mercoledì 30 ottobre 2024

Ipotesi di coscienza cosmica


La speculazione sul destino della coscienza dopo la morte fisica, tema che affonda le sue radici nelle più antiche tradizioni spirituali e filosofiche, si manifesta, nel nostro tempo, come una delle questioni più arcane e affascinanti dell'esistenza umana. Io, seppur "ateo ortodosso" (nego l'esistenza di Dio e dall'aldilà alla radice), tuttavia non essendo un ateo dogmatico, rifletto su possibilità trascendenti alternative. Dunque la mia riflessione, che ipotizza la sopravvivenza della coscienza individuale e il suo ricongiungimento con una più vasta Coscienza Cosmica, ciò che io chiamo il "Grande Cervello", echeggia visioni mistiche che trascendono il mero confine biologico dell'essere.

Iniziamo col considerare la natura della coscienza stessa: essa, per la scienza moderna, rimane un enigma ancora lontano dalla completa comprensione. È una forza sottile e immateriale, capace di esperire e riflettere, ma priva di una sede fisica definita, sfuggente alle mani degli scienziati come una traccia che danza tra le sinapsi. Eppure, c'è chi sostiene che essa non possa essere semplicemente il frutto di processi elettrochimici del cervello, ma debba avere una natura intrinseca, forse addirittura eterna, non legata strettamente alla materia. A questo proposito, si affaccia l'idea che, al momento della morte, l'essenza stessa della coscienza (che Platone chiamò anima immortale) possa liberarsi dal corpo e ascendere verso un piano di esistenza superiore, unificandosi con una sorta di intelligenza universale.

Il "Grande Cervello" può essere inteso come una metafora del Tutto, una mente cosmica che è riverbero dell'intero universo, un luogo in cui ogni coscienza individuale non viene annullata, bensì integrata in una rete infinita di consapevolezza atta a rigenerare continuamente l'essenza stessa del divenire universale. Ciò riguarderebbe noi esseri umani come le possibili creature che potrebbero abitare l'intero "Grande Cervello" - semplificato nel concetto di universo o di multiverso -. Una tale visione riflette antiche nozioni di un universo ordinato, intelligente e interconnesso, in cui ogni particella, ogni "anima", è un riflesso di una Coscienza originaria. Il filosofo Plotino parlava del ritorno dell'anima all'Uno, mentre i mistici orientali alludono al concetto di Brahman, la realtà ultima in cui tutte le individualità si dissolvono come onde che tornano all'oceano.

Ma qual è il destino della coscienza individuale, in questa prospettiva? Alcuni potrebbero temere che il suo ricongiungimento con la Coscienza Cosmica significhi la perdita del sè, la dissoluzione della nostra unicità nell'indistinto. Eppure, una visione più elevata potrebbe suggerire che, pur fondendosi nel "Grande Cervello", la coscienza non perda la sua identità, ma trovi anzi una forma superiore di esistenza. Non più vincolata dalle catene della percezione limitata e frammentaria, essa potrebbe espandersi in un orizzonte di conoscenza e intuizione sconfinata, diventando parte integrante di una totalità che non annulla, bensì esalta ogni singola parte.

Questa immagine richiama alla mente le teorie di pensatori come Teilhard de Chardin, il quale immaginava un "Punto Omega", un culmine evolutivo in cui tutte le coscienze sarebbero un giorno confluite in una coscienza globale, una specie di intelligenza collettiva che stringa in seno il cosmo stesso. Anche nella moderna fisica quantistica vi sono teorie che sembrano sostenere l'interconnessione profonda tra tutte le cose, in un universo dove il tempo e lo spazio possono essere considerati mere illusioni, e dove ogni punto è collegato a tutti gli altri in una rete invisibile di energia e informazione.

In tale prospettiva, la morte fisica appare non come un termine definitivo, ma come una soglia, un portale verso una nuova dimensione dell'essere. La coscienza, liberata dai limiti del corpo, potrebbe allora spingersi verso il "Grande Cervello", divenendo parte di una danza cosmica infinita, un eterno fluire di pensiero, luce e vita. In questo senso, la vita stessa, con le sue esperienze, le sue gioie e i suoi dolori, potrebbe essere vista come un apprendistato, una preparazione alla grande unione con il Tutto, dove ogni singola coscienza aggiunge la sua nota all'armonia universale.

Infine, si potrebbe ipotizzare che il "Grande Cervello" sia in realtà il tessuto stesso dell'esistenza, una coscienza che sottende e governa l'intero cosmo, e che l'esperienza della vita individuale non sia altro che una manifestazione temporanea di questa coscienza universale. In tale ottica, la morte sarebbe solo un ritorno alla fonte, un riposo nell'eterno grembo dell'universo, in cui la frammentazione cede il passo all'unità. L'individuo non si perde, ma viene reintegrato nel grande disegno cosmico, in un processo che trascende il tempo, lo spazio e la materia. Forse, allora, la domanda che dobbiamo porci non è tanto se la coscienza sopravvive, quanto piuttosto cosa essa diventa, quando si riconnette al "Grande Cervello". Forse, in quell'istante di ricongiungimento, ogni domanda si dissolve, e rimane solo il puro essere, la pura consapevolezza dell'eternità, l'eterno ritorno dell'esistenza.

