lunedì 28 luglio 2025

Il figlio di Dio

 

Tra gli Esseni si conosceva il fondatore del cristianesimo come Jeshua Ben Pandhira. Nelle scritture vediche appare più di 3.000 volte, soprattutto nel Bhaviskhya Purana, chiamato Isha Putra (il figlio di Dio).

Il Bhavishya Purana è uno dei diciotto principali Purana Indù, testi sacri dell'Induismo.

È scritto in sanscrito una delle lingue più antiche che l'umanità abbia mai conosciuto. , Il titolo Bhavishya Purana significa un lavoro che contiene profezie sul futuro (in sanscrito: Bhavi ṣya. ) risale al 3000 ac e afferma che una profezia descrive l'aspetto futuro di Isha putra, il figlio (putra) di Dio (Isha) (Gesù Cristo), nato da una donna single di nome Kumari (Maria) Garbha Sambhava. Andrebbe a visitare l'India all'età di 13 anni in viaggio sulle montagne dell'Himalaya e praticherà le Tapas o la penitenza per acquisire la maturità spirituale sotto la guida di rishis e siddha-yogi prima di tornare in Palestina per predicare al suo popolo. Gesù è stato quindi addestrato dai saggi dell'India, questo spiega perché è stato in grado di compiere vari miracoli (siddhas). Spiega anche perché ci sono così tante somiglianze filosofiche tra cristianesimo primitivo e Induismo. Il Bhavishya Purana descrive come Gesù visitava Varanasi e altre città sacre dell'India e luoghi sacri buddisti. Questo è confermato anche dal manoscritto sulla vita di Isha (o Issa), scoperto da Notovich nel 1886 nel monastero di Hemis a Ladakh, India, nonché dalle iscrizioni ebraiche trovate a Srinagar, Kashmir nella Roza Bal, nella tomba di Yuz Asaf [Isha o Issa]. Il Bhavishya Purana ha anche predetto come Gesù si sarebbe riunito con l'imperatore Shalivahana che ha istituito la Shalivahana o era "Saka"

Tra i musulmani è conosciuto come il Santo Isha. Aperto alla verità dello yoga - tutto in uno -, ha avuto un intenso desiderio di condividere con gli altri la sua esperienza.

È stato formato in Egitto, ha viaggiato in India e pratico yoga - tecniche, attitudini, chiavi e conoscenze - che portano all'illuminazione. così come la saggezza del Buddismo che ha avuto un'influenza sostanziale sulla vita e sugli insegnamenti di Gesù. È tornato nel suo paese per insegnare. I registri indiani e tibetani raccontano il viaggio di Gesù. Dopo la crocifissione, i suoi discepoli hanno viaggiato ai confini del mondo per condividere i loro insegnamenti. Ma Gesù tornò sulle montagne indiane dove morì.

Gesù di Nazareth, lo yogi, è una chiave importante per accedere allo yoga, non solo dal cristianesimo, ma dal buddismo, dal giainismo o dall'islamismo. L'esperienza di Gesù come yogi è l'esperienza di un maestro contemporaneo che aspira all'unità e alla visione chiara. È un'esperienza mistica yoguica.

