venerdì 31 agosto 2012

IMPOSIZIONE FISCALE ED EQUITA'

Rinnovamento nazionale
IMPOSIZIONE FISCALE ED EQUITA'

L'imposizione fiscale è un tema centrale della politica economica di qualsiasi governo ed è particolarmente scottante in Italia, visto che l'onere fiscale complessivo è diventato insostenibile anche in raporto al modesto corrispettivo in servizi che ne deriva.
Fodamentalmente l'imposizi
one fiscale si divide in imposizione diretta, sui redditi delle persone fisiche e giuridiche, ed indiretta, sui beni e servizi che vengono scambiati nel paese.
L'imposizione diretta ha carattere progressivo, nel senso che le aliquote sono percentualmente più elevate, in funzione del reddito annuo, ed il volume impositivo pro capite è in ogni caso tanto maggiore quanto più elevato è il reddito.
Le imposte indirette sono uguali per tutti, indipendentemente dal reddito. Ricchi e poveri pagano allo stesso modo le tasse sulla benzina, il canone RAI e più in generale l'IVA su tutte le merci e servizi che acquistano.

Sulla base di questa elementare osservazione, possiamo quindi dire che la fiscalità diretta appare più equa di quella indiretta, perché produce contributi proporzionali al reddito, mentre nel caso dei consumi un ricco non mangia più spaghetti di un povero, ma ha più soldi per comperarseli.

La fiscalità indiretta offre un vantaggio allo Stato : è più difficile da evadere.
Come fai ad evadere le accise sulla benzina ? Non puoi.
La fiscalità diretta rende più facile l'evasione a quanti possono permettersi di incassare compensi senza rilasciare documenti (fatture e scontrini) soggetti a verifica fiscale.

Come rendere più equa la distribuzione del carico fiscale senza favorire l'evasione ?

La prima tentazione è quella di abolire le imposte indirette, ma il gettito fiscale corrispondente dovrebbe essere compensato da un tale aumento delle imposte dirette da renderle psicologicamente inaccettabili a tutti, con un conseguente aumento verticale dell'evasione.

Una ragionevole alternativa, tuttavia, può essere quella di differenziare le aliquote IVA in funzione del tipo di bene o servizio scambiato e del reddito di chi acquista.

Infatti, se l'obiettivo è quello dell'Equità, perché non applicare ai beni più costosi aliquote maggiori ed aliquote minori a quelli di prima necessità ? Se l'IVA su una autvettura da 80mila € passa dal 21 al 30% il mercato di queste auto non calerà di molto, perché chi può permettersi di spendere per un'auto 80mila € non teme di arrivare a 90 o 100mila.
L'applicazione di un tale criterio non è peraltro esente da problemi, visita la nostra collocazione in Europa: infatti io potrei acquistare l'auto in Germania con IVA 20% (a minor prezzo) e poi importarla in Italia. Molti lo farebbero; altri no. Il problema si potrebbe però aggirare: l'IVA potrebbe venire applicata all'atto della immatricolazione, quindi versata direttamente all'ente pubblico e non al concessionario italiano o straniero. A quel punto, che io compri in Italia o Germania non farebbe alcuna differenza.

Questo per le auto. Per altri generi di consumo può essere più complicato. Nell'elettronica di consumo, ad esempio, se aumento l'IVA molti andranno ad acquistare gli stessi prodotti in un altro paese europeo.

Un modo per correlare redditi ed IVA potrebbe essere quello di rendere i redditi individuali più trasparenti e far pagare a chi ha redditi più elevati anche un'IVA più pesante.
Le banche in genere pretendono di conoscere il reddito delle imprese, ai fini della concessione di fidi, ecc. Non vale per i privati. Perché non assegnare a ciascun privato una sorta di punteggio bancario in funzione del reddito annuo ufficialmente dichiarato ?
In sede di acquisto con Bancomat o Carta di Credito il sistema potrebbe accertare la congruenza tra una aliquota IVA dichiarata nel prezzo e quella a cui ha diritto l'acquirente in base al suo reddito.
Complicato ? Si, ma realizzabile.

Il problema di fondo consiste nella volontà, o meno, di pagare di più alcuni beni da parte di chi è più ricco per farli pagare di meno da parte di chi è più povero, fermo restando che non si può tirare troppo la corda altrimenti chi è ricco compra altrove.

L'idea di fondo, comunque, è di aggravare l'imposizione fiscale sui beni di lusso e comunque più costosi, con sgravi fiscali su quelli meno costosi e comunque di prima necessità.
Questa esigenza nasce anche dal fatto che i redditi più bassi, da lavoro dipendente o da pensione, non possono venire aumentati e quindi occorre aumentare il loro potere d'acquisto, defiscalizzando le merci e servizi che sono alla portata di queste categorie sociali.

Un altro elemento che occorre avere ben presente prima di introdurre una seria riforma fiscale è il seguente : chi paga le tasse è sempre il consumatore, sia esso ricco o povero.
E' necessariamente così ; non è una scelta iniqua o di carattere politico. Tutto quello che produciamo ed i servizi che la società offre ha dei costi che vengono inevitabilmente scaricati sull'utente finale del bene o servizio, comprese le tasse pagate dal produttore.
Se comperi della frutta per 1 € al kg, in quell'Euro ci sono tutti i costi che agricoltore e distribuzione sostengono per portare quella frutta nella tua borsa della spesa. Il prezzo infatti deve coprire ogni e qualsiasi spesa di tutti gli operatori coinvolti, più il margine di utile netto che ciascun operatore pretende per il suo lavoro.

Quando ce la prendiamo con il solito idraulico evasore che fa il lavoro senza fattura o con il ristoratore a cui paghiamo il pranzo in contanti senza scontrino fiscale, dimentichiamo che, se questi soggetti pagassero integralmente le loro tasse sul reddito e l'IVA sui servizi che ci offrono, dovrebbero scaricare questi costi su di noi, con prezzi più alti, fermo restando il reddito netto che si aspettano dal loro lavoro. Quindi gli evasori in fin dei conti siamo noi consumatori, in queste circostanze. Altro discorso poi è dire che questi soggetti guadagnano troppo in rapporto al lavoro che fanno (quando è così). Ridimensionare i redditi di tali soggetti facendo pagare loro le tasse è una illusione, perché il risultato è solo quello di aumentare i prezzi per i consumatori. Quindi la battaglia contro questi soggetti evasori attualmente in corso, sebbene positiva, può tradursi in un aumento dei prezzi per i consumatori, a meno che la riduzione della domanda di tali servizi a seguito degli aumenti non sia talmente forte da costringere i soggetti a ridurre il loro reddito netto.

