
Continuiamo con il racconto del nostro inviato su ciò che da oltre un anno sta accadendo in Congo, ossia il vero e proprio sterminio messo in atto nei confronti dell’etnia Nande della città di Beni, Nord Kivu. Ora questi attacchi si estendono anche a Lubero e Butembo, e sembrano svelare il piano del governo congolese. Le
testimonianze raccolte smentiscono categoricamente che all’origine dei
massacri contro l’etnia Nande vi sia esclusivamente il gruppo islamico
ugandese Allied Democratic Forces – ADF. “Non
si comprende perché il governo di Kinshasa e la MONUSCO insistono ad
individuare le ADF come gli unici responsabili delle pulizie etniche nel
Nord Kivu, quando una intera popolazione da un anno dice il contrario
ed è ormai chiaro a tutti che la pista ADF non è credibile” afferma Teddy Muhindo Kataliko
il presidente della Società Civile della città di Beni. Secondo Teddy
le ADF hanno commesso alcuni massacri nel territorio di Beni ma la
maggioranza di essi sono imputabili ad altre milizie ben più strutturate
e numerose. Secondo Teddy le ADF sarebbero state sterminate un anno fa
durante le operazioni militari congiunte tra esercito congolese e Caschi
Blu con la partecipazione di osservatori militari ugandesi. Attualmente
il loro numero si aggirerebbe attorno ai 140 uomini, organizzati in
piccoli gruppi e dediti al banditismo.
L’analisi del presidente della Società Civile di Beni viene confermata da un rapporto
redatto da un gruppo di esperti ingaggiati dalle Nazioni Unite. Il
rapporto individua altri gruppi maggiormente responsabili delle pulizie
etniche: i terroristi ruandesi delle Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda – FDLR, le milizie bantu Forze di Resistenza Patriottica del Ituri – FRPI, e varie milizie congolesi denominate Mai Mai. I terroristi ruandesi FLDR (che controllano politicamente e militarmente il Burundi) si sono divisi in due gruppi. Le FDLR-FOCA comandato dal Generale Muhindo Aili Mundos (responsabile dello sterminio di 14.000 tutsi nel 1994 in Rwanda) e le CNRD-Ubwiyunge comandate dal Generale Wilson Irategeta.
Anche la prestigiosa Ong cngolese Centre d’Etude Appliquees sur la Paix et le Droits de l’Homme – CEAPDHO
si esprime confermando che i jihadisti ugandesi delle ADF
giocherebbero un ruolo marginale nei massacri. CEAPDHO individua i veri
responsabili delle pulizie etniche: le milizie congolesi Mai Mai e i
terrroristi ruandesi FDLR avvalorando le denunce del Presidente della
Società Civile di Beni Teddy Muhindo Kataliko.
La CEAPDHO informa che il piano orchestrato dal governo centrale prevede anche l’isolamento economico della comunità Nande.
Le varie milizie hanno reso praticamente impraticabili gli assi
stradali Kitshanga-Mweso-KalembePinga nel territorio del Masisi e
Kashuga-Masiza-Kitunda-Kabirangiriro-Kikuku, territorio di Rutshuru. Le
due strade collegano Butembo Beni e Bunia con il capoluogo di provincia
Goma, l’Uganda e il Rwanda. I miliziani hanno ormai il controllo totale
di queste strade e attaccano ogni camion o auto privata, saccheggiando
le merci e trucidando conducenti e passeggeri.
Le accuse offerte da CEAPDHO ai media internazionali tramite il
comunicato stampa Numero N°02/2016 del 29 agosto 2016 trovano conferma
presso i servizi segreti ugandese e ruandese. Secondo le indagini le
milizie Mai Mai sarebbero coordinate dai terroristi ruandesi delle FDLR
che tra luglio e agosto avrebbero fatto confluire in Congo dai 2000 ai
4000 uomini stanziati dal luglio 2014 in Burundi in difesa del regime
genocidario CNDD-FDD e del Signore della Guerra Pierre Nkurunziza.