Cristo è stato molto frainteso dal mondo. Anche i principi più elementari dei suoi insegnamenti sono stati profanati crocifissi per mano del Dogma, del fanatismo, dei pregiudizi e della mancanza di comprensione e la profondità esoterica di questi principi è stata dimenticata. Sotto la presunta autorità di dottrine del cristianesimo forgiate dall'uomo, sono state combattute guerre genocidi e persone sono state bruciate al rogo con l'accusa di stregoneria o eresia. Come possiamo salvare questi insegnamenti immortali dalle grinfie dell'ignoranza e del fanatismo religioso. Bisogna conoscere Gesù come un Cristo orientale, come uno yogi supremo che ha manifestato il pieno dominio sulla scienza universale dell'unione con Dio e quindi ha potuto parlare e agire come un salvatore che contava sulla voce e sull'autorità di Dio. Gesù è stato occidentalizzato troppo. Gesù era orientale, sia per nascita che per legami di sangue e per l'istruzione ricevuta. Dissociare un maestro spirituale dalle sue origini e dal suo ambiente significa impegnare la comprensione attraverso la quale deve essere percepito. Indipendentemente da ciò che Gesù Cristo era di per sé nella maturità in Oriente, ha dovuto utilizzare la civiltà orientale, i suoi costumi, le sue peculiarità, la lingua e le parabole come strumento per diffondere il suo messaggio. Pertanto, per comprendere Gesù Cristo e i suoi insegnamenti dobbiamo essere ricettivi e ben predisposti verso il punto di vista orientale. Mentre gli insegnamenti di Gesù, dal punto di vista esoterico, sono universali, sono impregnati dell'essenza della cultura orientale e radicati in influenze orientali che si sono adattate all'ambiente occidentale. L'insegnamento principale di Gesù come diventare un Cristo. , il potere divino della realizzazione cristica è un'esperienza interiore, che possono ricevere coloro che provano devozione pura per Dio e per il suo riflesso immacolato come Cristo. un insegnamento antichissimo che si è perso nel tempo,

Non era importante per i cristiani, e i libri che scelsero le classi ecclesiastiche per la loro Bibbia non enfatizzano in alcun modo il vero insegnamento di Gesù. Il cristianesimo allora e ora era ed è più preoccupato della presunta crocifissione di Gesù che dei veri insegnamenti e pratiche spirituali del Maestro.

Gesù di Nazareth era un vero Yogi. Il Cristo ha esercitato come uno yogi, ha insegnato la scienza universale per raggiungere l'unione con il padre.

Il potere delle chiese e dei templi svanirà.

La vera spiritualità deve nascere dai templi delle grandi anime che giorno e notte rimangono nell'estasi di Dio.

 

 

 

I Km degli immigrati

 

Cinque chilometri. I primi cinque chilometri. quasi mezz'ora di viaggio e il camion già si ferma. Da una garitta escono tre poliziotti armati. Fanno scendere tutti. E' il primo posto di controllo sulla pista per Ténéré. Bisogna sedersi a terra con le mani sopra la testa. Uno dei tre ragazzi in mimetica sfila il pugnale dalla fondina e va a squarciare le intercapedini di canapa che avvolgono i bidoni dell'acqua e le borracce. Scompare dietro il camion ma forse non trova nulla e ritorna. A un gruppo di passeggeri seduti nelle prime file fa togliere le scarpe. Il poliziotto raccoglie le scarpe, una ad una e per ogni scarpa, con un'incisione netta della lama, taglia in due la suola.

Gli altri due poliziotti camminano tra le teste chine e sfiorano i corpi con due grossi tubi di gomma. Gridano due sole parole: money e argent. Vogliono soldi. Chi è a piedi nudi o in ciabatte viene trascinato dietro la garitta da dove arrivano altre voci. Poco dopo si sentono grida sommesse, colpi di tosse, il sibilo di una frusta. Anche Bill, Adolphus e Aloshu vengono picchiati. I due tubi di gomma si abbattono sulle loro schiene magre. Le mani dei due poliziotti salgono bene in alto, in modo che anche da dietro possano vedere cosa stringono in pugno. E poi giù con forza, finchè nel caldo risuoni quel tonfo cupo accompagnato dal debole lamento orgoglioso. Bill e i suoi due amici devono sopportare le torture davanti a tutti. Forse perchè non hanno mai rinunciato alle scarpe e non intendono togliersele. Resistono meno di un minuto. Un minuto lungo un giorno. Alla fine consegnano diecimila franchi a testa, poco più di 15 euro. E i poliziotti vogliono di più, vogliono le scarpe e quello che forse c'è dentro.

