sabato 16 ottobre 2010

Chi ha paura del rom cattivo?

Perché gli ’zingari’ ci fanno tanta paura?

Perché un linguista ha qualcosa da dire sulla questione delle espulsioni dei rom dalla Francia e sui dissapori tra il governo francese e l’Unione Europea? Beh, ha qualcosa da dire, innanzitutto perché – anche se, dopo che la polemica è montata, la cosa è stata un po’ dimenticata – l’indignazione della commissaria Viviane Reding contro il governo di Parigi riguardava principalmente il fatto che nella circolare del ministero dell’interno, pubblicata dai giornali, venissero identificati esplicitamente i “campi dei rom” come obiettivo prioritario degli sgomberi. Ora, il termine rom designa specificamente un gruppo etnico, ed è questo maldestro riferimento ad un’etnia che ha fatto infuriare, più che il fatto in sé, le autorità europee. Il problema è che, come tutte le parole (è una delle caratteristiche principali del linguaggio umano), questo termine è polisemico. In senso tecnico, in effetti, con rom si designa un’etnia specifica, che parla una serie di lingue specifiche e che ha una certa origine. Non tutti i rom sono nomadi e non tutti i nomadi sono rom. In realtà, nel linguaggio comune, rom designa quelli che, ancora quando ero bambino io, si chiamavano comunemente zingari, un termine che la political correctness ci vieta di usare. Col tempo ci siamo abituati a queste piccole ipocrisie verbali, e ci sembra normale chiamare disabili quelli che un tempo erano chiamati paralitici, neri o gente di colore gli ex "negri" e omosessuali i "culattoni". A volte queste etichette politically correct derivano da termini tecnici (disabili), a volte no (neri), ma il fatto è che comunque, quando entrano nella lingua comune, perdono il carattere tecnico e, poiché il normale cittadino è meno disposto ad accettare le sfumature e le definizioni precise dello specialista, diventano perfetti sinonimi, socialmente più accettabili, dei termini precedenti. Quando Bossi dice che i rom sono tutti ladri non mostra, naturalmente, più rispetto nei loro confronti che se dicesse che tutti gli zingari sono ladri. La sostanza non cambia, semplicemente ci si adatta alla convenzione sociale che sgradisce certi vocaboli. Nel caso della circolare francese, il funzionario che l’ha scritta deve essersi trovato nella situazione di dover scrivere “sgomberare i campi di zingari”, ed ha usato la parola che gli sembrava meno sconveniente.
Ma c’è un altro punto che, da linguista, mi interessa. I linguisti, soprattutto quelli che studiano l’origine del linguaggio, considerano che la differenza fondamentale tra il linguaggio umano e quello animale è che, diversamente dalle api e dagli scimpanzé, noi non siamo condannati a parlare unicamente del ‘qui ed ora’. Quello che fa dell’uomo un vero ‘animale parlante’ non è il saper dare un nome alle cose e utilizzare delle parole, ma è saper parlare di cose che sono accadute nel passato, o accadranno nel futuro, o stanno accadendo altrove, e addirittura di cose immaginarie che non accadranno mai. Se ci pensiamo bene, questa capacità di andare al di là dell’esperienza immediata è una potenzialità cognitiva formidabile, e non è sorprendente che gli specialisti le attribuiscano tanta importanza.
Ma cosa c’entra tutto questo con i rom e Sarkozy? C’entra, e cerco di spiegare perché. Si dà il caso che io abiti in Francia, e, sinceramente, tutta questa emergenza rom non l’avevo mai percepita. Sì ho visto qualche (rarissimo, per la verità) ‘zingaro’ lavare i vetri ai semafori, ho visto dei campi di roulotte passando in autostrada, ma la mia esperienza dei ‘rom’ (nel senso popolare, e non tecnico) finisce lì. Si dirà che abito in un quartiere privilegiato di una città che, pur grande, è relativamente tranquilla. Sarà anche vero, anche se per andare al lavoro attraverso quartieri dove non andrei volentieri di notte. Però, oltre che alle cifre sulla vera consistenza della comunità rom (che sembrano sempre essere inferiori a quelle che giustificherebbero un’emergenza), mi piacerebbe anche che si cifrasse quanti cittadini non rom sono interessati da questa presunta emergenza. Non nego che ci possano essere persone che ne sono veramente colpite, tanto da percepirla come un’emergenza (e non voglio essere ipocrita, alzi la mano chi vorrebbe che un campo di zingari si installasse vicino a casa sua, io no), ma io non posso dire di aver mai ‘esperito’ un rom, e con me, sospetto, la stragrande maggioranza della popolazione.
Tutto questo per dire che questa faccenda dei rom è, anche, una grande ‘storia’ che ci viene raccontata. Pensiamo un momento alla mole di informazioni a cui, in quanto persone del XXI secolo, siamo sottoposti in un giorno. Ora pensiamo, tra quelle informazioni, qual è la percentuale di quelle che abbiamo appreso per esperienza diretta. Infima, rispetto a quella che abbiamo appreso dalla televisione, dai giornali (se li leggiamo) e da Internet. E d’altronde, diversi esperti di comunicazione considerano il mondo dell’informazione e della politica attuali come un grande storytelling. Pensiamo ora alla quantità di informazioni a cui era sottoposto, senza andare troppo lontano, un contadino di inizio secolo. Un buon 80%, diciamo, di queste informazioni era il frutto della sua esperienza immediata, poi c’erano sicuramente le ‘storie’ che gli raccontavano in chiesa, e qualche ‘storia’ o ‘leggenda’ che si tramandava. La paura dello zingaro fa parte di queste leggende che non siamo ancora riusciti a toglierci dalla testa. Il problema è che il nostro cervello ha imparato a raccontare ‘storie’ ma, evidentemente, non siamo ancora del tutto attrezzati a distinguerle dalla realtà, tanto è vero che il contadino di inizio secolo aveva davvero paura di finire all’inferno (non sto affermando che l’inferno non possa esistere, ma sono abbastanza certo del fatto che lui non l’avesse mai visto), e che a molti di noi piacerebbe davvero uscire a cena con George Clooney o Scarlett Johansson (a seconda che siamo uomini o donne), senza averli mai visti dal vivo. La dimostrazione di questa nostra inabilità a distinguere la realtà dalla fantasia la vediamo nei casi in cui l’uomo è più fragile, le malattie, l’infanzia (chi ha bambini sa quanto possano essere affabulatori), anche il sonno (io una volta ho sognato che facevo uno spettacolo con Dario Fo).
Tutti abbiamo avuto una nonna, una zia, una vicina di casa che ci ha fatto paura con lo zingaro ladro o rapitore di bambini. Quelli, poi, che abbiamo visto dal vivo erano sporchi e malvestiti. Quali migliori ingredienti di questi per un grande storytelling collettivo, uno storytelling, poi che, evidentemente, è politicamente ed elettoralmente redditizio?
Uno pensa tutte queste cose e poi legge sul giornale che una signora ha pagato ventimila euro a tre persone perché le ammazzassero il marito per l’eredità. La signora era di Treviso, e i sicari, rispettivamente, di Vazzola (Treviso) e di Fregona (Treviso). E allora, ti chiedi se agli abitanti di queste contrade faranno più paura i rom o i loro trevigianissimi e stanzialissimi vicini di casa.
(pubblicata da Stojanovic Vojislav su fb)



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