domenica 14 ottobre 2012
mercoledì 3 ottobre 2012
LA STUPIDITA'
Le persone intelligenti tendono sempre,
inesorabilmente, a sottovalutare i rischi connessi alla stupidità, senza rendersi conto, che la stupidità sarebbe ancora più pericolosa della crudeltà che può
essere prevista e affrontata.
Forse allo scopo di
esorcizzarne il timore, da sempre si tende a rappresentare la stupidità in
chiave comica. Sono stupidi molti protagonisti di commedie di successo, alcune
figure della letteratura, sono stupidi i carabinieri protagonisti di molte
barzellette, e lo sono molto spesso gli asini delle favole, da quello di
Buridano al ciuco in cui si trasforma Pinocchio quando smette di studiare per
poter solo gozzovigliare.
“La stupidità ha un suo fascino, ed è persino
riposante” scriveva lo scrittore e umorista Ennio Flaiano.”Le persone e i libri
più sciocchi sono quelli che più ci ammaliano, che più ci tentano e che ci
tolgono ogni difesa”.
Ma attenzione: ridere della
stupidità potrebbe renderla “simpatica” e quindi portare a sottovalutarla
ulteriormente. Se infatti nella finzione lo stupido è perfettamente
riconoscibile come tale, ben diversa è la situazione nella realtà.
La stupidità, anzitutto, è
inconsapevole e recidiva. Il pericolo della stupidità deriva anche dal fatto
che lo stupido non sa di essere stupido. Ciò contribuisce a dare maggiore forza
ed efficacia alla sua azione devastatrice. Lo stupido infatti non riconosce i
propri limiti, resta fossilizzato nelle proprie convinzioni, non sa cambiare.
Nell’ambito clinico la stupidità è la malattia peggiore, perché è inguaribile. Lo
stupido è portato a ripetere sempre gli stessi comportamenti perché non è in
grado di capire il danno che fa e quindi non può autocorreggersi.
La stupidità è anche
contagiosa. Questo spiega anche come interi popoli possono essere facilmente
condizionati a perseguire obiettivi folli. Un fenomeno ben noto in psicologia.
Il contagio emotivo proprio del gruppo diminuisce le capacità critiche, crea
corto-circuiti cognitivi. Si verifica la cosiddetta “polarizzazione della presa
di decisione”, si sceglie la soluzione più semplice, che spesso è anche la meno
intelligente.
Oltre alla collettività, c’è
un altro fattore che sembra amplificare la stupidità: il trovarsi in una
posizione di comando. “Si paga caro l’acquisto del potere: il potere rende
stupidi” scriveva il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche. Perché? Le persone
al potere sono spesso indotte a pensare che proprio perché sono al potere sono
migliori, più capaci, più intelligenti, più sagge del resto dell’umanità.
Inoltre sono circondate da cortigiani, seguaci e profittatori che rinforzano
continuamente questa illusione. Così chi è al governo arriva a compiere le più
grosse sciocchezze in mezzo all’accondiscendenza generale: come nella favola
dell’imperatore che, convinto di indossare abiti bellissimi, sfilava invece tra
i suoi sudditi completamente nudo. Una favola che non esaspera poi tanto quello
che accade nella realtà. Spesso nella quotidianità accade anche a chi si crede
migliore degli altri.
Ma… e se lo stupido fossi io?
A questo punto urge una
riflessione. Poiché una caratteristica degli stupidi è non sapere di esserlo,
se pensiamo di non esserlo, non possiamo in realtà escludere che lo siamo,
almeno qualche volta o almeno sotto qualche aspetto. Ma quello di pensare che solo gli altri siano
stupidi è un circolo vizioso altrettanto stupido. Si può infatti arrivare a
convincersi che tutto sia stupido, e che al dominio della stupidità ci si debba
adeguare. Ma in questo modo si finisce per essere, o sembrare, stupido. Invece
in ognuno di noi c’è un fattore di stupidità che è sempre maggiore di quello
che pensiamo . E che probabilmente ha anche una sua funzione evolutiva: serve
infatti a farci compiere atti avventati, che in molti casi possono essere più
utili che il non fare nulla. La stupidità, insomma, ci permette di sbagliare, e
nell’esperienza dell’errore c’è sempre un progresso della conoscenza.
Nell’elogio della pazzia, Erasmo da Rotterdam sostiene addirittura che senza
certe stupidaggini non saremmo neppure venuti al mondo. La stupidità, in quanto
atteggiamento irrazionale, consente all’uomo di accettare sfide che normalmente
non accetterebbe. Il punto chiave, quindi, è riconoscere i propri errori e
correggersi. E’ invece pericoloso non sbagliare o illudersi di essere
infallibili, dire -ho sbagliato- non è solo onesto: è un modo intelligente per
ridurre il potere della stupidità. Il più stupido degli stupidi è chi crede di
non sbagliare mai.(Angela)
sabato 22 settembre 2012
POSSIAMO CONDIVIDERE TUTTI ALMENO QUESTO PROGRAMMA ?
In un periodo così difficile,
l'Italia ha bisogno di un Parlamento e di un Governo con una base di consenso
ampia, largamente maggioritaria nel Paese, che basi il suo consenso ed i suoi
interventi sulle cose che certamente ci uniscono, a larga maggioranza, non su
quelle che ci dividono.
Significa cercare di spezzare
l'eterna contrapposizione tra una destra ed una sinistra comunque definite che
ha di fatto paralizzato o comunque rallentato la crescita complessiva del Paese
in decenni; significa avere un governo di base del Paese su temi condivisibili
mantenendo invece il conflitto sugli altri temi al di fuori delle aule
parlamentari, lasciando che sia la società civile con le sue strutture e con le
sue forze a determinare le scelte, con un supporto organizzativo neutrale degli
organi di governo. In altre parole una specie di governo tecnico ma con una
base elettorale e parlamentare omogenea, non frammentata e di orientamento
opposto come quella attuale.
Vediamo quindi se è possibile
determinare questa base comune da condividere; qui le mie proposte, da
correggere ed integrare con le vostre :
1) Conservazione dell'Euro zona e della moneta
unica, non rinunciando a negoziare con i partner europei, oggi come in futuro,
le condizioni di questa partecipazione collettiva.
2) Rinuncia definitiva al debito pubblico come
strumento di crescita economica e di tampone delle difficoltà di bilancio dello
Stato, con istituzione della legge costituzionale sul pareggio di bilancio e
progressiva seppure lenta riduzione del debito pubblico dello Stato.
3) Politica di rientro del debito pubblico detenuto
da investitori esteri al fine di trasformare tale debito in una sorta di
azionariato diffuso dello Stato tra i cittadini risparmiatori italiani, con
remunerazione equa e concordata dei Buoni del Tesoro statale, in modo da
costituire, sopratutto per i piccoli risparmiatori, una fonte sicura di equo
reddito dei propri risparmi in alternativa ad altre più rischiose forme di
investimento.
4) Ristrutturazione profonda della macchina
politica e della pubblica amministrazione, con :
a)
Abolizione del Senato della Repubblica
b)
Camera unica, con drastica riduzione del numero dei parlamentari e dei relativi emolumenti e privilegi.
c)
Finanziamento dei partiti su base volontaria con 1 € per voto ricevuto, via SMS
; bilanci e spese
trasparenti e pubblicate su Internet.
d)
Ripristino dei ruoli costituzionali di Parlamento (funzione legislativa) e
Governo (funzione esecutiva). Implica un Parlamento
snello, capace di legiferare su iniziativa propria, con definitivo abbandono delle
decretazione governativa e revisione delle regole
parlamentari allo scopo di impedire
rallentamenti ed ostruzionismi
e)
Decentramento amministrativo con redistribuzione di entrate fiscali ed uscite
tra Stato, Regioni e Comuni. Significa delegare alle
amministrazioni locali l'imposizione fiscale a copertura delle spese correnti delle
amministrazioni, mantenendo a carico della fiscalità statale la
copertura delle spese per investimenti in infrastrutture e la perequazione
volta a garantire che le amministrazioni locali
siano comunque in grado di assicurare sempre i servizi essenziali.
f)
Abolizione delle Province ed accorpamento delle funzioni delle Province nelle
funzioni delle Regioni e Comuni.
g)
Riforma fiscale conseguente alla redistribuzione dei compiti tra Stato, Regioni
e Comuni con la creazione di aliquote fiscali
separate e trasparenti per le voci di spesa pubblica più significative come la Sanità ed altre
spese. Spesa sanitaria coperta da entrate regionali con aliquota fiscale separata.
h)
Ristrutturazione della Pubblica Amministrazione a tutti i livelli, con
revisione e riduzione degli incarichi manageriali (numero) e
relativi emolumenti (tetto) e riorganizzazione volta a potenziare il
lavoro produttivo di valore rispetto a quello di carattere non produttivo anche se necessario, ed eliminazione delle
funzioni ridondanti e meramente burocratiche. L'idea è quella di effettuare una
ristrutturazione che non incida inizialmente sui livelli occupazionali, con un
impegno formativo importante dei lavoratori sui nuovi incarichi. Nel tempo la pubblica
amministrazione dovrà ridurre il numero di addetti.
5) Redistribuzione dei redditi agendo sulla leva
fiscale, in modo da disincentivare la creazione di patrimoni non finalizzati ad
investimenti produttivi e favorire invece l'investimento dei profitti d'impresa
in crescita aziendale e creazione di posti di lavoro.
6) Redistribuzione del peso fiscale sugli immobili
scoraggiando investimenti in abitazioni non impiegate come abitazione
principale.
7) Imposizione fiscale dovuta su entrate effettive
e non su titoli di credito (IVA e imposte sul reddito delle imprese da pagarsi
per cassa e non per competenza).
8) Separazione netta della situazione debitoria
statale da quella delle amministrazioni locali.
Se una amministrazione locale si indebita e poi non riesce a pagare i
suoi debiti, fallisce come una qualsiasi impresa privata, con tutte le
conseguenze civili e penali a carico dei suoi amministratori. Lo Stato non
potrà intervenire ed i cittadini dovranno responsabilmente farsi carico di
ricostruire la loro amministrazione locale per rimettere in funzione i servizi
locali interrotti. I cittadini debbono sentirsi responsabili di quello che
fanno i loro amministratori e dovranno controllarne assiduamente l'operato al
fine di impedire abusi e situazioni come quella estrema ipotizzata.
9) Riforma della RAI con una sola rete pubblica
nazionale (vendita a privati delle altre reti RAI) senza pubblicità e dedicata
a tematiche di interesse pubblico mentre gli spettacoli saranno lasciati alle
reti private. Consiglio di amministrazione sottratto al controllo della
politica ed eletto da una consulta espressione delle Parti sociali.
10) Politica
di contrasto all'evasione fiscale basata anche sul conflitto di interessi tra
le parti (scarico fiscale di fatture).
11) Istituzione
dello strumento del referendum propositivo con l'obiettivo di produrre
norme conseguenti a dibattiti e conflitti di interesse tra le parti sociali.
12) Politica
estera in linea con quella tradizionale dell'Italia
Quanto non coperto da questo
elenco programmatico dovrà essere oggetto di dibattito propositivo tra le parti
sociali che avranno il compito di produrre proposte di legge da sottoporre
all'esame di una commissione parlamentare, col solo fine di strutturare le
proposte in termini giuridicamente corretti prima di sottoporle, sotto forma di
sommario di contenuti, a referendum popolare.