Capire questo aiuta anche a capire come, in ultima analisi, l'ideale sarebbe far pagare a tutti le tasse soltanto sui prodotti e servizi consumati, senza imposizione diretta sul reddito, ma differenziando in funzione del reddito l'aliquota fiscale che l'acquirente paga sui suoi acquisti. Come dire che, se non consumo nulla, non pago tasse ed accumulo capitale, ma appena consumo qualcosa pago tutte le mie tasse in maniera molto sostanziosa.

Costruire un tale meccanismo sino a poco tempo fa sarebbe stato impensabile. Oggi, grazie alla diffusa informatizzazione di ogni cosa, sarebbe realizzabile. Abolendo l'uso del contante ed impiegando soltanto carte di credito ed analoghi strumenti, ogni pagamento verrebbe tracciato e sarebbe impossibile per il venditore evadere l'IVA, mentre l'aliquota potr ebbe venire stabilita automaticamente in base al riconoscimento del compratore.
Il metodo non risolve tutti i problemi : infatti se il compratore, pur non essendo tenuto a pagare alcuna tassa sul reddito, nasconde il suo vero reddito, finisce poi per comperare con basse aliquote fiscali anche se il suo reddio è elevato.
Come evitare questo ? Non è così difficile.

Oggi non mi conviene chiedere fattura all'idraulico, perché significa solo pagare di più il suo servizio di tasca mia. Ma se non posso pagare l'idraulico in contanti, questo dovrà attrezzarsi con un sistema di pagamento telematico oppure accettare un assegno. Quindi il pagamento sarà tracciabile ed il suo reddito sarà trasparente, come da contabili bancarie. Non pagherà tasse sul suo reddito, ma il suo reddito sarà classificato e quindi l'aliquota IVA che pagherà sui suoi acquisti.

Ogni medaglia ha il suo rovescio : una rigida politica di prelievo fiscale sui consumi nazionali porta il consumatore a rivolgersi altrove; con l'idraulico niente da fare; ti serve a casa tua; idem con il caffé al bar e con la spesa quotidiana, ma altre spese le posso effettuare altrove, all'estero. Infatti, non pagando tasse sul reddito, se spendo poco nel mio paese, accumulo capitale. Posso pagarmi ad esempio una vacanza all'estero, invece di farla in Italia con una aliquota IVA magari molto elevata. Niente paura : l'informatica ci aiuta sempre ; come faccio a pagare i costi all'estero ? Sempre con la mia solita carta di credito. Il sistema saprebbe che non ho speso i soldi in Italia e non avrebbe difficoltà ad addebitarmi una bella aliquota IVA addizionale da versare al fisco. Me se pago in contanti all'estero ? Se ti procuri i contanti all'estero, a valere sul tuo CC, io banca ti addebito una aliquota di tasse funzione della tua categoria di reddito. Va bene, allora sai cosa faccio ? Apro un conto all'estero e poi spendo i soldi da quello. Daccordo; fai pure, ma siccome sul reddito che ha permesso di accumulare il capitale depositato nella tua banca non hai pagato tasse, se trasferisci i soldi all'estero ti faccio una sostanziosa trattenuta fiscale, progressiva con l'importo trasferito, e paghi adesso le tasse che non hai pagato prima. Poi i soldi che restano spendili pure all'estero come ti pare.

Va bene, allora sai cosa faccio ? Visto che ho messo da parte molti soldi perché io consumo poco, apro una impresa e mi metto a produrre qualcosa ; come la mettiamo adesso ? Fa pure, per me Stato va benissimo. Apri pure l'impresa. Sugli acquisti di beni destinati alla produzione (macchine, ecc) non paghi alcuna tassa (IVA) ; stessa cosa sull'utile d'impresa non distribuito. Ti servirà per pagare stipendi di nuovi impiegati/operai e nuove macchine. Quanto agli stipendi ed al tuo reddito di imprenditore mi basta sapere quanto sono per attribuire i punteggi di spesa personale.

Sai cosa ti dico ? Faccio comperare alla mia azienda una bella barca da 18 metri per le mie vacanze, senza pagare tasse. No, hai capito male: non paghi IVA acquisti su quello che serve per produrre nella tua azienda ; la barca da 18 metri cosa produce ? La tua azienda non può comperare quella barca.

Il nocciolo del problema fiscale è che le persone si danno da fare per produrre un reddito che permetta loro di acquistare più beni e servizi di altri e di conseguenza, visto che le tasse falcidiano una parte del reddito, cercano di evaderle con ogni mezzo.

Spostare l'onere fiscale dal reddito ai consumi ma indicizzando le aliquote fiscali sui consumi al reddito del compratore complica la vita al percettore di reddito ma in qualche modo rende il suo quadro operativo più semplice.
Infatti l'assenza di imposizione sul reddito rende più appetibile fare impresa e più competitivo produrre e vendere merci, anche all'estero. Infatti se vendo all'estero le merci che produco, non avendo pagato alcuna tassa su acquisti e quant'altro, i miei prezzi sono competitivi e posso aumentare le vendite.

Il mio problema sta nel come spendere bene il mio reddito personale. Quello che compero in Italia mi costa parecchio in tasse; se compero all'estero ho una tassa fissa sul trasferimento dei miei soldi all'estero. Sto al gioco se gli svantaggi del sistema sono abbastanza compensati dai vantaggi. Posso fare meglio impresa e quindi guadagnare molto di più in volume, quindi ho molto più reddito personale da spendere anche se quello che compro mi costa caro. Forse mi conviene.

In effetti una maggiore equità distributiva in termini di potere d'acquisto si può ottenere soltanto se la riduzione del potere di acquisto di alcuni a favore di altri è tollerabile ed è in qualche misura compensata dalla possibilità di produrre più facilmente ricchezza.
In altre parole : se io oggi guadagno 300'000 e all'anno ed ho un certo potere di acquisto, diciamo convenzionalmente 100, ed il mio potere di acquisto si riduce a 80 (-20%), ma il mio reddito sale a 400'000 € (+33%) perché il mio lavoro rende di più, il gioco per me vale la candela. E' difficile immaginare una organizzazione sociale costruita per sottrarre ai ricchi e donare ai poveri , perchè i ricchi si allontanano in fretta. Piaccia o no è così.

