mercoledì 20 dicembre 2023

Il nulla non è il "nulla"

Se non ci fosse il nulla... nulla potrebbe esserci, per cui il nulla assoluto non può esistere: esso è pertanto anche il tutto. 

Riguardo alla nascita dell'universo si può solo teorizzare. I credenti se ne vengono fuori dalla matassa intricata adducendo che Dio ne è il creatore, ok, ma il Creatore chi lo ha creato? I credenti dicono che Dio è nato causa sui, dunque sarebbe l'increato per definizione, ok, ma stando a questo principio, perché non dovrebbe esserlo l'universo? Ma più che pormi la domanda su come è nato l'universo, mi porrei la domanda su come possa essere nato il nulla che lo ha generato: perché, secondo me, il nulla ha generato l'universo, di conseguenza l'universo è nato in un certo senso causa sui. Solo che la teologia fa confusione col karma e scambia Dio col nulla e l'universo come fosse una sua volontà, o un riflesso della sua volontà, opzione che verrebbe del tutto smentita se la cosmologia provasse una volta per tutte l'esistenza del multiverso. Io penso che il nulla (sterminato luogo contenente soltanto l'energia oscura - dalla quale poi è derivata la materia oscura) infine, a tal punto si è contratto, fino a creare la singolarità dalla quale si è generato il big bang e con esso lo spazio-tempo (che è dimensione unica e indivisibile come lo stesso Einstein aveva intuito, ed è accaduto ed accade mentre l'universo si espande) e dal quale derivano energia e materia visibili, alias la luce. Tuttavia luce visibile in quanto gli esseri viventi la percepisco e ne misurano l'intensità, altrimenti la luce non sarebbe luce e il nulla sarebbe rimasto nulla e fine a se stesso; ma la natura non crea nulla che possa essere fine a se stesso, senza scopo, e lo scopo è sempre il divenire: non ve n'è un'altro. Quindi l'universo è la rappresentazione del nulla che è diventato il tutto in continua dilatazione, fino a quando non raggiungerà il suo apogeo di stato originario di nulla. 

Dunque il nulla lo perciamo in quanto questo è divenuto ciò che chiamiamo universo, ma in realtà esso si è solo trasformato e un giorno farà ritorno a ciò che è sempre stato: eterno ritorno dell'uguale, e tutto si ripeterà all'infinito. Questa potrebbe essere persino la necessità fisiologica del nulla!

E, stando all'ipotesi nietzscheana, tutto si ripeterà identico a se stesso; ciò farebbe supporre che il nulla conserverebbe tutte le informazioni contenute nell'universo, tanto quanto teorizza la fisica quantistica a proposito dei buchi neri i quali si comporterebbero come degli enormi "registratori".

Giovanni Provvidenti

lunedì 18 dicembre 2023

Cenni sul rapporto mente-cervello

 Fin dagli albori del mythos e del logos gli antichi greci facevano riflessioni su ciò che è mente, anima, psiche, spirito; tali riflessioni appartengono alla storia della filosofia, a cominciare da Platone, Democrito, Aristotele e dagli stoici; attraversa il pensiero di Agostino e giunge alla filosofia moderna, quando Cartesio opera una svolta nel considerare la mente una sostanza immateriale che interagisce con il corpo (dualismo interazionista).

Nel '900, prima la filosofia della mente poi le nuove neuroscienze assumono peculiarità materialistiche e naturalistiche, soprattutto sotto la spinta del behaviorismo (o comportamentismo), il quale esclude ogni ricorso a sostanze immateriali inosservabili (la metafisica), ovvero all'introspezione e agli stati mentali soggettivi, ritenendo validi solo i comportamenti osservabili dei soggetti. Sono le scienze cognitive ad operare un mutamento di prospettive negli anni '70, in quanto giudicano che la scienza non può ignorare i processi mentali e il rapporto mente-cervello. Emerge una visione materialistica della mente e si proclama l'identità tra mente e cervello, tra eventi mentali ed eventi cerebrali. Ogni evento cerebrale è identico a un evento mentale. Il cervello e la mente nel tempo hanno attratto l'interesse non soltanto di filosofi e antropologi, ma anche di scienziati, biologi, ingegneri, chimici, giuristi, economisti. Sono soprattutto le neuroscienze che a partire dalla seconda metà del novecento stanno cercando di comprendere la struttura e il funzionamento di questi due  fondamentali organi, in relazione a funzioni importanti, come il pensiero, le emozioni, la percezione, l'aggressività, la violenza, i sogni, il linguaggio, ecc. Per capire la mente, bisogna conoscere il cervello, la struttura più straordinaria e meravigliosa dell'universo conosciuto. È un percorso che ci mette in contatto con l'intimità del nostro Io per rintracciare ciò che siamo, come costruiamo i nostri pensieri, prendiamo decisioni, formuliamo i giudizi, sogniamo, immaginiamo, sentiamo, a partire dalla nostra infanzia.

Siamo ancora all'inizio, anche se le ricerche nel campo delle neuroscienze  ci forniscono sempre nuovi, straordinari risultati.