Questo metodo implica la massima
partecipazione attiva delle parti sociali organizzate alle scelte di interesse
collettivo e riguarda :
a) Le politiche del mercato del
lavoro
b) La riforma della giustizia
c) Le politiche sociali con
impatto di natura etica e religiosa
d) Le scelte urbanistiche
e) La scelta di collocazione di
infrastrutture
f) Le relazioni tra le parti
sociali
g) Il mondo della scuola e della
formazione in genere
h) La politica di difesa
nazionale e di intervento su scenari internazionale...
Franco
Puglia - 24-5-2012
venerdì 14 settembre 2012
L'ECONOMIA GLOBALIZZATA
Una volta tanto in Anno Zero di Santoro (10.3.2011) il tema centrale non fu Berlusconi ; si sentiva il bisogno di parlare d'altro. Interlocutori di pregio (Tremonti, ecc) e tematica esistenziale (l'economia mondiale, la finanza, etc). Interventi equilibrati e nessun vero scontro di opinioni.
Ma molte cose non furono dette; perché ? Poco tempo ? No, non solo questo.
Ci sono verità talmente scomode che nessuno vuole non solo pronunciarle ma neppure pensarle, da destra a sinistra.
Per capire un mondo complesso, bisogna partire dal mondo quando era più semplice, perché gli strumenti sono mutati, ma i bisogni umani di base ed i meccanismi dei rapporti economici tra gli uomini sono immutati da millenni.
- I bisogni fondamentali : mangiare, bere, dormire, ripararsi dalle intemperie (capanna o
casa), ripararsi dal freddo (vestiti), fare sesso, riprodursi.
- I bisogni accessori : qualsiasi altra cosa, gioco, sport, arte, oggetti vari, ecc.
L'uomo primitivo uccide animali per procurarsi cibo e vestiario, poi coltiva anche la terra (cibo) e costruisce capanne ed abitazioni con i materiali che trova. Gli strumenti : le sue mani ed il suo cervello. La produttività : bassissima, perché produci solo quello che le tue mani ti consentono in una giornata di lavoro. Come faccio a migliorare la mia vita ? Costringo altri a lavorare per me (io sono più forte, uso la violenza per convincerli) oppure uso la mia forza per rubare quello che mi serve a chi ne dispone (cibo, oggetti, femmine, ecc): la guerra.
Continua così per secoli : si creano le classi dominanti, che hanno potere e ricchezza, grazie allo sfruttamento delle risorse di lavoro di altri (la plebe). Ma i ricchi sono pochi, la plebe è numerosa. Cambia tutto con le prime macchine (la macchina a vapore) perché diventa possibile moltiplicare il lavoro di un uomo : dove servivano 10 uomini ne basta 1.
La macchina crea ricchezza, perché moltiplica le risorse individuali. Questa ricchezza però si concentra nelle mani dei già ricchi, che disponevano dei mezzi economici per poter costruire le macchine. Tuttavia col tempo abbiamo anche una ricaduta di ricchezza sulla plebe, perché nasce il meccanismo dei consumi : chi possiede le macchine può diventare più ricco producendo più cose che qualcuno può essere interessato a comperare (prima i ricchi, poi anche altri) e serve anche più mano d'opera. Aumenta la produzione, aumentano i lavoratori industriali, una parte della ricchezza si distribuisce, aumentano i consumi. Il fenomeno si amplifica in progressione più che lineare (esponenziale) nel 20° secolo. Le imprese sono dapprima padronali (una persona o una famiglia detiene la proprietà dell'impresa) poi ad azionariato più o meno diffuso. La finanza (inizialmente confinata al ruolo di deposito di denaro o prestito, magari ad usura) si diversifica e si espande assumendo caratteristiche di complessità tali da sfuggire, nella loro interezza, anche agli addetti ai lavori.
Oggi esistono imprese in cui è quasi impossibile determinare il complesso intreccio delle quote di proprietà. La gestione dell'impresa è affidata a managers, che obbediscono a regole non etiche, e sono ingranaggi di un sistema che non ha più caratteristiche umane perché obbedisce alle regole di una astrazione (il mercato) che sono ferree. Se il manager non sta alle regole, il meccanismo lo espelle ed un altro subentra. Il manager non può essere umano: è parte di un meccanismo che era umano solo in origine.
La finanza è fine a se stessa : non ha finalità o limitazioni etiche; il suo fine è il profitto.
La produzione e la finanza si sono globalizzate: significa che la proprietà azionaria può essere ovunque, svincolata dagli interessi locali, guidata soltanto dal criterio del profitto.
Anche i singoli stati controllano sempre meno il potere della finanza e della produzione distribuite su scala trans-nazionale.
Si produce dove conviene, si delocalizza, si sfruttano le risorse disponibili laddove esistono (mano d'opera a basso costo, competenze, leggi locali favorevoli, fiscalità bassa, materie prime a minor costo, logistica, ecc.).
Le esigenze del profitto portano alle concentrazioni produttive, alle economie di scala, alla distruzione dei piccoli produttori (quando possibile) a favore delle grandi imprese.
La ricchezza si concentra nelle mani dei più ricchi e viene sottratta da quelle dei più deboli.
Questo sistema è andato in crisi perché il suo potenziale di crescita dipende dal rapporto tra il potenziale produttivo delle risorse agricole ed industriali ed i costi necessari a sostenere tale potenziale (costo di materie prime e lavoro) in funzione della capacità di assorbimento del mercato, costituito in gran parte dalle masse lavoratrici.
Il sistema sta in piedi sino a quando la maggior parte dei consumatori appartengono ad un ceto medio in grado di consumare e spendere denaro. Se il ceto medio non assorbe abbastanza consumi, il sistema va in crisi perché la plebe non è in grado di rimpiazzare questa perdita di consumi.
Se la produzione cala, c'è meno lavoro, il ceto medio diminuisce ed aumenta la plebe.
Questo fenomeno è sotto gli occhi di tutti ed è in pieno svolgimento.
Ma chi è questo ceto medio ? Si tratta di una classe sociale diversificata i cui componenti spesso non sono direttamente collegati alla produzione (non sono agricoltori oppure operai o tecnici) ma appartengono ad un terziario di servizi diversi : impiegati dell'amministrazione pubblica, avvocati, personale sanitario, artisti, politici, ecc, ecc.
Il terziario non influisce direttamente sul costo di produzione di un bene agricolo o industriale : la sua influenza è indiretta, attraverso i costi (fiscali e non) che gravano su ogni bene materiale che venga prodotto. Se il peso numerico ed economico di questa classe cresce, crescono anche i costi di produzione ed arriva un momento in cui la plebe produttiva non è più in grado di consumare a sufficienza anzi, scende sotto il livello minimo di sussistenza.
Allo stesso tempo il ceto medio (le cui risorse economiche non sono illimitate) vede ridursi il suo potenziale di acquisto a causa dell'aumento dei costi a cui lui stesso ha inconsapevolmente contribuito ed inoltre vede calare anche le sue necessità di spesa, perché dispone già di quasi tutto ciò che gli serve (casa, auto, elettrodomestici, ecc).
Quindi anche il ceto medio consuma meno, la produzione cala, scende l'impiego di mano d'opera produttiva (diretta) ma anche indiretta (meno servizi).
Per sostenere i consumi le imprese delocalizzano, per abbattere i costi, ma riducono ulteriormente la base di acquisto locale delle loro merci. Il sistema si avvita su se stesso.
La finanza viene in aiuto al ceto medio proponendo il debito : acquista oggi con i soldi che avrai domani. Viene così a crearsi la bolla di una ricchezza virtuale, che temporaneamente riesce a tenere in piedi il meccanismo economico (costruisco una casa, pagata a debito, e do lavoro alle maestranze, compro materie prime, ecc) ma poi, inevitabilmente crolla, perché è come costruire una casa pesante su una crosta sottile di terra: basta un niente perché tutto crolli. Quando parliamo di debiti, non ci sono soltanto quelli individuali, ma sopratutto quelli degli Stati (debito pubblico).
Questa analisi porta a concludere che, in assenza di cambiamenti strutturali, il sistema è destinato a collassare, senza alternative, ed anche in fretta.
Aggiungiamo a questa analisi il fatto incontestabile che il consumo di materie prime sta crescendo esponenzialmente grazie allo sviluppo a due cifre dei paesi emergenti che hanno una popolazione enorme in rapporto a quella dei paesi occidentali, ricchi ancora per poco.
Le risorse non sono inesauribili, anzi, si stanno già esaurendo. Quando le risorse scenderanno al di sotto di una certa soglia, il sistema crollerà fragorosamente, perché le popolazioni non sono in grado di rinunciare ad una serie di accessori vitali da cui sono irrimediabilmente condizionate (energia elettrica, automezzi, riscaldamento invernale, distribuzione del cibo, respirabilità dell'aria, ecc).
La crisi, prima finanziaria e poi economica, del 2008 ci è piombata addosso inattesa per i più ed ha avuto uno sviluppo negativo rapidissimo (un buco enorme) con una successiva ripresa lentissima.
Il prossimo crollo avrà caratteristiche analoghe : sarà inatteso, rapido, verticale, come un terremoto che nessuno si aspettava. Eppure è tutto ben prevedibile : la sola cosa che non sappiamo è in quanto tempo accadrà a partire da oggi, se non si operano cambiamenti strutturali. Quali cambiamenti ?
Semplice e difficile allo stesso tempo : occorre fare marcia indietro e ritornare verso il punto di partenza, in cui ciascuno consumava soltanto quello che sapeva produrre con le sue mani.
Evidentemente non si tratta di ritornare verso l'età della pietra, ma di ridimensionare drasticamente i meccanismi della globalizzazione selvaggia, che esasperano i conflitti tra chi dispone dei mezzi per crescere e chi è costretto ridurre drammaticamente la propria condizione esistenziale. La politica deve tornare ad essere il governo della Polis a favore della Polis : sono italiano, vivo in Italia, debbo lavorare per vivere, debbo consumare prevalentemente quello che produco qui, senza scivolare nell'autarchia, ma favorendo senza mezzi termini (con provvedimenti fiscali ed altro) la produzione nazionale ed il lavoro dei connazionali ; se poi una impresa, per vendere in Cina deve produrre in Cina, sta bene, lo faccia, ma ciò che produce in Cina non torna in Italia senza pagare pegno. Questo vorrà dire che una maglietta prodotta in Italia costerà 100 € invece di 20 e quindi compererò meno magliette, ma la qualità della mia vita non dipende dal numero di magliette che compro !
Non basta : se per produrre tutti i beni in Italia occorrono 100 addetti e poi ci sono 1000 addetti al terziario, quei beni costeranno sempre e comunque troppo per il reddito di tutti.
La base produttiva diretta deve aumentare ed il terziario deve diminuire.
La maglietta prodotta in Italia sarà invendibile in Cina (ma chi se ne frega !). Se l'impresa vuole vendere all'estero può produrre dove le pare, ma non per il mercato interno.
Tutto questo è facile a parole, difficilissimo o quasi impossibile in pratica, anche perché in Europa non ci sono confini e le merci circolano liberamente, per non parlare dei capitali.
L'orizzonte però è necessariamente quello : muoversi in una direzione diversa porta al baratro e comunque anche una tale inversione di marcia funzionerebbe solo in parte, ammesso che si potesse attuare su scala nazionale, perché se il resto del mondo prosegue verso il baratro si porta dietro anche noi, senza scampo. Se le materie prime finiscono, anche una nostra ipotetica «autarchia» resta a bocca asciutta.
Il dramma è che ciascuno, individualmente ed a livello di nazioni, pensa solo al suo interesse a breve termine ; chi può convincere mai la Cina a rallentare il suo sviluppo ? Chi è al timone della barca pensa all'oggi ; il domani sarà un problema per altri.
