venerdì 14 settembre 2012

L'ECONOMIA GLOBALIZZATA

Una volta tanto in Anno Zero di Santoro (10.3.2011) il tema centrale non fu Berlusconi ; si sentiva il bisogno di parlare d'altro. Interlocutori di pregio (Tremonti, ecc) e tematica esistenziale (l'economia mondiale, la finanza, etc). Interventi equilibrati e nessun vero scontro di opinioni.
Ma molte cose non furono dette; perché ? Poco tempo ? No, non solo questo.
Ci sono verità talmente scomode che nessuno vuole non solo pronunciarle ma neppure pensarle, da destra a sinistra.

Per capire un mondo complesso, bisogna partire dal mondo quando era più semplice, perché gli strumenti sono mutati, ma i bisogni umani di base ed i meccanismi dei rapporti economici tra gli uomini sono immutati da millenni.
- I bisogni fondamentali : mangiare, bere, dormire, ripararsi dalle intemperie (capanna o
casa), ripararsi dal freddo (vestiti), fare sesso, riprodursi.
- I bisogni accessori : qualsiasi altra cosa, gioco, sport, arte, oggetti vari, ecc.
L'uomo primitivo uccide animali per procurarsi cibo e vestiario, poi coltiva anche la terra (cibo) e costruisce capanne ed abitazioni con i materiali che trova. Gli strumenti : le sue mani ed il suo cervello. La produttività : bassissima, perché produci solo quello che le tue mani ti consentono in una giornata di lavoro. Come faccio a migliorare la mia vita ? Costringo altri a lavorare per me (io sono più forte, uso la violenza per convincerli) oppure uso la mia forza per rubare quello che mi serve a chi ne dispone (cibo, oggetti, femmine, ecc): la guerra.

Continua così per secoli : si creano le classi dominanti, che hanno potere e ricchezza, grazie allo sfruttamento delle risorse di lavoro di altri (la plebe). Ma i ricchi sono pochi, la plebe è numerosa. Cambia tutto con le prime macchine (la macchina a vapore) perché diventa possibile moltiplicare il lavoro di un uomo : dove servivano 10 uomini ne basta 1.
La macchina crea ricchezza, perché moltiplica le risorse individuali. Questa ricchezza però si concentra nelle mani dei già ricchi, che disponevano dei mezzi economici per poter costruire le macchine. Tuttavia col tempo abbiamo anche una ricaduta di ricchezza sulla plebe, perché nasce il meccanismo dei consumi : chi possiede le macchine può diventare più ricco producendo più cose che qualcuno può essere interessato a comperare (prima i ricchi, poi anche altri) e serve anche più mano d'opera. Aumenta la produzione, aumentano i lavoratori industriali, una parte della ricchezza si distribuisce, aumentano i consumi. Il fenomeno si amplifica in progressione più che lineare (esponenziale) nel 20° secolo. Le imprese sono dapprima padronali (una persona o una famiglia detiene la proprietà dell'impresa) poi ad azionariato più o meno diffuso. La finanza (inizialmente confinata al ruolo di deposito di denaro o prestito, magari ad usura) si diversifica e si espande assumendo caratteristiche di complessità tali da sfuggire, nella loro interezza, anche agli addetti ai lavori.

Oggi esistono imprese in cui è quasi impossibile determinare il complesso intreccio delle quote di proprietà. La gestione dell'impresa è affidata a managers, che obbediscono a regole non etiche, e sono ingranaggi di un sistema che non ha più caratteristiche umane perché obbedisce alle regole di una astrazione (il mercato) che sono ferree. Se il manager non sta alle regole, il meccanismo lo espelle ed un altro subentra. Il manager non può essere umano: è parte di un meccanismo che era umano solo in origine.