Lo spostamento delle truppe dal Burundi al Congo sarebbe
avvenuto sotto gli occhi dei Caschi Blu senza trovare resistenze
nonostante dal 2012 nel mandato della MONUSCO in Congo sia stato
aggiunto il compito di distruggere i 40 gruppi armati presenti nel est
del Paese, FDLR comprese. Un’accusa credibile visto che nel
luglio 2014 successe la stessa cosa. Le truppe FDLR oltrepassarono il
confine con il Burundi in pieno giorno su colonne di camion senza che i
Caschi Blu intervenissero. A denunciarlo furono tre suore italiane che
furono massacrate nel settembre 2014. Si parla di omicidio plurimo di Stato ordinato dall’allora presidente Pierre Nkurunziza. Il Vaticano ha di fatto interrotto il supporto discreto al regime e rivendica tutt’ora giustizia su questo massacro e una inchiesta giudiziaria
languisce da ormai due anni presso la Prefettura di Parma. Il governo
italiano e le nostre rappresentanze diplomatiche della regione dei
Grandi Laghi fino ad ora si sono dimostrate restie a fornire ai media
informazioni sullo stato di avanzamento di questa inchiesta.
Forti sono gli indizi di una
convivenza tra l’esercito e il governo congolese con le milizie Mai Mai e
i terroristi ruandesi FDLR. Nonostante sporadici
bollettini di guerra inneggianti a grandi quanto improbabili vittorie
contro le ADF, l’esercito regolare non riesce o non vuole proteggere la
popolazione. Kinshasa ha inviato al est circa 12.000 soldati
tra cui reparti d’élite per combattere un gruppo (le ADF) dichiarato
annientato nel 2015. Eppure i massacri a Beni e nel distretto di Lubero
(Bunia e Butembo) non solo continuano ma stanno aumentando di intensità.
Il Governo afferma di fare il possibile per difendere la popolazione ma
il bilancio delle vittime aumenta drammaticamente ogni settimana. Gli
scontri e le vittorie dichiarate dai bollettini di guerra dello Stato
Maggiore delle FARDC sono difficilmente verificabili. Si parla sempre di
combattimenti in aree remote del Nord Kivu stranamente inabitate.
L’unico servizio certo offerto dall’esercito alla popolazione è l’individuazione dei massacri avvenuti nei villaggi e la protezione militare offerta alle famiglie nel recupero dei corpi. Anche la protezione della città di Beni sembra far parte di una grezza propaganda. L’esercito vanta continuamente battaglie e vittorie come quella teoricamente avvenuta il 16 agosto presso la località di Mangolikene dove 80 presunti terroristi ugandesi sarebbero stati uccisi. Eppure la città di Beni rimane indifesa e in balia dei massacri etnici. Un fattore strano risiede nella composizione dei reparti dell’esercito congolese inviati per fermare i massacri all’est. Sono tutti reparti provenienti da lontane province con nessun legame con la popolazione del est. La maggioranza di loro non parla nemmeno lo Swahili, lingua comune di tutte le etnie del est del Congo. Decisione inspiegabile in quanto questi soldati non conoscono il territorio come i loro colleghi stazionati permanentemente nelle caserme di Goma e Bukavu e sono vittime di insormontabili barriere linguistiche.
Il governo ha creato una situazione di efficace censura delle notizie provenienti dal est del Congo. Le uniche informazioni provengono dai bollettini di guerra delle FARDC. I giornalisti congolesi sono seriamente ostacolati nel loro lavoro di indagine. Alcuni sono stati minacciati di morte. Anche i giornalisti stranieri sono sotto il mirino del governo. Giovedì 18 agosto l’inviato speciale di Radio France International: Sonia Rolley e il giornalista della BBC basato a Goma: Ley Uwera, sarebbero stati vittime di una imboscata nei pressi di Mangolikene, nonostante che due giorni prima l’esercito aveva dichiarato di aver ripulito la zona dai ribelli annientandoli. Nonostante che la notizia dell’imboscata sia stata smentita dalla Rolley sul suo acconto Twitter, mentre Uwera ha preferito un prudente silenzio, i due giornalisti ora rimangono lontani dal epicentro delle violenze spostatosi nel distretto di Lubero.