Ing. Franco Puglia
Ma molte cose non furono dette; perché ? Poco tempo ? No, non solo questo.
Ci sono verità talmente scomode che nessuno vuole non solo pronunciarle ma neppure pensarle, da destra a sinistra.
Per capire un mondo complesso, bisogna partire dal mondo quando era più semplice, perché gli strumenti sono mutati, ma i bisogni umani di base ed i meccanismi dei rapporti economici tra gli uomini sono immutati da millenni.
- I bisogni fondamentali : mangiare, bere, dormire, ripararsi dalle intemperie (capanna o
casa), ripararsi dal freddo (vestiti), fare sesso, riprodursi.
- I bisogni accessori : qualsiasi altra cosa, gioco, sport, arte, oggetti vari, ecc.
L'uomo primitivo uccide animali per procurarsi cibo e vestiario, poi coltiva anche la terra (cibo) e costruisce capanne ed abitazioni con i materiali che trova. Gli strumenti : le sue mani ed il suo cervello. La produttività : bassissima, perché produci solo quello che le tue mani ti consentono in una giornata di lavoro. Come faccio a migliorare la mia vita ? Costringo altri a lavorare per me (io sono più forte, uso la violenza per convincerli) oppure uso la mia forza per rubare quello che mi serve a chi ne dispone (cibo, oggetti, femmine, ecc): la guerra.
Continua così per secoli : si creano le classi dominanti, che hanno potere e ricchezza, grazie allo sfruttamento delle risorse di lavoro di altri (la plebe). Ma i ricchi sono pochi, la plebe è numerosa. Cambia tutto con le prime macchine (la macchina a vapore) perché diventa possibile moltiplicare il lavoro di un uomo : dove servivano 10 uomini ne basta 1.
La macchina crea ricchezza, perché moltiplica le risorse individuali. Questa ricchezza però si concentra nelle mani dei già ricchi, che disponevano dei mezzi economici per poter costruire le macchine. Tuttavia col tempo abbiamo anche una ricaduta di ricchezza sulla plebe, perché nasce il meccanismo dei consumi : chi possiede le macchine può diventare più ricco producendo più cose che qualcuno può essere interessato a comperare (prima i ricchi, poi anche altri) e serve anche più mano d'opera. Aumenta la produzione, aumentano i lavoratori industriali, una parte della ricchezza si distribuisce, aumentano i consumi. Il fenomeno si amplifica in progressione più che lineare (esponenziale) nel 20° secolo. Le imprese sono dapprima padronali (una persona o una famiglia detiene la proprietà dell'impresa) poi ad azionariato più o meno diffuso. La finanza (inizialmente confinata al ruolo di deposito di denaro o prestito, magari ad usura) si diversifica e si espande assumendo caratteristiche di complessità tali da sfuggire, nella loro interezza, anche agli addetti ai lavori.
Oggi esistono imprese in cui è quasi impossibile determinare il complesso intreccio delle quote di proprietà. La gestione dell'impresa è affidata a managers, che obbediscono a regole non etiche, e sono ingranaggi di un sistema che non ha più caratteristiche umane perché obbedisce alle regole di una astrazione (il mercato) che sono ferree. Se il manager non sta alle regole, il meccanismo lo espelle ed un altro subentra. Il manager non può essere umano: è parte di un meccanismo che era umano solo in origine.
La finanza è fine a se stessa : non ha finalità o limitazioni etiche; il suo fine è il profitto.
La produzione e la finanza si sono globalizzate: significa che la proprietà azionaria può essere ovunque, svincolata dagli interessi locali, guidata soltanto dal criterio del profitto.
Anche i singoli stati controllano sempre meno il potere della finanza e della produzione distribuite su scala trans-nazionale.
Si produce dove conviene, si delocalizza, si sfruttano le risorse disponibili laddove esistono (mano d'opera a basso costo, competenze, leggi locali favorevoli, fiscalità bassa, materie prime a minor costo, logistica, ecc.).
Le esigenze del profitto portano alle concentrazioni produttive, alle economie di scala, alla distruzione dei piccoli produttori (quando possibile) a favore delle grandi imprese.
La ricchezza si concentra nelle mani dei più ricchi e viene sottratta da quelle dei più deboli.
Questo sistema è andato in crisi perché il suo potenziale di crescita dipende dal rapporto tra il potenziale produttivo delle risorse agricole ed industriali ed i costi necessari a sostenere tale potenziale (costo di materie prime e lavoro) in funzione della capacità di assorbimento del mercato, costituito in gran parte dalle masse lavoratrici.
Il sistema sta in piedi sino a quando la maggior parte dei consumatori appartengono ad un ceto medio in grado di consumare e spendere denaro. Se il ceto medio non assorbe abbastanza consumi, il sistema va in crisi perché la plebe non è in grado di rimpiazzare questa perdita di consumi.
Se la produzione cala, c'è meno lavoro, il ceto medio diminuisce ed aumenta la plebe.
Questo fenomeno è sotto gli occhi di tutti ed è in pieno svolgimento.
Ma chi è questo ceto medio ? Si tratta di una classe sociale diversificata i cui componenti spesso non sono direttamente collegati alla produzione (non sono agricoltori oppure operai o tecnici) ma appartengono ad un terziario di servizi diversi : impiegati dell'amministrazione pubblica, avvocati, personale sanitario, artisti, politici, ecc, ecc.
Il terziario non influisce direttamente sul costo di produzione di un bene agricolo o industriale : la sua influenza è indiretta, attraverso i costi (fiscali e non) che gravano su ogni bene materiale che venga prodotto. Se il peso numerico ed economico di questa classe cresce, crescono anche i costi di produzione ed arriva un momento in cui la plebe produttiva non è più in grado di consumare a sufficienza anzi, scende sotto il livello minimo di sussistenza.
Allo stesso tempo il ceto medio (le cui risorse economiche non sono illimitate) vede ridursi il suo potenziale di acquisto a causa dell'aumento dei costi a cui lui stesso ha inconsapevolmente contribuito ed inoltre vede calare anche le sue necessità di spesa, perché dispone già di quasi tutto ciò che gli serve (casa, auto, elettrodomestici, ecc).
Quindi anche il ceto medio consuma meno, la produzione cala, scende l'impiego di mano d'opera produttiva (diretta) ma anche indiretta (meno servizi).
Per sostenere i consumi le imprese delocalizzano, per abbattere i costi, ma riducono ulteriormente la base di acquisto locale delle loro merci. Il sistema si avvita su se stesso.
La finanza viene in aiuto al ceto medio proponendo il debito : acquista oggi con i soldi che avrai domani. Viene così a crearsi la bolla di una ricchezza virtuale, che temporaneamente riesce a tenere in piedi il meccanismo economico (costruisco una casa, pagata a debito, e do lavoro alle maestranze, compro materie prime, ecc) ma poi, inevitabilmente crolla, perché è come costruire una casa pesante su una crosta sottile di terra: basta un niente perché tutto crolli. Quando parliamo di debiti, non ci sono soltanto quelli individuali, ma sopratutto quelli degli Stati (debito pubblico).
Questa analisi porta a concludere che, in assenza di cambiamenti strutturali, il sistema è destinato a collassare, senza alternative, ed anche in fretta.
Aggiungiamo a questa analisi il fatto incontestabile che il consumo di materie prime sta crescendo esponenzialmente grazie allo sviluppo a due cifre dei paesi emergenti che hanno una popolazione enorme in rapporto a quella dei paesi occidentali, ricchi ancora per poco.
Le risorse non sono inesauribili, anzi, si stanno già esaurendo. Quando le risorse scenderanno al di sotto di una certa soglia, il sistema crollerà fragorosamente, perché le popolazioni non sono in grado di rinunciare ad una serie di accessori vitali da cui sono irrimediabilmente condizionate (energia elettrica, automezzi, riscaldamento invernale, distribuzione del cibo, respirabilità dell'aria, ecc).
La crisi, prima finanziaria e poi economica, del 2008 ci è piombata addosso inattesa per i più ed ha avuto uno sviluppo negativo rapidissimo (un buco enorme) con una successiva ripresa lentissima.
Il prossimo crollo avrà caratteristiche analoghe : sarà inatteso, rapido, verticale, come un terremoto che nessuno si aspettava. Eppure è tutto ben prevedibile : la sola cosa che non sappiamo è in quanto tempo accadrà a partire da oggi, se non si operano cambiamenti strutturali. Quali cambiamenti ?
Semplice e difficile allo stesso tempo : occorre fare marcia indietro e ritornare verso il punto di partenza, in cui ciascuno consumava soltanto quello che sapeva produrre con le sue mani.
Evidentemente non si tratta di ritornare verso l'età della pietra, ma di ridimensionare drasticamente i meccanismi della globalizzazione selvaggia, che esasperano i conflitti tra chi dispone dei mezzi per crescere e chi è costretto ridurre drammaticamente la propria condizione esistenziale. La politica deve tornare ad essere il governo della Polis a favore della Polis : sono italiano, vivo in Italia, debbo lavorare per vivere, debbo consumare prevalentemente quello che produco qui, senza scivolare nell'autarchia, ma favorendo senza mezzi termini (con provvedimenti fiscali ed altro) la produzione nazionale ed il lavoro dei connazionali ; se poi una impresa, per vendere in Cina deve produrre in Cina, sta bene, lo faccia, ma ciò che produce in Cina non torna in Italia senza pagare pegno. Questo vorrà dire che una maglietta prodotta in Italia costerà 100 € invece di 20 e quindi compererò meno magliette, ma la qualità della mia vita non dipende dal numero di magliette che compro !
Non basta : se per produrre tutti i beni in Italia occorrono 100 addetti e poi ci sono 1000 addetti al terziario, quei beni costeranno sempre e comunque troppo per il reddito di tutti.
La base produttiva diretta deve aumentare ed il terziario deve diminuire.
La maglietta prodotta in Italia sarà invendibile in Cina (ma chi se ne frega !). Se l'impresa vuole vendere all'estero può produrre dove le pare, ma non per il mercato interno.
Tutto questo è facile a parole, difficilissimo o quasi impossibile in pratica, anche perché in Europa non ci sono confini e le merci circolano liberamente, per non parlare dei capitali.
L'orizzonte però è necessariamente quello : muoversi in una direzione diversa porta al baratro e comunque anche una tale inversione di marcia funzionerebbe solo in parte, ammesso che si potesse attuare su scala nazionale, perché se il resto del mondo prosegue verso il baratro si porta dietro anche noi, senza scampo. Se le materie prime finiscono, anche una nostra ipotetica «autarchia» resta a bocca asciutta.
Il dramma è che ciascuno, individualmente ed a livello di nazioni, pensa solo al suo interesse a breve termine ; chi può convincere mai la Cina a rallentare il suo sviluppo ? Chi è al timone della barca pensa all'oggi ; il domani sarà un problema per altri.
Ing. Franco Puglia
(Scritto il 30 marzo 2011 questo articolo contiene verità attualissime che ognuno di noi può verificare nella realtà quotidiana. Tratto dal gruppo FB Rinnovamento nazionale )
martedì 11 settembre 2012
Cosa fare per il lavoro ? Il mio punto di vista.
Il mercato, sotto la spinta rapida e possente dell'evoluzione tecnologica ed anche grazie all'apertura dei mercati (globalizzazione) è cambiato negli anni radicalmente e più in fretta di quanto la società italiana fosse in grado di sostenere, adeguandosi.