 Giovanni Provvidenti

 


Il fondamento del Buddismo


Il fondamento del buddhismo è l’impegno a superare il nostro attaccamento alle cose e il rifiuto del loro divenire. Buddha individuava persino nell’amore, una delle cause della nostra sofferenza, da cui dovremmo liberarci.

Da allora, non c’è stato luogo che abbia frequentato e dove si praticava meditazione buddhista, in cui qualcuno non abbia posto la domanda: Buddha aveva ragione, anche l’amore è insano?

Ecco, io credo che il fatto che nessuno vuole crederci è già un segnale del problema.

Non si tratta solo della coppia, ma proprio dell’amore in generale. Non una sola volta, quando ho scritto qui di narcisismo deviato nella coppia, qualcuno non abbia fatto notare che ne esiste uno analogo anche relativo a genitori e figli.

E in effetti, già in precedenza ho scritto che ho notato che chi arriva a cercare un po’ di pace a una seduta sul cuscino, ha ben più spesso problemi irrisolti e ormai insuperabili con i figli o con i genitori, più che con il partner.

Ancora oggi, il pilastro fondamentale della società è considerato la coppia e la famiglia. Senza di questo, persino parlare di democrazia e di legge sarebbe poco efficace per il corretto sviluppo della società.

E allora mi pare quanto meno ovvio che Buddha abbia identificato nella nostra vita di relazione e in particolare relazione intima, il principale crogiolo di dolori infiniti.

Dopo anni di meditazione, provai a formulare io stesso una risposta alla domanda. Se abbandoniamo la radicalizzazione dell’amore romantico e dell’amore tantrico, se smettiamo di considerarli ideologici, forse potremmo arrivare a rispondere che l’amore provoca sofferenza perché ne conserviamo una definizione insana a causa dei continui condizionamenti che l’amore subisce.

C’è però una tragedia nel dramma. Che quando cerchiamo di definire l’amore incondizionato, finiamo in quella che Bert Hellinger giudicò come una favola della buona notte: pretendiamo di amare qualcuno senza aspettarci nulla in cambio.

Bella fesseria! Che si parli di coppia o di famiglia.

Quello che secondo me, invece ci condiziona davvero, è l’attaccamento insano che abbiamo nei confronti della vita e non dell’amore. Nella vita non c’è solo l’amore, giusto? Ad esempio, c’è il lavoro e ci sono i soldi.

Voi amereste qualcuno che non è in grado di garantire la collaborazione all’accumulo del sostentamento?

No!

Ed è solo l’esempio meno drammatico.

Il risultato lo possiamo vedere nei romanzi dell’800 oppure nelle grandi tragedie già greche, per fare esempi evidenti.

Dopo secoli e secoli di sviluppo e progresso, l’unica cosa in cui non abbiamo fatto progressi è l’instaurazione di relazioni sentimentali e affettive di tipo disfunzionale. Il problema non è che non dovremmo aspettarci nulla in cambio, il problema è che noi non pretendiamo in cambio l’amore all’amore ma tutto il resto. Ecco, è quel resto che è disfunzionale.

Dicevo, ho fatto l’esempio meno drammatico. Faccio adesso l’esempio peggiore. Il tempo.

Ecco, il tempo è la nostra più grande sorgente di disfunzionalità.

Da quando sono divorziato, è ovviamente aumentata la mia frequentazione di donne sole. Tra le esperienze, ricordo una che mi raccontò di aver provato a portare il compagno in casa. Ogni volta che rientrava da lavoro o da compere o un giro con le amiche, suo figlio le mentiva sul fatto che il compagno lo picchiava. Non era mai successo.

Lo capite da soli che è inutile prendersela col bambino in sé. Quello che veramente mi pare importante, è l’esistenza del legame disfunzionale. Il compagno toglie tempo al bambino da passare con la madre. Chi lo aveva convinto che il tempo era solo per lui, se non la madre? Che nell’affrontare la solitudine imprevista del divorzio, aveva riversato nel figlio tutto l’amore, compreso quell’amore di cui il bambino non doveva assolutamente essere riguardato. La relazione si interruppe perché il compagno esasperato andò via. Che in effetti è ancora una persistenza di una relazione insana perché a rigor teorico, ma solo teorico purtroppo, lasciare che il figlio percorra le sue delusioni e le sue frustrazioni garantendo un dialogo costruttivo sul fatto che in realtà non ha nulla da temere, dovrebbe (dovrebbe) far parte di un percorso educativo.

Non avviene e il risultato è che l’amore risulta condizionato da decine di fattori che d’amore non sanno affatto. In generale, tutta la gelosia è sostanzialmente un rifiuto di farsi togliere tempo per la propria soddisfazione o peggio, per la soddisfazione della propria paura di non vivere più.

