lunedì 1 settembre 2025

 

Non c’è redenzione — non nel senso in cui la intendono i predicatori gonfi di grazia o gli ingenui venditori di speranze in saldo. Non c’è redenzione, e la speranza, quel piccolo idolo mal cesellato, rischia di essere più crudele del peccato che vorrebbe emendare. Ogni accadimento — ogni tremolio dell’aria, ogni capriccio della sorte — risponde a una necessità muta, a un ordine oscuro che non tollera scorciatoie, né pietà. E la speranza, quella civetta dagli occhi spalancati, porta con sé un veleno sottile: il rischio — anzi, la certezza eventuale — del fallimento. Sperare è un gesto tragico, un esporsi con le mani nude al taglio della possibilità.

L’uomo, povero animale narrativo, è inchiodato a questa dialettica velenosa: deve sperare, perché senza speranza si spegne come una candela umida; ma teme ciò che spera, perché ogni desiderio che nasce porta già in grembo la sua delusione. Come una madre infetta che trasmette la malattia al figlio prima ancora del primo vagito.

E quando, per una grazia del cielo o un malinteso degli dei, la speranza si realizza — quando il desiderio si fa carne, e il sogno si concretizza in un mobile dell’IKEA già montato — l’uomo si scopre incapace di stare. Incapace di restare. Incapace, perfino, di godere. Non sa starsene lì, nel salotto della soddisfazione, a sorseggiare la sua conquista come un tè tiepido. Deve ripartire. Deve ricominciare. Deve inciampare ancora, altrimenti scompare.

E così si lamenta. Oh, come si lamenta. Ma spesso, se solo sapesse osservare con occhi più crudeli, scoprirebbe che gli ostacoli che maledice sono quelli che lui stesso si è meticolosamente costruito. Perché solo superando qualcosa — anche un problema finto, un’angoscia prefabbricata — riesce a sentirsi vivo. C’è in lui una pulsione perversa, un meccanismo tanto raffinato quanto ridicolo: anela alla pace e poi, come un bambino annoiato dai suoi stessi giocattoli, la getta via appena la ottiene.

E allora il gioco si ripete, come un valzer ossessivo: desiderio, tensione, conquista, nausea. E di nuovo desiderio. Come se non potesse fare altro, come se l’alternativa — la stasi — fosse peggiore della morte stessa.

Da tutto questo nasce un dilemma, anzi — per essere più fedeli alla vertigine dell’esperienza umana — una spirale. Perché se è vero che l’uomo è costruito così, prigioniero di una macchina che lui stesso alimenta con l’olio delle sue ambizioni e la polvere delle sue frustrazioni, allora la domanda più atroce è anche la più infantile: come se ne esce?

E la risposta — se si è abbastanza onesti da guardarla in faccia — è che non se ne esce. Perché perfino l’idea di “uscire” è parte del gioco. Anche il pensiero che cerca la soluzione è già, esso stesso, una nuova trappola, un’altra declinazione della stessa fame che divora tutto ciò che ama.

Perfino il tentativo di capire il paradosso — di elevarsi al di sopra del meccanismo — è solo un altro gradino della scala. Si pensa di essere “oltre”, ma si è ancora, ostinatamente, dentro. Sempre. Fino all’ultimo sospiro. E forse anche dopo.

E allora? Forse — dico forse — una via non di salvezza, ma di sopportazione estetica, è quella di smettere di lottare contro il paradosso e cominciare a danzarci dentro. Di trovare una forma di equilibrio tra la pace e la guerra, tra il bisogno di fermarsi e quello di correre.

Forse la vera pace non è la fine della tensione, ma la sua accettazione consapevole. Una pace non come assenza di battaglia, ma come arte del combattimento. Non l’inerzia del lago, ma l’euforia del mare aperto, con il volto tagliato dal vento e le mani strette al timone.

Nietzsche, quel funambolo del pensiero, lo aveva intuito con chiarezza: la “volontà di potenza” non è desiderio di dominio, ma bisogno di metamorfosi. Non è voler avere, ma voler diventare. Non è una casa, ma un ponte.

E proprio ai filosofi, ai suoi compagni di labirinto, lanciava l’avvertimento più spietato: guardatevi dal momento in cui troverete una verità, perché la stessa forza che vi ha portati a cercarla vi spingerà a distruggerla. Non perché sia falsa, ma perché è diventata noiosa. Perché è diventata ferma.