Le uniche testimonianze delle inaudite atrocità subite dalla etnia Nande ci giungono dalle ONG e dal network internazionale della etnia Nande molto attivo su Facebook, Twitter e Whatsapp. Per controbilanciare l’opera di informazione fornita da queste associazioni agenti segreti congolesi starebbero attuando sui social network azioni di contro informazione con lo scopo di accusare Uganda e Rwanda di essere all’origine di questa pulizia etnica. Su diverse pagine Facebook aperte sotto false identità, si afferma che i responsabili dei massacri sono hutu ruandesi e gli ugandesi. Informazioni veritiere in quanto le ADF (se ancora esistono) sono formate da ugandesi e le FDLR da hutu ruandesi che parteciparono al genocidio in Rwanda nel 1994. Da questo constato è comunque difficile insinuare la complicità dei governi di Kampala e Kigali in quanto le due formazioni terroristiche rappresentano una mortale minaccia per la sopravvivenza della democrazia e della popolazione dei due Paesi. Il ADF intende costituire la Repubblica Islamica della Uganda basata sulla legge del taglione e lo sterminio degli infedeli mentre le FDLR intendono portare a termine il genocidio del 1994 cancellando dalla regione tutti i tutsi.
Il controllo informativo attuato da Kinshasa non permette ai media internazionali di coprire adeguatamente il tentato genocidio dei Nande per mancanza di informazioni e difficoltà a comprendere il complicato contesto storico, politico e sociale del Congo. In Italia una informazione abbastanza equilibrata viene garantita dal attivista congolese originario di Bukavu John Mpaliza, libero professionista che vive da anni in Italia e protagonista di varie marce di pace sul Congo e nella denuncia del traffico illegale dei minerali congolesi. Assieme alla associazione cattolica RovePace lo scorso agosto ha tentato di sensibilizzare l’opinione pubblica italiana sulle atrocità commesse all’est del Congo. Una opera di sensibilizzazione che purtroppo non riesce ad attirare l’attenzione della maggioranza dell’opinione pubblica italiana convinta che i problemi congolesi non riguardino la quotidianità in Italia. Una percezione ingannevole visto che tutti i microchip dei Smartphone, Tablet e computer sono composti da materiali (oro, diamanti e coltan) provenienti per il 80% dalle zone di conflitto del Congo.
L’unico servizio certo offerto dall’esercito alla popolazione è l’individuazione dei massacri avvenuti nei villaggi e la protezione militare offerta alle famiglie nel recupero dei corpi. Anche la protezione della città di Beni sembra far parte di una grezza propaganda. L’esercito vanta continuamente battaglie e vittorie come quella teoricamente avvenuta il 16 agosto presso la località di Mangolikene dove 80 presunti terroristi ugandesi sarebbero stati uccisi. Eppure la città di Beni rimane indifesa e in balia dei massacri etnici. Un fattore strano risiede nella composizione dei reparti dell’esercito congolese inviati per fermare i massacri all’est. Sono tutti reparti provenienti da lontane province con nessun legame con la popolazione del est. La maggioranza di loro non parla nemmeno lo Swahili, lingua comune di tutte le etnie del est del Congo. Decisione inspiegabile in quanto questi soldati non conoscono il territorio come i loro colleghi stazionati permanentemente nelle caserme di Goma e Bukavu e sono vittime di insormontabili barriere linguistiche.