.....

Dopo un'ora di botte e perquisizioni si risale sul camion. In venti restano a terra. Si avviano verso overst con il passo lento di chi non aspetta più niente. Li hanno fatti scendere perchè non avevano soldi, scarpe o indumenti da regalare ai poliziotti. Tornano a piedi ad Agadez. Anche se avevano pagato il viaggio......

Bilal - Fabrizio Gatti

 

 


Dal Gruppo Chi ha paura del buio

 

Ti ricordi cosa stavi facendo un anno fa? Dov’eri, con chi? Eri felice, eri triste? Ti ricordi chi eri?

Immagina di costruire un castello di sabbia. Bene. Ora immagina di impiegare un anno per scambiare ogni granello di sabbia con un altro granello. Domanda: alla fine dell’operazione avrai lo stesso castello? O sarà un altro castello, più o meno identico a quello originario ma non proprio lo stesso?

Pensa bene alla risposta che stai per dare, perché nel corso degli ultimi 365 giorni il 98% degli atomi del tuo corpo è stato sostituito con un altro atomo dello stesso tipo. A seconda della tua altezza e del tuo peso, sei fatto da 1 a 10 miliardi di miliardi di miliardi di atomi. Ci sono molti più atomi nel tuo corpo che stelle nell’intero universo osservabile. E qualunque cosa stessi facendo un anno fa, quasi nessuno di questi atomi era parte di te.

Se stai con una persona da più di un anno, quasi nessuno degli atomi che hai di fronte ora era lì quando quella persona ti ha fatto innamorare. E tu non hai quasi più nessuno degli atomi che avevi quando per la prima volta hai pensato «Sì, mi piace».

È lo stesso castello di sabbia perché ha la stessa forma, o è un altro castello perché è fatto di granelli diversi?

Adesso hai altri atomi, che prima stavano in un oceano, in una mucca, in una mela, nell’atmosfera, in un filo d’erba, in un’altra persona che magari non hai mai conosciuto e magari ora non c’è più.

Hai un eroe? Un personaggio storico che ammiri particolarmente? Qualcuno che avresti tanto voluto incontrare? Statisticamente parlando, in questo momento all’interno del tuo corpo hai un miliardo di atomi che erano parte del suo corpo. E la persona che un futuro sbarcherà per prima su un altro pianeta, o premerà il pulsante che distruggerà il nostro, avrà in sé un miliardo di atomi che ora sono tuoi.

Nel tuo corpo ci sono atomi che appartenevano ad Adolf Hitler, magari legati insieme ad altri che furono di Anne Frank. Perché alla fine siamo tutti fatti degli stessi identici atomi, che girano per il cosmo da 13,8 miliardi di anni. Siamo un grumo di atomi che si sono momentaneamente organizzati in un certo modo prima di disperdersi e tornare a fare quello che hanno sempre fatto: essere semplicemente una minuscola parte dell’universo.

-Filippo (Chi ha paura del buio)

 

lunedì 21 luglio 2025

LA STUPIDITA'

 

Le persone intelligenti tendono sempre, inesorabilmente, a sottovalutare i rischi connessi alla stupidità, senza rendersi conto, che la stupidità sarebbe ancora più pericolosa della crudeltà che può essere prevista e affrontata.

Forse allo scopo di esorcizzarne il timore, da sempre si tende a rappresentare la stupidità in chiave comica. Sono stupidi molti protagonisti di commedie di successo, alcune figure della letteratura, sono stupidi i carabinieri protagonisti di molte barzellette, e lo sono molto spesso gli asini delle favole, da quello di Buridano al ciuco in cui si trasforma Pinocchio quando smette di studiare per poter solo gozzovigliare.

“La stupidità ha un suo fascino, ed è persino riposante” scriveva lo scrittore e umorista Ennio Flaiano.”Le persone e i libri più sciocchi sono quelli che più ci ammaliano, che più ci tentano e che ci tolgono ogni difesa”.