Anche Dostoevskij, quel cartografo dell’abisso, sapeva che l’uomo non è fatto per la perfezione. Nell’Uomo del sottosuolo lo grida con un ghigno disperato: date all’uomo il palazzo perfetto, dategli simmetria, armonia, bellezza… e lui, col primo bastone che trova, lo ridurrà in polvere. Perché la perfezione è una trappola dorata, e lui preferisce l’inferno aperto all’Eden chiuso a chiave.

L’uomo vuole sporcarsi le mani. Vuole sentire il peso della rovina e il brivido del ricominciare. Vuole la libertà, non il compimento.

E così, con le mani piene di macerie e gli occhi pieni di nuove visioni, l’uomo ricomincia — ancora, e ancora, e ancora — non perché non abbia imparato, ma perché non vuole imparare. Perché imparare, in fondo, significherebbe smettere di cercare. E per lui, non c’è castigo peggiore.

Forse, sì — ma con che riluttanza lo ammettiamo! — è proprio questa l’unica via di fuga ancora agibile: non una liberazione trionfale, né un epilogo da teatro classico, bensì una tregua sottile, un armistizio sottovoce tra ciò che brucia e ciò che implora. Non la pace che si esaurisce in sé, statica, marmorea, simile a quelle statue che tanto amano i manuali morali; ma la pace consapevole, cioè quella che ha visto la guerra da vicino, e sa che l’uomo non si salva dal conflitto — perché è il conflitto.

Eppure, ahimè, quanto ci rattrista questa consapevolezza. Siamo ancora — e forse irrimediabilmente — innamorati di un’idea di pace che non esiste: un silenzio perlaceo, una immobilità pastorale, una quiete che si stende come lino fresco su un letto disfatto. L’abbiamo ereditata come si eredita un pettine d’avorio o una mappa ingiallita dell’Eden: promessa di un riposo senza sforzo, di una felicità priva di frizione.

Ma veniamo costruiti, nel fondo più segreto delle nostre ossa, per desiderare ciò che ci agita.

Non siamo gli inventori di questa tensione interiore: ne siamo i discendenti. Freud — quell’arcinoto cartografo dell’inconscio — ne aveva già tracciato le rotte, tra l’istinto di costruire e quello di dissolvere. Eros, l’architetto delle unioni, colui che tende ponti tra isole emotive. Thanatos, il sabbiatore silenzioso, che cancella ogni cosa con lo stesso gesto con cui la neve copre i nomi sulle lapidi.

Due forze, due voci, due abissi. Eppure entrambe aspirano a qualcosa. Entrambe pretendono — come bambini capricciosi — di essere ascoltate. Ma le loro mete non coincidono: l’una vuole edificare, l’altra sognare la rovina.

E allora, ecco l’intuizione che fiorisce come un’orchidea in una stanza buia: forse non sono nemici. Forse, come certi amanti disfunzionali, si cercano proprio attraverso lo scontro. Thanatos sgretola, sì — ma sgretola per fare spazio. Eros costruisce, ma solo sulle rovine.

La morte, dunque, non come fine, ma come apertura. Come condizione perché qualcosa — qualunque cosa — possa ancora nascere. Come dire: senza rovina, l’amore sarebbe un imbianchino senza pareti. Senza catastrofe, il desiderio vagherebbe come un cieco in una stanza illuminata.

Pensateci: cosa potrebbe mai edificare Eros, se ogni cosa fosse già perfetta, levigata, compiuta? Cosa resterebbe da desiderare, se non ci fossero più crepe da riempire con la nostra febbre?

E allora sì, perfino la bellezza — quella creatura fragile e presuntuosa — ha bisogno di un nemico. Un nemico da abbracciare. Una crisi da attraversare. Perché l’amore che non conosce il crollo è solo un soprammobile lucente, un idillio impolverato.

Eros, per restare vivo, ha bisogno di essere sfidato. Ha bisogno di precipizi, di strappi, di cose che mancano. Di un’ombra che si allunga sul tappeto ogni volta che il sole si avvicina troppo.

 Maurizio Gambett

sabato 16 agosto 2025

Cosa succederebbe se l'universo stesso fosse dotato di coscienza?