La sofferenza è servita.

Vogliamo parlare dei tradimenti?

Perché sono aumentati di almeno quattro volte, a partire dagli anni’90? (è vero sapete…)

Perché con gli anni ’90 è partito un processo edonista, per il quale si ritiene possibile vivere la vita senza soffrire e senza impegni particolari. Tutti hanno diritto ad essere felici. Cosa che ha detto a parole sue anche Buddha, solo che lui non aveva mai detto che il risultato ci sarebbe piovuto dal cielo se solo ci credevi. Essere felici non è una fede, ma un impegno. Paradossalmente.

Se aggiungiamo l’ingresso del virtuale e delle “connessioni” al cellulare (l’amore liquido di Bauman), ecco servito il diritto all’amore senza obblighi. E chi ci resiste in una famiglia, se ti convinci che tu hai diritti ma non obblighi verso te stesso e l’ambiente che stai aiutando a costruire?

Il tradimento è servito.

Non esiste condizionamento all’amore peggiore del tradirlo.

Il fondamento del buddhismo è che dobbiamo superare la paura di perdere e in particolare, di perdere il tempo che ci resta da vivere. Tutti possono essere felici, a patto che lascino andare il tempo che passa.

Buongiorno

Luca Scarano

 

martedì 29 ottobre 2024

Egizi Maya Aztechi Sumeгi Dei o Extгateггestгi?

 

L''Epopea di Gilgamesh, scritta 2500 anni prima della nascita di Cristo, commemorava la vita del sovrano della città di Uruk. Ora una spedizione tedesca ha scoperto quello che si ritiene essere l''intera città di Uruk, ivi incluso il luogo in cui una volta scorreva il fiume Eufrate, l''ultima dimora del suo famoso Re. "Non voglio dire in modo conclusivo che questa fu il luogo di sepoltura del Re Gilgamesh, ma sembra molto simile a quello descritto nell''epopea" ha dichiarato alla BBC Jorg Fassbinder, del Dipartimento Bavarese di Monumenti Storici di Monaco. Nel libro, in realtà una serie di tavolette d''argilla incise, si dice che Gilgamesh fu sepolto sotto l''Eufrate, in una tomba apparentemente costruita quando le acque dell''antico fiume si ritirarono a seguito della sua morte. "Abbiamo trovato appena fuori dalla città, in un''area che corrisponde all''antico letto del fiume Eufrate, i resti di un edificio che potrebbe essere interpretato come monumento sepolcrale" ha dichiarato Fassbinder. Il ricercatore ha anche spiegato come la scoperta dell''antica città sotto il deserto iracheno, sia stata resa possibile dalla moderna tecnologia. "Per differenze nella magnetizzazione del suolo, si possono trarre molte informazioni dalle profondità della terra" ha aggiunto Fassbinder. "La differenza tra mattoni di fango e sedimenti del fiume Eufrate ci ha permesso di individuare una struttura molto dettagliata." È stato così creato un magnetogramma che, una volta convertito in mappa digitale, ha riprodotto una carta dell''antica città di Uruk. "La cosa più sorprendente è che abbiamo trovato strutture già descritte da Gilgamesh, ha dichiarato Fassbinder, abbiamo coperto nella nostra disamina più di 100 ettari. Abbiamo trovato strutture di giardini e campi come descritti nell''epopea e case babilonesi." Ma ha dichiarato che la scoperta più spettacolare è un sistema di canali incredibilmente sofisticato. "Possiamo vedere chiaramente nei canali resti di strutture che indicano come le inondazioni periodiche distruggessero alcune abitazioni; il sistema doveva essere molto ben sviluppato. Era come una Venezia del deserto.




mercoledì 23 ottobre 2024

Da leggere e meditare

 

Dopo due generazioni cresciute sotto la narrazione della famiglia del Mulino Bianco, oggi abbiamo la famiglia ENEL. Lui e lei che si sorridono tutto il tempo pure per buttare l’immondizia, ragazzi in andatura armonica tra la tavola e la scrivania dei compiti, non si vede un solo cellulare in giro e nemmeno una console dei giochi. Mentre lei cucina, lui non se ne sta a mangiucchiare con la scusa che non ha fame e deve tornare al lavoro mentre il suo cellulare continua a ronzare dlin dlon dlin dlon (leggerà tutto non appena sarà solo), lei cucina senza fare nulla di precotto e riscaldato e non usa una mano sola mentre con l’altra continua a chattare e guardare gli ultimi reel. La televisione non è accesa e non c’è musica a palla dalla cameretta.

Volevate che non ci fossero animali? Puliti come Gabriele quando arcangelo annunciò a Maria, scodonzolanti e slinguanti, ma senza appoggiarsi al tavolo e senza abbaiare come cerberi all’odore delle polpette, ovviamente fatte in casa e a mano, mica comprate incellofanate al discount.

Il macchinone è lucido, l’interno pare una boutique di YSL. Non è visibile una sola ciabatta consunta.