Il governo ha creato una situazione di efficace censura delle notizie provenienti dal est del Congo. Le uniche informazioni provengono dai bollettini di guerra delle FARDC. I giornalisti congolesi sono seriamente ostacolati nel loro lavoro di indagine. Alcuni sono stati minacciati di morte. Anche i giornalisti stranieri sono sotto il mirino del governo. Giovedì 18 agosto l’inviato speciale di Radio France International: Sonia Rolley e il giornalista della BBC basato a Goma: Ley Uwera, sarebbero stati vittime di una imboscata nei pressi di Mangolikene, nonostante che due giorni prima l’esercito aveva dichiarato di aver ripulito la zona dai ribelli annientandoli. Nonostante che la notizia dell’imboscata sia stata smentita dalla Rolley sul suo acconto Twitter, mentre Uwera ha preferito un prudente silenzio, i due giornalisti ora rimangono lontani dal epicentro delle violenze spostatosi nel distretto di Lubero.
Le uniche testimonianze delle inaudite atrocità subite dalla etnia Nande ci giungono dalle ONG e dal network internazionale della etnia Nande molto attivo su Facebook, Twitter e Whatsapp. Per controbilanciare l’opera di informazione fornita da queste associazioni agenti segreti congolesi starebbero attuando sui social network azioni di contro informazione con lo scopo di accusare Uganda e Rwanda di essere all’origine di questa pulizia etnica. Su diverse pagine Facebook aperte sotto false identità, si afferma che i responsabili dei massacri sono hutu ruandesi e gli ugandesi. Informazioni veritiere in quanto le ADF (se ancora esistono) sono formate da ugandesi e le FDLR da hutu ruandesi che parteciparono al genocidio in Rwanda nel 1994. Da questo constato è comunque difficile insinuare la complicità dei governi di Kampala e Kigali in quanto le due formazioni terroristiche rappresentano una mortale minaccia per la sopravvivenza della democrazia e della popolazione dei due Paesi. Il ADF intende costituire la Repubblica Islamica della Uganda basata sulla legge del taglione e lo sterminio degli infedeli mentre le FDLR intendono portare a termine il genocidio del 1994 cancellando dalla regione tutti i tutsi.
Il controllo informativo attuato da Kinshasa non permette ai media internazionali di coprire adeguatamente il tentato genocidio dei Nande per mancanza di informazioni e difficoltà a comprendere il complicato contesto storico, politico e sociale del Congo. In Italia una informazione abbastanza equilibrata viene garantita dal attivista congolese originario di Bukavu John Mpaliza, libero professionista che vive da anni in Italia e protagonista di varie marce di pace sul Congo e nella denuncia del traffico illegale dei minerali congolesi. Assieme alla associazione cattolica RovePace lo scorso agosto ha tentato di sensibilizzare l’opinione pubblica italiana sulle atrocità commesse all’est del Congo. Una opera di sensibilizzazione che purtroppo non riesce ad attirare l’attenzione della maggioranza dell’opinione pubblica italiana convinta che i problemi congolesi non riguardino la quotidianità in Italia. Una percezione ingannevole visto che tutti i microchip dei Smartphone, Tablet e computer sono composti da materiali (oro, diamanti e coltan) provenienti per il 80% dalle zone di conflitto del Congo.
Ad aumentare i sospetti di un piano orchestrato dal governo
Kabila è l’incomprensibile repressione delle manifestazioni della
popolazione Nande esasperata di essere vittima del tentato genocidio.
Tutte le manifestazioni avvenute negli ultimi sei mesi a Beni, Bunia e
Butembo sono state duramente represse da polizia anti sommossa e
dall’esercito. Il 17 agosto è stato imposto a Beni e Butembo il copri
fuoco alla vigilia di una manifestazione provinciale contro il governo.
Il copri fuoco è stato annunciato dal Vice Primo Ministro incaricato
della Sicurezza Interna Evariste Boshab. Una misura che
è stata duramente criticata dalla società civile del Nord Kivu.
