domenica 18 settembre 2016

Cooperazione occidentale in Africa: fautrice di Cleptocrazia

Che senso ha coltivare il grano se viene regalato? così, chi regala controlla. E' il modello occidentale
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Mauro Conti, medico odontoiatra italiano, è a Ngozi, nel nord del Burundi, dove tiene un Corso di due settimane presso la locale Universitè de Ngozi, ‘Centre d’etudes medicales’. L’iniziativa, di cui è uno degli animatori e protagonisti, prende vita dalla S.M.O.M. (Solidarietà Medico Odontoiatrica nel Mondo), organizzazione no profit.
Per ‘L’Indro’ racconta il Burundi e l’Africa vista da un occidentale secondo i racconti ascoltati dai locali e le considerazioni da ‘uomo bianco’. Prima puntata ‘Africa: educarne uno per salvarne cento’, del 18 agosto; seconda puntata Burundi: calma apparente, guerra imminente’, del 23 agosto; terza puntata ‘Il Burundi secondo me, Muzungu’, del 25 agosto.
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Statunitensi, in competizione con i cinesi, europei divisi tra le diverse strategie di francesi, inglesi e tedeschi. Gli italiani ‘di rincorsa’ e senza strategie. Tutti divisi, tutti uniti dall’essere definiti muzungu in lingua swahili, diffusa in gran parte dell’Africa orientale, centrale e meridionale. Idioma nazionale di Tanzania, Kenya, Uganda, e complessivamente di oltre 80 milioni di persone nel continente è tra le lingue ufficiali dell’Unione Africana. Soprattutto, e in pratica, si tratta dell’unico linguaggio autoctono corposamente diffuso sopravvissuto (per quanto ‘imbastardito’) al colonialismo che è stato anche, in maniera decisiva, colonialismo del linguaggio. Abitualmente e quasi ossessivamente utilizzato per indicarci, il termine ‘muzungu’ viene in occidente solitamente tradotto come ‘uomo bianco’, o comunque senza la pelle color ebano. In realtà significa ben altro e di più. La sua radice etimologica sta in ‘strano’, ‘meraviglioso’. E solo con il tempo, e tutto quello che abbiamo combinato attraverso i locali meridiani e paralleli, siamo diventati da ‘strani’, ‘estranei’ e ‘stranieri’. Comunque ‘diversi’, in positivo o negativo che sia. E a partire da questa condizione da noi vissuta, dalle popolazioni locali percepita, viviamo e ‘giudichiamo’ l’Africa.

