lunedì 26 agosto 2024

La Filosofia e la fisica quantistica: un dialogo sull'essenza dell'esistenza.

Nel vasto regno del pensiero umano, la filosofia e la fisica quantistica si stagliano come due colonne maestose, ciascuna con il suo proprio bagaglio di conoscenza, apparentemente distinte, eppure così profondamente interconnesse. La filosofia, la madre di tutte le scienze, esplora le questioni fondamentali dell'esistenza, della conoscenza, della verità, della moralità e della mente. La fisica quantistica, dal canto suo, s'inoltra nelle profondità della realtà subatomica, rivelando un universo dove le leggi classiche del mondo macroscopico si frantumano in un gioco sfavillante di luci, in una danza di probabilità ed entanglement.
La filosofia indiana, con il concetto del "Velo di Maya", suggerisce che ciò che percepiamo come realtà non è altro che un'illusione, una rappresentazione di qualcosa di molto più profondo e complesso. Allo stesso modo, la fisica quantistica ci svela un mondo al di sotto delle apparenze tangibili, dove le particelle non hanno una posizione o uno stato definiti fino a che non vengono osservate. In questo senso, il principio di indeterminazione di Heisenberg echeggia come una voce nel vuoto, affermando che l'atto dell'osservazione stessa altera la realtà, rivelando così che la nostra percezione è limitata e che la verità ultima sfugge alla nostra comprensione.
Ed a proposito del concetto di percezione limitata, uno dei più celebri esperimenti mentali della fisica quantistica è il paradosso del gatto di Schrödinger, un conundrum che solleva domande sulla natura della realtà stessa. In questo esperimento, un gatto è rinchiuso in una scatola con un meccanismo quantistico che ha il 50% di probabilità di ucciderlo o di lasciarlo in vita. Finché non si apre la scatola, il gatto è in un bizzarro stato di sovrapposizione, sia vivo che morto. Questo paradosso è stato interpretato come una sfida alla concezione tradizionale della realtà oggettiva e ha provocato dibattiti filosofici sulla natura dell'essere e della coscienza. In filosofia, il paradosso di Schrödinger richiama, a mio parere, le meditazioni di Eraclito sul divenire e il cambiamento, dove nulla è permanente e tutto scorre. La stessa realtà, secondo il filosofo presocratico, è un costante stato di trasformazione e opposizione. In questo computo, la fisica quantistica, con le sue fluttuazioni e incertezze, sembra quasi confermare l'antica intuizione eraclitèa che la realtà non è fissa, ma piuttosto un mare in tempesta, dove le certezze si dissolvono nell'onda dell'indeterminazione.
Poi c'è il problema della misura in fisica quantistica che introduce una dimensione quasi esistenzialista alla scienza moderna. Il ruolo dell'osservatore, nel determinare lo stato di un sistema quantistico, pone domande profonde sulla natura della realtà: esiste un mondo indipendente dalla nostra osservazione? O è l'atto stesso dell'osservare che crea la realtà? Questa visione ricorda le riflessioni del filosofo idealista George Berkeley, per il quale "esse est percipi" - essere è essere percepiti. Se la realtà esiste solo in quanto è percepita, allora l'universo quantistico sembra dipingere un quadro simile, dove le particelle emergono dall'ombra dell'indeterminazione solo sotto lo sguardo attento dell'osservatore.
Un'altra affascinante interpretazione della fisica quantistica è la teoria del multiverso, che suggerisce l'esistenza di infiniti universi paralleli, in cui ogni possibile risultato di ogni evento quantistico è realizzato. Questa teoria non è solo un concetto scientifico, ma si intreccia con le antiche domande filosofiche sulla molteplicità dell'Essere e della possibilità diveniente delle sue potenzialità. Già Platone, nel suo mito della caverna, suggeriva che la realtà che percepiamo non è che un'ombra di una realtà più grande e complessa. La teoria del multiverso espande questo concetto su una scala cosmica, proponendo che la nostra esistenza possa essere solo una delle innumerevoli varianti in un vasto arcipelago di realtà.
Insomma, amici, il dialogo tra filosofia e fisica quantistica non è solo una speculazione accademica, ma un invito a riflettere sul nostro posto nell'universo. La fisica quantistica, con le sue sfide alla logica classica e alle nostre intuizioni di buon senso, ci costringe a riconsiderare le nostre concezioni della realtà, della conoscenza e della verità. Allo stesso tempo, la filosofia fornisce un quadro concettuale per esplorare le implicazioni di queste scoperte, cercando di dare un senso a un universo che, nella sua essenza quantistica, sembra quasi giocare con le nostre menti. Forse, alla fine, il vero scopo di questo dialogo è di risvegliare in noi un senso di meraviglia e umiltà di fronte al mistero dell'esistenza. In un'epoca in cui la scienza e la tecnologia sembrano dominare ogni aspetto della nostra vita, la filosofia e la fisica quantistica ci ricordano che, nonostante tutti i nostri progressi, l'universo rimane un enigma insondabile, una realtà che, come un'ombra fugace, si dilegua ogni volta che tentiamo di afferrarla. E in questo mistero, forse, risiede la vera bellezza dell'esistenza.
Giovanni Provvidenti