Quando ero ragazzo, nelle agenzie di pubblicità e comunicazione vigeva l’imperativo intercettare il sogno, giusta la definizione di “prodotto integrato”. Un prodotto pubblicizzato è dato dal prodotto come tu lo vorresti, con in più il prodotto che non hai nemmeno il coraggio di sognare. Poi arrivò la famiglia del mulino è il “prodotto” diventò integrato dall’ambiente circostante. Un biscotto è un biscotto, io ti offro il sogno di un biscotto alla portata dei tuoi denti, con in più il prodotto dell’ambiente in cui lo mangerai. Solo che quello non è alla portata dei denti ma dei sogni.

Ne vogliamo fare una questione di giusto o sbagliato?

Io non sarei tanto da rasoio di Occam, in questo caso. Avrebbe senso essere così netti e dire sì oppure no?

Provate a immaginarvi la realtà.

…ok, non la “vostra” realtà o peggio ancora la “ex realtà”, che magari potrebbe essere eccessivamente doloroso. Ma presumo lo conosciate qualcuno che non abita la casa costruita ad arte dall’Enel.

…ecco appunto. Tutti!

Obiettivamente, ma che ce ne verrebbe a mettere un pacco di biscotti o il nuovo contatore gas, in uno spot ambientato a casa qualunque?

Diciamo pure che se proprio teniamo all’onestà intellettuale, allora dovremmo avere un schermo bianco, un pacco di biscotti o la nuova bolletta, con lo slogan “compratelo”.

Che è il modo migliore di non comprare proprio niente.

Ecco perché ci sono gli spot delle case che non esistono. Perché se dovessimo impegnarci a costruirne una per davvero, con amore figli cani gatti e una tartaruga, state sicuri che non staremmo abbuffandoci di biscotti del cazzo e nemmeno inseguendo la tariffa della luce che tanto aumenta lo stesso, sempre e per chiunque.

Buongiorno

Luca Scarano

sabato 19 ottobre 2024

E poi venne Nietzsche

 

E così secondo i "filosofi oggettvi", che vanno da Socrate, Aristotele e Kant, ma, soprattutto, secondo i loro seguaci più infervorati e intrisi come una spugna di dogmatismo gnoseologico, non esisterebbero verità molteplici, ma che dico: poligenetiche! Dunque ogni verità è la sola, sempre quella e immutabile, immobile: la sua unica mobilità è quella di poter esser interpretata, ma mai creata ex novo. I filosofi non farebbero altro che manipolare l'uguale materia teoretica all'infinito, e su questa fondare l'uguale "pietra miliare" della filosofia? Se si assume come dato di fatto questo sunto gnoseologico, i filosofi non sarebbero null'altro che dei prigionieri di un dogma (Platone docet a latere: caverna etc etc) che interpretano, interpretano fingendo di mutare la materia teorica in materia empirica ma, tuttavia, ingannano se stessi e la materia che manipolano, in quanto mutarla vorrebbe dire lasciarla libera nel flusso del panta rei, del divenire - non sia mai! E che, la filosofia sarebbe null'altro che l'autoconservazione di sè e della sua eterna verità? E qual è questa verità? Ha un nome, una sembianza, un riverbero onirico, una maschera per mostrarsi e poi dileguarsi in un postumo "nulla" da interpretare ancora?

E io, imperterrito e tracotante, sono ancora quì a difendere a spada tratta la verità dai dogmatici d'ogni sorta, dagli stolti annientatori della filosofia del divenire! E diciamo con Ponzio Pilato ancora una volta e una volta di più e in eterno: "Cos'è verità?" Io posso rispondere dicendo cosa non è: non è un dogma! Mutarla in dogma vuol dire mutarla in una molteplice menzogna, uccidendo la sapienza che l'ha partorita: la filosofia. E poi la filosofia non è mai stata, non è e non sarà mai uguale a se stessa, altrimenti sarebbe già morta tra le dita e in punta di lingua di Talete. Ma da Talete in poi è stato il trionfo degli archè-tipi e tipici della filosofia e nessun principio teoretico è riuscito mai a diventare un monolite, un monumento alla memoria della filosofia, semmai alla memoria della verità. Nemmeno quei monolitici conservatori della verità oggettviva sono riusciti a fossilizzare la filosofia e, non appena un sedimento di dogmatismo cominciava a depositarsi sulla verità, lo discrostavano via, perché? Perché erano troppo vanitosi per accontentarsi del substrato ontologico acquisito, troppo ambiziosi per non creare loro stessi una "verità" ex novo... Ma, ahimè, non riuscirono a creare un Nulla da colmare col Tutto, un Essere, insomma, a-metafisico e proiettato nella follia del caos diveniente!... Poi venne Nietzsche, ed è cambiato tutto!

Nietzsche mi ha insegnato una lezione di vita fondamentale: "l’amor fati", l’amore per il proprio destino.