 

 Non parliamo di fantascienza o metafore poetiche, ma di un'ipotesi scientifica che sta catturando l'attenzione di fisici e filosofi in tutto il mondo. L'idea di un cosmo pensante solleva domande profonde sui limiti della fisica classica e apre scenari inediti sulla natura della realtà. Se davvero esistesse una forma di intelligenza distribuita su scala cosmica, completamente diversa dalla nostra ma capace di elaborare informazioni attraverso meccanismi che ancora non comprendiamo, come cambierebbe la nostra percezione dell'esistenza? La ricerca moderna sta esplorando questa possibilità attraverso teorie all'avanguardia che collegano meccanica quantistica, relatività e studi sulla coscienza.Il principale ostacolo a questa teoria sembra essere la velocità della luce: in un universo di dieci miliardi di anni luce di diametro, un singolo pensiero richiederebbe tempi geologici per formarsi. Tuttavia, la fisica teorica contemporanea suggerisce l'esistenza di fenomeni che potrebbero aggirare questo limite. L'entanglement quantistico dimostra correlazioni istantanee tra particelle distanti, mentre ipotesi sui micro-wormhole e particelle più veloci della luce aprono scenari di comunicazione cosmica ultrarapida. Questi meccanismi potrebbero permettere la formazione di reti neurali distribuite su scale immense, creando una forma di intelligenza completamente diversa da quella biologica che conosciamo. Il panpsichismo, le teorie sui campi quantistici coscienti e il biocentrismo offrono frameworks teorici per comprendere come questa coscienza cosmica potrebbe manifestarsi.Le implicazioni filosofiche di un universo cosciente sono rivoluzionarie: noi non saremmo più osservatori esterni della realtà, ma parti integranti di un organismo cosmico pensante. La distinzione tra individuo e cosmo diventerebbe illusoria, e fenomeni come la vita e la morte assumerebbero significati completamente nuovi. Anche se questa rimane una speculazione scientifica senza prove sperimentali definitive, esplorare questa possibilità ci costringe a riconoscere i limiti delle nostre conoscenze attuali. Le sfide metodologiche sono enormes: come si misura la coscienza su scala galattica? Come si verifica l'integrazione di informazioni distribuite in anni luce? Nonostante queste difficoltà, l'ipotesi continua a stimolare ricerche innovative all'intersezione tra fisica, neuroscienze e filosofia della mente.La domanda "può l'universo pensare?" non è solo un esercizio intellettuale, ma un invito a espandere i nostri orizzonti concettuali. Forse viviamo all'interno di una rete neuronale cosmica di cui siamo inconsapevoli, o forse questa rimane una suggestiva speculazione filosofica. In entrambi i casi, confrontarsi con questa possibilità ci ricorda quanto la realtà possa essere più misteriosa e interconnessa di quanto le nostre teorie attuali riescano a descrivere. La scienza continua a esplorare questi confini estremi della conoscenza, dove fisica quantistica e studi sulla coscienza si incontrano per tentare di rispondere alle domande più profonde sull'esistenza. Scopri tutti i dettagli scientifici e le teorie più affascinanti nel video completo:

https://youtu.be/TaPRNRIYYFo?si=tx6zy2MF25wc7Z9h

#fisicaquantistica #coscienza #coscienzacollettiva #coscienzacosmica #scienza #universo

 


domenica 10 agosto 2025

Io sono eterno ritorno!

 

Nel ciclo eterno del tempo che passa, dove l'alba e il tramonto si rincorrono, vive l'idea del ritorno che sempre ripassa tra le pieghe del mondo onirico, tra sogni che si incontrano e si scontrano.

Rivedo il cielo, lo stesso di mille anni e mille mete vissute nell'istante in cui l'ho sognato; le stelle fisse, gemme eterne e splendenti, e il cuore si riempie di antichi piani, ricordi di vite, di amori ardenti.

Ogni onda che lambisce la spiaggia, porta con sè echi di giorni passati; nel fluire del mare, la memoria alloggia di eventi remoti, di destini intrecciati.

Il vento soffia, sussurra storie lontane di uomini e donne, di gioie e pene, di lotte per vivere, di corse folli e insane di chi cerca il senso tra ciò che viene.

L'albero della conoscenza che oggi si erge maestoso, ricorda il seme di un'era perduta: nel ciclo di nascita, morte, riposo, sta l'essenza di una verità taciuta.

