Essere religiosi deve significare per forza credere in un Dio? Come è giusto e ovvio che sia ognuno trarrà le proprie conclusioni. Così io traggo le mie.
Tutti sappiamo che la religione è innanzitutto un istituto fideistico e teologico, all'interno del quale non può che imperare un'entità teistica, nonché, per così dire un'intera enciclopedia di precetti valoriali ad essa connessi: eticità, moralità, ideologie, ecc.
Dico subito che dal punto di vista teologico e fideistico non sono affatto religioso, ma nemmeno da un punto di vista più "laico". Per carità! Spesso la laicità è il falsismo ideologico di un moralista religioso davanti alla porta di un sincero ateo. Me ne tengo a debita distanza.
Tuttavia sento profondamente, magmaticamente fluida scorrere nel mio Essere una sconosciuta e intensa "religiosità", che non percepisco come semplice "spiritualità", ma piuttosto come istintualità. È per me davvero difficile cercar di descrivere siffatto sentore interiore istintuale e spirituale, quasi "demico", poiché lo percepisco simile a una continua "policentrica espansione geografica dell'Essere", e mi pare di essere in balìa di un eterno ritorno nel quale continuamente ho bisogno di mozzare la testa di un serpente per perdermi in un qualche infinito! Nel frattempo mi pare altresì che l'io-in-me, anzi il super-io, si diverta a plasmare tale materiale ctonio e magmatico, mutando costantemente l'opera che ha tra le mani: la mia anima sempre inquieta, in costante movimento, così come l'artista muta costantemente la materia plastica che manipola e la trasforma man mano, cosicché non riesco mai a comprendere del tutto cosa accade dentro di me! Sono ateo... e non sono più ateo! Nel senso che se l'ateismo deve diventare per me una sorta di gabbia, di fede-prigione per distinguermi dai credenti, no: non voglio più esserlo!
Qualcuno a me caro diceva che se si crede in se stessi non si è mai veramente atei, posto che si riesca a frapporre tra sè e gli dèi il proprio io - e mutare il proprio io in un Zeus-Titano e l'Essere in un Olimpo!
Io penso che se l'uomo è qualcosa che deve essere superato, come insegna Zarathustra, beh, l'ateismo allora non deve diventare per l'uomo che và oltre se stesso (detto chiaramente, l'oltreuomo) una prigione, una catena, una palla al piede, una "fede" indissolubile, una coerenza idiota, poiché anch'essa ideologica e, non di rado, intrisa di ipocrita laicismo. Ora credo in un nuovo umanesimo in cui non è affatto necessario un dio; un umanesimo che sia capace di superare il significato stesso di "classicismo teologico" e spiritual-religioso, dove possa trovar diritto di cittadinanza una nuova coscienza per l'individuo consapevole di se stesso e una nuova concezione di amore per la vita: la "religiosità" dell'oltreuomo, o amor fati che dir si voglia; religiosità la quale possa prescindere appunto da un'entità teistica e che possa creare una nuova etica post ideologica ateistica e che sia capace di porre nuovi valori atti a dar credito preminentemente alla natura, alla vita, al corpo, alla terra; che possa condurre l'uomo (come individualità e collettività - dicasi popoli -) verso una nuova consapevolezza e presa totale di coscienza gnoseologica e filosofica, dove questa sorta di super spiritualità sia in grado di creare l'individuo-dio universale. Insomma, se siamo stati capaci di uccidere Dio, cosa ci impedisce ora di concepire una nuova formula di "spirito religioso", non più come tempio ontologico, teologico e fideistico ove risieda Dio e similari entità, bensì come il tempio-corpo ove risiede l'io-dio? Per ciò non abbiamo, noi atei per istinto, più che mai bisogno di religiosità? Oppure dobbiamo diventare "atei" persino dinanzi all'io, la vita, il corpo, la terra? Cioè freddi e immani esecutori del materialismo a-spirituale fino all'assurdo, succubi del razionalismo socratico più apollineo che ci sia, poiché impenitenti assassini dell'eterno serpente che risiede nella nostra atavica (se non ancestrale) coscienza? E in perenne attesa! In attesa e immobili in un solo istante in un tempo che non ritornerà mai più a se stesso? L'Essere è "spazio" e l'io ha solo bisogno del divenire. Ma il divenire è nel gesto di colui che è capace di cambiare se stesso, cambiando lo stato ordinario e straordinario della propria realtà. L'esser "spiritualmente atei" non può dunque precluderci di essere religiosi e nel contempo di uccidere Dio e di abbattere l'ultima colonna di quella vecchia coscienza-tempio. Perocchè l'uomo torni alla sua primigenia natura e traduca in filosofia classica la sua creatività artistica, cioè quella di essere creatore di dèi e di Titani ma, come dicevo, con una nuova coscienza: cioè che Dio è l'uomo e l'io il custode del Titano? (Giovanni Provvidenti)