Oggi sia le imprese che le competenze dei lavoratori sono insufficienti, nella loro globalità, dimenticando le varie eccellenze, per dare una risposta globale a istanze di crescita che possano tradursi in aumento effettivo dell'occupazione e del PIL nazionale.
Una larga parte della popolazione attiva viene inoltre pagata da una struttura dei servizi pubblici che non produce plusvalore e grava inevitabilmente, come costo, sulla parte produttiva del paese. Occorre inoltre rendersi conto del fatto che esistono limiti oggettivi alla crescita, che questa non può essere indefinita e che potremmo essere arrivati vicino al punto di saturazione.
L'Italia, ma non solo, si trova nel pieno di una crisi economica che trae origine da :
- Divario tra reddito derivante da impieghi che generano plusvalore e reddito derivante da servizi che non generano plusvalore, ma che sostengono i consumi generali, e quindi la produzione, ma anche a spese di un indebitamento pubblico crescente e fuori controllo.
- Saturazione delle possibilità di impiego di forza lavoro in attività pubbliche o private del terziario, avanzato e non, che strutturalmente non siano idonee a produrre plusvalore.
- Migrazione delle attività produttive verso localizzazioni più remunerative rispetto a localizzazioni nazionali sempre meno convenienti per costo del lavoro, infrastrutture, rigidità normative, ecc.
- Insufficienza delle competenze richieste dal mercato del lavoro che fa capo alle imprese ancora operanti sul mercato nazionale. Se le imprese nazionali sono molto piccole, non servono esperti di relazioni sindacali, comunicazione, materie legali, ecc, ecc. Magari servono più tecnici qualificati, operai qualificati ed altre
professioni; il mercato del lavoro come si presenta oggi, causa globalizzazione e concorrenza internazionale, non riesce però a pagare a questi lavoratori un salario al livello indispensabile per assicurare l'accesso al livello di consumi atteso e neppure al livello di minimo di sostentamento.
- Saturazione dei consumi di beni in genere, rapportati al reddito medio disponibile. Chi non ha un frigorifero in casa, o un televisore, o un'auto ? Questi beni non si possono sostituire ogni anno per soddisfare alle esigenze delle imprese ed alla creazione di posti di lavoro, anche perché il reddito non c'è e se ci fosse questi beni costerebbero troppo (troppi addetti o troppo pagati per unità di prodotto).
- Speculazione sulle rendite di posizione : chi dispone di molto denaro oppure occupa posizioni protette risente meno della crisi o addirittura ne può approfittare e si arricchisce (speculazioni finanziarie, ecc) aumentando il divario tra abbienti e non, quindi aggravando lo stato di disagio e di invidia sociale.
- Proliferazione delle professioni d'assalto, che impiegano giovani senza altre prospettive concrete di lavoro per attività di vendita con procedure scorrette o truffaldine (telemarketing, vendite porta a porta, ecc).
- Dequalificazione di forza lavoro impiegata con contratti a termine o a cottimo in call centers (società, telefoniche, ecc).
È in questo contesto che vanno inserite le misure volte a rendere il mercato del lavoro più dinamico ed inserito in una prospettiva di crescita possibile, nei soli e pochi settori dove una crescita è ancora immaginabile.
Il lavoro non è un diritto naturale, semmai è un dovere di tutti. Il lavoro non lo creano le parti sociali sui tavoli dei convegni : il lavoro lo danno le imprese, perché ne hanno bisogno. Le imprese esistono se hanno un mercato di sbocco e se possono produrre plusvalore, su quel o quei mercati di sbocco, con le risorse umane di cui possono disporre (lavoratori).
Vale per le merci e vale per i servizi: quindi niente lavoro, se non ci sono mercati di sbocco, niente lavoro se non ci consumatori per le merci/servizi che si vogliono offrire, e niente consumatori se questi ultimi non hanno un reddito sufficiente per accedere a quelle merci/servizi. Perciò occorre in primo luogo chiedersi :
- Cosa possiamo produrre e vendere ?
- A chi vendiamo quello che produciamo ? Mercato nazionale ? Estero ? Entrambi ?
- Quindi quali attività cerchiamo di incoraggiare con tutti i mezzi e quali no ?
- Quello che pensiamo di produrre è ad alto valore aggiunto oppure no ? In altre parole: si tratta di attività che possono pagare ai lavoratori salari commisurati col tenore di vita a cui aspiriamo o siamo abituati, oppure no ?
Stabilito il cosa vogliamo produrre, si tratta di favorire la creazione di imprese,
o il rafforzamento di quelle esistenti. Come :
- offrendo una manodopera qualificata per le funzioni che queste aziende richiedono
- offrendo una sufficiente flessibilità della manodopera, per convincere le imprese che non saranno ingessate e potranno adeguarsi facilmente ai cambiamenti del mercato.
Questo implica purtroppo la possibilità di licenziare il personale con relativa facilità ma pagando un indennizzo di licenziamento (come per i dirigenti) in funzione della anzianità di servizio. Non occorrono contratti speciali : contratti standard per tutti, senza lacci e lacciuoli, ma istituendo un reato penale per il lavoro nero, a carico del datore di lavoro. Se il contratto è equo va bene per tutti. Se l'impresa sopravvive soltanto con lavoro nero, che si trasferisca in altri paesi.
In quali settori promuovere lo sviluppo possibile :
- Energie alternative : di energia abbiamo ed avremo sempre bisogno; le tecnologie
per la produzione ed il trattamento e trasformazione di energia si possono vendere
anche all'estero.
- Trasporti : un'economia dinamica richiede trasporti veloci e sicuri, tanto per quanto
attiene ai mezzi di trasporto pubblico (aerei, treni, bus) che privati (rete stradale)
- Trattamento dei rifiuti : lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti è un problema
planetario e le tecnologie che lo consentono sono indispensabili a livello nazionale,
ma sono anche esportabili.
- Turismo : esiste ancora margine per la valorizzazione e lo sfruttamento del turismo
nazionale ed internazionale nel nostro paese.
- Tecnologie dell'informazione e comunicazione, elettronica, ecc. Qui probabilmente
abbiamo perso tutti i treni da un pezzo a favore di altri paesi ma si potrebbero
individuare delle nicchie.
- Strumentazione elettro-medicale : l'evoluzione di queste tecnologie nel corso degli
anni è stata incredibile. Si dovrebbe indagare quanto spazio abbiamo ancora in
questo campo.
Strumenti principali di intervento per l'occupazione giovanile e femminile:
- Formazione scolastica e post scolastica orientata ai settori di sviluppo programmati
- Contratto unico di lavoro a tempo indeterminato ma con possibilità di risoluzione del
rapporto di lavoro e indennità di licenziamento.
- Amortizzatori sociali per compensare i periodi eventualmente intercorrenti tra un
lavoro e l'altro, compensati da lavori socialmente utili per la collettività. Nessun
giovane deve essere pagato per starsene a casa a guardare la TV.
- Istituzione del reato di sfruttamento del lavoro per chi assume lavoratori al di fuori
delle regole generali e delle eccezioni previste.
- Potenziamento dei servizi per conciliare lavoro e famiglia; servono essenzialmente
centri di assistenza per l'infanzia (leggi asili nido) con diffusione capillare sul
territorio e costi a carico della collettività (Comune).
- Per le aziende, specialmente quelle piccole, la maternità di una lavoratrice è un
grosso problema. Non deve essere l'azienda a farsi carico di un problema personale
di un lavoratore, ma la società nel suo complesso. L'assenza di una lavoratrice in
maternità può essere un problema superabile (lavoro facilmente sostituibile) ma in
molti casi non è così.
Non si può fare di tutta l'erba un fascio; vanno previste le due situazioni :
a) lavoro sostituibile da altra lavoratrice con contratto a termine; costi di maternità
(stipendio) a carico della collettività. Reintegro del posto di lavoro alla fine del
periodo.
b) lavoro non sostituibile con contratto a termine. Occorre consentire all'impresa, se
lo desidera, il licenziamento della lavoratrice, con le normali indennità di
licenziamento, ma in questo caso la collettività dovrà offrire alla lavoratrice un
compenso per la perdita del lavoro pari ad almeno 12 mesi di stipendio, oltre al
periodo di maternità, per darle il tempo di trovare poi un altro lavoro.
- Estendere il part-time agevolato e volontario;
- Introdurre un'imposizione fiscale sulle persone fisiche sulla base del reddito familiare
medio, mantenendo le aliquote vigenti. Con un figlio il reddito totale prodotto nella
famiglia si divide per tre, con due figli a carico per quattro, ecc. Se il reddito
complessivo della famiglia è di 32'000 € annui (lordo) ed hanno 2 figli, il reddito
medio scende a 8'000 € pro capite e quindi la famiglia è esente da imposte sul
reddito.
Il precariato nel mondo del lavoro dipende spesso anche dalla qualità del lavoro: se il lavoratore fa un lavoro facilmente sostituibile, la sua precarietà è comunque elevata.
Se il lavoratore ha specifiche competenze importanti per il datore di lavoro, il suo lavoro è stabile, almeno quanto l'azienda. Non è sempre vero (scuola, università) ma più spesso è così.
La precarietà strutturale si elimina uniformando tutti i contratti di lavoro come a tempo indeterminato ma senza vincoli al licenziamento ed istituendo il reato di sfruttamento del lavoro per le imprese che usino altre forme sfruttamento del lavoro, al di fuori delle regole.
Si combatte inoltre favorendo le attività produttive che creano competenze e penalizzando quelle che sfruttano il lavoro senza creare competenze.
Rafforzare le politiche attive del mercato del lavoro.
Il mondo del lavoro è soggetto a grandi cambiamenti e a crescente mobilità. È quindi necessario, nell’ottica della “flexsecurity” europea, coniugare le misure di sostegno al reddito con politiche attive indirizzate a favorire le transizioni professionali e la ricollocazione al lavoro delle persone a maggior rischio di esclusione come gli ultra 50enni coinvolti nelle ristrutturazioni industriali. A questi fini appare indispensabile il potenziamento dei servizi pubblici per l’impiego e la collaborazione con quelli privati. Un ruolo centrale in queste politiche è ricoperto dalla formazione che va quindi riorganizzata, qualificata e resa permanente così da facilitare l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro, specie in una fase come l’attuale caratterizzata dalla riorganizzazione dell’apparato produttivo e dalla trasformazione del lavoro stesso.
In un’economia e in una società fondate sulla conoscenza, il costante aggiornamento culturale e delle competenze acquista un rilievo tale da legittimare la proposta di fare della formazione un diritto di ogni singolo lavoratore lungo tutto l’arco della vita.
Il ruolo delle parti sociali
La contrattazione collettiva concorre anch’essa alla creazione di maggiore e migliore occupazione. Da qui l’importanza per il Paese di un sistema di relazioni industriali moderno ed efficiente che riconosca nel contratto nazionale lo strumento irrinunciabile per la tutela generale delle condizioni di lavoro, ma che estenda e valorizzi la contrattazione di secondo livello così da tener conto delle specifiche esigenze produttive ed organizzative delle singole imprese e allo stesso tempo di permettere miglioramenti salariali legati alla produttività.
Per un efficace funzionamento delle relazioni industriali sono necessarie regole condivise tra le parti che garantiscano certezza ed esigibilità agli accordi sottoscritti e nel contempo riconoscano pienamente i diritti sindacali in azienda a tutte le organizzazioni rappresentative dei lavoratori.
Per imprese di grandi dimensioni, il cui impatto economico ed occupazionale sul territorio non è trascurabile, si potrebbe introdurre il criterio della condivisione con i rappresentanti dei lavoratori e delle altre parti sociali (Comune, Regione, Consumatori) non tanto delle scelte imprenditoriali, quanto delle opzioni alternative a tali scelte.