Ma attenzione: ridere della stupidità potrebbe renderla “simpatica” e quindi portare a sottovalutarla ulteriormente. Se infatti nella finzione lo stupido è perfettamente riconoscibile come tale, ben diversa è la situazione nella realtà.

La stupidità, anzitutto, è inconsapevole e recidiva. Il pericolo della stupidità deriva anche dal fatto che lo stupido non sa di essere stupido. Ciò contribuisce a dare maggiore forza ed efficacia alla sua azione devastatrice. Lo stupido infatti non riconosce i propri limiti, resta fossilizzato nelle proprie convinzioni, non sa cambiare. Nell’ambito clinico la stupidità è la malattia peggiore, perché è inguaribile. Lo stupido è portato a ripetere sempre gli stessi comportamenti perché non è in grado di capire il danno che fa e quindi non può autocorreggersi.

La stupidità è anche contagiosa. Questo spiega anche come interi popoli possono essere facilmente condizionati a perseguire obiettivi folli. Un fenomeno ben noto in psicologia. Il contagio emotivo proprio del gruppo diminuisce le capacità critiche, crea corto-circuiti cognitivi. Si verifica la cosiddetta “polarizzazione della presa di decisione”, si sceglie la soluzione più semplice, che spesso è anche la meno intelligente.

Oltre alla collettività, c’è un altro fattore che sembra amplificare la stupidità: il trovarsi in una posizione di comando. “Si paga caro l’acquisto del potere: il potere rende stupidi” scriveva il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche. Perché? Le persone al potere sono spesso indotte a pensare che proprio perché sono al potere sono migliori, più capaci, più intelligenti, più sagge del resto dell’umanità. Inoltre sono circondate da cortigiani, seguaci e profittatori che rinforzano continuamente questa illusione. Così chi è al governo arriva a compiere le più grosse sciocchezze in mezzo all’accondiscendenza generale: come nella favola dell’imperatore che, convinto di indossare abiti bellissimi, sfilava invece tra i suoi sudditi completamente nudo. Una favola che non esaspera poi tanto quello che accade nella realtà. Spesso nella quotidianità accade anche a chi si crede migliore degli altri.

Ma… e se lo stupido fossi io?

A questo punto urge una riflessione. Poiché una caratteristica degli stupidi è non sapere di esserlo, se pensiamo di non esserlo, non possiamo in realtà escludere che lo siamo, almeno qualche volta o almeno sotto qualche aspetto. Ma quello di pensare che solo gli altri siano stupidi è un circolo vizioso altrettanto stupido. Si può infatti arrivare a convincersi che tutto sia stupido, e che al dominio della stupidità ci si debba adeguare. Ma in questo modo si finisce per essere, o sembrare, stupido. Invece in ognuno di noi c’è un fattore di stupidità che è sempre maggiore di quello che pensiamo . E che probabilmente ha anche una sua funzione evolutiva: serve infatti a farci compiere atti avventati, che in molti casi possono essere più utili che il non fare nulla. La stupidità, insomma, ci permette di sbagliare, e nell’esperienza dell’errore c’è sempre un progresso della conoscenza. Nell’elogio della pazzia, Erasmo da Rotterdam sostiene addirittura che senza certe stupidaggini non saremmo neppure venuti al mondo. La stupidità, in quanto atteggiamento irrazionale, consente all’uomo di accettare sfide che normalmente non accetterebbe. Il punto chiave, quindi, è riconoscere i propri errori e correggersi. E’ invece pericoloso non sbagliare o illudersi di essere infallibili, dire -ho sbagliato- non è solo onesto: è un modo intelligente per ridurre il potere della stupidità. Il più stupido degli stupidi è chi crede di non sbagliare mai.(Angela Baldi)




 

domenica 20 luglio 2025

ACHARYA KANAD

 

Acharya Kanad è considerato uno dei pensatori più brillanti dell’antica India. Nato nel VI secolo a.C., molto prima di John Dalton, formulò una teoria sull’esistenza di particelle indivisibili che compongono tutta la materia: gli anu o Parmanu. Questa intuizione lo rese celebre come “il padre della teoria atomica” in ambito filosofico.