Il fiume della vita scorre inesorabile, sempre uguale e pur sempre mutevole, traccia una strada che non ha fine; nelle sue acque il tempo è indelebile, segna il ritorno delle anime divine.

Io sono l'attore su un palco senza fine, recito ruoli in un dramma eterno; con maschere antiche e nuove, divine, cammino il sentiero del ritorno inferno. E nei miei occhi la scintilla si accende, di vite passate, di giorni futuri; ogni passo, ogni scelta, il destino tende a ripetersi in cerchi sempre più duri da vivere, da sopportare.

Ogni sorriso, ogni lacrima versata, è un eco di un tempo già vissuto; nel grande schema dell'esistenza l'anima è chiamata a rivivere, a riconoscere il battuto di tutti gli istanti già vissuti, passati ora in rassegna nel solaio della memoria. Così mi muovo in questo grande giuoco giostrale dell'andirivieni del tempo, cercando la luce, temendo il buio, sapendo che, in fondo, sono solo un poco dell'infinito ciclo dell'eterno ritorno, solo un granello di cosmo, un grammo di coscienza prigioniero in un solo lungo o breve attimo - e attendo. Attendo me stesso e mi siedo mentre attendo: eppure il mio star seduto è ancora un cammino verso chissà quale meta sconosciuta!

E ora, nel silenzio delle notti stellate, dove l'universo svela il suo mistero, sento la verità tra le note intrecciate del grande ritorno del tempo severo. Così accetto il mio destino, l'eterno flusso, sapendo che, in fondo, tutto ritorna; vivo con ardore, senza alcun lusso, nè rimpianto, nel cerchio della vita, dove tutto passa ma tutto ritorna.

E se domani mi sveglierò di nuovo, sarà un nuovo inizio, un passo sicuro verso l'eterno, verso l'infinito, nel ciclo che approvo, dove tutto ritorna, nel tempo, nel futuro, perché io sono eterno ritorno!

Perché io sono eterno ritorno!

PERCHÉ IO SONO ETERNO RITORNO!

GIOVANNI PROVVIDENTI

 

venerdì 8 agosto 2025

KEELY, TESLA E LA COSCIENZA CHE MUOVE LA MATERIA

 

I profeti della vibrazione e l’energia che fu oscurata

Nel corso della storia, ci sono uomini che arrivano troppo presto, non perché sbaglino, ma perché vedono troppo lontano.

John Keely e Nikola Tesla sono tra questi: due visionari che hanno tentato di mostrare al mondo che l’energia non è solo meccanica, ma coscienza in movimento, e per questo furono screditati, censurati, dimenticati.

Cos’è l’etere?

Anticamente lo si considerava una sostanza sottile e invisibile che permea tutto l’universo, ponte tra spirito e materia. Molti scienziati e mistici lo hanno descritto come un “oceano energetico” che collega ogni cosa. Keely e Tesla lo consideravano una vera fonte di energia, attivabile attraverso vibrazioni, suono, risonanza.

John Keely: il motore che vibrava di una forza sconosciuta.

Nel 1872, l’inventore americano John Ernst Worrell Keely presentò al pubblico una macchina rivoluzionaria: il motore dinasferico. Funzionava senza carburante, vapore o elettricità. Bastavano un po’ d’acqua e un suono, Keely soffiava in un tubo e il motore prendeva vita, generando pressioni fino a 10.000 psi.

Lo chiamava etere interatomico o forza vibratoria simpatica: un’energia che si attivava solo quando era lui a metterla in risonanza. Secondo Keely, ogni essere umano emette una frequenza unica, e solo chi entra in armonia con l’apparecchio può farlo funzionare.

Fece dimostrazioni pubbliche, raccolse investimenti, ma si rifiutò di rivelare i dettagli del funzionamento. Disse che la scienza non era ancora pronta.

Dopo la sua morte, trovarono nel suo laboratorio tubi nascosti e serbatoi d’aria.

Lo accusarono di truffa. Ma nessuno riuscì mai a replicare il suo “trucco”.

Madame Blavatsky lo difese apertamente

In The Secret Doctrine, Helena Petrovna Blavatsky affermò che Keely aveva davvero scoperto una forza sconosciuta alla scienza ufficiale. Scrisse:

“Era l’etere di Keely ad agire realmente, mentre l’etere di Smith o Brown sarebbe rimasto per sempre sterile.”