Chiarisco : se un'impresa decide di delocalizzare una produzione non glie lo puoi impedire, ma puoi concordare che una tale scelta possa essere attuata soltanto dopo un negoziato preventivo con le parti sociali, allo scopo di determinare se le motivazioni della scelta non possano venire cambiate da nuovi accordi con le parti sociali stesse. Caso Marchionne insegna. (Franco Puglia pubblicato su FB -Gruppo Rinnovamento Nazionale)
Oggi sia le imprese che le competenze dei lavoratori sono insufficienti, nella loro globalità, dimenticando le varie eccellenze, per dare una risposta globale a istanze di crescita che possano tradursi in aumento effettivo dell'occupazione e del PIL nazionale.
Una larga parte della popolazione attiva viene inoltre pagata da una struttura dei servizi pubblici che non produce plusvalore e grava inevitabilmente, come costo, sulla parte produttiva del paese. Occorre inoltre rendersi conto del fatto che esistono limiti oggettivi alla crescita, che questa non può essere indefinita e che potremmo essere arrivati vicino al punto di saturazione.
L'Italia, ma non solo, si trova nel pieno di una crisi economica che trae origine da :
- Divario tra reddito derivante da impieghi che generano plusvalore e reddito derivante da servizi che non generano plusvalore, ma che sostengono i consumi generali, e quindi la produzione, ma anche a spese di un indebitamento pubblico crescente e fuori controllo.
- Saturazione delle possibilità di impiego di forza lavoro in attività pubbliche o private del terziario, avanzato e non, che strutturalmente non siano idonee a produrre plusvalore.
- Migrazione delle attività produttive verso localizzazioni più remunerative rispetto a localizzazioni nazionali sempre meno convenienti per costo del lavoro, infrastrutture, rigidità normative, ecc.
- Insufficienza delle competenze richieste dal mercato del lavoro che fa capo alle imprese ancora operanti sul mercato nazionale. Se le imprese nazionali sono molto piccole, non servono esperti di relazioni sindacali, comunicazione, materie legali, ecc, ecc. Magari servono più tecnici qualificati, operai qualificati ed altre
professioni; il mercato del lavoro come si presenta oggi, causa globalizzazione e concorrenza internazionale, non riesce però a pagare a questi lavoratori un salario al livello indispensabile per assicurare l'accesso al livello di consumi atteso e neppure al livello di minimo di sostentamento.
- Saturazione dei consumi di beni in genere, rapportati al reddito medio disponibile. Chi non ha un frigorifero in casa, o un televisore, o un'auto ? Questi beni non si possono sostituire ogni anno per soddisfare alle esigenze delle imprese ed alla creazione di posti di lavoro, anche perché il reddito non c'è e se ci fosse questi beni costerebbero troppo (troppi addetti o troppo pagati per unità di prodotto).
- Speculazione sulle rendite di posizione : chi dispone di molto denaro oppure occupa posizioni protette risente meno della crisi o addirittura ne può approfittare e si arricchisce (speculazioni finanziarie, ecc) aumentando il divario tra abbienti e non, quindi aggravando lo stato di disagio e di invidia sociale.
- Proliferazione delle professioni d'assalto, che impiegano giovani senza altre prospettive concrete di lavoro per attività di vendita con procedure scorrette o truffaldine (telemarketing, vendite porta a porta, ecc).
- Dequalificazione di forza lavoro impiegata con contratti a termine o a cottimo in call centers (società, telefoniche, ecc).
È in questo contesto che vanno inserite le misure volte a rendere il mercato del lavoro più dinamico ed inserito in una prospettiva di crescita possibile, nei soli e pochi settori dove una crescita è ancora immaginabile.
Il lavoro non è un diritto naturale, semmai è un dovere di tutti. Il lavoro non lo creano le parti sociali sui tavoli dei convegni : il lavoro lo danno le imprese, perché ne hanno bisogno. Le imprese esistono se hanno un mercato di sbocco e se possono produrre plusvalore, su quel o quei mercati di sbocco, con le risorse umane di cui possono disporre (lavoratori).
Vale per le merci e vale per i servizi: quindi niente lavoro, se non ci sono mercati di sbocco, niente lavoro se non ci consumatori per le merci/servizi che si vogliono offrire, e niente consumatori se questi ultimi non hanno un reddito sufficiente per accedere a quelle merci/servizi. Perciò occorre in primo luogo chiedersi :
- Cosa possiamo produrre e vendere ?
- A chi vendiamo quello che produciamo ? Mercato nazionale ? Estero ? Entrambi ?
- Quindi quali attività cerchiamo di incoraggiare con tutti i mezzi e quali no ?
- Quello che pensiamo di produrre è ad alto valore aggiunto oppure no ? In altre parole: si tratta di attività che possono pagare ai lavoratori salari commisurati col tenore di vita a cui aspiriamo o siamo abituati, oppure no ?
Stabilito il cosa vogliamo produrre, si tratta di favorire la creazione di imprese,
o il rafforzamento di quelle esistenti. Come :
- offrendo una manodopera qualificata per le funzioni che queste aziende richiedono
- offrendo una sufficiente flessibilità della manodopera, per convincere le imprese che non saranno ingessate e potranno adeguarsi facilmente ai cambiamenti del mercato.
Questo implica purtroppo la possibilità di licenziare il personale con relativa facilità ma pagando un indennizzo di licenziamento (come per i dirigenti) in funzione della anzianità di servizio. Non occorrono contratti speciali : contratti standard per tutti, senza lacci e lacciuoli, ma istituendo un reato penale per il lavoro nero, a carico del datore di lavoro. Se il contratto è equo va bene per tutti. Se l'impresa sopravvive soltanto con lavoro nero, che si trasferisca in altri paesi.
In quali settori promuovere lo sviluppo possibile :
- Energie alternative : di energia abbiamo ed avremo sempre bisogno; le tecnologie
per la produzione ed il trattamento e trasformazione di energia si possono vendere
anche all'estero.
- Trasporti : un'economia dinamica richiede trasporti veloci e sicuri, tanto per quanto
attiene ai mezzi di trasporto pubblico (aerei, treni, bus) che privati (rete stradale)
- Trattamento dei rifiuti : lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti è un problema
planetario e le tecnologie che lo consentono sono indispensabili a livello nazionale,
ma sono anche esportabili.
- Turismo : esiste ancora margine per la valorizzazione e lo sfruttamento del turismo
nazionale ed internazionale nel nostro paese.
- Tecnologie dell'informazione e comunicazione, elettronica, ecc. Qui probabilmente
abbiamo perso tutti i treni da un pezzo a favore di altri paesi ma si potrebbero
individuare delle nicchie.
- Strumentazione elettro-medicale : l'evoluzione di queste tecnologie nel corso degli
anni è stata incredibile. Si dovrebbe indagare quanto spazio abbiamo ancora in
questo campo.
Strumenti principali di intervento per l'occupazione giovanile e femminile:
- Formazione scolastica e post scolastica orientata ai settori di sviluppo programmati
- Contratto unico di lavoro a tempo indeterminato ma con possibilità di risoluzione del
rapporto di lavoro e indennità di licenziamento.
- Amortizzatori sociali per compensare i periodi eventualmente intercorrenti tra un
lavoro e l'altro, compensati da lavori socialmente utili per la collettività. Nessun
giovane deve essere pagato per starsene a casa a guardare la TV.
- Istituzione del reato di sfruttamento del lavoro per chi assume lavoratori al di fuori
delle regole generali e delle eccezioni previste.
- Potenziamento dei servizi per conciliare lavoro e famiglia; servono essenzialmente
centri di assistenza per l'infanzia (leggi asili nido) con diffusione capillare sul
territorio e costi a carico della collettività (Comune).
- Per le aziende, specialmente quelle piccole, la maternità di una lavoratrice è un
grosso problema. Non deve essere l'azienda a farsi carico di un problema personale
di un lavoratore, ma la società nel suo complesso. L'assenza di una lavoratrice in
maternità può essere un problema superabile (lavoro facilmente sostituibile) ma in
molti casi non è così.
Non si può fare di tutta l'erba un fascio; vanno previste le due situazioni :
a) lavoro sostituibile da altra lavoratrice con contratto a termine; costi di maternità
(stipendio) a carico della collettività. Reintegro del posto di lavoro alla fine del
periodo.
b) lavoro non sostituibile con contratto a termine. Occorre consentire all'impresa, se
lo desidera, il licenziamento della lavoratrice, con le normali indennità di
licenziamento, ma in questo caso la collettività dovrà offrire alla lavoratrice un
compenso per la perdita del lavoro pari ad almeno 12 mesi di stipendio, oltre al
periodo di maternità, per darle il tempo di trovare poi un altro lavoro.
- Estendere il part-time agevolato e volontario;
- Introdurre un'imposizione fiscale sulle persone fisiche sulla base del reddito familiare
medio, mantenendo le aliquote vigenti. Con un figlio il reddito totale prodotto nella
famiglia si divide per tre, con due figli a carico per quattro, ecc. Se il reddito
complessivo della famiglia è di 32'000 € annui (lordo) ed hanno 2 figli, il reddito
medio scende a 8'000 € pro capite e quindi la famiglia è esente da imposte sul
reddito.
Il precariato nel mondo del lavoro dipende spesso anche dalla qualità del lavoro: se il lavoratore fa un lavoro facilmente sostituibile, la sua precarietà è comunque elevata.
Se il lavoratore ha specifiche competenze importanti per il datore di lavoro, il suo lavoro è stabile, almeno quanto l'azienda. Non è sempre vero (scuola, università) ma più spesso è così.
La precarietà strutturale si elimina uniformando tutti i contratti di lavoro come a tempo indeterminato ma senza vincoli al licenziamento ed istituendo il reato di sfruttamento del lavoro per le imprese che usino altre forme sfruttamento del lavoro, al di fuori delle regole.
Si combatte inoltre favorendo le attività produttive che creano competenze e penalizzando quelle che sfruttano il lavoro senza creare competenze.
Rafforzare le politiche attive del mercato del lavoro.
Il mondo del lavoro è soggetto a grandi cambiamenti e a crescente mobilità. È quindi necessario, nell’ottica della “flexsecurity” europea, coniugare le misure di sostegno al reddito con politiche attive indirizzate a favorire le transizioni professionali e la ricollocazione al lavoro delle persone a maggior rischio di esclusione come gli ultra 50enni coinvolti nelle ristrutturazioni industriali. A questi fini appare indispensabile il potenziamento dei servizi pubblici per l’impiego e la collaborazione con quelli privati. Un ruolo centrale in queste politiche è ricoperto dalla formazione che va quindi riorganizzata, qualificata e resa permanente così da facilitare l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro, specie in una fase come l’attuale caratterizzata dalla riorganizzazione dell’apparato produttivo e dalla trasformazione del lavoro stesso.
In un’economia e in una società fondate sulla conoscenza, il costante aggiornamento culturale e delle competenze acquista un rilievo tale da legittimare la proposta di fare della formazione un diritto di ogni singolo lavoratore lungo tutto l’arco della vita.
Il ruolo delle parti sociali
La contrattazione collettiva concorre anch’essa alla creazione di maggiore e migliore occupazione. Da qui l’importanza per il Paese di un sistema di relazioni industriali moderno ed efficiente che riconosca nel contratto nazionale lo strumento irrinunciabile per la tutela generale delle condizioni di lavoro, ma che estenda e valorizzi la contrattazione di secondo livello così da tener conto delle specifiche esigenze produttive ed organizzative delle singole imprese e allo stesso tempo di permettere miglioramenti salariali legati alla produttività.
