giovedì 8 luglio 2010

Cecità: un’epidemia collettiva


Qualche settimana fa è morto Josè Saramago, uno dei più grandi scrittori di sempre. Uno dei suoi libri più belli e più originali si intitola Cecità. In una città qualunque, di un paese qualunque, un guidatore sta fermo al semaforo in attesa del verde quando si accorge di aver perso la vista. All’inizio pensa che si tratti di un fenomeno passeggero, poi passa attraverso un crogiuolo di emozioni che vanno dalla incredulità, alla speranza, alla disperazione.
È l’inizio di un’epidemia che colpisce progressivamente tutta la città e l’intero paese creando un’emergenza per cui i ciechi vengono rinchiusi in un ex manicomio e lì vivono nell’abbrutimento più totale, sorvegliati a vista da soldati armati che non esitano a sparare contro quelli che tentano di fuggire. Quella condizione scatena nei più gli istinti peggiori, l’individualismo più esasperato, la sopraffazione dei più deboli.
Si tratta di un’allegoria spietata su quanto può accadere quando il vivere sociale riceve una turbativa che allontana la comunità dalle regole e crea spinte selvagge alla realizzazione egocentrica degli interessi individuali, condotta fino alla soppressione fisica di chi potrebbe contenderli. Poi, inspiegabilmente come si era manifestata, l’epidemia si risolve, tutti riacquistano la vista e constatano quanta desolazione e quante macerie quello stato collettivo aveva provocato.
Nel nostro Paese, invece, la perdita della vista è uno stato di disagio che va dall'indifferenza fino alla visione falsata dei fatti.
Nel libro di Saramago un’unica donna era riuscita miracolosamente a conservare la vista e non lo manifestava agli altri per pudore e per timore, pur guidandoli nell’assillo delle necessità quotidiane. Da noi fortunatamente sono ancora molti le donne e gli uomini che sono riusciti a conservare questo indispensabile senso. Alcuni anzi, come avviene in certe situazioni nel mondo animale che stimolano l’istinto di conservazione della specie, sono riusciti perfino ad acuirlo.
È a questi che dovremo affidarci nel presente e nel futuro perché tutti questi ciechi, come nella parabola di Bruegel, non finiscano nel precipizio.
fonte: http://domani.arcoiris.tv/

Nessun commento:

Posta un commento