Ad un certo punto della sua vita, Nietzsche ha concepito questa idea potente: qualunque sia il tuo destino, qualunque cosa accada, devi dire a te stesso, “Questo è ciò di cui ho bisogno.” Anche se tutto sembra andare a rotoli, affronta ogni situazione come se fosse un’opportunità, una sfida da accogliere con amore e non con scoraggiamento.

Portando amore in quei momenti difficili, scoprirai che la forza di affrontarli è già dentro di te. Ogni disastro che superi diventa un miglioramento del tuo carattere, della tua statura e della tua vita. Che privilegio incredibile!

Ripensando al tuo passato, ti renderai conto che quei momenti che sembravano grandi fallimenti, seguiti da caos, sono stati in realtà quelli che hanno plasmato la tua vita attuale. E capirai che è davvero così: nulla può accaderti che non abbia un risvolto positivo.

Anche quando tutto sembra una crisi negativa, in realtà non lo è. La crisi ti costringe a reagire, e in quel momento di necessità, la tua forza interiore emerge.

  Giovanni Provvidenti

Janusz Korczak

 

Adulto è colui che ha preso in carico il bambino che è stato, ne è diventato il padre e la madre.

Adulto è colui che ha curato le ferite della propria infanzia, riaprendole per vedere se ci sono cancrene in atto, guardandole in faccia, non nascondendo il bambino ferito che è stato, ma rispettandolo profondamente riconoscendone la verità dei sentimenti passati, che se non ascoltati diventano presenti, futuri, eterni.

Adulto è colui che smette di cercare i propri genitori ovunque, e ciò che loro non hanno saputo o potuto dare.

È qualcuno che non cerca compiacimento, rapporti privilegiati, amore incondizionato, senso per la propria esistenza nel partner, nei figli, nei colleghi, negli amici.

Adulto è colui che non crea transfert costanti, vivendo in un perpetuo e doloroso gioco di ruolo in cui cerca di portare dentro gli altri, a volte trascinandoli per i capelli.

Adulto è chi si assume le proprie responsabilità, ma non quelle come timbrare il cartellino, pagare le bollette o rifare le lavatrici. Ma le responsabilità delle proprie scelte, delle proprie azioni, delle proprie paure e delle proprie fragilità.

Responsabile è chi prende la propria vita in carico, senza più attribuire colpe alla crisi, al governo ladro, al sindaco che scalda la poltrona, alla società malata, ai piccioni che portano le malattie e all’insegnante delle elementari che era frustrata.

Sembrano adulti, ma non lo sono affatto.

Chi da bambino è stato umiliato, chi ha pensato di non esser stato amato abbastanza, chi ha vissuto l’abbandono e ne rivive costantemente la paura, chi ha incontrato la rabbia e la violenza, chi si è sentito eccessivamente responsabilizzato, chi ha urlato senza voce, chi la voce ce l’aveva ma non c’era nessuno con orecchie per sentire, chi ha atteso invano mani, chi ha temuto le mani: per tutti questi “chi”, se non c’è stato un momento di profonda rielaborazione, se non si è avuto ancora il coraggio di accettare il dolore vissuto, se non si è pronti per dire addio a quel bambino, allora “l’adultità” è un’illusione.

Io ho paura di questi bambini feriti travestiti da adulti, perché se un bambino ferito urla e scalcia, un adulto che nega le proprie emozioni è pronto a fare qualsiasi cosa.

Un bambino ferito travestito da adulto è una bomba ad orologeria.

Ciò che separa il bambino dall’adulto, è la consapevolezza.

Ciò che separa l’illusione dalla consapevolezza è la capacità di sostenere l’onda d’urto della deflagrazione del dolore accumulato.

Ciò che rimane dopo che il dolore è uscito è amore, empatia, accettazione e leggerezza.

Non si giunge alla felicità attraverso la menzogna.

Non si può fingere di non aver vissuto la propria infanzia.

Non si può essere adulti se nessuno ha visto il bambino che siamo stati, noi per primi.

Adulto è colui che ha preso in carico il bambino che è stato e ne è diventato il padre e la madre.

Janusz Korczak

 

mercoledì 16 ottobre 2024

Come si affronta il dolore?"

 

"Con le mani. Se lo fai con la mente il dolore invece di ammorbidirsi, s'indurisce ancora di più."

"Con le mani?"

"Sì. Le nostre mani sono le antenne della nostra anima.

Se le fai muovere cucendo, cucinando, dipingendo, suonando o sprofondandole nella terra invii segnali di cura alla parte più profonda di te.

E la tua anima si rasserena perché le stai dando attenzione.

Così non ha più bisogno di inviarti dolore per farsi notare."

"Davvero le mani sono così importanti?"

"Si.... Pensa ai neonati: loro iniziano a conoscere il mondo grazie al tocco delle loro manine.

Se guardi le mani dei vecchi ti parlano della loro vita più di qualsiasi altra parte del corpo.

Tutto ciò che è fatto a mano si dice che è fatto con il cuore.

Perché è davvero così: mani e cuore sono connessi.