Le sue riflessioni, anche se non supportate da esperimenti scientifici nel senso moderno, presentano sorprendenti somiglianze con la fisica atomica contemporanea. Kanad teorizzava che ogni oggetto fosse composto da atomi invisibili che si uniscono in combinazioni diverse per formare la materia visibile.

La sua figura continua a suscitare interesse tra storici della scienza, filosofi e studiosi di cultura indiana. Acharya Kanad ha dimostrato come l’intuizione, la logica e l’osservazione possano generare idee che precorrono di millenni le scoperte scientifiche moderne.

Acharya Kanad e l’origine del suo nome: il maestro delle particelle

Il nome Acharya Kanad ha una storia affascinante e simbolica. Il suo vero nome era Kashyap, ma durante un pellegrinaggio a Prayag, un episodio curioso cambiò la sua identità. Notando chicchi di riso sparsi per terra, cominciò a raccoglierli, attirando lo sguardo perplesso dei pellegrini.

Alla domanda sul perché si occupasse di chicchi così insignificanti, rispose con una profonda riflessione sull’importanza del singolo elemento: un chicco da solo può sembrare inutile, ma molti insieme possono nutrire una famiglia. Questa risposta colpì profondamente i presenti.

Da quel giorno, fu soprannominato “Kanad”, da kan – “particella” in sanscrito – e in seguito onorato con il titolo di Acharya, ovvero “maestro”. Nacque così Acharya Kanad, il maestro delle particelle, precursore del pensiero atomico nell’antica India.

Acharya Kanad e il concetto di parmanu: l’antico atomo indivisibile

Acharya Kanad fu il primo a concepire l’idea che tutta la materia fosse formata da una particella indivisibile: il Parmanu, noto anche come anu. Secondo lui, ogni oggetto nell’universo, sesminuzzato infinite volte, giunge a un punto in cui non è più divisibile: ecco l’atomo.

Secondo la sua teoria, i Parmanu erano invisibili e non percepibili dai sensi umani. Tuttavia, possedevano un’energia naturale che li spingeva a combinarsi tra loro per formare strutture più complesse – i dwinuka, cioè le molecole – che determinavano le proprietà delle sostanze.

Kanad affermava che le diverse sostanze della realtà derivassero da differenti combinazioni di atomi e che agenti esterni, come il calore, potessero modificare queste combinazioni. Un’intuizione vicinissima ai concetti fondamentali della chimica e della fisica moderne.

Acharya Kanad e la fondazione della scuola Vaisheshika

Acharya Kanad fondò una delle sei scuole ortodosse della filosofia indiana: il Vaisheshika Darshan. In questa dottrina, cercò di spiegare la struttura dell’universo attraverso una classificazione rigorosa e logica delle realtà osservabili e non osservabili.

La sua scuola definiva sette categorie fondamentali: sostanza (Dravyam), qualità (Guna), azione (Karma), universalità (Samanya), particolarità (Vishesha), inerenza (Samavaya) e assenza (Abhava). Un sistema filosofico straordinariamente sofisticato per l’epoca.

Kanad applicò questo modello anche alla materia, suddividendola in nove tipi, tra cui elementi fisici (terra, acqua, fuoco, aria, etere) e concetti astratti come spaziotempomente e anima. Questo approccio dimostra quanto il pensiero di Acharya Kanad fosse ampio e profondo, integrando fisica, metafisica e cosmologia.

C’è un acceso dibattito su come classificare Acharya Kanad: fu uno scienziato ante litteram o un filosofo speculativo?