La finanza è fine a se stessa : non ha finalità o limitazioni etiche; il suo fine è il profitto.
La produzione e la finanza si sono globalizzate: significa che la proprietà azionaria può essere ovunque, svincolata dagli interessi locali, guidata soltanto dal criterio del profitto.
Anche i singoli stati controllano sempre meno il potere della finanza e della produzione distribuite su scala trans-nazionale.

Si produce dove conviene, si delocalizza, si sfruttano le risorse disponibili laddove esistono (mano d'opera a basso costo, competenze, leggi locali favorevoli, fiscalità bassa, materie prime a minor costo, logistica, ecc.).
Le esigenze del profitto portano alle concentrazioni produttive, alle economie di scala, alla distruzione dei piccoli produttori (quando possibile) a favore delle grandi imprese.
La ricchezza si concentra nelle mani dei più ricchi e viene sottratta da quelle dei più deboli.

Questo sistema è andato in crisi perché il suo potenziale di crescita dipende dal rapporto tra il potenziale produttivo delle risorse agricole ed industriali ed i costi necessari a sostenere tale potenziale (costo di materie prime e lavoro) in funzione della capacità di assorbimento del mercato, costituito in gran parte dalle masse lavoratrici.
Il sistema sta in piedi sino a quando la maggior parte dei consumatori appartengono ad un ceto medio in grado di consumare e spendere denaro. Se il ceto medio non assorbe abbastanza consumi, il sistema va in crisi perché la plebe non è in grado di rimpiazzare questa perdita di consumi.
Se la produzione cala, c'è meno lavoro, il ceto medio diminuisce ed aumenta la plebe.
Questo fenomeno è sotto gli occhi di tutti ed è in pieno svolgimento.

Ma chi è questo ceto medio ? Si tratta di una classe sociale diversificata i cui componenti spesso non sono direttamente collegati alla produzione (non sono agricoltori oppure operai o tecnici) ma appartengono ad un terziario di servizi diversi : impiegati dell'amministrazione pubblica, avvocati, personale sanitario, artisti, politici, ecc, ecc.
Il terziario non influisce direttamente sul costo di produzione di un bene agricolo o industriale : la sua influenza è indiretta, attraverso i costi (fiscali e non) che gravano su ogni bene materiale che venga prodotto. Se il peso numerico ed economico di questa classe cresce, crescono anche i costi di produzione ed arriva un momento in cui la plebe produttiva non è più in grado di consumare a sufficienza anzi, scende sotto il livello minimo di sussistenza.
Allo stesso tempo il ceto medio (le cui risorse economiche non sono illimitate) vede ridursi il suo potenziale di acquisto a causa dell'aumento dei costi a cui lui stesso ha inconsapevolmente contribuito ed inoltre vede calare anche le sue necessità di spesa, perché dispone già di quasi tutto ciò che gli serve (casa, auto, elettrodomestici, ecc).
Quindi anche il ceto medio consuma meno, la produzione cala, scende l'impiego di mano d'opera produttiva (diretta) ma anche indiretta (meno servizi).

Per sostenere i consumi le imprese delocalizzano, per abbattere i costi, ma riducono ulteriormente la base di acquisto locale delle loro merci. Il sistema si avvita su se stesso.
La finanza viene in aiuto al ceto medio proponendo il debito : acquista oggi con i soldi che avrai domani. Viene così a crearsi la bolla di una ricchezza virtuale, che temporaneamente riesce a tenere in piedi il meccanismo economico (costruisco una casa, pagata a debito, e do lavoro alle maestranze, compro materie prime, ecc) ma poi, inevitabilmente crolla, perché è come costruire una casa pesante su una crosta sottile di terra: basta un niente perché tutto crolli. Quando parliamo di debiti, non ci sono soltanto quelli individuali, ma sopratutto quelli degli Stati (debito pubblico).