Tutto questo è molto bello sulla carta, ma l'applicazone sarebbe una vera rivoluzione e sarebbe anche impossibile valutare a priori l'entità dei trasferimnti di gettito fiscale da un settore impositivo all'altro. Quindi l'unico modo ragionevole sarebbe quello di introdurre gradualmente questi criteri valutandone a posteriori l'efficiacia in termini redistributivi e correggendo via via il tiro.

Una diversa politica fiscale non risolve tuttavia il nodo fondamentale dell'Italia : troppi costi a carico dei troppo pochi che lavorano e producono effettiva ricchezza e non solo servizi onerosi. E' insostenibile che oltre l'80% dei cittadini viva in un modo o nell'altro alle spalle della ricchezza prodotta dal restante 20%. Non sta in piedi se non fabbricando debito pubblico crescente sino ad arrivare al punto di rottura, a cui siamo molto vicini.

La tanto declamata politica per la crescita passa solo e soltanto attraverso un ampliamento della base produttiva di ricchezza reale, che una politica fiscale come quella delineata potrebbe incentivare, ma non potrebbe risolvere da sola. Non basta avere facilitazioni fiscali alla produzione: bisogna anche saper produrre qualcosa che tanti siano interessati a comperare, e per tanti intendo sopratutto compratori non italiani, perché il consumo interno viene pagato anche dai redditi di chi non è produttore di ricchezza, il chè sta anche bene, ma si tratta per così dire di una «partita di giro» interna al paese, senza afflusso di ricchezza fresca. Per capirci : consumi interni è come dire scambiarsi doni, lavoro ed altro tra marito e moglie : la ricchezza della famiglia non cambia.

Quindi la nostra crescita «reale» può soltanto venire da un aumento delle esportazioni, a spese quindi della ricchezza altrui, e poiché c'è un limite a quello che un paese può esportare, questo sarà anche il limite della nostra crescita e quindi della nostra capacità di abbattere il debito pubblico, restituendo all'Italia la sua libertà come paese e la sua dignità di popolo.

Franco Puglia - 30 Agosto 2012
(visita questo gruppo http://www.facebook.com/groups/366212640119390/)

lunedì 27 agosto 2012

In Libia la strage silenziosa dei Tawergha di Monica Ricci Sargentini

Oggi il nostro blog ospita un articolo del collega Andrea de Georgio che è appena tornato da un viaggio in Libia dove ha documentato la persecuzione della minoranza tawergha.  (di Andrea de Georgio )

Tawergha è una città fantasma. Case distrutte, segni di vita abbandonata da poco, vie deserte, cani randagi e carcasse di macchine bruciate ad ogni angolo (nella foto sopra di Luca Pistone). Il silenzio rimbomba. Il vento alza la polvere. L’odore del fuoco che un anno fa ha ridotto questa cittadina del nord della Libia ad un museo degli orrori si sente ancora forte, insieme alla puzza di morte. Ad agosto 2011, quando la guerra stava per volgere al termine, circa 4000 miliziani rivoluzionari di Misurata hanno attaccato Tawergha, borgo abitato da 35 mila persone (discendenti degli schiavi neri arrivati in Libia nel XVIII secolo) a pochi chilometri, distruggendolo casa per casa a colpi di artiglieria pesante e costringendo intere famiglie alla fuga.

Abd al Salim, capo della qatiba (brigata rivoluzionaria, milizia) Malik Idris, fra le più spietate di Misurata, quel giorno di agosto sfogava, alla guida dei suoi giovani rivoluzionari, tutta la rabbia e l’odio accumulato in un anno di guerra civile contro i tawergha (http://www.amnesty.org/en/library/info/MDE19/007/2012/en), vicini e nemici di sempre. “Non solo questi negri erano dalla parte di Shashufa (“capellone, dai capelli ricci” dispregiativo di Gheddafi, ndr) e hanno partecipato all’assedio di Misurata. Hanno stuprato le nostre donne, le nostre figlie, le nostre sorelle. Questo è il loro crimine, e noi non possiamo perdonare. Per questo li abbiamo cacciati e non li faremo mai tornare”. Abd al Salim, come molti libici, giura di aver visto coi propri occhi i video che provano gli abusi sessuali dei tawergha nei telefonini sequestrati durante la guerra. Ma questi video non verranno mai mostrati e le vittime non parleranno.

Per le società musulmane lo stupro è un tabù, uno dei più gravi crimini possibili che sporca l’onore dell’intera famiglia della vittima. Un proverbio libico recita: “La donna è come un bicchiere di latte, se si sporca si vede subito”. L’Onu e diverse organizzazioni internazionali per i diritti dell’uomo hanno condotto delle inchieste ad hoc senza trovare prove tangibili dei crimini dei tawergha. Abd al Salim con una mano guida il pick-up e con l’altra, dal finestrino, spara colpi a casaccio col kalashnikov. Khaled, rivoluzionario ventenne in pantaloncini e infradito, carica un altro fucile pronto a passarlo al capo. “Veniamo qui ogni settimana. Controlliamo che non ci sia nessuno, spariamo un po’ e portiamo via ciò che resta nelle case. Se troviamo un tawergha lo uccidiamo sul posto, come un cane”.

La guerra civile, in Libia, è finita da più di 8 mesi. Ma il tempo della riconciliazione, della rinascita e del ritorno alla normalità sembra ancora lontano, almeno da Tawergha. Nonostante il 7 luglio si siano svolte (pacificamente) le prime elezioni libere della storia del Paese – che porteranno il parlamento eletto a scegliere un comitato di esperti col compito di redigere la nuova costituzione – molte ferite di guerra rimangono aperte e sanguinanti. Fra tutte la questione delle minoranze appare un punto cruciale che né il governo di transizione né il neonato esecutivo guidato dal partito di Mahmoud Jibril (l’Alleanza delle forze nazionali che ha ottenuto quasi il 50% dei voti) hanno mostrato di voler affrontare con determinazione.

Mashasha, tuareg, tabu, berberi e tawergha pur godendo dello status di cittadini a tutti gli effetti (che manca, invece, alle migliaia di migranti presenti in Libia) soffrono ancora di vessazioni, arresti arbitrari, detenzioni illegali e torture, come riporta un recente report di Amnesty International. Il vuoto di potere lasciato dalla caduta del regime di Gheddafi, durato 42 anni, è occupato oggi dalle milizie rivoluzionarie. Migliaia di giovani e giovanissimi armati fino ai denti e guidati da un manipolo di signori della guerra che, approfittando dell’assenza di polizia e rifiutando di riconsegnare le armi e di essere assorbiti nel neonato esercito nazionale, dettano legge e “garantiscono” la sicurezza del Paese. I 35 mila tawergha che vivono in campi sparsi in tutta la Libia sono il bersaglio preferito della vendetta dei miliziani.

