La filosofia come commedia della
verità
Dopo Socrate il filosofo raramente è
stato sognatore, un cuore tragico sospinto verso mete e miti da un afflatico
romanticismo, il cui anelito fosse l'aire, lo slancio dato da un "istinto
razionale", artistico nel pieno significato di arte e di estetica
crepuscolare, di estasi dell'anima, quando l'anima diviene una vera e propria
aurora dell'Essere. Insomma, il senso artistico del soggetto sognatore,
perocchè il sogno dona agli istinti il senso drammatico della commedia e della
liturgia dell'ego. Come se si volesse inseguire uno sconosciuto desiderio
fuggito da un istinto ribelle, rivoluzionario; un desiderio fuggito da un
sogno, e che vuole perseguire realtà e verità il cui principio sia null'altro
che un riflesso onirico generato da un palpito che fugge dal cuore e si riversa
magmatico nell'aurora dell'anima.
Chissà perché ci sono filosofi che
pensano di dover essere ad ogni costo individui razionali, freddi, lucidi fino
alla lucida follia dei sensi, logici, oggettivi e possessori del logos più
veritiero del mondo, di più: possessori di tutte le realtà e verità del mondo!
Altrimenti non vogliono credere e quando elogiano il dubbio mentono a se
stessi, perché in realtà enunciano un mistificato necrologio... A meno che il
filosofo non sia capace di diventare anche "poeta", allora il
discorso cambia. Allora il filosofo "filosofeggia", cioè sogna,
anela, vuole creare e, più che realtà e verità, aspira a creare commedie di
scorci di panorami di realtà e verità; più che possibili futuri, attimi
danzanti di eternità. Allora inventa i ditirambi coi quali imprime nelle parole
il senso del dramma, del tramonto, la simmetria e la geometria dei segni, dei
simboli, che lascia sì casualmente, ma anche volutamente, sparsi quà e là nei
suoi discorsi; i suoi stessi discorsi assumono parvenza di drammaturgia. E
fonda! Fonda la "sua scuola", i suoi discepoli, i suoi nuovi valori e
principi archetipici, cui tutto il futuro dovrà fare i conti. I presocratici
sono stati filosofi sognatori, poiché la loro filosofia era intrisa di una
meravigliosa poetica. Per quanto sofisti, la loro tragicità li fece andare al
di là dell'astrattismo teoretico, cui la logica della retorica e della
dialettica non proponeva altro che l'eterno ritorno a una filosofia precedente,
seppur trasfigurata in una presunta novità, allorché il sofismo dialettico
susseguente ne mutava il contenuto sillogistico, cangiando la maschera in
commedia; così ogni filosofo diventava maestro di un'altra maschera e commedia
e di una nuova scuola del tragico. Purtroppo dopo Socrate la filosofia diviene
un monolite, una fredda, logica razionalità, un vero e proprio nichilismo
istintuale la qual volontà cognitiva era diventata oramai cognizione di causa
di una altrettanto vera e propria dogmatica: brama di verità, di sapere, spesso
mascherata di "opinione". Si elogiava ancora la tragedia, la
commedia, il dubbio, ma guai ad afferrare per le corna il toro della verità e
matarlo di santa ragione! Guai ad affermare che la loro commedia fosse oramai
diventata noiosa, cioè ripetitiva e priva del fascino dualistico di Eros e
Thanatos, Apollo e Dioniso; invero dell'istintualità più naturale che
nell'epoca tragica dei greci trovava nella commedia la sua massima espressione
- della commedia non solo teatrale, ma soprattutto della vita quotidiana -.
Dopo Socrate dubitare della verità venne considerato pura pazzia. Atene facendo
bere la cicuta a Socrate cercò di salvaguardare l'ultimo barlume di antico
testamento ellenistico rimasto negli anfratti di qualche pensiero filosofico
taletiano, anassimandriniano, eraclitiano; tuttavia Platone, con la sua
Repubblica, diede al pensiero morente presocratico il colpo di grazia. Solo a
partire dall'epoca illuministica della cosiddetta Rivoluzione Copernicana (che
possiamo tranquillamente chiamare anche rivoluzione copernicana della
filosofia) la filosofia ri-inizia a riprendersi il suo posto e il ruolo
originario e preminente nella conoscenza pura, in quanto torna ad appropriarsi
dei suoi specifici strumenti scientifico-teorici, che appunto gli erano propri
nell'epoca presocratica. Fino ad arrivare a Nietzsche che con la sua ulteriore
rivoluzione filosofica abbattè del tutto quel monumentale monolite di pensiero
freddo e razionale, ridando alla tragedia il suo vigoroso, degno ruolo in
commedia, fondando il teatro e l'anfiteatro della verità, mutando la verità nel
luogo tragico ove il filosofo e la filosofia ritrovassero la loro
"follia", il loro gioco e la fanciullezza del sogno, della
metafora... della poesia. Personalmente mi sento erede di questa antica
commedia, erede di questa antica filosofia come "commedia della verità
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