Secondo alcuni studiosi, come SK Arun Murthi, le sue teorie non possono essere considerate scientifiche, poiché mancavano di metodo empirico.

È vero che la teoria atomica di Kanad non si basava su esperimenti riproducibili, come quelli di Dalton secoli dopo. Tuttavia, la sua capacità di dedurre l’esistenza di particelle invisibili e indivisibili mostra una forma primitiva ma potente di pensiero scientifico.

Molti ritengono che, pur restando nel campo della filosofia, le idee di Acharya Kanad abbiano gettato le basi per un approccio razionale alla realtà fisica. La sua intuizione rappresenta un esempio precoce di come l’uomo cerchi di capire l’invisibile attraverso la ragione.

Acharya Kanad e il confronto con John Dalton

Il merito della prima teoria atomica scientifica viene attribuito a John Dalton, che nel 1808 elaborò una teoria basata su dati sperimentali. Tuttavia, è affascinante notare come molti concetti presenti in Dalton fossero già stati proposti in forma speculativa da Acharya Kanad oltre due millenni prima.

Dalton parlava di atomi indivisibili, dotati di massa, che si combinano in proporzioni definite per formare composti. Anche Kanad credeva in particelle indivisibili, capaci di unirsi e generare proprietà nuove a seconda della combinazione. L’unica vera differenza stava nel metodo: filosofico per Kanad, sperimentale per Dalton.

Questo parallelo non riduce l’importanza di Dalton, ma anzi evidenzia quanto il pensiero filosofico antico avesse già intuito strutture fondamentali dell’universoAcharya Kanad, pur senza strumenti, riuscì a immaginare l’atomo, dimostrando la forza della pura logica.

Acharya Kanad: un genio da riscoprire nella storia della scienza

Acharya Kanad rappresenta una figura affascinante e spesso trascurata nella storia del pensiero umano. La sua teoria dell’atomo, sebbene non scientifica nel senso moderno, è un esempio straordinario di intuizione razionale e pensiero sistemico nell’antichità.

Le sue idee, raccolte nel Vaisheshik Darshan, mostrano come la filosofia indiana cercasse di comprendere la realtà non solo attraverso la spiritualità, ma anche con strumenti intellettuali affini alla scienza. Questo rende Kanad una figura ponte tra due mondi: filosofia e scienza.

In un tempo in cui il pensiero era dominato dai miti e dalla religione, Acharya Kanad ebbe il coraggio di porre una domanda radicale: “Da cosa è fatta tutta la materia?”.

E nella sua risposta, pur semplice e speculativa, troviamo l’eco delle verità scientifiche scoperte secoli dopo.

 

giovedì 3 luglio 2025

La coscienza come ricerca e avventura

 Cosa significa, nella nostra epoca turbolenta e rumorosa, parlare di libertà interiore? Carl Gustav Jung, psichiatra e filosofo svizzero, ha offerto su questo tema una delle riflessioni più originali, universalmente valide e ancora sorprendentemente attuali. Jung ha affrontato la questione della coscienza come specchio della libertà interna dell’individuo, ponendosi a cavallo fra la metafisica, la filosofia della scienza e i primi orizzonti della fisica quantistica.

LA COSCIENZA COME RICERCA E AVVENTURA.

Jung considera la coscienza un processo in divenire, mai statico, teso continuamente verso una possibilità di integrazione e di liberazione dai vincoli inconsci. Jung chiama “individuazione” il percorso attraverso cui un soggetto (maschile o femminile) si emancipa dalle maschere sociali (persona) e dalle ombre interiori. Jung sostiene: “Diventare coscienti è un’avventura che comporta rischi, dolori e spesso un senso di solitudine.” (Jung, “Memorie, sogni, riflessioni”, 1961)

Per Jung la libertà interiore non nasce dalla negazione degli impulsi inconsci, ma dal loro riconoscimento. Questa lezione si esprime anche nei suoi scritti più filosofici e nei seminari condotti a Zurigo negli anni Venti e Trenta. Jung suggerisce al suo pubblico di “accettare il caos interiore come una risorsa. Afferma: “Ciò che non affrontiamo nella coscienza ci ritorna come destino.”