Il Marina Accademy, una vecchia base militare dell’esercito di Gheddafi occupata durante la guerra, è il campo profughi più grande del Paese. E’ una struttura fatiscente che si affaccia a picco sul mare di Jansour, quartiere occidentale di Tripoli, e ospita 2106 persone, tutte scappate da Tawergha in fiamme. L’Agenzia dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) opera insieme ad altre organizzazioni internazionali per dare assistenza alla popolazione del campo. “Cerchiamo di fare il possibile per queste persone che vivono in condizioni disperate, ma non è facile. Nella Libia post guerra civile la questione dei tawergha è uno dei tabu più difficili da scalfire”.

Anis, giovane libico che lavora coi tawergha di Tripoli come operatore umanitario dell’Unhcr, racconta che nei vari campi in cui sono “ospitati” i quasi 74 mila libici “sfollati interni” della guerra (i cosiddetti Internal displaced people, di cui la metà sono tawergha) vengono attaccati dai miliziani con cadenza settimanale. Gli accampamenti sono sorvegliati da gruppi di rivoluzionari che, quando le milizie di Misurata attaccano, non battono ciglio. Gli uomini delle qatibe entrano, sparano e prelevano giovani uomini che spariscono nel buio delle carceri illegali per mesi, tornando al campo con chiari segni di torture.

Come Mansour Ghiliwan, prelevato al Marina Accademy di Jansour durante l’attacco del 6 febbraio 2012, uno dei più violenti, in cui tre persone hanno trovato la morte (una bambina di 10 anni, una donna di 56 e un sessantenne). “Erano una cinquantina. Sono entrati in casa e mi hanno caricato su un pick-up con altre sei persone del campo. Ci hanno scaricato in un posto isolato, ci hanno fatti mettere contro un muro e ci hanno fucilato. Quando si sono accorti che ero ancora vivo mi hanno picchiato e portato alla prigione Madrasa al Wahida, dove sono stato rinchiuso in un container 12 giorni con una pallottola nella gamba senza acqua né cibo. Se non fosse per Medici Senza Frontiere che mi ha trovato, liberato e operato sarei morto in quel container”. Mansour si sposta per il campo su una sedia a rotelle. La gamba destra è gonfia e livida, porta i segni indelebili della cancrena e dell’operazione. Anche la sinistra è ferita.

“Non ho fatto niente durante la guerra, lo giuro. Ci perseguitano solo perché siamo tawergha e siamo neri. Per loro tutti i neri sono stati mercenari di Gheddafi. Noi vogliamo solo tornare alle nostre case”. Mentre parla si avvicina Ali Arous Abd al Rahman, il portavoce del campo di Jansour, mostrando fotocopie di cartelle mediche e documenti vari a testimonianza dei crimini subiti dalla sua gente. “Questa è pulizia etnica. Da una parte il governo di transizione ci fa eleggere un nostro rappresentante per il nuovo parlamento. Dall’altra permette che i cosiddetti rivoluzionari ci attacchino e ci sequestrino. Hanno ucciso un Gheddafi per crearne altri mille”.



 

giovedì 23 agosto 2012

IL DIRITTO DI ESSERE UOMO


 La Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo trova fondamento nel valore cardine che l'essere umano è inteso in senso globale e universale, nessuno escluso.
Potrebbe sembrare un'inutile precisazione, ma l'indicazione della totalità non include poi realmente tutti gli esseri umani.
Come principio di uguaglianza trova fondamento in questa inclusione il concetto che l'umanità è intesa come l'insieme di tutti gli esseri umani, nessun escluso e solo in questo caso è possibile parlare di uguaglianza di diritti.
 Nell'ambito di quest'umanità globale è possibile attuare il diritto di uguaglianza e le libertà individuali.
Nella visione globale del diritto universale si ha la concezione dell'uomo come essere che agisce, è responsabile, volitivo, sensibile. Fintanto che anche una sola di tali caratteristiche è presente, l'uomo esiste.
Il diritto alla libertà si fonda sulla considerazione che l'uomo è un essere volitivo e responsabile in grado di agire, gestire le proprie azioni e di comprenderne le conseguenze.
Il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana, e dei loro diritti, uguali e inalienabili, può costruire le basi per un mondo di convivenza pacifica con un richiamo forte alla fratellanza. E' un richiamo a una condizione umana e affettiva, un richiamo al sentimento che più unisce i simili tra loro, è un legame di sangue e di origine, di condivisione e di reciprocità, di appartenenza e relazione. E' il riconoscimento dell'uguale natura e della medesima provenienza degli uomini. 
La fratellanza non è solo un concetto, é un principio statico perché impone un'azione, un avvicinamento, un agire verso e per. Immutabile è il valore universale insito nell'uomo: la sua dignità.
 Il significato di dignità umana è un concetto giuridico?
 La Dichiarazione universale contiene norme valevoli nei confronti di tutte le genti, principi etici cui si pretende che gli Stati si uniformino al fine di essere assunti nella comunità internazionale. I diritti inalienabili in essa contenuti sono tali in senso assoluto e perciò anche al di fuori di un ordinamento statale che li riconosca.
 I diritti inalienabili dell'uomo sono perciò la garanzia della tutela della dignità umana, l'esercizio della legalità non è sufficiente, il rispetto delle regole e delle procedure costruisce un equilibrio tra diritti, ma non realizza la pienezza della persona che si raggiunge solo attraverso la giustizia, che è un valore etico universale.
 L'obbligo di protezione dei governanti nei confronti dei governati impone la tutela dei cittadini da ogni attacco alla vita, alla salute, alla dignità, principio di responsabilità di proteggere che è un'esplicazione del principio di solidarietà.
La protezione e il diritto-dovere di proteggere i propri membri sono la funzione primaria della famiglia che si riflette nella famiglia universale di cui ciascun uomo fa parte.(Angela Baldi)