Per un efficace funzionamento delle relazioni industriali sono necessarie regole condivise tra le parti che garantiscano certezza ed esigibilità agli accordi sottoscritti e nel contempo riconoscano pienamente i diritti sindacali in azienda a tutte le organizzazioni rappresentative dei lavoratori.
Per imprese di grandi dimensioni, il cui impatto economico ed occupazionale sul territorio non è trascurabile, si potrebbe introdurre il criterio della condivisione con i rappresentanti dei lavoratori e delle altre parti sociali (Comune, Regione, Consumatori) non tanto delle scelte imprenditoriali, quanto delle opzioni alternative a tali scelte.
Chiarisco : se un'impresa decide di delocalizzare una produzione non glie lo puoi impedire, ma puoi concordare che una tale scelta possa essere attuata soltanto dopo un negoziato preventivo con le parti sociali, allo scopo di determinare se le motivazioni della scelta non possano venire cambiate da nuovi accordi con le parti sociali stesse. Caso Marchionne insegna. (Franco Puglia pubblicato su FB -Gruppo Rinnovamento Nazionale)
domenica 2 settembre 2012
I PROVVEDIMENTI DEL GOVERNO CENTRALE: CHE BOMBE INTELLIGENTI!
Di fronte alle difficoltà che Italia ed Europa stanno affrontando per risanare anni di economia e spesa pubblica allegra, il Gargano è chiamato a versare un contributo spropositato e illogico senza che la politica faccia sentire la sua voce per mediare fra interessi diversi, rinunciando di fatto a svolgere quel ruolo sacrosanto di rappresentanza e difesa delle comunità locali. Il Gargano nulla ha avuto in tempo di vacche grasse e in tempo gramo viene chiamato a una vera e propria spoliazione che acuisce le difficili condizioni di vita e di prospettive senza nessuna garanzia di ristoro o risarcimento.
Il Governo nazionale con una rapidità e sordità, degne dei tempi di guerra, vara due pesanti provvedimenti caricandoli sulle spalle di un Gargano già piegato da ritardi, trascuratezze e vacuità politica: la soppressione dello storico tribunale di Lucera, e di conseguenza la sede staccata di Rodi, marginalizzando, complicando e di fatto negando il diritto di giustizia a un vasto territorio e alla vasta platea di cittadini garganici che in questa sede esercitavano un fondamentale diritto costituzionale.
Ancora più inaudito, arrogante e carico di rischi il provvedimento del Ministero dell’Ambiente di autorizzare la trivellazione dei fondali dell’Adriatico, al largo delle isole Tremiti, contro la volontà più volte espressa dalle popolazioni rivierasche, giustamente allarmate per i numerosi e imprevisti stravolgimenti di un ecosistema fragile e complesso e per una economia che per secoli ha difeso il mare e nel mare ha trovato ragioni di vita. Di fronte a questi provvedimenti la nostra politica, vecchia, stanca, vacua, tace. Preoccupata di salvare se stessa di fronte all’opinione pubblica furibonta e lontana che chiede più concretezza e fatti.
Il Gargano ha bisogno di donne, uomini e una politica che spieghi e faccia argine contro lo svuotamento e lo stravolgimento delle proprie ragioni, dei propri diritti e delle scelte di vita. Contrasti e rovesci, i provvedimenti di un Governo sordo. Ricordando agli studiosi della Bocconi che il Gargano nulla ha avuto in tempo di vacche grasse e oggi chiede di essere ascoltato e lasciato in pace.
Michele Angelicchio. (tratto da Punto di Stella-Mensile d’informazione del Gargano)
Il Governo nazionale con una rapidità e sordità, degne dei tempi di guerra, vara due pesanti provvedimenti caricandoli sulle spalle di un Gargano già piegato da ritardi, trascuratezze e vacuità politica: la soppressione dello storico tribunale di Lucera, e di conseguenza la sede staccata di Rodi, marginalizzando, complicando e di fatto negando il diritto di giustizia a un vasto territorio e alla vasta platea di cittadini garganici che in questa sede esercitavano un fondamentale diritto costituzionale.
Ancora più inaudito, arrogante e carico di rischi il provvedimento del Ministero dell’Ambiente di autorizzare la trivellazione dei fondali dell’Adriatico, al largo delle isole Tremiti, contro la volontà più volte espressa dalle popolazioni rivierasche, giustamente allarmate per i numerosi e imprevisti stravolgimenti di un ecosistema fragile e complesso e per una economia che per secoli ha difeso il mare e nel mare ha trovato ragioni di vita. Di fronte a questi provvedimenti la nostra politica, vecchia, stanca, vacua, tace. Preoccupata di salvare se stessa di fronte all’opinione pubblica furibonta e lontana che chiede più concretezza e fatti.
Il Gargano ha bisogno di donne, uomini e una politica che spieghi e faccia argine contro lo svuotamento e lo stravolgimento delle proprie ragioni, dei propri diritti e delle scelte di vita. Contrasti e rovesci, i provvedimenti di un Governo sordo. Ricordando agli studiosi della Bocconi che il Gargano nulla ha avuto in tempo di vacche grasse e oggi chiede di essere ascoltato e lasciato in pace.
Michele Angelicchio. (tratto da Punto di Stella-Mensile d’informazione del Gargano)
venerdì 31 agosto 2012
IMPOSIZIONE FISCALE ED EQUITA'
Rinnovamento nazionale
IMPOSIZIONE FISCALE ED EQUITA'
L'imposizione fiscale è un tema centrale della politica economica di qualsiasi governo ed è particolarmente scottante in Italia, visto che l'onere fiscale complessivo è diventato insostenibile anche in raporto al modesto corrispettivo in servizi che ne deriva.
Fodamentalmente l'imposizi
one fiscale si divide in imposizione diretta, sui redditi delle persone fisiche e giuridiche, ed indiretta, sui beni e servizi che vengono scambiati nel paese.
L'imposizione diretta ha carattere progressivo, nel senso che le aliquote sono percentualmente più elevate, in funzione del reddito annuo, ed il volume impositivo pro capite è in ogni caso tanto maggiore quanto più elevato è il reddito.
Le imposte indirette sono uguali per tutti, indipendentemente dal reddito. Ricchi e poveri pagano allo stesso modo le tasse sulla benzina, il canone RAI e più in generale l'IVA su tutte le merci e servizi che acquistano.
Sulla base di questa elementare osservazione, possiamo quindi dire che la fiscalità diretta appare più equa di quella indiretta, perché produce contributi proporzionali al reddito, mentre nel caso dei consumi un ricco non mangia più spaghetti di un povero, ma ha più soldi per comperarseli.
La fiscalità indiretta offre un vantaggio allo Stato : è più difficile da evadere.
Come fai ad evadere le accise sulla benzina ? Non puoi.
La fiscalità diretta rende più facile l'evasione a quanti possono permettersi di incassare compensi senza rilasciare documenti (fatture e scontrini) soggetti a verifica fiscale.
Come rendere più equa la distribuzione del carico fiscale senza favorire l'evasione ?
La prima tentazione è quella di abolire le imposte indirette, ma il gettito fiscale corrispondente dovrebbe essere compensato da un tale aumento delle imposte dirette da renderle psicologicamente inaccettabili a tutti, con un conseguente aumento verticale dell'evasione.
Una ragionevole alternativa, tuttavia, può essere quella di differenziare le aliquote IVA in funzione del tipo di bene o servizio scambiato e del reddito di chi acquista.
Infatti, se l'obiettivo è quello dell'Equità, perché non applicare ai beni più costosi aliquote maggiori ed aliquote minori a quelli di prima necessità ? Se l'IVA su una autvettura da 80mila € passa dal 21 al 30% il mercato di queste auto non calerà di molto, perché chi può permettersi di spendere per un'auto 80mila € non teme di arrivare a 90 o 100mila.
L'applicazione di un tale criterio non è peraltro esente da problemi, visita la nostra collocazione in Europa: infatti io potrei acquistare l'auto in Germania con IVA 20% (a minor prezzo) e poi importarla in Italia. Molti lo farebbero; altri no. Il problema si potrebbe però aggirare: l'IVA potrebbe venire applicata all'atto della immatricolazione, quindi versata direttamente all'ente pubblico e non al concessionario italiano o straniero. A quel punto, che io compri in Italia o Germania non farebbe alcuna differenza.
Questo per le auto. Per altri generi di consumo può essere più complicato. Nell'elettronica di consumo, ad esempio, se aumento l'IVA molti andranno ad acquistare gli stessi prodotti in un altro paese europeo.
Un modo per correlare redditi ed IVA potrebbe essere quello di rendere i redditi individuali più trasparenti e far pagare a chi ha redditi più elevati anche un'IVA più pesante.
Le banche in genere pretendono di conoscere il reddito delle imprese, ai fini della concessione di fidi, ecc. Non vale per i privati. Perché non assegnare a ciascun privato una sorta di punteggio bancario in funzione del reddito annuo ufficialmente dichiarato ?
In sede di acquisto con Bancomat o Carta di Credito il sistema potrebbe accertare la congruenza tra una aliquota IVA dichiarata nel prezzo e quella a cui ha diritto l'acquirente in base al suo reddito.
Complicato ? Si, ma realizzabile.
Il problema di fondo consiste nella volontà, o meno, di pagare di più alcuni beni da parte di chi è più ricco per farli pagare di meno da parte di chi è più povero, fermo restando che non si può tirare troppo la corda altrimenti chi è ricco compra altrove.
L'idea di fondo, comunque, è di aggravare l'imposizione fiscale sui beni di lusso e comunque più costosi, con sgravi fiscali su quelli meno costosi e comunque di prima necessità.
Questa esigenza nasce anche dal fatto che i redditi più bassi, da lavoro dipendente o da pensione, non possono venire aumentati e quindi occorre aumentare il loro potere d'acquisto, defiscalizzando le merci e servizi che sono alla portata di queste categorie sociali.
Un altro elemento che occorre avere ben presente prima di introdurre una seria riforma fiscale è il seguente : chi paga le tasse è sempre il consumatore, sia esso ricco o povero.
E' necessariamente così ; non è una scelta iniqua o di carattere politico. Tutto quello che produciamo ed i servizi che la società offre ha dei costi che vengono inevitabilmente scaricati sull'utente finale del bene o servizio, comprese le tasse pagate dal produttore.
Se comperi della frutta per 1 € al kg, in quell'Euro ci sono tutti i costi che agricoltore e distribuzione sostengono per portare quella frutta nella tua borsa della spesa. Il prezzo infatti deve coprire ogni e qualsiasi spesa di tutti gli operatori coinvolti, più il margine di utile netto che ciascun operatore pretende per il suo lavoro.
Quando ce la prendiamo con il solito idraulico evasore che fa il lavoro senza fattura o con il ristoratore a cui paghiamo il pranzo in contanti senza scontrino fiscale, dimentichiamo che, se questi soggetti pagassero integralmente le loro tasse sul reddito e l'IVA sui servizi che ci offrono, dovrebbero scaricare questi costi su di noi, con prezzi più alti, fermo restando il reddito netto che si aspettano dal loro lavoro. Quindi gli evasori in fin dei conti siamo noi consumatori, in queste circostanze. Altro discorso poi è dire che questi soggetti guadagnano troppo in rapporto al lavoro che fanno (quando è così). Ridimensionare i redditi di tali soggetti facendo pagare loro le tasse è una illusione, perché il risultato è solo quello di aumentare i prezzi per i consumatori. Quindi la battaglia contro questi soggetti evasori attualmente in corso, sebbene positiva, può tradursi in un aumento dei prezzi per i consumatori, a meno che la riduzione della domanda di tali servizi a seguito degli aumenti non sia talmente forte da costringere i soggetti a ridurre il loro reddito netto.