Carl von Clausewitz, geniale generale e teorico bellico prussiano del setteottocento, ideò la fortunata definizione secondo cui «La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi». Ebbene, per la Cooperazione internazionale è la stessa cosa. Come un coltello affilato può essere usato sia per tagliare il pane che per ferire qualcuno, così se il cooperante, avanguardista dell’occidente, arriva con l’arroganza di avere tutte le soluzioni e la pretesa di fare del benenon fa altro cheenfatizzare i problemi.
Quando i primi cooperanti del periodo del boom economico postbellico si accorsero che la terribile piaga della mortalità infantile, appena debellata dalle nostre parti, in Africa era ancora devastante, diedero, con ragione, colpa all’eccessiva magrezza delle madri e dei piccoli appena nati. Però da queste parti le donne sono quelle che lavorano veramente, e lo fanno fino all’ultimo giorno di gravidanza. Dire che l’alimentazione sia scarsa è tautologia, i neonati avevano, , un peso appena compatibile con la vita, ma compatibile con il bacino stretto di madri selezionate nei secoli da una natura tanto generosa quanto difficile. Senza considerare il contesto culturale, e credendo in buona fede di fare l’interesse di madri e bambini, i ‘nostri’ procurarono migliore alimentazione e riposo forzato alle puerpere. Con il risultato di avere neonati decisamente più grandi del canale vaginale delle madri e conseguente incremento della necessità di parti cesarei. Se avere bambini di soli 2.500 grammi con parto naturale portava ad un elevato livello di mortalità infantile, avere da queste parti neonati di più di 3 chili senza assistenza chirurgica al parto portava e può portare a stragi di madri e figli.
Un proverbio recita che «Il meglio è nemico del bene», così, utilizzare soluzioni adeguate a situazioni più evolute è come regalare ad un bambino abituato al ‘Game boy’ una ‘Play station 4’. Con la differenza che al massimo quel bambino non ci può giocare. Qui si fa danno. E’ di fondamentale importanza avere, invece, l’umiltà di chi desidera imparare e mettere a disposizione, su richiesta, soluzioni magari desuete ma ‘abbordabili’ e ripetibili nel contesto, piuttosto che la sicumera di chi ha soprattutto bisogno di espandere il proprio ego. E il proprio potere, e la propria zona di influenza, ieri politica oggi soprattutto economica. C’è molto da imparare in Africa eil politicallycorrect non aiuta. Gli africani sono africani, e non è un discorso razzista quanto culturale. Un afroamericano ha in comune con un indigeno africano quasi solo il colore della pelle, come un normanno della Sicilia con capelli biondi e occhi azzurri è più lontano da uno svedese di Zlatan Ibrahimović, nato da quelle parti da immigrati jugoslavi. E’ il pensiero ad essere diverso. E’ proprio laforma mentis ad essere diversa. Il fatto che siano poveri non significa che la loro cultura non sia profonda e articolata analogamente alla nostra, come dimostra la complessità e varietà delle lingue. La presunzione antropologica dell’Occidente, all’indomani della scoperta del ‘Nuovo mondo’ da parte di Cristoforo Colombo che ha portato all’inizio del colonialismo, fu che tutti gli aspetti culturali di una società fossero allo stesso livello. Ed essendo gli europei anni luce avanti rispetto al resto del mondo in campo ‘tecnologico’, si riteneva conseguentemente che tutti ambiti della vita degli altri popoli dovessero essere ad un identico grado di evoluzione. Solo ora ci rendiamo conto di quanta profondità vi sia nel pensiero matematico indiano, nell’astronomia dei Maya, nella sostenibilità ecologica dei nativi americani o australiani.
Gli africani sono africani, nel bene e nel male. Per loro il futuro è oggi, la risposta giusta è quella che vuoi sentire, l’esperienza li porta all’hobbesiano «Homo homini lupus». Sonorazzisti, classisti e machisti. Approssimativi e superstiziosi. E questi ‘giudizi’ provano a non essere tali, quanto descrizioni. Tento di non utilizzare il comportamento tipico dell’occidentale che giudica, e peggio ancora lo fa con il suo proprio metro di giudizio. La mia prova invece ad essere non una condannaquantouna constatazione. In questo essere medico aiuta. L’asettico studio dei segni, la semeiotica divenuta semiotica in tempi più recenti, ci insegna che una descrizione non è in sé stessa un giudizio e che una piccola, asintomatica, macchia nera sulla pelle può essere di gran lunga più letale di un dolorosissimo calcolo ai reni. Per fare un esempio, un indù che crede nella reincarnazione e in una divisione in caste dovute ai meriti o ai demeriti di una vita precedente non potrà avere lo stesso atteggiamento di commiserazione nei confronti di un povero storpio che hanno un cristiano o un buddista convinti della virtù della compassione. E’ proprio in questo modo che gliaiuti umanitari’, non tenendo conto delle mentalità locali o, peggio, ancora approfittandone, hanno distrutto intere economiee inventato lecleptocrazie’. Quando la voce più rilevante dell’economia reale di una Nazione sono gli aiuti umanitari, la vera ricchezza consiste nel controllarli. Non ha senso coltivare il grano se viene regalato. Così chi lo regala controlla e chi lo coltivava non ha più una funzione sociale.
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