mercoledì 25 settembre 2024

Così parlò Zarathustra: il "segno"

 

Il finale di Così parlò Zarathustra, opera magistrale di Nietzsche, possiede un significato profondo e misterioso, sospeso tra il simbolico e il cosmico, tra il personale e l'universale. Giunti all'ultimo capitolo, Zarathustra, profeta solitario e guida dell'oltreuomo, riceve finalmente un segno: un richiamo che sembra essere l'annuncio di una conclusione, ma anche l'alba di una nuova trasformazione.

Nel suo eremitaggio sulla montagna, il protagonista attende, immerso in riflessioni vertiginose sulla vita e sul destino dell"uomo. È in quel luogo elevato, isolato dal mondo terreno, che giunge il "segno". Ma cos'è questo segno? Nietzsche, maestro dell'enigmatico, non lo rivela in modo esplicito, bensì lo avvolge in un'aura di sospensione e attesa, lo rende di proposito mistico, perciò più prezioso. Il segno, nella sua indefinitezza, rappresenta l'irruzione del nuovo, l'inizio di una metamorfosi che il mondo ancora non è in grado di comprendere appieno. Il segno degli animali: l'aquila e il serpente, due figure animali simboli archetipici di potenza e saggezza, si presentano al protagonista: l'aquila, emblema dell'orgoglio e della nobiltà dello spirito, e il serpente, incarnazione dell'astuzia e della conoscenza. Questi animali, suoi compagni per tutto il viaggio, riappaiono nel finale come messaggeri di una verità più alta, di un cambiamento imminente. Il volo dell'aquila e l'aggrovigliarsi del serpente sono immagini che alludono all'eterno ritorno, a quel ciclo infinito di morte e rinascita, che Zarathustra ha appreso e accettato lungo il suo cammino. Il "segno" ricevuto da Zarathustra è la manifestazione tangibile di una chiamata alla piena realizzazione dell'oltreuomo, colui che accoglie il superamento di se stesso, che ha compreso e accettato il peso dell'eterno ritorno, la verità che ogni momento della vita è destinato a ripetersi in eterno. Ma il segno ha anche un’altra valenza: è la conferma della solitudine ontologica del profeta, della sua lontananza dalle masse, poiché solo un uomo libero da ogni legame con le convenzioni terrene può udire e comprendere il richiamo. L'attesa del segno, che accompagna Zarathustra in molte pagine del libro, è simile all'attesa della rivelazione ultima, dell'apertura di un portale verso una nuova visione dell'esistenza. Il segno, infatti, non annuncia soltanto l'arrivo di qualcosa di nuovo, ma segna anche il distacco definitivo da ciò che è vecchio, dal passato, dalla sofferenza e dall'umano troppo umano. È un punto di non ritorno; è la danza della vita e la risata cosmica.

Nel momento del segno, Zarathustra si trova pronto a danzare. Questa danza è una celebrazione della vita, dell'accettazione del suo carattere tragico e della sua bellezza effimera. Danza come risposta al segno, come espressione della gioia di colui che ha compreso il senso profondo dell'esistenza e che non teme più la ciclicità del tempo nè la caducità della vita. In quest'ultimo atto, emerge anche la figura della risata cosmica, quel riso che Zarathustra aveva dapprima rifiutato, ma che ora accoglie come simbolo di un'accettazione totale del destino. Non è una risata sarcastica o amara, ma un riso pieno di consapevolezza e leggerezza, come quello di un dio che contempla la danza dell'universo. È l'espressione di colui che ha compreso la vanità del potere, dell'ego, e di tutte le illusioni umane, e che si apre finalmente a una visione del mondo libera e gioiosa. Il segno è dunque il preludio alla metamorfosi definitiva di Zarathustra: da profeta della solitudine a creatura pienamente consapevole del suo essere oltre l'umano. I'oltreuomo, figura cardine dell'opera, si manifesta nel finale non come un eroe possente, ma come un uomo che ha trasceso ogni limite, che ha visto e accettato l'orrore del nulla e, nonostante ciò, ha scelto di amare la vita, di danzare con essa e di riderne. In questo modo, l'attesa del segno si compie nella sua rivelazione, e Zarathustra è finalmente pronto per il suo ritorno al mondo, non più come maestro, ma come creatore. L'ultima parola spetta dunque al segno, un'eco silenzioso di tutto ciò che è accaduto e che accadrà, il monito di un futuro che, pur ripetendosi eternamente, non sarà mai lo stesso.

 Giovanni Provvidenti


Nessun commento:

Posta un commento