Tutte le reazion15

venerdì 23 agosto 2024

Questa è Sparta.

 Non è una battuta tratta da un film con Gerard Butler ma un cucciolo femmina di leone delle caverne vissuto 28.000 anni fa. Ventisettemilanovecentosessantadue anni fa, per la precisione. L'animale è stato scoperto nel 2018 da Boris Berezhnev, che lo ha ritrovato in sotto il permafrost siberiano, in Jacuzia, mentre cercava zanne di mammut. Il ghiaccio perenne e l'assenza di ossigeno hanno mummificato il corpo della piccola Sparta preservandolo incredibilmente bene. Ci credereste, a vederlo, che questo animale è vissuto VENTOTTO MILLENNI fa? Si tratta dell'esemplare meglio conservato che sia mai stato ritrovato: è talmente ben preservato che ancora si possono vedere i baffi! Sia all'esterno che all'interno è tuttora in condizioni praticamente perfette.

La cucciola di leonessa aveva appena uno o due mesi quando è morta. Non è il primo esemplare della sua specie che viene ritrovato nel permafrost. A soli 15 metri dal punto in cui venne ritrovata Sparta, lo stesso Berezhnev aveva trovato l'anno precedente un cucciolo di maschio della stessa specie e della stessa età, ribattezzato Boris. Difficilmente i due si erano conosciuti, dal momento che Boris visse oltre 15.000 anni prima della piccola Sparta!

I leoni delle caverne andarono estinti circa 11.000 anni fa, prima che gli esseri umani iniziassero a praticare l'agricoltura. Sono rappresentati in svariate pitture rupestri preistoriche, tra cui quella celeberrima nella grotta Chauvet, in Francia, che risale a oltre 30.000 anni fa. Le scene rappresentate in quelle antiche pitture indicano che probabilmente noi Homo sapiens abbiamo avuto un rapporto piuttosto turbolento con questi felini, che erano più grandi degli attuali leoni africani.

Se poter vedere con i nostri occhi un cucciolo di una specie estinta mummificato quasi perfettamente è indubbiamente meraviglioso, lo è un po' meno pensare che negli ultimi anni stiamo assistendo a un aumento dei ritrovamenti di questo tipo per via del riscaldamento globale, che indebolisce sempre più il permafrost siberiano.

-Filippo ( del gruppo Chi ha paura del buio)