martedì 21 agosto 2012

Bambini e schiavi

 Il fattore chiave dell’esistenza della nuova schiavitù è l’aumento incontrollato, e incontrollabile, della popolazione mondiale dopo il 1945. La crescita esponenziale si è registrata in quei paesi che fanno della schiavitù il loro fiore all’occhiello. I territori del sud-est asiatico, del subcontinente indiano, Africa e paesi arabi vivono situazioni di enorme povertà e la crescita di bambini si dimostra un ulteriore peso per le poche risorse disponibili. Come ovviare quando gli individui non hanno di che mangiare e la vita perde di valore? Senza contare l’incremento della modernizzazione e della globalizzazione che hanno trascinato nel baratro le piccole imprese, cancellato i contadini spingendoli verso la schiavitù forzata per la sopravvivenza. A questo si somma il destino di chi cerca un futuro migliore e finisce sulla strada: se i grandi vengono colpiti senza pietà, figuriamoci cosa accade ai più piccoli. Il numero di minori vittime è pari a 1, 2milioni, senza contare chi subisce sfruttamento sessuale e lavorativo, altrimenti la cifra crescerebbe anche di cinque volte.
I dati sono forniti dal nuovo dossier di Save the Children: “I piccoli schiavi invisibili 2012″, alla vigilia della Giornata Onu del 23 agosto in ricordo del commercio degli schiavi e della sua abolizione. Per quanto riguarda il nostro Paese manca una ricerca accurata e precisa ma basta basarsi sulle statistiche che fissano a 280 casi di minori segnalati o identificati come vittime di tratta o riduzione in schiavitù. I ragazzini, provenienti dall’Europa orientale e balcanica, hanno beneficiato di programmi di assistenza specifici lo scorso anno. Si stima tra i 1.600 e i 2000 il numero di minori che si prostituisce in strada, in gran parte vittime di tratta e sfruttamento. Il dato destabilizzante preoccupa per l’enorme quantità di minori sbarcati sulle coste italiane e abbandonati a un destino di violenza, come le giovani nigeriane arrivate fra il 2011 e l’agosto 2012 via mare, finite sui marciapiedi e vittime di una tratta sessuale: un fenomeno che non accenna a diminuire, anzi cresce ogni giorno.
In paesi come la Thailandia lo sfruttamento sessuale minorile è all’ordine del giorno e, anzi è diventato una forma di costume sociale, come prendere il thè o fare shopping. Grazie al nuovo benessere, gli uomini frequentano i bordelli con assiduità e le mogli thai tacciono sotto il peso di un “non vedo-non sento”. Secondo il rapporto di Save the Children, lo sfruttamento minorile su strada negli altri paesi non è molto diverso: stabile e addirittura in crescita, soprattutto per le minori rumene e nigeriane. Sono stati segnalati casi nelle Marche, in Abruzzo, in Molise e nel napoletano: ecco dove sono finite le 3.857 migranti di origine nigeriana, di cui 179 minori.   Nei primi mesi del 2012 sono stati segnalati “solo” 4 minori non accompagnati su 159 nigeriani. Se il dato è in diminuzione per la Nigeria, quello delle minori rumene è in crescita per via della cittadinanza comunitaria: dall’arrivo alla schiavitù il passo è breve e si ottiene con la violenza e il ricatto affettivo
(tratto da www.giornalettismo.com)

venerdì 17 agosto 2012

NESTLÉ: CAFFÈ, CIOCCOLATA, LATTE IN POLVERE... E TANTI BAMBINI MORTI AVVELENATI!

- La Nestlé viene accusata di una politica commerciale aggressiva e irresponsabile per quanto riguarda la promozione di latte per neonati nei paesi in via di sviluppo, soprattutto attraverso forniture gratuite a strutture ospedaliere.
Secondo l'UNICEF, la sostituzione dell'allattamento materno con il latte in polvere, porterebbe nei paesi del Terzo Mondo alla morte di circa un milione e mezzo di bambini ogni anno, a causa di problematiche legate alla difficoltà di sterilizzazione dell'acqua e dei biberon utilizzati. Vi è evidenza che anche in paesi sviluppati l'utilizzo del latte in polvere per neonati comporta un aumento dei rischi di mortalità post-neonatale rispetto all'allattamento materno. Diverse indagini hanno mostrano come la Nestlé e altre compagnie produttrici di latte in polvere per neonati negli ultimi anni abbiano ripetutamente infranto, soprattutto in regioni sottosviluppate, il Codice internazionale dell'OMS al quale hanno ufficialmente aderito.
- Nel novembre 2005 Nestlé si oppose alla decisione svizzera di bandire gli OGM.
- Nel 2001 Nestlé e altri grandi produttori di cioccolato hanno firmato un accordo, il protocollo Harkin-Engel (o Protocollo sul cacao), per affermare che avrebbe certificato, da luglio 2005, che il suo cioccolato non era stato prodotto attraverso manodopera minorile, debitoria, forzata o proveniente da traffico di esseri umani. Il protocollo, secondo il più recente report dell'International Labor Rights Fund pubblicato nel 2008, sarebbe stato disatteso.
- Nel 2009 La Nestlé italiana è stata condannata, insieme alla Tetrapak, al pagamento dei danni, per l'inquinamento del latte Nidina con Itx, un tipo di inchiostro.

[fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Nestl%C3%A8#Critiche_alla_politica_commerciale_di_Nestl.C3.A9]

Per maggiori informazioni:
- http://www.tmcrew.org/csa/l38/multi/nestle.htm
- http://www.mclink.it/personal/MC6065/RRCC/azione/bimbinfiera.htm
- http://isole.ecn.org/molino/giornale/numero5/boicottare.htm
- http://web.peacelink.it/nestle.html
- http://www.aamterranuova.it/Ambiente-e-decrescita-felice/Un-motivo-in-piu-per-boicottare-la-Nestle

