venerdì 16 settembre 2016

Congo, lo sterminio dei Nande: il mistero dei jihadisti fantasma Tra i maggiori colpevoli le milizie congolesi Mai Mai e i terroristi ruandesi FDLR



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Continuiamo con il racconto del nostro inviato su ciò che da oltre un anno sta accadendo in Congo, ossia il vero e proprio sterminio messo in atto nei confronti dell’etnia Nande della città di Beni, Nord Kivu. Ora questi attacchi si estendono anche a Lubero e Butembo, e sembrano svelare il piano del governo congolese. Le testimonianze raccolte smentiscono categoricamente che all’origine dei massacri contro l’etnia Nande vi sia esclusivamente il gruppo islamico ugandese Allied Democratic Forces ADF. “Non si comprende perché il governo di Kinshasa e la MONUSCO insistono ad individuare le ADF come gli unici responsabili delle pulizie etniche nel Nord Kivu, quando una intera popolazione da un anno dice il contrario ed è ormai chiaro a tutti che la pista ADF non è credibile” afferma Teddy Muhindo Kataliko il presidente della Società Civile della città di Beni. Secondo Teddy le ADF hanno commesso alcuni massacri nel territorio di Beni ma la maggioranza di essi sono imputabili ad altre milizie ben più strutturate e numerose. Secondo Teddy le ADF sarebbero state sterminate un anno fa durante le operazioni militari congiunte tra esercito congolese e Caschi Blu con la partecipazione di osservatori militari ugandesi. Attualmente il loro numero si aggirerebbe attorno ai 140 uomini, organizzati in piccoli gruppi e dediti al banditismo.
L’analisi del presidente della Società Civile di Beni viene confermata da un rapporto redatto da un gruppo di esperti ingaggiati dalle Nazioni Unite. Il rapporto individua altri gruppi maggiormente responsabili delle pulizie etniche: i terroristi ruandesi delle Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda – FDLR, le milizie bantu Forze di Resistenza Patriottica del Ituri – FRPI, e varie milizie congolesi denominate Mai Mai. I terroristi ruandesi FLDR (che controllano politicamente e militarmente il Burundi) si sono divisi in due gruppi. Le FDLR-FOCA comandato dal Generale Muhindo Aili Mundos (responsabile dello sterminio di 14.000 tutsi nel 1994 in Rwanda) e le CNRD-Ubwiyunge comandate dal Generale Wilson Irategeta.
Anche la prestigiosa Ong cngolese Centre d’Etude Appliquees sur la Paix et le Droits de l’Homme – CEAPDHO  si esprime confermando che i jihadisti ugandesi delle ADF giocherebbero un ruolo marginale nei massacri. CEAPDHO individua i veri responsabili delle pulizie etniche: le milizie congolesi Mai Mai e i terrroristi ruandesi FDLR avvalorando le denunce del Presidente della Società Civile di Beni Teddy Muhindo Kataliko.
La CEAPDHO informa che il piano orchestrato dal governo centrale prevede anche l’isolamento economico della comunità Nande. Le varie milizie hanno reso praticamente impraticabili gli assi stradali Kitshanga-Mweso-KalembePinga nel territorio del Masisi e Kashuga-Masiza-Kitunda-Kabirangiriro-Kikuku, territorio di Rutshuru. Le due strade collegano Butembo Beni e Bunia con il capoluogo di provincia Goma, l’Uganda e il Rwanda. I miliziani hanno ormai il controllo totale di queste strade e attaccano ogni camion o auto privata, saccheggiando le merci e trucidando conducenti e passeggeri.
Le accuse offerte da CEAPDHO ai media internazionali tramite il comunicato stampa Numero N°02/2016  del 29 agosto 2016 trovano conferma presso i servizi segreti ugandese e ruandese. Secondo le indagini le milizie Mai Mai sarebbero coordinate dai terroristi ruandesi delle FDLR che tra luglio e agosto avrebbero fatto confluire in Congo dai 2000 ai 4000 uomini stanziati dal luglio 2014 in Burundi in difesa del regime genocidario CNDD-FDD e del Signore della Guerra Pierre Nkurunziza.
Lo spostamento delle truppe dal Burundi al Congo sarebbe avvenuto sotto gli occhi dei Caschi Blu senza trovare resistenze nonostante dal 2012 nel mandato della MONUSCO in Congo sia stato aggiunto il compito di distruggere i 40 gruppi armati presenti nel est del Paese, FDLR comprese. Un’accusa credibile visto che nel luglio 2014 successe la stessa cosa. Le truppe FDLR oltrepassarono il confine con il Burundi in pieno giorno su colonne di camion senza che i Caschi Blu intervenissero. A denunciarlo furono tre suore italiane che furono massacrate nel settembre 2014. Si parla di omicidio plurimo di Stato ordinato dall’allora presidente Pierre Nkurunziza. Il Vaticano ha di fatto interrotto il supporto discreto al regime e rivendica tutt’ora giustizia su questo massacro e una inchiesta giudiziaria languisce da ormai due anni presso la Prefettura di Parma. Il governo italiano e le nostre rappresentanze diplomatiche della regione dei Grandi Laghi fino ad ora si sono dimostrate restie a fornire  ai media  informazioni sullo stato di avanzamento di questa inchiesta.