I massaggiatori lo sanno bene: quando toccano il corpo di un'altra persona con le loro mani creano una connessione profonda.

E' proprio da questa connessione che arriva la guarigione...

Pensa agli innamorati: quando le loro mani si sfiorano fanno l'amore nel modo più sublime."

"Muovile, inizia a creare con loro, e tutto dentro di te si muoverà.

Il dolore non passerà ma si trasformerà nel più bel capolavoro.

E non farà più male. Perché sarai riuscita a ricamarne l'essenza."

E. Bernabè

 

 

sabato 12 ottobre 2024

I SUMERI

 La civiltà sumera, una delle più antiche conosciute nella storia umana, ha dato un contributo significativo alla cultura, alla governance e alla tecnologia. Le loro innovazioni nel tempo hanno gettato le basi per il nostro moderno sistema di ore e minuti. La complessità delle loro credenze religiose, in particolare il pantheon degli dei noti come Anunnaki, riflette i loro tentativi di comprendere il mondo intorno a loro e le forze che governano le loro vite. Gli Anunnaki, visti come potenti divinità che hanno influenzato il destino umano, hanno avuto un ruolo centrale nella mitologia sumera. Erano spesso raffigurati come dotati di una struttura gerarchica, con dei responsabili di vari aspetti della vita, tra cui agricoltura, guerra e fertilità. I miti che circondano gli Anunnaki, inclusi i temi del giudizio e della creazione, rivelano molto sui valori sumeri e sulle norme sociali. Mentre molti considerano queste storie puramente mitologiche, alcuni teorici e ricercatori hanno proposto interpretazioni alternative, suggerendo che queste narrazioni potrebbero contenere noci di verità sulle interazioni antiche o sulla conoscenza avanzata. Questo ha portato a discussioni interessanti sulle possibili implicazioni storiche o extraterrestri dietro le leggende Anunnaki. Indipendentemente da queste interpretazioni, l'eredità dei Sumeri continua a influenzare la nostra comprensione della civiltà precoce, contribuendo a settori come la scrittura, la legge e lo sviluppo urbano. Le loro conquiste evidenziano la complessità del pensiero umano e della società molto prima dell'avvento della modernità



 

lunedì 7 ottobre 2024

UN POST PER LA CONOSCENZA DELLA POESIA

 


Prefazione

C'è un momento della giornata, la notte, in cui l'anima si libera dei lacci della quotidianità e vola: ricerca emozioni smarrite , le rielabora alla luce della sua vera identità. Riaffiorano i ricordi e fanno da onde alla realtà del presente. Tutto è silenzio, tutto assume una valenza irripetibile: l'amore, il dolore, la rabbia, la speranza, la malinconia; navigano nella coscienza infinita dell'essere e assumono una dimensione amplificata dalla catarsi dello spirito, come semi impollinati dal vento, germogliano ad una nuova vita. Il tempo si ferma, il cuore è solo con se stesso, unito al mondo e a tutto l'universo. (Valdo Immovili)

https://www.amazon.it/Notturn.../dp/B0C3WV3MXT/ref=sr_1_1.

 

 


Un panta rei chiamato "al di là del bene e del male".


"Al di là del bene e del male"... Sorge un orizzonte sconfinato dove l'animo umano si libera dai vincoli terreni delle convenzioni morali. Quì, nel cuore pulsante dell'apollineo e del dionisiaco, non esistono più i confini rigidi che la nostra fragile ragione ha eretto per dare ordine al caos del mondo. Si accede a questa dimensione non con la logica fredda, ma con l'intuizione profonda, quella scintilla divina che risiede nel "cuore dell'anima" di ogni essere vivente. È un luogo dove non vige nè la luce del giorno nè l'oscurità della notte, ma un crepuscolo eterno in cui le distinzioni si dissolvono, e ogni cosa assume il suo vero significato.

In questo spazio dell'oltre, non vi è giusto nè ingiusto, non vi è premio nè condanna. Ogni azione, ogni pensiero, ogni anelito che sgorga dall'essenza più autentica si mostra nella sua nudità, privo di giudizio, come un respiro eraclitèo che danza con il vento dell'eternità. Quì, i dualismi si sciolgono come neve al sole, e l'individuo si ritrova a essere parte di un grande tutto, un'armonia misteriosa che accoglie il mondo intero.

Al di là del bene e del male si eleva il pensiero puro, libero dagli attacchi del rimorso o della vanità della gloria. È una discesa nell'abisso e un'ascesa alle vette divine, entrambe necessarie, entrambe sacre, perché solo nel riconoscere il volto oscuro della nostra anima possiamo abbracciare pienamente la sua luce. Non si tratta di negare la morale, ma di trascenderla, di vedere al di là delle sue catene per scorgere una verità più grande, una verità che non conosce confini né definizioni. In questo regno impalpabile, l'uomo diviene artefice del proprio destino, non più schiavo di dogmi o di leggi imposte dall'esterno. Sì, diviene un creatore, una divinità nascosta nel manto della propria fragilità, chiamata a forgiare nuovi mondi, nuovi sensi, nuove vie per l'esistenza. Ogni passo che si compie in questo viaggio è un atto di coraggio supremo, un salto nel vuoto in cui non esiste nè certezza nè sicurezza, ma solo la fede nell'ignoto e nell'immensità del possibile.