Capire questo aiuta anche a capire come, in ultima analisi, l'ideale sarebbe far pagare a tutti le tasse soltanto sui prodotti e servizi consumati, senza imposizione diretta sul reddito, ma differenziando in funzione del reddito l'aliquota fiscale che l'acquirente paga sui suoi acquisti. Come dire che, se non consumo nulla, non pago tasse ed accumulo capitale, ma appena consumo qualcosa pago tutte le mie tasse in maniera molto sostanziosa.
Costruire un tale meccanismo sino a poco tempo fa sarebbe stato impensabile. Oggi, grazie alla diffusa informatizzazione di ogni cosa, sarebbe realizzabile. Abolendo l'uso del contante ed impiegando soltanto carte di credito ed analoghi strumenti, ogni pagamento verrebbe tracciato e sarebbe impossibile per il venditore evadere l'IVA, mentre l'aliquota potr ebbe venire stabilita automaticamente in base al riconoscimento del compratore.
Il metodo non risolve tutti i problemi : infatti se il compratore, pur non essendo tenuto a pagare alcuna tassa sul reddito, nasconde il suo vero reddito, finisce poi per comperare con basse aliquote fiscali anche se il suo reddio è elevato.
Come evitare questo ? Non è così difficile.
Oggi non mi conviene chiedere fattura all'idraulico, perché significa solo pagare di più il suo servizio di tasca mia. Ma se non posso pagare l'idraulico in contanti, questo dovrà attrezzarsi con un sistema di pagamento telematico oppure accettare un assegno. Quindi il pagamento sarà tracciabile ed il suo reddito sarà trasparente, come da contabili bancarie. Non pagherà tasse sul suo reddito, ma il suo reddito sarà classificato e quindi l'aliquota IVA che pagherà sui suoi acquisti.
Ogni medaglia ha il suo rovescio : una rigida politica di prelievo fiscale sui consumi nazionali porta il consumatore a rivolgersi altrove; con l'idraulico niente da fare; ti serve a casa tua; idem con il caffé al bar e con la spesa quotidiana, ma altre spese le posso effettuare altrove, all'estero. Infatti, non pagando tasse sul reddito, se spendo poco nel mio paese, accumulo capitale. Posso pagarmi ad esempio una vacanza all'estero, invece di farla in Italia con una aliquota IVA magari molto elevata. Niente paura : l'informatica ci aiuta sempre ; come faccio a pagare i costi all'estero ? Sempre con la mia solita carta di credito. Il sistema saprebbe che non ho speso i soldi in Italia e non avrebbe difficoltà ad addebitarmi una bella aliquota IVA addizionale da versare al fisco. Me se pago in contanti all'estero ? Se ti procuri i contanti all'estero, a valere sul tuo CC, io banca ti addebito una aliquota di tasse funzione della tua categoria di reddito. Va bene, allora sai cosa faccio ? Apro un conto all'estero e poi spendo i soldi da quello. Daccordo; fai pure, ma siccome sul reddito che ha permesso di accumulare il capitale depositato nella tua banca non hai pagato tasse, se trasferisci i soldi all'estero ti faccio una sostanziosa trattenuta fiscale, progressiva con l'importo trasferito, e paghi adesso le tasse che non hai pagato prima. Poi i soldi che restano spendili pure all'estero come ti pare.
Va bene, allora sai cosa faccio ? Visto che ho messo da parte molti soldi perché io consumo poco, apro una impresa e mi metto a produrre qualcosa ; come la mettiamo adesso ? Fa pure, per me Stato va benissimo. Apri pure l'impresa. Sugli acquisti di beni destinati alla produzione (macchine, ecc) non paghi alcuna tassa (IVA) ; stessa cosa sull'utile d'impresa non distribuito. Ti servirà per pagare stipendi di nuovi impiegati/operai e nuove macchine. Quanto agli stipendi ed al tuo reddito di imprenditore mi basta sapere quanto sono per attribuire i punteggi di spesa personale.
Sai cosa ti dico ? Faccio comperare alla mia azienda una bella barca da 18 metri per le mie vacanze, senza pagare tasse. No, hai capito male: non paghi IVA acquisti su quello che serve per produrre nella tua azienda ; la barca da 18 metri cosa produce ? La tua azienda non può comperare quella barca.
Il nocciolo del problema fiscale è che le persone si danno da fare per produrre un reddito che permetta loro di acquistare più beni e servizi di altri e di conseguenza, visto che le tasse falcidiano una parte del reddito, cercano di evaderle con ogni mezzo.
Spostare l'onere fiscale dal reddito ai consumi ma indicizzando le aliquote fiscali sui consumi al reddito del compratore complica la vita al percettore di reddito ma in qualche modo rende il suo quadro operativo più semplice.
Infatti l'assenza di imposizione sul reddito rende più appetibile fare impresa e più competitivo produrre e vendere merci, anche all'estero. Infatti se vendo all'estero le merci che produco, non avendo pagato alcuna tassa su acquisti e quant'altro, i miei prezzi sono competitivi e posso aumentare le vendite.
Il mio problema sta nel come spendere bene il mio reddito personale. Quello che compero in Italia mi costa parecchio in tasse; se compero all'estero ho una tassa fissa sul trasferimento dei miei soldi all'estero. Sto al gioco se gli svantaggi del sistema sono abbastanza compensati dai vantaggi. Posso fare meglio impresa e quindi guadagnare molto di più in volume, quindi ho molto più reddito personale da spendere anche se quello che compro mi costa caro. Forse mi conviene.
In effetti una maggiore equità distributiva in termini di potere d'acquisto si può ottenere soltanto se la riduzione del potere di acquisto di alcuni a favore di altri è tollerabile ed è in qualche misura compensata dalla possibilità di produrre più facilmente ricchezza.
In altre parole : se io oggi guadagno 300'000 e all'anno ed ho un certo potere di acquisto, diciamo convenzionalmente 100, ed il mio potere di acquisto si riduce a 80 (-20%), ma il mio reddito sale a 400'000 € (+33%) perché il mio lavoro rende di più, il gioco per me vale la candela. E' difficile immaginare una organizzazione sociale costruita per sottrarre ai ricchi e donare ai poveri , perchè i ricchi si allontanano in fretta. Piaccia o no è così.
Tutto questo è molto bello sulla carta, ma l'applicazone sarebbe una vera rivoluzione e sarebbe anche impossibile valutare a priori l'entità dei trasferimnti di gettito fiscale da un settore impositivo all'altro. Quindi l'unico modo ragionevole sarebbe quello di introdurre gradualmente questi criteri valutandone a posteriori l'efficiacia in termini redistributivi e correggendo via via il tiro.
Una diversa politica fiscale non risolve tuttavia il nodo fondamentale dell'Italia : troppi costi a carico dei troppo pochi che lavorano e producono effettiva ricchezza e non solo servizi onerosi. E' insostenibile che oltre l'80% dei cittadini viva in un modo o nell'altro alle spalle della ricchezza prodotta dal restante 20%. Non sta in piedi se non fabbricando debito pubblico crescente sino ad arrivare al punto di rottura, a cui siamo molto vicini.
La tanto declamata politica per la crescita passa solo e soltanto attraverso un ampliamento della base produttiva di ricchezza reale, che una politica fiscale come quella delineata potrebbe incentivare, ma non potrebbe risolvere da sola. Non basta avere facilitazioni fiscali alla produzione: bisogna anche saper produrre qualcosa che tanti siano interessati a comperare, e per tanti intendo sopratutto compratori non italiani, perché il consumo interno viene pagato anche dai redditi di chi non è produttore di ricchezza, il chè sta anche bene, ma si tratta per così dire di una «partita di giro» interna al paese, senza afflusso di ricchezza fresca. Per capirci : consumi interni è come dire scambiarsi doni, lavoro ed altro tra marito e moglie : la ricchezza della famiglia non cambia.
Quindi la nostra crescita «reale» può soltanto venire da un aumento delle esportazioni, a spese quindi della ricchezza altrui, e poiché c'è un limite a quello che un paese può esportare, questo sarà anche il limite della nostra crescita e quindi della nostra capacità di abbattere il debito pubblico, restituendo all'Italia la sua libertà come paese e la sua dignità di popolo.
Franco Puglia - 30 Agosto 2012
IMPOSIZIONE FISCALE ED EQUITA'
L'imposizione fiscale è un tema centrale della politica economica di qualsiasi governo ed è particolarmente scottante in Italia, visto che l'onere fiscale complessivo è diventato insostenibile anche in raporto al modesto corrispettivo in servizi che ne deriva.
Fodamentalmente l'imposizi
one fiscale si divide in imposizione diretta, sui redditi delle persone fisiche e giuridiche, ed indiretta, sui beni e servizi che vengono scambiati nel paese.
L'imposizione diretta ha carattere progressivo, nel senso che le aliquote sono percentualmente più elevate, in funzione del reddito annuo, ed il volume impositivo pro capite è in ogni caso tanto maggiore quanto più elevato è il reddito.
Le imposte indirette sono uguali per tutti, indipendentemente dal reddito. Ricchi e poveri pagano allo stesso modo le tasse sulla benzina, il canone RAI e più in generale l'IVA su tutte le merci e servizi che acquistano.
Sulla base di questa elementare osservazione, possiamo quindi dire che la fiscalità diretta appare più equa di quella indiretta, perché produce contributi proporzionali al reddito, mentre nel caso dei consumi un ricco non mangia più spaghetti di un povero, ma ha più soldi per comperarseli.
La fiscalità indiretta offre un vantaggio allo Stato : è più difficile da evadere.
Come fai ad evadere le accise sulla benzina ? Non puoi.
La fiscalità diretta rende più facile l'evasione a quanti possono permettersi di incassare compensi senza rilasciare documenti (fatture e scontrini) soggetti a verifica fiscale.
Come rendere più equa la distribuzione del carico fiscale senza favorire l'evasione ?
La prima tentazione è quella di abolire le imposte indirette, ma il gettito fiscale corrispondente dovrebbe essere compensato da un tale aumento delle imposte dirette da renderle psicologicamente inaccettabili a tutti, con un conseguente aumento verticale dell'evasione.
Una ragionevole alternativa, tuttavia, può essere quella di differenziare le aliquote IVA in funzione del tipo di bene o servizio scambiato e del reddito di chi acquista.
Infatti, se l'obiettivo è quello dell'Equità, perché non applicare ai beni più costosi aliquote maggiori ed aliquote minori a quelli di prima necessità ? Se l'IVA su una autvettura da 80mila € passa dal 21 al 30% il mercato di queste auto non calerà di molto, perché chi può permettersi di spendere per un'auto 80mila € non teme di arrivare a 90 o 100mila.
L'applicazione di un tale criterio non è peraltro esente da problemi, visita la nostra collocazione in Europa: infatti io potrei acquistare l'auto in Germania con IVA 20% (a minor prezzo) e poi importarla in Italia. Molti lo farebbero; altri no. Il problema si potrebbe però aggirare: l'IVA potrebbe venire applicata all'atto della immatricolazione, quindi versata direttamente all'ente pubblico e non al concessionario italiano o straniero. A quel punto, che io compri in Italia o Germania non farebbe alcuna differenza.