PRODOTTI A MARCHIO NESTLÉ: Aberfoyle Springs, Acqua Brillante Recoaro, Aero, After Eight, Alpo, Alsoy, Antica Gelateria del Corso, Aquarel, Arrowhead;,Baby Ruth, Baci, Bakers Complete, Barenmarke, Belté, Berni, Blaue Quellen, Bolino, Bonka, Boost, Buitoni , Butterfinger, Buxton,Cailler, Camy, Carnation , Caro, Carola, Cérélac, Chamyto, Cheerios, Chef, Chef America, Chino, Chocapic, Chokito, Ciocoblocco, Claudia, Coffee-Mate, Condipasta, Condiriso, Contadina, Croquons la vie, Crosse & Blackwell, Crucial, Crunch ,Dairy Farm, Dancow, Davigel, Davigel, Delta Ice Cream, Diger Selz,E. Wedel, Ecco Franck, Excelsia,Fancy Feast, Fibre 1, Fido , Frigor, Friskies , Frubetto, Fruit Joy,Galak, Garoto, Gerber , Gervais, Giara, Gingerino Recoaro, Giulia, Gloria, Golden Grahams, Gourmet, Guigoz,Herta , Hills Brothers',Jenny Craig,Kit Kat, Kix,La Cremeria, La Lechera, La Valle degli Orti, Lactogen, LC1, Le Ore Liete, Levissima, Libby's, Limpia, Lora Recoaro, Loumidis,Mac'ani, Maggi , Magnolia, Malto Kneipp, Mare Fresco, Materna, Mighty Dog, Milkmaid, Milo, Mirage, MJB, Mont Blanc, Mousline , Munch Bunch,Nan, NaturNes, Nescafé , Nescau, Nespray, Nespray, Nespresso, Nesquik , Nestéa , Nestlé , Nestum, Nico, Nidal, Nidina, Nido, Nuts ,Omega Complete, One-to-One, Optifast, Ortega, Orzoro, Ozarka Spring Water,Panna, Pejo, Perugina, Pezzullo, Plancoët, Poland Spring, Polo, Pracastello, Protéika, Purina,Quality Street,Resource, Ricoffy, Ricoré, Rolo, Rowtree Macintosh,San Bernardo, San Pellegrino , Sanbitter, Sandalia, Santa Maria, Santa Rica, Sasso, Sassonaise, Schoeller, Shreddies and Cherrios (U.K.), Ski, Smarties, Spillers, Stouffer's, Surgela,Taster's Choice, Thomy, Tione, Toll House, Totole Group, Trio,Ulmeta, Uncle Tobys, Uncle Toby's,Vera, Vitalife,Waters Partners Bottling (50%), Willy Wonka, Wonka,Yes,Zoegas.
(grazie a Chantal per il preziosissmo elenco! ^_^)

Per inviare un parere all'azienda: ir@nestle.com
(tratta dalla pagina Earth Riot (Convivenza Pacifica)FB)

martedì 14 agosto 2012

Trattato Ue: il Mostro Giuridico



Nella crisi, ma anche prima, le peculiari caratteristiche della Bce rispetto ad una vera banca centrale nazionale, di non essere per statuto abilitata a finanziare i deficit degli stati membri e di non poter espletare le funzioni di prestatore di ultima istanza, sono state evocate con frequenza. Perché le cose stiano così è facile capirlo: l’Unione monetaria europea fu costituita da stati legati da un’unione economica ma non politica, e nemmeno facenti parte di una federazione. Visto che l’Unione monetaria era stata una creatura politica imposta dai francesi ai tedeschi per tenerli aggregati all’Occidente dopo la fine dell’Urss, bisognava inventare per lei una banca centrale con regole diverse da quelle delle banche centrali degli Stati nazionali e delle federazioni. Regole che creassero una moneta unica al posto di quelle degli Stati della Unione, ma che non abolissero le banche centrali nazionali (restate a esercitare la supervisione sulle proprie banche commerciali) e che non dessero alla banca europea la sovranità monetaria.

Ne venne fuori un esemplare unico nella storia monetaria: una banca centrale priva di sovranità monetaria che quindi abdicava a due delle funzioni caratterizzanti una banca centrale, la possibilità di creare moneta per finanziare i bilanci pubblici degli stati membri e di fungere da prestatore di ultima istanza per le banche dell’area della moneta unica. In tal modo si distruggeva anche la sovranità monetaria dei singoli stati membri. D’altronde, senza una vera unione politica o almeno fiscale, sarebbe stato veramente peculiare fare altrimenti. Negli anni 80 e 90 il mondo aveva visto crisi finanziarie imponenti ma mai una che colpisse il centro dell’economia mondiale con la potenza della crisi attuale. Evidentemente i fondatori dell’Ume sperarono che ciò continuasse nel futuro, e che la funzione di banca centrale mondiale continuasse nelle emergenze a essere svolta da chi l’aveva fatto per cinquant’anni, la Federal Reserve.


Queste acrobazie furono architettate ed eseguite perchè la Germania, centro del sistema monetario europeo, aveva acconsentito alla creazione della moneta unica solo sotto la spinta della politica estera e dei propri industriali, che vedevano con grande interesse una unificazione dei mercati europei delle merci e dei servizi e la fine della politica dei cambi fluttuanti in Europa. La Bundesbank e i partiti conservatori non vedevano con fiducia la fine del marco e cercarono di attutirne le conseguenze. Dovettero accettare una banca centrale europea il cui consiglio direttivo non era formato secondo criteri di potenza economica ma nel quale piccoli paesi come Austria e Finlandia contavano quanto la Germania. Con lo scoppio della crisi, queste debolezze costituzionali sono emerse e hanno colpito come uno shock imprevisto. Non ci si aspettava che anche i sistemi bancari europei ritenuti più forti ne fossero investiti con tanta violenza.


La preparazione istituzionale alla crisi era ugualmente debole sia negli Usa che in Europa. Negli Usa la tradizione di sovranità monetaria era fortissima e nessuno si sognò di bloccare l’interventismo della Fed di Ben Bernanke, come nessuno in altre emergenze aveva fermato la Fed di Alan Greenspan. In Europa, non solo non c’erano precedenti per la Bce, troppo recente per aver avuto necessità simili, ma la banca centrale più importante del sistema, la Bundebank, e buona parte della pubblica opinione tedesca, erano contrari a tale interventismo per motivi di teoria e prassi economica e politica. Per questo abbiamo assistito a continui rinvii invece che a interventi tempestivi e massicci da parte della Bce, o anche degli organi della Unione Europea, e alla faticosa elaborazione di istituzioni e metodi di intervento nuovi, come la Efsf e Esm, tentativi abbastanza penosi di riuscire ad affrontare i gravissimi problemi posti dalla crisi senza voler prendere il toro per le corna, cioè dare alla Bce un vero statuto di banca centrale e promuovere risolutamente i passi necessari a realizzare una unione politica avente gli stessi confini della zona euro o anche solo di una parte di essa.


Stiamo così, in maniera artificiosa e contorta, arrivando ad una ripetizione degli episodi di unificazione monetaria italiana e tedesca dell’800: un’unificazione monetaria forzata dal paese più potente, come furono Piemonte e Prussia. Ma non è la stessa cosa. Ora si tratta di paesi creditori, capeggiati dalla Germania, che cercano di imporre qualche forma di controllo finanziario sui paesi debitori perchè non esistono legami federali che permettano una centralizzazione delle finanze pubbliche o un controllo centralizzato di esse per l’intera area monetaria. In quest’ottica bisogna vedere il trattato di Bruxelles firmato qualche giorno fa. È una mostruosità giuridica, come lo fu il trattato di Maastricht. La Bundesbank già ne critica la mancanza di rigore. Invece di costituire la Bce in vera banca centrale, si è dato vita a due pessime e poco potenti imitazioni dell’Fmi come l’Esm e l’Efsf, che appena create già richiedono un potenziamento se si vuole che abbiano qualche impatto come muri parafuoco contro l’accendersi di fiammate nei paesi deboli d’Europa.