Questa analisi porta a concludere che, in assenza di cambiamenti strutturali, il sistema è destinato a collassare, senza alternative, ed anche in fretta.
Aggiungiamo a questa analisi il fatto incontestabile che il consumo di materie prime sta crescendo esponenzialmente grazie allo sviluppo a due cifre dei paesi emergenti che hanno una popolazione enorme in rapporto a quella dei paesi occidentali, ricchi ancora per poco.
Le risorse non sono inesauribili, anzi, si stanno già esaurendo. Quando le risorse scenderanno al di sotto di una certa soglia, il sistema crollerà fragorosamente, perché le popolazioni non sono in grado di rinunciare ad una serie di accessori vitali da cui sono irrimediabilmente condizionate (energia elettrica, automezzi, riscaldamento invernale, distribuzione del cibo, respirabilità dell'aria, ecc).

La crisi, prima finanziaria e poi economica, del 2008 ci è piombata addosso inattesa per i più ed ha avuto uno sviluppo negativo rapidissimo (un buco enorme) con una successiva ripresa lentissima.
Il prossimo crollo avrà caratteristiche analoghe : sarà inatteso, rapido, verticale, come un terremoto che nessuno si aspettava. Eppure è tutto ben prevedibile : la sola cosa che non sappiamo è in quanto tempo accadrà a partire da oggi, se non si operano cambiamenti strutturali. Quali cambiamenti ?

Semplice e difficile allo stesso tempo : occorre fare marcia indietro e ritornare verso il punto di partenza, in cui ciascuno consumava soltanto quello che sapeva produrre con le sue mani.
Evidentemente non si tratta di ritornare verso l'età della pietra, ma di ridimensionare drasticamente i meccanismi della globalizzazione selvaggia, che esasperano i conflitti tra chi dispone dei mezzi per crescere e chi è costretto ridurre drammaticamente la propria condizione esistenziale. La politica deve tornare ad essere il governo della Polis a favore della Polis : sono italiano, vivo in Italia, debbo lavorare per vivere, debbo consumare prevalentemente quello che produco qui, senza scivolare nell'autarchia, ma favorendo senza mezzi termini (con provvedimenti fiscali ed altro) la produzione nazionale ed il lavoro dei connazionali ; se poi una impresa, per vendere in Cina deve produrre in Cina, sta bene, lo faccia, ma ciò che produce in Cina non torna in Italia senza pagare pegno. Questo vorrà dire che una maglietta prodotta in Italia costerà 100 € invece di 20 e quindi compererò meno magliette, ma la qualità della mia vita non dipende dal numero di magliette che compro !

Non basta : se per produrre tutti i beni in Italia occorrono 100 addetti e poi ci sono 1000 addetti al terziario, quei beni costeranno sempre e comunque troppo per il reddito di tutti.
La base produttiva diretta deve aumentare ed il terziario deve diminuire.
La maglietta prodotta in Italia sarà invendibile in Cina (ma chi se ne frega !). Se l'impresa vuole vendere all'estero può produrre dove le pare, ma non per il mercato interno.
Tutto questo è facile a parole, difficilissimo o quasi impossibile in pratica, anche perché in Europa non ci sono confini e le merci circolano liberamente, per non parlare dei capitali.
L'orizzonte però è necessariamente quello : muoversi in una direzione diversa porta al baratro e comunque anche una tale inversione di marcia funzionerebbe solo in parte, ammesso che si potesse attuare su scala nazionale, perché se il resto del mondo prosegue verso il baratro si porta dietro anche noi, senza scampo. Se le materie prime finiscono, anche una nostra ipotetica «autarchia» resta a bocca asciutta.
Il dramma è che ciascuno, individualmente ed a livello di nazioni, pensa solo al suo interesse a breve termine ; chi può convincere mai la Cina a rallentare il suo sviluppo ? Chi è al timone della barca pensa all'oggi ; il domani sarà un problema per altri.

Ing. Franco Puglia 
(Scritto il 30 marzo 2011 questo articolo contiene verità attualissime che ognuno di noi può verificare nella realtà quotidiana. Tratto dal gruppo FB Rinnovamento nazionale )

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