Questo per le auto. Per altri generi di consumo può essere più complicato. Nell'elettronica di consumo, ad esempio, se aumento l'IVA molti andranno ad acquistare gli stessi prodotti in un altro paese europeo.
Un modo per correlare redditi ed IVA potrebbe essere quello di rendere i redditi individuali più trasparenti e far pagare a chi ha redditi più elevati anche un'IVA più pesante.
Le banche in genere pretendono di conoscere il reddito delle imprese, ai fini della concessione di fidi, ecc. Non vale per i privati. Perché non assegnare a ciascun privato una sorta di punteggio bancario in funzione del reddito annuo ufficialmente dichiarato ?
In sede di acquisto con Bancomat o Carta di Credito il sistema potrebbe accertare la congruenza tra una aliquota IVA dichiarata nel prezzo e quella a cui ha diritto l'acquirente in base al suo reddito.
Complicato ? Si, ma realizzabile.
Il problema di fondo consiste nella volontà, o meno, di pagare di più alcuni beni da parte di chi è più ricco per farli pagare di meno da parte di chi è più povero, fermo restando che non si può tirare troppo la corda altrimenti chi è ricco compra altrove.
L'idea di fondo, comunque, è di aggravare l'imposizione fiscale sui beni di lusso e comunque più costosi, con sgravi fiscali su quelli meno costosi e comunque di prima necessità.
Questa esigenza nasce anche dal fatto che i redditi più bassi, da lavoro dipendente o da pensione, non possono venire aumentati e quindi occorre aumentare il loro potere d'acquisto, defiscalizzando le merci e servizi che sono alla portata di queste categorie sociali.
Un altro elemento che occorre avere ben presente prima di introdurre una seria riforma fiscale è il seguente : chi paga le tasse è sempre il consumatore, sia esso ricco o povero.
E' necessariamente così ; non è una scelta iniqua o di carattere politico. Tutto quello che produciamo ed i servizi che la società offre ha dei costi che vengono inevitabilmente scaricati sull'utente finale del bene o servizio, comprese le tasse pagate dal produttore.
Se comperi della frutta per 1 € al kg, in quell'Euro ci sono tutti i costi che agricoltore e distribuzione sostengono per portare quella frutta nella tua borsa della spesa. Il prezzo infatti deve coprire ogni e qualsiasi spesa di tutti gli operatori coinvolti, più il margine di utile netto che ciascun operatore pretende per il suo lavoro.
Quando ce la prendiamo con il solito idraulico evasore che fa il lavoro senza fattura o con il ristoratore a cui paghiamo il pranzo in contanti senza scontrino fiscale, dimentichiamo che, se questi soggetti pagassero integralmente le loro tasse sul reddito e l'IVA sui servizi che ci offrono, dovrebbero scaricare questi costi su di noi, con prezzi più alti, fermo restando il reddito netto che si aspettano dal loro lavoro. Quindi gli evasori in fin dei conti siamo noi consumatori, in queste circostanze. Altro discorso poi è dire che questi soggetti guadagnano troppo in rapporto al lavoro che fanno (quando è così). Ridimensionare i redditi di tali soggetti facendo pagare loro le tasse è una illusione, perché il risultato è solo quello di aumentare i prezzi per i consumatori. Quindi la battaglia contro questi soggetti evasori attualmente in corso, sebbene positiva, può tradursi in un aumento dei prezzi per i consumatori, a meno che la riduzione della domanda di tali servizi a seguito degli aumenti non sia talmente forte da costringere i soggetti a ridurre il loro reddito netto.
Capire questo aiuta anche a capire come, in ultima analisi, l'ideale sarebbe far pagare a tutti le tasse soltanto sui prodotti e servizi consumati, senza imposizione diretta sul reddito, ma differenziando in funzione del reddito l'aliquota fiscale che l'acquirente paga sui suoi acquisti. Come dire che, se non consumo nulla, non pago tasse ed accumulo capitale, ma appena consumo qualcosa pago tutte le mie tasse in maniera molto sostanziosa.
Costruire un tale meccanismo sino a poco tempo fa sarebbe stato impensabile. Oggi, grazie alla diffusa informatizzazione di ogni cosa, sarebbe realizzabile. Abolendo l'uso del contante ed impiegando soltanto carte di credito ed analoghi strumenti, ogni pagamento verrebbe tracciato e sarebbe impossibile per il venditore evadere l'IVA, mentre l'aliquota potr ebbe venire stabilita automaticamente in base al riconoscimento del compratore.
Il metodo non risolve tutti i problemi : infatti se il compratore, pur non essendo tenuto a pagare alcuna tassa sul reddito, nasconde il suo vero reddito, finisce poi per comperare con basse aliquote fiscali anche se il suo reddio è elevato.
Come evitare questo ? Non è così difficile.
Oggi non mi conviene chiedere fattura all'idraulico, perché significa solo pagare di più il suo servizio di tasca mia. Ma se non posso pagare l'idraulico in contanti, questo dovrà attrezzarsi con un sistema di pagamento telematico oppure accettare un assegno. Quindi il pagamento sarà tracciabile ed il suo reddito sarà trasparente, come da contabili bancarie. Non pagherà tasse sul suo reddito, ma il suo reddito sarà classificato e quindi l'aliquota IVA che pagherà sui suoi acquisti.
Ogni medaglia ha il suo rovescio : una rigida politica di prelievo fiscale sui consumi nazionali porta il consumatore a rivolgersi altrove; con l'idraulico niente da fare; ti serve a casa tua; idem con il caffé al bar e con la spesa quotidiana, ma altre spese le posso effettuare altrove, all'estero. Infatti, non pagando tasse sul reddito, se spendo poco nel mio paese, accumulo capitale. Posso pagarmi ad esempio una vacanza all'estero, invece di farla in Italia con una aliquota IVA magari molto elevata. Niente paura : l'informatica ci aiuta sempre ; come faccio a pagare i costi all'estero ? Sempre con la mia solita carta di credito. Il sistema saprebbe che non ho speso i soldi in Italia e non avrebbe difficoltà ad addebitarmi una bella aliquota IVA addizionale da versare al fisco. Me se pago in contanti all'estero ? Se ti procuri i contanti all'estero, a valere sul tuo CC, io banca ti addebito una aliquota di tasse funzione della tua categoria di reddito. Va bene, allora sai cosa faccio ? Apro un conto all'estero e poi spendo i soldi da quello. Daccordo; fai pure, ma siccome sul reddito che ha permesso di accumulare il capitale depositato nella tua banca non hai pagato tasse, se trasferisci i soldi all'estero ti faccio una sostanziosa trattenuta fiscale, progressiva con l'importo trasferito, e paghi adesso le tasse che non hai pagato prima. Poi i soldi che restano spendili pure all'estero come ti pare.
Va bene, allora sai cosa faccio ? Visto che ho messo da parte molti soldi perché io consumo poco, apro una impresa e mi metto a produrre qualcosa ; come la mettiamo adesso ? Fa pure, per me Stato va benissimo. Apri pure l'impresa. Sugli acquisti di beni destinati alla produzione (macchine, ecc) non paghi alcuna tassa (IVA) ; stessa cosa sull'utile d'impresa non distribuito. Ti servirà per pagare stipendi di nuovi impiegati/operai e nuove macchine. Quanto agli stipendi ed al tuo reddito di imprenditore mi basta sapere quanto sono per attribuire i punteggi di spesa personale.
Sai cosa ti dico ? Faccio comperare alla mia azienda una bella barca da 18 metri per le mie vacanze, senza pagare tasse. No, hai capito male: non paghi IVA acquisti su quello che serve per produrre nella tua azienda ; la barca da 18 metri cosa produce ? La tua azienda non può comperare quella barca.
Il nocciolo del problema fiscale è che le persone si danno da fare per produrre un reddito che permetta loro di acquistare più beni e servizi di altri e di conseguenza, visto che le tasse falcidiano una parte del reddito, cercano di evaderle con ogni mezzo.
Spostare l'onere fiscale dal reddito ai consumi ma indicizzando le aliquote fiscali sui consumi al reddito del compratore complica la vita al percettore di reddito ma in qualche modo rende il suo quadro operativo più semplice.
Infatti l'assenza di imposizione sul reddito rende più appetibile fare impresa e più competitivo produrre e vendere merci, anche all'estero. Infatti se vendo all'estero le merci che produco, non avendo pagato alcuna tassa su acquisti e quant'altro, i miei prezzi sono competitivi e posso aumentare le vendite.
Il mio problema sta nel come spendere bene il mio reddito personale. Quello che compero in Italia mi costa parecchio in tasse; se compero all'estero ho una tassa fissa sul trasferimento dei miei soldi all'estero. Sto al gioco se gli svantaggi del sistema sono abbastanza compensati dai vantaggi. Posso fare meglio impresa e quindi guadagnare molto di più in volume, quindi ho molto più reddito personale da spendere anche se quello che compro mi costa caro. Forse mi conviene.
In effetti una maggiore equità distributiva in termini di potere d'acquisto si può ottenere soltanto se la riduzione del potere di acquisto di alcuni a favore di altri è tollerabile ed è in qualche misura compensata dalla possibilità di produrre più facilmente ricchezza.
In altre parole : se io oggi guadagno 300'000 e all'anno ed ho un certo potere di acquisto, diciamo convenzionalmente 100, ed il mio potere di acquisto si riduce a 80 (-20%), ma il mio reddito sale a 400'000 € (+33%) perché il mio lavoro rende di più, il gioco per me vale la candela. E' difficile immaginare una organizzazione sociale costruita per sottrarre ai ricchi e donare ai poveri , perchè i ricchi si allontanano in fretta. Piaccia o no è così.
Tutto questo è molto bello sulla carta, ma l'applicazone sarebbe una vera rivoluzione e sarebbe anche impossibile valutare a priori l'entità dei trasferimnti di gettito fiscale da un settore impositivo all'altro. Quindi l'unico modo ragionevole sarebbe quello di introdurre gradualmente questi criteri valutandone a posteriori l'efficiacia in termini redistributivi e correggendo via via il tiro.
Una diversa politica fiscale non risolve tuttavia il nodo fondamentale dell'Italia : troppi costi a carico dei troppo pochi che lavorano e producono effettiva ricchezza e non solo servizi onerosi. E' insostenibile che oltre l'80% dei cittadini viva in un modo o nell'altro alle spalle della ricchezza prodotta dal restante 20%. Non sta in piedi se non fabbricando debito pubblico crescente sino ad arrivare al punto di rottura, a cui siamo molto vicini.
La tanto declamata politica per la crescita passa solo e soltanto attraverso un ampliamento della base produttiva di ricchezza reale, che una politica fiscale come quella delineata potrebbe incentivare, ma non potrebbe risolvere da sola. Non basta avere facilitazioni fiscali alla produzione: bisogna anche saper produrre qualcosa che tanti siano interessati a comperare, e per tanti intendo sopratutto compratori non italiani, perché il consumo interno viene pagato anche dai redditi di chi non è produttore di ricchezza, il chè sta anche bene, ma si tratta per così dire di una «partita di giro» interna al paese, senza afflusso di ricchezza fresca. Per capirci : consumi interni è come dire scambiarsi doni, lavoro ed altro tra marito e moglie : la ricchezza della famiglia non cambia.
Quindi la nostra crescita «reale» può soltanto venire da un aumento delle esportazioni, a spese quindi della ricchezza altrui, e poiché c'è un limite a quello che un paese può esportare, questo sarà anche il limite della nostra crescita e quindi della nostra capacità di abbattere il debito pubblico, restituendo all'Italia la sua libertà come paese e la sua dignità di popolo.
Franco Puglia - 30 Agosto 2012
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