lunedì 12 agosto 2024

Dello scrivere

 Se devo parlare della mia diretta esperienza, lo scrivere per me è un'esigenza spirituale imprescindibile, quindi non posso che affermare che la scrittura è una forma di ascolto del proprio io, cioè scrivendo ci si mette in contatto col proprio io, e assicuro che difficilmente allora l'io può mentirci, ingannarci o illuderci; allo stesso modo il nostro intelletto subconsciente riuscirebbe a perpetrare inganni nei confronti dell'io. Ne deriva un confronto con se stessi schietto, leale, onesto, perché scrivendo, seppur tendiamo, inconsapevolmente, a creare maschere e caverne, ci si intende comunque tra l'io e l'intelletto.

Maschere e caverne ci sono necessarie per non mostrare tutto di noi, dei nostri abissi, nei nostri enigmi. In realtà ogni buon filosofo, così come ogni buon poeta, vuole essere indovinato e non visto d'acchito "nudo". Fa parte del pudore (e della vanità pudìca) voler essere visti attraverso un mistero indovinato, un enigma risolto. È una intenzionalità di cui non si è del tutto consci, perché anzi ognuno che scrive VUOLE essere compreso, teme piuttosto il fraintendimento.

Scrivere dunque è dar forza al pensiero, renderlo consistente, in un certo empirico; è come mutare il foglio di carta bianca in un mondo multicolore, in una seconda mente, una seconda memoria, che diventa memoria universale se chi scrive ha dei lettori. Allora il lettore, lo sappia o no, assume il ruolo di spettatore e commediante e, in un certo senso, diviene il deus ex machina di tutte le possibili soluzioni delle tragedie interiori vissute dallo scrittore. Scrivere infatti è come confessare al lettore i propri drammi interiori, che non sono necessariamente il dolore recondito di un pathos che si rivela all'improvviso, perché non è raro che perfino una gioia diventi tragedia sconosciuta! Lo sanno benissimo i drammaturghi e i poeti, cioè lo intuiscono, seppur non sanno spiegarselo. Perciò scrivere è come andare alla ricerca di confessori, tanto quanto si va alla ricerca di se stessi; e in ogni parola che si imprime sulla carta, una parte di noi si rivela per sempre ed è come se danzasse libera nello sconosciuto battito d'ali di un'Araba Fenice, perché muore e rinasce sempre nel fuoco ignoto di una passione: la passione magmatica che scorre fluida nello spirito del lettore.

Ma la cosa più importante che bisogna dire è che lo scrivere insegna a pensare, a far danzare il pensiero, a far danzare la penna e a mutare il foglio di carta in una pista da ballo. È la danza dell'io che non può più mimetizzarsi negli istinti o nella ragione, non può più costruire alcun velo di Maya ove riparare, l'intelletto glielo impedisce pensando, e scrivendo lo mette a nudo, al di là di ogni riverbero onirico. Difatti è come se si trovasse finalmente libero dai sogni e totalmente riversato nella realtà più vigente, svestita d'ogni fronzolo, ma creatore delle mille realtà che la penna riesce a descrivere: scrivere infatti aiuta a creare! Aiuta l'io a diventare creatore di immagini e mondi. Scrivere non è solo l'arte del saper descrivere mondi esteriori e interiori, è soprattutto estetica del pensiero che diviene parola, suono, immagine, simbolo, interpretazione di cose note e cose ignote; è la vera danza delle intenzioni, l'alchimia dell'io del saper mutare la realtà in mille prospettive. Devo infine aggiungere che scrivere è necessario? Soprattutto saper scrivere, ovvero creare "drammi" per farsi ricordare.(Giovanni Provvidenti)

 

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