E così, nel silenzio che precede ogni nuovo inizio, l'anima si espande e si dissolve nel tutto, accogliendo il mistero profondo della vita e della morte, del giorno e della notte, dell'amore e della perdita. È quì, al di là del bene e del male, che l'essenza dell'essere si manifesta nella sua forma più pura, lontana dalle limitazioni umane, vicina alle incognite del panta rei.

Giovanni Provvidenti


mercoledì 2 ottobre 2024

Carl Gustav Jung.

 Parte II: "psicologia e alchimia".

Psicologia e alchimia è un'opera di C. G. Jung in cui l'autore svizzero esplora le profonde connessioni tra il processo alchemico e la psiche umana, articolando una sintesi di straordinaria profondità e vastità concettuale. Questo trattato si inarca a ponte tra la scienza dell'anima e le arcane dottrine esoteriche dell'antichità, gettando luce sul potenziale simbolico dei testi alchemici e sulle loro implicazioni psicologiche.

L'alchimia, nell'accezione più diffusa, è stata a lungo considerata una pratica proto-scientifica mirante alla trasmutazione dei metalli vili in oro e alla scoperta della pietra filosofale, simbolo supremo di perfezione e completezza. Tuttavia, per Jung, l'alchimia rappresenta ben più che una semplice ricerca di trasformazione materiale: essa diviene un'immagine potentemente evocativa del percorso di trasformazione psicospirituale. Il viaggio alchemico, con i suoi processi e stadi - nigredo, albedo, citrinitas, e rubedo - viene da lui interpretato come una metafora della individuazione, il processo attraverso il quale l'individuo riconosce e integra i vari aspetti del Sè, raggiungendo un equilibrio tra il conscio e l'inconscio. La nigredo, la fase di nerezza e putrefazione, corrisponde al confronto con l'Ombra, la parte oscura e inaccettata della nostra psiche. L'albedo, la fase di purificazione, simboleggia la chiarificazione e l'illuminazione interiore, il riconoscimento del nostro lato più autentico. Infine, con la rubedo, si arriva alla piena realizzazione dell'Essere, una fusione degli opposti che si traduce nell'integrazione del Sè. Jung cioè intuisce che i simboli alchemici - il drago, l'athanor, il vaso ermetico, il re e la regina, solo per citarne alcuni - non sono mere fantasie mistiche, ma espressioni di archetipi profondamente radicati nell'inconscio collettivo. Questi archetipi, presenti in tutte le culture e epoche, sono strutture psichiche universali che plasmano l'esperienza umana e si manifestano nei sogni, nelle visioni, e nelle opere creative. Il linguaggio ermetico, dunque, non è semplicemente un codice segreto, bensì un linguaggio simbolico che descrive il movimento e la dinamica della psiche. Il "solve et coagula", ad esempio, rappresenta il processo di dissoluzione delle vecchie forme e credenze (solve) per poter poi ricostruire una nuova unità psichica (coagula). Questo linguaggio è comprensibile solo a chi è disposto a esplorare il mondo interiore con coraggio e apertura, lasciandosi guidare dalla voce dell'inconscio. Jung insomma ritiene che gli alchimisti proiettassero inconsapevolmente i propri processi psichici sulle sostanze materiali con cui lavoravano. Nel tentativo di purificare e trasformare la materia, essi in realtà cercavano di trasformare se stessi. Questo fenomeno di proiezione è un cardine del pensiero junghiano: l'inconscio, incapace di esprimersi direttamente alla coscienza, si manifesta attraverso immagini e simboli esterni, che richiedono un'attenta interpretazione per essere compresi nel loro vero significato.

Gli alchimisti, dunque, erano psiconauti ante litteram, esploratori dell'invisibile che, pur non avendo il concetto moderno di inconscio, intuivano la presenza di una dimensione nascosta della psiche, una "subtile natura" da scoprire e trasformare. Il loro viaggio era insieme un'opera di redenzione materiale e spirituale, un tentativo di riconciliare gli opposti, come maschile e femminile, spirito e materia, luce e oscurità.

