domenica 8 ottobre 2023

 Il logos dell'oltreuomo 

Sulla figura dell'oltreuomo si sono espressi illustri esegeti, illustri esegeti del pensiero nietzscheano, e anche suoi detrattori, in verità. Io stesso mi sono cimentato con diverse interpretazioni. Appare certamente come una figura controversa, tale appare soprattutto se si traduce il termine übermensch con superuomo, in quanto il superuomo ricorda da vicino l'atteggiamento superomista di d'annunziana memoria, o da despota di hitleriana memoria. Siffatta alterazione della retorica grammaticale ha procurato a Nietzsche o molta fanatica amicizia o molta fanatica inimicizia. Nietzsche, invero, non ha bisogno nè degli uni nè degli altri e il termine übermensch dev'essere tradotto correttamente e onestamente. Infatti non stiamo parlando di un supermachio o di un despota quando parliamo dell'oltreuomo, bensì di un'utopica visione di un nuovo umanesimo (utopico in quanto possibilità concreta nel gioco giostrale nell'immaginario universo pantareico, non certo l'avallo di un mondo dispotico).

Il suo logos è semplice: l'oltre! Se Nietzsche di questo "oltre" dà una sua interpretazione e indirizza, tuttavia lascia libere le anime di esprimere il proprio oltre, di trovare nel proprio sè le interpretazioni più consone secondo l'indole più personale, in quanto gli uomini non sono uguali e non tutto può essere uguale per tutti. 

"Oltre" è persino una nuova "scienza", la scienza che crea continuamente stessi e sperimenta continuamente ciò che si è, che si vuole essere; è una nuova arte, un'arte pop in un certo senso, poiché l'oltreuomo non è precluso a nessuno, non è rivolto cioè a un qualche ceto elitario, seppure una "coscienza aristocratica" è necessaria per accogliere il pathos della distanza che Nietzsche insegna: tutto ciò che è alto è concesso a tutti come a nessuno, e tra questi solo ai rari sono concesse le cose rare: mi contraddico? Riflettete amici, Riflettete. 

"Oltre" è un nuovo estetismo dell'anima, se così posso dire, l'arte appunto della visione d'insieme che si acquisisce davanti alla porta del limite: bisogna guardare in faccia i guardiani del limite per vedere quel grugno apatico e quel grigno malcelato, e andare oltre essi per superare anche il loro moralismo che dice: "di quì non si passa! A meno che non si vuole andare in cerca di odisseo e vivere con lui l'odissea tragedia! Sei tu un eroe?" E allora dobbiamo veramente ridere e col riso uccidere l'immonda Sfinge posta a guardiana dell'ignoto. Sì, perché "oltre" è un grande ignoto e tuttavia un grande coraggio, un atto eroico, per quanto tragico, perciò il logos dell'oltreuomo si pronuncia "coraggio", si traduce "eroe". Di chiunque dell'oltreuomo mostra distopiche utupie si deve mettere in risalto la malcelata malafede, ma, ahimè, finanche nella malafede c'è molta buonafede, ovvero l'onestà di chi sinceramente pensa che l'oltreuomo sia un traguardo nient'altro che uroborico, ossia soltanto trachiuso nell'orbe o nel cerchio di una mente il cui cardine nevralgico sia la follia pura. Follia! Follia di una mente dispersa nei meandri senza soluzione di un Teseo che commise l'errore di dimenticare il filo di Arianna: l'oltreuomo sarebbe dunque un Teseo prigioniero per sempre del suo eroismo? Solo intenzione e limite invalicabile? Così è se vi pare, direbbe Pirandello -: e chi ha mai scorto in Pirandello quell'afflato, quell'anelito, quel "soffio" estetico dell'anima novizia? Pirandello rappresenta quell'oltre nietzscheano: dalla sua drammaturgia lo si evince. Eccolo il logos dell'oltreuomo scritto col sangue in ogni dramma pirandelliano.

Giovanni Provvidenti

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