I VIAGGI DI JUNG.

Jung, uomo di profonda cultura tedesca e svizzera, trascorre lunghi periodi a Bollingen, sulle rive del lago di Zurigo. La sua casa-torre diventa un laboratorio di esperienze interiori: qui Jung scrive, dipinge, riflette, intaglia simboli sulla pietra. Un episodio noto: nel 1923, dopo la morte della madre, Jung si ritira a Bollingen per settimane. In quei giorni di solitudine egli avrebbe potuto annotare nei suoi diari una frase che riassumeva il suo pensiero del momento : “Solo chi affronta se stesso sotto la superficie può conoscere la libertà reale.”

Jung compie inoltre numerosi viaggi di esplorazione, sia geografica che interiore: negli Stati Uniti, in Kenya, in India. Nel 1938 incontra il filosofo indiano Sarvepalli Radhakrishnan. Assieme, discutono di coscienza universale e libertà spirituale. Radhakrishnan racconta che Jung vede la mente come una “porta tra il visibile e l’invisibile”.

COLLEGAMENTI CON LA METAFISICA E LA FISICA QUANTISTICA.

La visione di Jung non resta isolata. Jung dialoga con i filosofi della scienza come Wolfgang Pauli, premio Nobel per la fisica. Pauli, nel 1932, si rivolge a Jung per interpretare i suoi sogni e scoprire il senso profondo di alcune coincidenze. Il fisico e lo psichiatra scoprono una convergenza tra la psicologia dell’inconscio e la fisica quantistica. Pauli osserva che le particelle elementari sembrano “liberarsi delle leggi classiche”, sfuggendo alle costrizioni causali tradizionali: “L’atomo non è una cosa solida, ma una probabilità”, ripete Pauli.

Jung applica questo stesso paradigma alla coscienza. Per Jung, la libertà interiore non è solo rottura delle catene sociali, ma anche apertura all’indeterminato, simile alla libertà di una particella quantistica. Jung elabora il concetto di “sincronicità” dialogando con Pauli. Egli suggerisce che la psiche, come la natura, non sia vincolata alla semplice causalità lineare. Da qui, la libertà dell’individuo consiste nel “riconoscere il senso di ciò che accade”, anche quando sfida la logica razionale.

FILOSOFIA E SCIENZA DELLA COSCIENZA.

Il rapporto tra individuo e libertà attraversa anche la filosofia della scienza del Novecento. Jung si confronta con pensatori come Henri Bergson e William James. Bergson, nel suo "L’Évolution créatrice" (1907), sostiene che la coscienza è un flusso creativo, non riducibile a mere determinazioni fisiologiche. James, nel "Varietà dell’esperienza religiosa" (1902), parla della coscienza come pluralità di mondi.

Jung eredita da questi filosofi l’idea che la libertà interiore sia il risultato di una relazione dinamica con le forze del proprio inconscio.

Nel saggio "La struttura della psiche" (1928), Carl Gustav Jung sottolinea più volte la potenza dell'inconscio e il ruolo fondamentale della coscienza nell’"osservare", "regolare" e "integrare" i contenuti inconsci. In questo testo scrive: “Quanto più la coscienza riesce a penetrare negli abissi dell’inconscio, tanto più acquista estensione e profondità, e tanto più, per così dire, l’occhio della coscienza si fa vigile nell’oscurità…”

Così, la libertà non è mai un dato, ma un compito: la conquista quotidiana di un equilibrio instabile tra ragione e mistero.

LA LIBERTÀ INTERIORE OLTRE JUNG.