Giovanni Provvidenti


domenica 17 dicembre 2023

CENNI SULLA FILOSOFIA DELL'IDEALISMO MONISTA

 Secondo la filosofia dell'idealismo monista è la coscienza la base di tutta l'esistenza, non la materia: sia il mondo materiale che quello mentale emergono dalla coscienza. La Coscienza perciò non è un epifenomeno del cervello, ma quella base dell'esistenza che contiene tutte le possibilità di manifestazione (di ciò che è mentale e di ciò che è materiale), incluso il cervello stesso. Non è allora il cervello a creare la coscienza, in quella catena di causalità verso l'alto in cui crede la scienza dualistica, secondo la quale le particelle subatomiche e le loro interazioni creano l'atomo, insiemi di atomi creano le molecole, insiemi di molecole formano le cellule, alcune delle quali sono neuroni, collettività di neuroni costituiscono il cervello e il cervello genera i processi mentali, tra cui la coscienza. Il cervello non può creare la coscienza, perché è solo un oggetto. E dato che, nell'ottica della fisica quantistica, gli oggetti sono solo onde di probabilità che "si materializzano" nel momento in cui con l'osservazione facciamo collassare una funzione d'onda, è più corretto dire che è la coscienza a creare il cervello. In vita, la coscienza trova un correlato neurofisiologico nei processi quantistici coerenti di strutture cerebrali chiamate microtubuli, processi che sembrano regolare l'attività delle membrane sinaptiche. Con la morte, e la conseguente cessazione dell'attività cellulare, l'informazione legata ai processi quantistici dei microtubuli si libera, venendo meno l'associazione col corpo fisico. L'informazione non si disperde nel nulla, ma viene trasferita non localmente alla coscienza. Se questo è ciò che possiamo chiamare anima, allora la nostra anima è costituita dello stesso tessuto con cui è fatto l'universo.

Giovanni Provvidenti

venerdì 1 dicembre 2023

L'io: volontà di vita e di morte


 

Chi non sa modellare la propria esistenza ad immagine e somiglianza del proprio io, e come se morisse ogni giorno, perché ogni giorno ci si trova in balìa di una depressione evidente o latente. L'io cioè ha bisogno di continui stimoli, interni ed esterni, di interventi fisiologici e a-fisiologici per rimanere attaccato alla vita, di desiderare insomma. Ma questa potrebbe apparire come semplice retorica filosofica. Sarò più esplicito.

Mettiamo che una persona decide di togliersi la vita, perché lo fa? è perché dentro di essa l'io non introverte più stimoli, gli è venuto meno il desiderio positivo, non di amare se stesso, bensì di amore per la vita, che ora vede come un'acerrima nemica, un ostacolo alla liberazione del suo spirito. Il desiderio di vivere non è semplicemente lo stimolo di esistere di per sè, bensì è desiderio di conoscenza, curiosità per il piacere fine a se stesso e di per se stesso: è il "piacere" del dolore, poiché persino il dolore procura in un certo senso piacere, ossia stimoli psicofisici, adrenalina: piacere e dolore sono le due facce della volontà di potenza. Quando la volontà di potenza viene meno allora affiora la volontà di impotenza ed è come se l'io si stesse spegnendo o fosse moribondo, poiché ha perduto la sua forza vitale. Se l'io non è più in grado di generare sogni, istinto, sentimenti, emozioni, pathos, non è più in grado di generare linfa vitale, di gestire l'Essere, ed è come se l'esistenza dell'intero universo gli pesasse addosso, lo schiacciasse continuamente, allora cerca di sopprimere se stesso, giacché così agendo annienterebbe ogni ostacolo tra sè e la "felicità", si libererebbe di ogni fardello esistenzale. 

Si verifica ciò che io chiamo la "depressione dell'io", ed è questa che induce l'io a sopprimere se stesso o attraverso il suicidio fisico o il suicidio metafisico. Non sottovalutiamolo questo aspetto dell'io.

Per esempio: se una persona sa di essere malata terminale e cerca di lottare con tutte le sue forze per vivere, ad un certo punto, rendendosi conto che è una lotta inutile, una corsa inutile verso la vita, si lascia andare alla depressione e il suo io non produce più gli enti necessari per farle desiderare di vivere, allora si arrende e desidera solo di morire ed inizia la sua corsa verso la morte, che è una ricerca della felicità: la felicità di essersi liberata del proprio male fisico, del proprio dolore fisico. Questo desiderio di morte può sembrare un riflesso o un impeto della volontà di potenza, ma in realtà, essendo un desiderio negativo o nichilistico, è pura volontà di impotenza. 

Oppure se una persona si trova come fosse in forte stato di dipendenza di qualcosa o di qualcuno e questo qualcosa o qualcuno ora gli viene a mancare, il suo io và subito in stato depressivo e perde ogni interesse per la vita; capita alle persone che hanno costruito la loro esistenza intorno a un amore (o presunto tale); capita a quelle persone carcerate che sanno di dover affrontare una lunga esistenza privati della libertà fisica. 

Capita a volte senza un apparente motivo, capita cioè ad un certo punto, capita e basta. Chi può sapere una volta per tutte dei misteri della psiche e delle sue labirintiche intenzioni?

Giovanni Provvidenti