Ad aumentare i sospetti di un piano orchestrato dal governo Kabila è l’incomprensibile repressione delle manifestazioni della popolazione Nande esasperata di essere vittima del tentato genocidio. Tutte le manifestazioni avvenute negli ultimi sei mesi a Beni, Bunia e Butembo sono state duramente represse da polizia anti sommossa e dall’esercito. Il 17 agosto è stato imposto a Beni e Butembo il copri fuoco alla vigilia di una manifestazione provinciale contro il governo. Il copri fuoco è stato annunciato dal Vice Primo Ministro incaricato della Sicurezza Interna Evariste Boshab. Una misura che è stata duramente criticata dalla società civile del Nord Kivu. Nonostante il coprifuoco le manifestazioni sono state attuate il 18 agosto. Tutti i negozi di Beni e Butembo sono rimasti chiusi e le città sono state testimoni di pacifiche manifestazioni indette per rivendicare giustizia dei civili trucidati dall’esercito nelle precedenti manifestazioni di maggio, giugno e luglio e per esigere l’immediata liberazione dei 148 manifestanti detenuti da tre mesi tra cui 15 minori e 36 donne. Evariste Boshab nega queste cifre affermando che la polizia nei precedenti mesi ha arrestato solo 7 manifestanti. La società civile si interroga sulla sorte delle restanti 141 persone che languiscono nelle carceri domandandosi quale sia il loro stato di salute fisica e mentale.
Il governo di Kinshasa e il Presidente Kabila tramite queste azioni stanno gettandosi addosso concreti sospetti di essere i mandanti del tentato genocidio. Nessuno riesce a spiegare come un governo responsabile forte di un esercito teoricamente composto da 80.000 uomini non riesce a proteggere popolazioni vittime di pulizie etniche compiute da un gruppo terroristico che conterebbe solo 140 uomini (gli ugandesi delle ADF). Gli arresti e le sanguinarie repressioni delle manifestazioni indette dalle vittime di questa pulizia etnica che richiedono la protezione delle loro forze armate sembrano vere e proprie confessioni di colpevolezza da parte di Kinshasa. Questo atteggiamento sospetto e ambiguo ha vanificato gli intenti propagandistici di Joseph Kabila durante la sua visita a Goma (capoluogo della Provincia del Nord Kivu) avvenuta dopo il massacro di Beni del 13 agosto. Il Rais durante la sua visita ha constatato il suo fallimento a convincere la popolazione sugli sforzi governativi per riportare la pace. Ha inoltre compreso che dal Nord Kivu e dal Sud Kivu non giungerà un solo voto se si presenterà come candidato alle imminenti elezioni. Un fatto che aumenterà la volontà di rinviare (leggi annullare) le elezioni in quanto sarà estremamente difficile controbilanciare con frodi elettorali la perdita di circa 4 milioni di voti registrati nel est del Congo a favore di Kabila nelle precedenti elezioni.
Il baratro che separa le popolazioni del est e il governo Kabila è stato aumentato dalla decisione 1 presa il 12 settembre da Vital Kamerhe, leader politico Bashi originario di Bukavu e presidente del secondo partito nazionale di opposizione: Unione per la Nazione Congolese – UNC di non partecipare al dialogo nazionale organizzato dal presidente Kabila. Kamerhe accusa il governo di utilizzare il dialogo nazionale come una scusa per non indire le elezioni per la data fissata del 20 dicembre 2016. La scelta politica di Kamerhe rispecchia i sentimenti anti Kabila delle popolazione all’est del Congo. Il UNC al est è il primo partito in assoluto. Il leader storico dell’opposizione Etienne Tshisekedi e Albert Moleka hanno seguito l’esempio del loro compagno di lotta rendendo il dialogo nazionale un monologo tra il governo e piccoli partiti ad esso collegati per convenienze finanziarie.

