in Rwanda e Burundi (allora uniti in un unico possedimento coloniale il Urundi). Ometterono di dire che l’unica etnia originaria dei due paesi era la Twa, cioè i pigmei, questi si decimati dalle migrazioni contemporanee di hutu e tutsi, forse due etnie diverse che decisero di fondersi e diventare due classi sociali per governare la regione.
L’odio istigato ai tutsi per far considerare gli hutu come esseri viscidi ed inferiori fu utilizzato sugli hutu affinché considerassero i tutsi come dei spietati tiranni. Questa fu la base dell’orrendo Manifesto Bahutu della rivoluzione contadina del Rwanda redatto dai Padri Bianchi nel 1957, il Main Keimpf del HutuPower che fu la base ideologica del genocidio del 1994. Questo lavaggio del cervello attuato ad entrambe le classi sociali fu possibile solo dopo una meticolosa e diabolica opera di distruzione della memoria storica attuata dai missionari belgi che imponevano la cultura occidentale e riscrissero la storia della regione cancellando la memoria degli antichi regni del Urundi, Shi (est del Congo) e Buganda (centro Uganda). Dopo anni di indottrinamento ruandesi e burundesi erano abituati a pensare che prima dell’avvento dei bianchi esistessero solo selvaggi intenti a scannarsi tra di loro, a pregare terribili divinità offrendo loro sacrifici umani. Il resto del dramma è purtroppo conosciuto. Quello che mi lascia interdetto è che ancora oggi una minoranza di Padri Bianchi e di missionari italiani che vivono nella regione sono ancora visceralmente attaccati alla filosofia di morte del HutuPower. Non riesco a comprende le ragioni in quanto questa ideologia è l’antitesi degli insegnamenti evangelici.
5) Burundi e Rwanda hanno una storia simile per quanto riguarda rivalità’ etniche tra Hutu e Tutsi e massacri – secondo te ce’ un pericolo concreto che un altro genocidio come quello avvenuto in Rwanda possa accadere?
Come spiegavo prima il Burundi e il Rwanda non hanno storie simili riguardo la rivalità etnica tra hutu e tutsi. In Rwanda è avvenuto il genocidio in Burundi è sempre stato evitato. L’unica possibilità per Nkurunziza di compiere il genocidio contro la minoranza tutsi è di utilizzare i terroristi ruandesi del FDLR e i giovani Imbonerakure a cui è stato fatto un orrendo e criminale lavaggio del cervello. Ma se questo accadrà prima delle forze di intervento africane (composte Kenya, Uganda e Rwanda) saranno le masse popolari hutu burundesi a fermare il genocidio. Di questo ne sono sicuro.
6) Come si sta comportando la comunità’ internazionale?
La Comunità Internazionale si sta comportando in modo schizofrenico e dimostra di non saper affrontare la crisi. La situazione è semplice. C’è un dittatore che vuole mantenere il potere calpestando la democrazia ed ospita terroristi stranieri nel suo paese. La Comunità Internazionale si dovrebbe schierare dalla parte delle forze democratiche e chiarire con atti inequivocabili che i dittatori non hanno futuro non solo in Africa ma in tutto il pianeta. Eppure l’Expo di Milano ospita il padiglione ufficiale del governo genocidario burundese con tanto di onori diplomatici… Penso che queste indecisioni siano inserite nella crisi della diplomazia occidentale a livello mondiale e nella sua incapacità di comprendere le nuove dinamiche che stanno emergendo che contrastano con la visione di supremazia unilaterale occidentale. Tra queste dinamiche è inserito il ruolo della Cina o dei paesi del BRICS ma anche la volontà del Continente Africano di evolversi e di lasciarsi alle spalle gli orrori che hanno impedito di svilupparsi. Il governo attuale del Burundi appartiene all’infame passato. L’unica grande novità che dona speranza al paese e al Continente è che la popolazione rifiuta l’inganno della divisione etnica e, compatta, richiede a viva voce e con determinazione sovrumana: democrazia, libertà e benessere.

Ludovica Iaccino
Londra, Inghilterra
@LudovicaIaccino

https://africanvoicess.wordpress.com/2015/05/19/burundi-intervista-a-fulvio-beltrami-il-terzo-mandato-nkurunziza-il-suici 

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