Si dice: ma l’Europa si è costruita così, con artifici, stratagemmi, strane istituzioni, perchè in Europa non sempre una linea retta può unire due punti. La storia non lo permette, purtroppo. Il passato non passa. Ma alla fine, una complicazione dopo l’altra, un artificio dopo l’altro, si riusciva ad unire i due punti. Si risponde: ma c’erano gli Usa a fare da supervisore e protettore della unificazione europea e l’Urss a fare da babau, da uomo nero. Ora la seconda è svanita e i primi sono meno interessati a tenerci uniti e nemmeno ne hanno più i mezzi. Nè la Cina ha intenzione di prendere il posto degli Usa. E poi, perchè noi europei dobbiamo sempre aver bisogno di un "fratello maggiore"?
(Fonte: http://www.sinistrainrete.info/europa/1879-marcello-de-cecco-trattato-ue-il-mostro-giuridico.html)

venerdì 10 agosto 2012

Energia sostenibile, un aiutino per l’economia

9 agosto 2012 | NRC Handelsblad

Norme energetiche più severe sarebbero non solo vantaggiose per l’ambiente, ma favorirebbero anche la competitività dell’Europa. Purtroppo, si rammarica un ecologista olandese, i dirigenti europei non sembrano esserne consapevoli. 
Ron Wit

I dirigenti europei cercano disperatamente i mezzi per stimolare la crescita economica, ma trascurano i 90 miliardi che hanno a portata di mano. Questa somma è rappresentata dal risparmio che potrebbero ottenere sulla bolletta energetica delle famiglie e delle imprese se rendessero più severe le norme energetiche sulle apparecchiature elettriche. Secondo alcuni studi questa operazione rappresenterebbe un risparmio di 280 euro all’anno per una famiglia media. E permetterebbe inoltre di creare un milione di nuovi posti di lavoro in Europa.

La Commissione europea pensa di rivedere la direttiva quadro "Ecoconception", che risale al 2005. La normativa definisce le esigenze minime per il consumo elettrico di 40 apparecchiature e influenza più della metà del consumo elettrico europeo.

Tuttavia questa direttiva è uno degli strumenti di ottimizzazione energetica più sottovalutati in Europa. Anche i responsabili del settore dell’energia alzano le spalle quando si chiede loro di quantificare il risparmio energetico da essa rappresentato.

In realtà la risposta non è difficile: se le norme energetiche fossero fissate in modo più ambizioso, le necessità europee in materia di elettricità e di gas si ridurrebbero rispettivamente del 17 e del 10 per cento. Un risultato che sarebbe positivo anche per il clima. Un risparmio del genere significherebbe che nel 2020 sarebbero rigettate nell’atmosfera 400 megatonnellate di anidride carbonica in meno, cioè una quantità equivalente al risultato del sistema di scambio delle quote di emissione europee o a due volte l’emissione totale di anidride carbonica dei Paesi Bassi. Sarebbe quindi il momento che funzionari e politici cominciassero a riflettere su questo punto.

La Cina e gli Stati Uniti hanno capito molto meglio i vantaggi economici e ambientali delle norme energetiche. In questi paesi un numero di funzionari dieci volte superiore a quello dell’Unione europea studia l’introduzione di norme sulle apparecchiature elettriche.

Un impegno che ha delle valide motivazioni: uno studio statunitense ha mostrato che ogni dollaro speso per nuovi funzionari impegnati in questo settore rappresenta 60mila dollari di risparmio energetico per i consumatori finali.

A causa della mancanza di competenza della Commissione europea, ci vogliono a volte anche più di cinque anni per introdurre una norma energetica. Nel frattempo il mondo continua ad andare avanti e quando queste norme entrano in vigore, sono già superate. Così Sharp ha deciso di lanciare un televisore che consuma il 50 per cento in meno di quanto richiesto dalla norma in vigore. Ci vogliono delle procedure più rapide per introdurre norme energetiche più rigorose.

Al contrario di quello che si pensa, rafforzare le norme energetiche permetterebbe di migliorare la competitività dell’economia europea. Anche le imprese fuori dall’Ue, come i produttori cinesi, dovranno adeguarsi alle norme più rigorose quando vorranno proporre i loro prodotti sul mercato europeo.

Per una impresa elettronica come la Philips, questo sarebbe un vantaggio. I suoi prodotti diventerebbero più interessanti (perché più economici) per i clienti. Certo, il prezzo di acquisto di un televisore aumenterà di una decina di euro, ma i clienti risparmierebbero il quadruplo durante l’utilizzo dell’elettrodomestico.

Tuttavia in Europa rimane sempre almeno un produttore per ogni gruppo che non ha voglia o non è in grado di fare degli sforzi supplementari per rendere i suoi prodotti più economici. L’attività di lobbying di questi ritardatari impedisce ai cittadini e a tutte le altre imprese europee di approfittare completamente dei vantaggi economici della direttiva Ecodesign.

In ogni modo è confortante sapere che di recente alcuni giganti dell’elettronica come Philips, Electrolux, Camfil Farr e il gruppo Bosch Siemens abbiano chiesto ai paesi europei di rafforzare rapidamente le norme energetiche sugli elettrodomestici.

L’Europa ha tutto l’interesse a investire nello sviluppo e nella fabbricazione di una tecnologia pulita, piuttosto che spendere somme più consistenti nell’importazione di energia (nel 2011 sono stati spesi solo per importare petrolio 300 miliardi di euro).

Inoltre una crescita verde può creare quei posti di lavoro di cui tanti giovani disoccupati hanno bisogno. Adesso la palla è nel campo dei leader europei, che hanno abbastanza buon senso per sapere dove cogliere queste risorse a portata di mano.