Nonostante il coprifuoco le manifestazioni sono state attuate il 18
agosto. Tutti i negozi di Beni e Butembo sono rimasti chiusi e le città
sono state testimoni di pacifiche manifestazioni indette per rivendicare
giustizia dei civili trucidati dall’esercito nelle precedenti
manifestazioni di maggio, giugno e luglio e per esigere l’immediata
liberazione dei 148 manifestanti detenuti da tre mesi tra cui 15 minori e
36 donne. Evariste Boshab nega queste cifre affermando che la polizia
nei precedenti mesi ha arrestato solo 7 manifestanti. La società civile
si interroga sulla sorte delle restanti 141 persone che languiscono
nelle carceri domandandosi quale sia il loro stato di salute fisica e
mentale.
Il governo di Kinshasa e il Presidente Kabila tramite queste azioni
stanno gettandosi addosso concreti sospetti di essere i mandanti del
tentato genocidio. Nessuno riesce a spiegare come un governo
responsabile forte di un esercito teoricamente composto da 80.000 uomini
non riesce a proteggere popolazioni vittime di pulizie etniche compiute
da un gruppo terroristico che conterebbe solo 140 uomini (gli ugandesi
delle ADF). Gli arresti e le sanguinarie repressioni delle
manifestazioni indette dalle vittime di questa pulizia etnica che
richiedono la protezione delle loro forze armate sembrano vere e proprie
confessioni di colpevolezza da parte di Kinshasa. Questo atteggiamento
sospetto e ambiguo ha vanificato gli intenti propagandistici di Joseph
Kabila durante la sua visita a Goma (capoluogo della Provincia del Nord
Kivu) avvenuta dopo il massacro di Beni del 13 agosto. Il Rais durante
la sua visita ha constatato il suo fallimento a convincere la
popolazione sugli sforzi governativi per riportare la pace. Ha inoltre
compreso che dal Nord Kivu e dal Sud Kivu non giungerà un solo voto se
si presenterà come candidato alle imminenti elezioni. Un fatto che
aumenterà la volontà di rinviare (leggi annullare) le elezioni in quanto
sarà estremamente difficile controbilanciare con frodi elettorali la
perdita di circa 4 milioni di voti registrati nel est del Congo a favore
di Kabila nelle precedenti elezioni.
Il baratro che separa le popolazioni del est e il governo Kabila è stato aumentato dalla decisione 1 presa il 12 settembre da Vital Kamerhe, leader politico Bashi originario di Bukavu e presidente del secondo partito nazionale di opposizione: Unione per la Nazione Congolese – UNC di non partecipare al dialogo nazionale organizzato dal presidente Kabila.
Kamerhe accusa il governo di utilizzare il dialogo nazionale come una
scusa per non indire le elezioni per la data fissata del 20 dicembre
2016. La scelta politica di Kamerhe rispecchia i sentimenti anti Kabila
delle popolazione all’est del Congo. Il UNC al est è il primo partito in
assoluto. Il leader storico dell’opposizione Etienne Tshisekedi e Albert Moleka hanno
seguito l’esempio del loro compagno di lotta rendendo il dialogo
nazionale un monologo tra il governo e piccoli partiti ad esso collegati
per convenienze finanziarie.
Sul fronte internazionale l’unica potenza straniera che si è
chiaramente pronunciata sono gli Stati Uniti. La Casa Bianca, attraverso
Antony Gambino e Thomas Periello si è
espressa contro il regime Kabila domandando senza mezzi termini al
presidente di rispettare il calendario elettorale del 20 dicembre 2016 e
di non presentarsi come candidato. Gambino è l’ex direttore per il
Congo della agenzia umanitaria governativa americana USAID (una lunga
mano della CIA), mentre Periello è l’Inviato Speciale per la Regione dei
Grandi Laghi autorizzato a parlare a nome della Amministrazione Obama.
«In Congo la crisi costituzionale si sta trasformando in un serio
problema di sicurezza per la popolazione e per l’intera regione. Più ci
si avvicina alla data delle elezioni più si constata che il governo non
ha alcuna intenzione di organizzarle. Al contrario sta creando all’est
del Paese tutte le condizioni per orribili e inquietanti scenari per
giustificare il rinvio delle elezioni. Gli Stati Uniti chiedono al
Presidente Joseph Kabila di garantire l’alternanza democratica senza
tentare di rimanere al potere divenendo un ostacolo per il processo
democratico in atto in Africa. La Costituzione congolese deve essere
rispettata sul numero di mandati presidenziali consentito. Le elezioni
presidenziali devono essere indette per la data prevista: 20 dicembre
2016 o, nelle peggiori ipotesi, non oltre il gennaio 2017» recita un
comunicato congiunto di Gambino e Periello.