Sul fronte internazionale l’unica potenza straniera che si è chiaramente pronunciata sono gli Stati Uniti. La Casa Bianca, attraverso Antony Gambino e Thomas Periello si è espressa contro il regime Kabila domandando senza mezzi termini al presidente di rispettare il calendario elettorale del 20 dicembre 2016 e di non presentarsi come candidato. Gambino è l’ex direttore per il Congo della agenzia umanitaria governativa americana USAID (una lunga mano della CIA), mentre Periello è l’Inviato Speciale per la Regione dei Grandi Laghi autorizzato a parlare a nome della Amministrazione Obama. «In Congo la crisi costituzionale si sta trasformando in un serio problema di sicurezza per la popolazione e per l’intera regione. Più ci si avvicina alla data delle elezioni più si constata che il governo non ha alcuna intenzione di organizzarle. Al contrario sta creando all’est del Paese tutte le condizioni per orribili e inquietanti scenari per giustificare il rinvio delle elezioni. Gli Stati Uniti chiedono al Presidente Joseph Kabila di garantire l’alternanza democratica senza tentare di rimanere al potere divenendo un ostacolo per il processo democratico in atto in Africa. La Costituzione congolese deve essere rispettata sul numero di mandati presidenziali consentito. Le elezioni presidenziali devono essere indette per la data prevista: 20 dicembre 2016 o, nelle peggiori ipotesi, non oltre il gennaio 2017» recita un comunicato congiunto di Gambino e Periello.
In tutta risposta la Corte Costituzionale (controllata direttamente dalla Famiglia Kabila ha riconfermato la decisione presa lo scorso luglio di permettere al presidente la continuità dell’attuale mandato in caso che le elezioni non siano organizzate secondo calendario. L’attuale mandato di Kabila scade il 19 settembre. Dal 20 settembre al 31 dicembre il presidente avrebbe solo il potere di gestire la normale amministrazione di Stato in attesa del nuovo presidente scaturito dai risultati delle urne. La presa di posizione della Corte Costituzionale è difesa con i denti dalla diplomazia congolese che già da per scontato la prolungazione dell’attuale mandato di Kabila. «Le elezioni non si potranno tenere il 20 dicembre. Ci vorrà almeno un anno per organizzarle. Nel frattempo Joseph Kabila manterrà la sua posizione di Capo di Stato con il compito di organizzare le elezioni e la promessa di non presentarsi come candidato» ha affermato presso l’Unione Africana il diplomatico congolese M. Balumuene.
Il governo di Kinshasa ha iniziato ad accusare apertamente l’opposizione e gli Stati Uniti di minacciare la sovranità del Congo, tentare di provocare una rivoluzione popolare per cacciare via il presidente Kabila e far sprofondare il Paese nel caos. Secondo Kinshasa l’obiettivo degli americani sarebbe quello di balcanizzare il Congo per offrire le ricche province del est a Rwanda e Uganda. «L’Implosione della Repubblica Democratica del Congo è un scenario che deve essere scongiurato a tutti i costi per evitare di fare la fine della Libia o della Repubblica Centrafricana. Solo il presidente Joseph Kabila ha i mezzi e le capacità per salvare il Congo dall’orrendo futuro pianificato da una opposizione irresponsabile finanziata da noti partner stranieri» recita un duro comunicato governativo del 28 agosto scorso. Il dialogo nazionale (indetto lo scorso marzo) fa parte di questa strategia di rinvio elettorale. Il dialogo servirebbe per appianare le divergenze tra i partiti ed evitare violenze post elettorali. In realtà è un mero stratagemma del regime per rinviare le elezioni. Si parla di una data (assai ipotetica): agosto 2017.
Presso l’Unione Europea si registra una sospetta passività sulla tragedia. L’unico intervento di rilievo sul tentato genocidio all’est del Congo è stato registrato lo scorso 7 giugno quando il europarlamentare e presidente del gruppo S&D al Parlamento Europeo, Gianni Piletta, ha denunciato durante una seduta del Parlamento Europeo le pulizie etniche all’est del Congo definendo i massacri come un tentativo di genocidio. Piletta ha chiesto alla Unione Europea un immediato intervento per evitare un altro “Rwanda”. Inspiegabilmente l’appello di Piletta è caduto nel vuoto. L’Unione Europea non ha deciso di attivare inchieste indipendenti, interpellare il governo congolese, aprire un dialogo con il presidente Kabila che tra meno di due settimane si aggiungerà alla lista dei presidenti illegali assieme al burundese Pierre Nkurunziza. Alcuna minaccia di sanzioni è stata ventilata. Quale l’origine di questo silenzio? Il Congo è un affare privato della Francia che lo ha affidato per anni ad un suo uomo di fiducia: il Maggiore Generale Jean Baillaud di cui L’Indro offrirà ai lettori un reportage dedicato.
Domani, 16 settembre, la terza parte dell’inchiesta

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