Credits: Love Dalén/Stockhom University's Centre for Palaeogenetics






martedì 13 agosto 2024

Ode a Friedrich Nietzsche

Oltre il bene e il male cavalca il filosofo, sulla lama sottile tra caos e ordine, nelle profondità dell'anima, tra ombre e luci, scava il destino dell'uomo, col cuore di leone.
"Ecce Homo"! Grida l'eco nei monti sacri, un uomo che osa, che sfida il cielo e la terra, distruggendo gli idoli di menzogne secolari, per erigere un nuovo tempio, dove regna la verità.
E là, dove un uomo che va oltre se stesso, ascende tra le stelle, lascia dietro di sè il gregge che brama la sicurezza, lontano dai timori e dalle debolezze degli schiavi, insegue l'eterno ritorno, la danza del tempo!
Zarathustra scende dai monti, portatore di saggezza, con parole come martelli, spezza le catene della fede, predica la libertà, quella vera, che arde dentro, oltre il velo di Maya del mondo, nel cuore della vita.
Ma il mondo non è pronto, cieco e sordo si aggrappa alla croce, al conforto dell'illusione, mentre il filosofo solitario urla nella notte il suo Canto Notturno, consapevole della sua tragedia, dell'incomprensione.
"Diventa ciò che sei", dice, come un comandamento che sa di inconsueta, improvvisa eternità, non lasciarti piegare dalla massa, nè dalle loro leggi, trova in te stesso la forza, la volontà di potenza,
per forgiare il tuo destino, come un artigiano divino.
Eppure, la follia lo abbraccia, come un amante oscuro, nel momento in cui la sua mente si spezza come un cristallo, lì, tra le vestigia della sua grandezza, giace il profeta, mentre il mondo, indifferente, continua la sua corsa verso il niente!
Nietzsche vive ancora, non nelle tombe o nei libri, ma nel cuore di chi osa, di chi sfida e crea un fuoco eterno, una fiamma che non si estingue; nei sogni di chi cerca, nelle parole di chi pensa.
E così, tra gli echi dell'eternità e l'abbraccio del nulla, risuona ancora la sua voce, potente e chiara, un richiamo all'essere, alla vita autentica, un invito a danzare come dèi in un mondo nuovo.
O spirito ardente, figlio del fulmine e del deserto in cui echeggia un antico canto di danza di guerra spartana, colui che ha forgiato parole come spade, taglienti e divine.
In te si fonde la ribellione e l'anelito, la sete e la ferocia; tu, veggente di abissi, architetto dell'uomo nuovo!
Tra le vette solitarie, dove l'aquila s'invola, lontano dal gregge che nel fango si perde e si accontenta, hai scorto, con sguardo infuocato, l'uomo che osa e crea: sopra la polvere del tempo, l'oltre-uomo ora si leva.
Eternamente errante tra le vie del pensiero, tu hai squarciato i veli del mondo, rivelando la nuda verità: "Dio è morto"! Gridasti con voce tonante, non come l'assassino che si compiace, ma come il profeta che piange, versando lacrime sul sepolcro di un passato che non ritornerà mai più - amen!
Hai visto l'umanità incatenata, prigioniera del proprio sogno, schiva alla lotta, al coraggio, alla forza che sconfigge.
Hai indicato la via del divenire, del rischio, della caduta, e nella caduta, la rinascita, nell'annientamento, la creazione.
Oh, Nietzsche, spirito indomito, forgiatore di fuoco e di acciaio, che con Zarathustra hai risvegliato l'umanità dal suo torpore, hai svelato la volontà di potenza come fulgore primordiale, e nell’eterno ritorno hai trovato il segreto dell'infinito.
Non per tutti furono le tue parole, non per i deboli di cuore, ma per chi osa sfidare il destino, con sguardo fiero e deciso, solo per chi si eleva sopra il bene e il male, creando il proprio valore. Così tu hai indicato la strada, stretta e impervia, verso la grandezza.
Come Prometeo, hai rubato il fuoco agli dèi per donarlo agli uomini, ma non tutti hanno saputo reggerlo, e molti sono caduti.
Per te il pensiero era un martello con cui forgiare il mondo, e ogni pensiero, ogni parola, era un colpo contro il conformismo.
E ora, che la tua voce risuona ancora nei cuori inquieti io, figlio del tuo pensiero, cerco di comprendere il tuo grido, di scorgere nei tuoi abissi la luce che hai intravisto, e di fare del mio spirito un campo di battaglia, dove l'oltreuomo in me nasce, edifica se stesso!
Tu che hai osato dire sì alla vita, anche nel suo dolore più profondo, che hai avvinto in uno stretto abbraccio il tragico, non come disfatta, ma come gloria, io ti celebro, o Nietzsche, colui che non si è mai piegato.
E con te, anch'io, affronto il mondo, con la tua forza e il tuo ardore.
O maestro del nichilismo, che hai gettato semi di dubbi e di speranza nel giardino del pensiero, dove pochi hanno osato camminare; tu, faro che brilla nelle tenebre del nostro tempo, che mi invita a creare, a distruggere, e ancora a creare.
Friedrich Nietzsche, spirito eterno, la tua ombra mi avvolge e mi spinge a oltrepassare me stesso, a non temere la solitudine, a trovare nella disperazione la forza, nella perdita il guadagno; e in ogni caduta la possibilità di un nuovo, glorioso volo.
Con te, Nietzsche, grido al mondo: "Sono pronto a rinascere, a sfidare il vuoto, a riempirlo con la mia volontà e, come tu hai sognato, a diventare ciò che sono!
Nell'incessante divenire, eternamente uomo, eternamente oltre!" Giovanni Provvidenti