In tutta risposta la Corte Costituzionale (controllata direttamente
dalla Famiglia Kabila ha riconfermato la decisione presa lo scorso
luglio di permettere al presidente la continuità dell’attuale mandato in
caso che le elezioni non siano organizzate secondo calendario.
L’attuale mandato di Kabila scade il 19 settembre. Dal 20 settembre al
31 dicembre il presidente avrebbe solo il potere di gestire la normale
amministrazione di Stato in attesa del nuovo presidente scaturito dai
risultati delle urne. La presa di posizione della Corte Costituzionale è
difesa con i denti dalla diplomazia congolese che già da per scontato
la prolungazione dell’attuale mandato di Kabila. «Le elezioni non si
potranno tenere il 20 dicembre. Ci vorrà almeno un anno per
organizzarle. Nel frattempo Joseph Kabila manterrà la sua posizione di
Capo di Stato con il compito di organizzare le elezioni e la promessa di
non presentarsi come candidato» ha affermato presso l’Unione Africana il diplomatico congolese M. Balumuene.
Il governo di Kinshasa ha iniziato ad accusare apertamente
l’opposizione e gli Stati Uniti di minacciare la sovranità del Congo,
tentare di provocare una rivoluzione popolare per cacciare via il
presidente Kabila e far sprofondare il Paese nel caos. Secondo Kinshasa
l’obiettivo degli americani sarebbe quello di balcanizzare il Congo per
offrire le ricche province del est a Rwanda e Uganda. «L’Implosione
della Repubblica Democratica del Congo è un scenario che deve essere
scongiurato a tutti i costi per evitare di fare la fine della Libia o
della Repubblica Centrafricana. Solo il presidente Joseph Kabila ha i
mezzi e le capacità per salvare il Congo dall’orrendo futuro pianificato
da una opposizione irresponsabile finanziata da noti partner
stranieri» recita un duro comunicato governativo del 28 agosto scorso.
Il dialogo nazionale (indetto lo scorso marzo) fa parte di questa
strategia di rinvio elettorale. Il dialogo servirebbe per appianare le
divergenze tra i partiti ed evitare violenze post elettorali. In realtà è
un mero stratagemma del regime per rinviare le elezioni. Si parla di
una data (assai ipotetica): agosto 2017.
Presso l’Unione Europea si registra una sospetta passività sulla
tragedia. L’unico intervento di rilievo sul tentato genocidio all’est
del Congo è stato registrato lo scorso 7 giugno quando il
europarlamentare e presidente del gruppo S&D al Parlamento Europeo, Gianni Piletta,
ha denunciato durante una seduta del Parlamento Europeo le pulizie
etniche all’est del Congo definendo i massacri come un tentativo di
genocidio. Piletta ha chiesto alla Unione Europea un immediato
intervento per evitare un altro “Rwanda”. Inspiegabilmente l’appello di
Piletta è caduto nel vuoto. L’Unione Europea non ha deciso di attivare
inchieste indipendenti, interpellare il governo congolese, aprire un
dialogo con il presidente Kabila che tra meno di due settimane si
aggiungerà alla lista dei presidenti illegali assieme al burundese
Pierre Nkurunziza. Alcuna minaccia di sanzioni è stata ventilata. Quale
l’origine di questo silenzio? Il Congo è un affare privato della Francia
che lo ha affidato per anni ad un suo uomo di fiducia: il Maggiore
Generale Jean Baillaud di cui L’Indro offrirà ai lettori un reportage dedicato.
Domani, 16 settembre, la terza parte dell’inchiesta