Nel pensiero junghiano, l'Opera Magna alchemica - la creazione dell'oro filosofale - diventa metafora della conquista del Sè, l'archetipo centrale della psiche. Questo Sè, che non deve essere confuso con l'Io, è la totalità psichica che trascende la coscienza individuale, unendo tutte le polarità e rappresentando la realizzazione piena e armonica dell'individuo. Il processo alchemico, con le sue sofferenze e le sue illuminazioni, i suoi momenti di smarrimento e le sue rivelazioni, riflette il travagliato cammino dell'individuazione, un percorso che porta a trascendere i confini dell'ego per riconoscere una realtà più vasta e comprensiva. È un pellegrinaggio interiore verso l'integrità e l'autenticità, un viaggio che conduce all'integrazione dei molteplici aspetti dell'essere umano, dell'oscurità più profonda alla lucentezza più sublime. Psicologia e Alchimia è dunque un'opera monumentale che ci invita a riscoprire il linguaggio dimenticato dell'anima, a riconsiderare i simboli dell'alchimia come guide preziose nel nostro viaggio interiore. Attraverso questo dialogo tra antica sapienza e moderna psicologia, Jung ci esorta a guardare oltre le apparenze, a immergerci negli abissi dell'inconscio per riportarne alla luce l'oro nascosto della nostra vera essenza. In questo modo, l'opera alchemica diventa non solo un simbolo di trasformazione personale, ma anche un invito a partecipare a un più vasto processo di evoluzione collettiva, un cammino verso una maggiore consapevolezza e un più profondo senso di unità con il tutto.

 (Giovanni Provvidenti)


 

martedì 1 ottobre 2024

Carl Gustav Jung.

 Parte I: psicologia analitica. Cos'è?

La psicologia analitica, o psicologia del profondo, è una disciplina che si propone di indagare i meccanismi dell'anima umana in tutta la sua complessità. A differenza della psicoanalisi freudiana, la quale si concentra prevalentemente sui conflitti psichici originati dalle pulsioni sessuali represse e sull'inconscio personale, la visione junghiana si espande fino a comprendere un inconscio collettivo, un serbatoio di immagini e simboli ancestrali che trascendono l'individuo, radicandosi nell'umanità intera. Insomma, quella disciplina che io tanto amo, che prescinde dall'individuo per riflettere sulla collettività.

L'inconscio collettivo, uno dei cardini della psicologia analitica, è costituito dagli archetipi, ossia matrici primordiali che fungono da strutture fondamentali dell'esperienza umana. Questi archetipi si manifestano nelle varie culture attraverso miti, fiabe, religioni e sogni, e rappresentano una sorta di linguaggio universale dell'inconscio. Tra gli archetipi più noti vi sono il Sè, l'Ombra, l'Anima e l'Animus, la Grande Madre, il Vecchio Saggio e il Puer Aeternus.

Jung concepì il processo di individuazione come il fine ultimo della vita psicologica, un percorso di integrazione delle varie parti della psiche che conduce all'autorealizzazione e alla piena espressione del Sè. In questo cammino, l'individuo è chiamato a confrontarsi con la propria Ombra, vale a dire con quegli aspetti rifiutati o inaccettabili di se stesso, e a integrare le energie psichiche rappresentate dall'Anima o dall'Animus, che incarnano il principio femminile e maschile presenti in ciascuno di noi. - - La psicologia analitica attribuisce una fondamentale importanza ai simboli, considerati ponti tra il conscio e l'inconscio. L'analisi dei sogni, delle immagini spontanee e delle sincronicità - fenomeni in cui eventi esterni e stati psichici interni si intersecano in modo significativo - è vista come una via regia per accedere ai contenuti dell'inconscio e per promuovere la crescita interiore.

Jung introduce inoltre la nozione di complesso, un insieme di rappresentazioni psichiche cariche emotivamente, che hanno la capacità di influenzare il comportamento e i pensieri dell'individuo, spesso a sua insaputa. A differenza di Freud, che vedeva nei complessi soprattutto una radice patologica, Jung considerava i complessi come componenti naturali della psiche, la cui integrazione è necessaria per il processo di individuazione. Il concetto di Sè, il centro regolatore della psiche, è uno degli aspetti più affascinanti della psicologia analitica. Il Sè rappresenta la totalità della personalità, includendo sia il conscio sia l'inconscio, e si manifesta attraverso simboli archetipici come il mandala, simbolo di unità e armonia. Raggiungere il Sè significa superare l'ego, riconoscendo e integrando le varie dimensioni della propria esistenza psichica, in un cammino verso una totalità più ampia. In questo insieme complesso e articolato, la psicologia analitica non si limita a essere una tecnica terapeutica, ma si configura come una vera e propria filosofia della vita, un invito a esplorare le profondità dell'anima e a confrontarsi con le proprie ombre per poter accedere alla luce del Sè. Essa non offre risposte preconfezionate, ma invita ogni individuo a intraprendere il proprio viaggio interiore, in un dialogo continuo tra conscio e inconscio, tra la dimensione personale e quella collettiva, tra il finito e l'infinito. Così, l'opera di Jung si presenta come una straordinaria sintesi di psicologia, filosofia, mitologia e religione, capace di illuminare le oscure profondità dell'anima umana e di fornire una mappa per orientarsi nel misterioso territorio della psiche. In questo senso, la psicologia analitica si eleva come una luce guida per coloro che cercano non solo di comprendere il proprio funzionamento psichico, ma anche di dare un significato più profondo alla propria esistenza - in simbiosi con l'intero collettivo.

(Giovanni Provvidenti)