A distanza di oltre mezzo secolo dalla sua morte (1961), Jung continua a influenzare filosofi, neuroscienziati e pensatori. La sua lezione sulla libertà della coscienza viene citata da studiosi come Oliver Sacks, che interpreta i disturbi mentali come tentativi di autoregolazione della coscienza. La scuola junghiana di Zurigo, guidata da figure come Marie-Louise von Franz, approfondisce il rapporto tra simbolismo, sogno e libertà soggettiva.

Nel 1994, in una conferenza all'ETH di Zurigo, il filosofo Ervin Laszlo cita Jung, collegando la libertà interiore ai concetti di “quantizzazione della mente” e alla possibilità di “uscire dai binari causali”.

Il legame tra Ervin Laszlo, Carl Gustav Jung e i temi della coscienza, della libertà interiore si iscrive in una lunga tradizione di dialogo tra scienza, filosofia e psicologia. Durante la conferenza Ervin Laszlo affrontò il tema dei rapporti tra i paradigmi della fisica moderna (specialmente la meccanica quantistica) e i concetti di coscienza e libertà. In quell’occasione, Laszlo citò Jung per evidenziare come la libertà interiore dell’uomo possa essere concepita come una sorta di emancipazione dalle semplici determinazioni causali a cui la psiche, secondo una visione meccanicista, potrebbe essere soggetta.

Laszlo, noto per aver coniato l’espressione di “quantizzazione della mente” (quantization of mind), suggerisce che così come le particelle in fisica seguono probabilità anziché leggi deterministiche, anche la coscienza umana potrebbe non essere completamente soggiogata dalla causalità lineare. Per lui, "uscire dai binari causali" significa percepire un margine di libertà, proprio come insegna l’indeterminazione quantistica.

Jung aveva spesso riflettuto sul rapporto tra conscio e inconscio, e aveva accennato più volte alla possibilità che una coscienza più integrata sia meno schiava delle cause e più capace di scelta. In particolare Jung ha scritto “Sincronicità come principio acausale”, un testo nel quale la mente può esperire connessioni che non sono legate da catene di causa-effetto, ma da rapporti di senso e significato.

Nel ragionamento di Laszlo a Zurigo, viene proposto un parallelo tra la fisica quantistica e il funzionamento della mente: così come il comportamento delle particelle non può essere previsto con assoluta certezza, anche la mente umana, divenendo consapevole di sé, può assumere traiettorie nuove e imprevedibili.

La “quantizzazione” della mente sarebbe questa capacità di “scattare” su livelli diversi di coscienza, sfuggendo all’automatismo causale.

COSA SIGNIFICA "USCIRE DAI BINARI CAUSALI"?

Per Laszlo (e in parte per Jung), si tratta di:

- Superare un’esistenza determinata soltanto da cause esterne o abitudini inconsce.

- Accedere a una dimensione di senso, scelta, responsabilità,

- Riconoscere che la mente umana può influenzare se stessa e la propria direzione.

In sintesi, nella conferenza citata Laszlo collega Jung alla visione secondo cui la psiche umana può liberarsi dai vincoli del semplice determinismo, grazie alla consapevolezza e alla libertà interiore — un parallelismo suggestivo tra psicologia profonda e fisica dei quanti.

CONCLUSIONE.

Per Jung, la vera libertà è un processo di disvelamento, di incontro tra il noto e l’ignoto. La coscienza, come la materia quantistica, è permeata di indeterminazione e potenzialità. Ogni soggetto, maschile o femminile, è chiamato a riconoscere ed elaborare i propri limiti. In questa avventura, la scienza moderna, la filosofia e la metafisica non sono alternative, ma strumenti complementari del cammino interiore.

La lezione di Jung invita ancora oggi uomini e donne a coltivare la libertà dentro di sé: una libertà che non coincide con l’assenza di vincoli, ma con la capacità di vivere consapevolmente il mistero del proprio essere.

Bruno Del Medico