Traduzione di Andrea De Ritis

Fonte: http://www.presseurop.eu/it/content/article/2495971-un-aiutino-l-economia

mercoledì 8 agosto 2012

DOCUMENTO di SOSTEGNO a ROBERTO SCARPINATO e alla LIBER TA’ di ESPRESSIONE

Mi è capitato ieri di leggere questo post di Francesco Messina che condivido perchè la libertà di espressione è sancita della Costituzione come diritto inalienabile di ogni cittadino indipendentemente dalla professione che svolge.
Ho deciso di condividerlo e farlo conoscere al maggior numero di persone(pubblicato su FB)

"Trascrivo il documento, che ho contribuito a redigere, a sostegno del Collega Roberto Scarpinato.
Il documento e' stato sin ora firmato da 320 magistrati italiani e da molti esponenti della società civile attenta ai principi democratici.
Chi vuole può condividere". Francesco Messina

Chi ha memoria storica e consapevolezza culturale sa che la storia del nostro paese è anche la storia di poteri criminali che ne hanno condizionato lo sviluppo sociale, politico ed economico.
Chi ha una coscienza morale e professionale e il coraggio di non rassegnarsi a quello che è accaduto ed accade nel nostro Paese, ha il dovere civico di associare il proprio impegno professionale e culturale alla difesa intransigente dei valori costituzionali e di opporsi al rischio di un progressivo svuotamento dello statuto della cittadinanza che, lasciando spazio al crescere di una rassegnata cultura della sudditanza, determina il degrado del vivere comune a causa del proliferare di sopraffazioni, arroganze e cortigianerie interessate.
Chi, oltre a possedere quella coscienza e quel coraggio, può spendere la credibilità di una vita passata a combattere i poteri criminali, ha il dovere e il diritto di marcare la differenza tra l'agire autenticamente democratico e quello di chi si adatta alle situazioni e preferisce il vivere mediocre che supporta e stabilizza le ingiustizie e le mistificazioni.
E' il dovere della verità e della conoscenza ciò che qualifica la statura etica della persona, qualunque sia la sede o il contesto in cui si concretizza la sua esistenza.
La verità e la giustizia insite nella coscienza, nel coraggio, nell'impegno di ogni cittadino non possono essere fonte di equivoci o divenire espressione di un sapere egoistico in quanto socialmente limitato. Esse devono, invece, manifestare il pregio della chiarezza, della trasparenza, del riconoscimento, anche ricordando quanto la fatica giurisdizionale ha accertato nell'interesse primario del sapere collettivo.
Il 19 luglio 2012 Roberto Scarpinato ci ha ricordato la coscienza, il coraggio, l'impegno per la giustizia e la verità di Paolo Borsellino, il quale, esponendosi in prima persona, denunziò pubblicamente più volte come per mobilitare tutte le migliori risorse della società civile nel contrasto alla mafia, fosse indispensabile ripristinare la credibilità dello Stato minata da quanti, pur ricoprendo cariche pubbliche, conducevano tuttavia vite improntate a quello che egli definì il “puzzo del compromesso morale che si contrappone al fresco profumo della libertà”.
A venti anni dalla strage di via D’Amelio restano, purtroppo, attuali le sofferte parole che Paolo Borsellino, esempio illuminante di uomo di Stato, dedicò a questo tema e ricordate da Roberto Scarpinato: “Lo Stato non si presenta con la faccia pulita .. Che cosa si è fatto per dare allo Stato.. una immagine credibile?.... La vera soluzione sta nell’invocare, nel lavorare affinché lo Stato diventi più credibile, perché noi ci dobbiamo identificare di più in queste istituzioni“. "No, io non mi sento protetto dallo Stato perché quando la lotta alla mafia viene delegata solo alla magistratura e alle Forze dell’Ordine, non si incide sulle cause di questo fenomeno criminale”.
Lo scritto di Roberto Scarpinato, nella forma di una lettera ideale, così come gli era stato richiesto dai familiari di Borsellino, è stato un omaggio alla verità ed alla giustizia, un ringraziamento a Paolo Borsellino, un corrispondere a un debito di riconoscenza che mai salderemo del tutto.
E' stato l'espressione concreta del dover essere al servizio della comunità attraverso una partecipazione "alta" alla vita della "polis", finalizzata alla consapevolezza e alla responsabilizzazione critica di ogni cittadino.
Le parole di Roberto Scarpinato, nell'esaltare la cultura delle Istituzioni, sono state anche esempio di adeguatezza comunicativa: hanno assolto al dovere di comprensibilità verso chi ha meno presidi culturali, senza abbassare il sentimento di autentica giustizia, che troppo volte viene eluso preferendo la comodità del linguaggio autoreferenziale dei pochi, insensibile al desiderio di conoscere e di crescere culturalmente dei molti.
Il suo discorso non ha seguito la celebrazione del "mito" di Paolo Borsellino, tranquillizzante nella sua fissità sterile, ma ha voluto indicare l'Uomo e il Magistrato come suscitatore di coscienze profonde che avvertono l'ineludibile necessità di pensare e di agire nella prospettiva di un positivo cambiamento comune.
Abbiamo appreso dalla stampa che, a seguito della lettera dedicata da Roberto Scarpinato a Paolo Borsellino, è stata aperta presso la Prima Commissione del CSM una pratica per il suo trasferimento di ufficio e che la richiesta di apertura della pratica è stata trasmessa dal Comitato di presidenza del CSM alla Procura generale presso la Corte di Cassazioneper eventuali iniziative disciplinari.
L’Associazione Nazionale Magistrati, il 26 luglio 2012, ha espresso sorpresa e preoccupazione per tale iniziativa ritenendo che quel discorso non possa essere inteso che come “manifestazione di libero pensiero, quale giusto richiamo, senza riferimenti specifici, nel ricordo delle idee e delle stesse parole di Paolo Borsellino, alla coerenza di comportamenti ed al rifiuto di ogni compromesso, soprattutto da parte di chi ricopre cariche istituzionali”.
Il discorso di Roberto Scarpinato, a nostro parere, merita di essere diffuso, nelle istituzioni e nelle scuole, tra i concittadini onesti ed impegnati. A titolo di merito per chi ha ricordato un pezzo della nostra storia con la credibilità del proprio passato. Come monito alle tante persone che si stanno formando una coscienza civile o a quelle che possono cedere alla tentazione della disillusione, e come esortazione a tener sempre un comportamento esemplare e onesto nell'interesse Stato democratico e costituzionale.
Non si tratta di discutere solo della possibilità di un magistrato (dell'autorevolezza di Roberto Scarpinato) di esprimere le proprie opinioni con la ponderazione e lo scrupolo che derivano dalla delicata funzione svolta, ma anche di assicurare alla collettività italiana il congruo bagaglio cognitivo ed etico.
C'è necessità di parlare con quella che i greci chiamarono "parresia", ovvero con la libertà e il dovere morale di chi non teme di urtare la suscettibilità di alcuno perché non prevede di aver benefici o debiti nei confronti del Potere.
Per questi motivi facciamo nostre le nobilissime parole della lettera di Roberto Scarpinato a Paolo Borsellino.