lunedì 12 agosto 2024

Dello scrivere

 Se devo parlare della mia diretta esperienza, lo scrivere per me è un'esigenza spirituale imprescindibile, quindi non posso che affermare che la scrittura è una forma di ascolto del proprio io, cioè scrivendo ci si mette in contatto col proprio io, e assicuro che difficilmente allora l'io può mentirci, ingannarci o illuderci; allo stesso modo il nostro intelletto subconsciente riuscirebbe a perpetrare inganni nei confronti dell'io. Ne deriva un confronto con se stessi schietto, leale, onesto, perché scrivendo, seppur tendiamo, inconsapevolmente, a creare maschere e caverne, ci si intende comunque tra l'io e l'intelletto.

Maschere e caverne ci sono necessarie per non mostrare tutto di noi, dei nostri abissi, nei nostri enigmi. In realtà ogni buon filosofo, così come ogni buon poeta, vuole essere indovinato e non visto d'acchito "nudo". Fa parte del pudore (e della vanità pudìca) voler essere visti attraverso un mistero indovinato, un enigma risolto. È una intenzionalità di cui non si è del tutto consci, perché anzi ognuno che scrive VUOLE essere compreso, teme piuttosto il fraintendimento.

Scrivere dunque è dar forza al pensiero, renderlo consistente, in un certo empirico; è come mutare il foglio di carta bianca in un mondo multicolore, in una seconda mente, una seconda memoria, che diventa memoria universale se chi scrive ha dei lettori. Allora il lettore, lo sappia o no, assume il ruolo di spettatore e commediante e, in un certo senso, diviene il deus ex machina di tutte le possibili soluzioni delle tragedie interiori vissute dallo scrittore. Scrivere infatti è come confessare al lettore i propri drammi interiori, che non sono necessariamente il dolore recondito di un pathos che si rivela all'improvviso, perché non è raro che perfino una gioia diventi tragedia sconosciuta! Lo sanno benissimo i drammaturghi e i poeti, cioè lo intuiscono, seppur non sanno spiegarselo. Perciò scrivere è come andare alla ricerca di confessori, tanto quanto si va alla ricerca di se stessi; e in ogni parola che si imprime sulla carta, una parte di noi si rivela per sempre ed è come se danzasse libera nello sconosciuto battito d'ali di un'Araba Fenice, perché muore e rinasce sempre nel fuoco ignoto di una passione: la passione magmatica che scorre fluida nello spirito del lettore.

Ma la cosa più importante che bisogna dire è che lo scrivere insegna a pensare, a far danzare il pensiero, a far danzare la penna e a mutare il foglio di carta in una pista da ballo. È la danza dell'io che non può più mimetizzarsi negli istinti o nella ragione, non può più costruire alcun velo di Maya ove riparare, l'intelletto glielo impedisce pensando, e scrivendo lo mette a nudo, al di là di ogni riverbero onirico. Difatti è come se si trovasse finalmente libero dai sogni e totalmente riversato nella realtà più vigente, svestita d'ogni fronzolo, ma creatore delle mille realtà che la penna riesce a descrivere: scrivere infatti aiuta a creare! Aiuta l'io a diventare creatore di immagini e mondi. Scrivere non è solo l'arte del saper descrivere mondi esteriori e interiori, è soprattutto estetica del pensiero che diviene parola, suono, immagine, simbolo, interpretazione di cose note e cose ignote; è la vera danza delle intenzioni, l'alchimia dell'io del saper mutare la realtà in mille prospettive. Devo infine aggiungere che scrivere è necessario? Soprattutto saper scrivere, ovvero creare "drammi" per farsi ricordare.(Giovanni Provvidenti)