martedì 3 ottobre 2023

La meccanica della verità nell'Essere.

La verità assoluta non esiste, ma come realtà diveniente esiste, voglio dire come prospettiva. Perciò per sua stessa natura non può essere qualcosa di statico, di dogmatico, che contempla null'altro che se stessa, come se si guardasse allo specchio. Per esempio quel filosofo che crea l'ordine statico del suo pensiero panoramico, lo pone in bella mostra e poi si specchia nello sguardo compiaciuto di chi ammira quel panorama, cioè che esige semplicemente di essere ammirato più che compreso. Perché? Perché essere compreso lo costringerebbe di nuovo in cammino nei sentieri delle sue convinzioni, in quanto essere compresi significa anzitutto che non basta più essere ciò che si è stati, ma bisogna diventare ancora qualcos'altro affinché si diventi scrittori per dei lettori, panorami per nuovi sguardi, "verità" nel panta rei della propria penna. Alla fine l'eccessivo narcisismo impigrisce il pensiero e annienta la volontà: la vanità è nemica della filosofia, è nemica della Dèa Sofia.

L'orizzonte statico non possiede alcun divenire: è tale e quale a un confine chiuso, invalicabile, non concepisce ignoti, nè mondi lontani o vicini, non possiede mete da esplorare. Come quella verità che rimane eternamente uguale a se stessa, l'Ente Supremo che non muta per trasformarsi in nuova coscienza, nuovo legame tra il noto e l'ignoto. La verità, infatti, è il movimento costante della coscienza, dell'io, del divenire interiore ed esteriore, è perenne movimento di istinti e intelletto all'unisono; è il celeberrimo Panta Rei eraclitèo ove scorrono riose tutte le metafore e le prospettive degli enti legati e connessi ai misteri del physis. 

Il dogma dunque è anche l'assoluto ricatto della "fede" che inanella la verità ad un ineluttabile destino di staticità privandola del meccanicismo del divenire, della casualità. La verità ce la possiamo prefigurare simigliante a quell'attimo fuggente che raramente sappiamo cogliere al momento giusto: troppo fuggente ed effimero, come l'orizzonte, per essere colto tra un istante e l'altro; a meno che l'istante non lo creiamo noi stessi e poi lo imprigioniamo nell'eterno ritorno della nostra volontà diveniente, che è anche la coscienza ove danza il dio delle metafore teatrali per antonomasia: Dioniso. Là si esibisce Dioniso ove, in corso d'opera, inventa la commedia delle maschere della verità, e con essa la meccanica del suo attimo fuggente, certo incognito e che, tuttavia, rende oltremodo curioso lo spirito dello "spettro dei tempi": l'eternità! Infatti nell'andirivieni del tempo la verità diveniente segue, insegue la logica del fiume intelligenza. Ecco, per me la verità è anzitutto il "fiume intelligenza" che da un punto qualsiasi della mente si espande in ogni direzione nell'Essere e non può far altro che mutarsi in logos, in destino della parola, del discorso, della grammatica. La verità è una moltitudine di maschere, perciò di istinti, di ragioni, di eloqui, molte vite e molte morti cui non potrà giammai sottrarsi se aspira all'eterno ritorno del suo attimo fuggente. La verità è la vera tragedia dell'io, dell'io onirico che da un sogno trae l'essenza del suo carattere peculiare e mutevole, come appunto mutevoli lo sono i sogni... e la verità è difatti il "sogno" più mutevole che ci sia. Eppure è proprio questa molteplicità di maschere rivelate d'un tratto, tra un sogno e l'altro, che ci dà la sembianza d'insieme dell'io e che, attraverso la coscienza, ci rivela ciò che siamo. Dunque, alla fine la "verità" è ciò che siamo? O ciò che ci siamo inventati d'essere? Entrambe le cose, poichè se non siamo capaci di inventarci, nulla possiamo essere, e la verità è null'altro che il teatro ove recita e danza il dio-io! Non disprezziamolo questo dio, questo uroboro che non sa di essere tale, ovvero l'eterno ritorno di se stesso nella coscienza del più apollineo e dionisiaco che ci sia: il sogno.

Giovanni Provvidenti




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