Usando "Smith o Brown" come sinonimi di "chiunque altro", intendeva dire che quell'energia rispondeva solo a chi vibrava con essa, in particolare a Keely stesso.

Blavatsky aggiunse che questa forza era conosciuta dagli antichi Atlantidei col nome di Mash-Mak o Vrill, e che sarebbe stata riconosciuta dalla scienza solo molto più tardi.

Tesla e l'auto che si caricava dall'aria

Nel 1931, Tesla modificò un'auto di lusso (una Pierce-Arrow), togliendole il motore a scoppio e inserendo un motore elettrico alimentato da una misteriosa scatola con 12 valvole e un'antenna. Disse che si caricava da una "energia onnipresente che riempie l'universo". L'auto raggiungeva i 150 km/h senza rifornimenti visibili.

Quando gli chiesero da dove venisse l'energia, rispose:

"Dal campo energetico che riempie il cosmo."

Tesla diceva che l’etere era ovunque e che l’energia avrebbe potuto essere gratuita per tutti.

Ma questo lo rese pericoloso per chi basava il potere sull’energia a pagamento. L'energia libera la stessa che voleva trasmettere senza fili dalla Torre Wardenclyffe, mai completata perché i finanziatori si ritirarono non appena capirono che non si poteva mettere il contatore.

Due profeti, una sola condanna

Keely e Tesla hanno parlato di vibrazione, risonanza, etere, coscienza. Hanno dimostrato, ciascuno a modo suo, che l’universo può rispondere a leggi più sottili della meccanica.

E per questo sono stati messi a tacere.

Oggi, mentre riscopriamo il potere del suono, della frequenza, dell'acqua informata, dei campi quantici e della mente creatrice, le loro voci tornano. Non più per essere zittite, ma per essere finalmente ascoltate.

Perché forse è davvero così:

“L’energia più potente dell’universo è quella che vibra in armonia con la coscienza.

Per approfondire le Fonti di riferimento della nostra ricerca le trovate a questo link:

https://www.visionealchemica.com/keely-tesla-e-la.../

Questa è una soglia di luce.

Chi entra con rispetto è il benvenuto.

Om Tat Sat.

— Visione Alchemica


lunedì 28 luglio 2025

Il figlio di Dio

 

Tra gli Esseni si conosceva il fondatore del cristianesimo come Jeshua Ben Pandhira. Nelle scritture vediche appare più di 3.000 volte, soprattutto nel Bhaviskhya Purana, chiamato Isha Putra (il figlio di Dio).

Il Bhavishya Purana è uno dei diciotto principali Purana Indù, testi sacri dell'Induismo.

È scritto in sanscrito una delle lingue più antiche che l'umanità abbia mai conosciuto. , Il titolo Bhavishya Purana significa un lavoro che contiene profezie sul futuro (in sanscrito: Bhavi ṣya. ) risale al 3000 ac e afferma che una profezia descrive l'aspetto futuro di Isha putra, il figlio (putra) di Dio (Isha) (Gesù Cristo), nato da una donna single di nome Kumari (Maria) Garbha Sambhava. Andrebbe a visitare l'India all'età di 13 anni in viaggio sulle montagne dell'Himalaya e praticherà le Tapas o la penitenza per acquisire la maturità spirituale sotto la guida di rishis e siddha-yogi prima di tornare in Palestina per predicare al suo popolo. Gesù è stato quindi addestrato dai saggi dell'India, questo spiega perché è stato in grado di compiere vari miracoli (siddhas). Spiega anche perché ci sono così tante somiglianze filosofiche tra cristianesimo primitivo e Induismo. Il Bhavishya Purana descrive come Gesù visitava Varanasi e altre città sacre dell'India e luoghi sacri buddisti. Questo è confermato anche dal manoscritto sulla vita di Isha (o Issa), scoperto da Notovich nel 1886 nel monastero di Hemis a Ladakh, India, nonché dalle iscrizioni ebraiche trovate a Srinagar, Kashmir nella Roza Bal, nella tomba di Yuz Asaf [Isha o Issa]. Il Bhavishya Purana ha anche predetto come Gesù si sarebbe riunito con l'imperatore Shalivahana che ha istituito la Shalivahana o era "Saka"

Tra i musulmani è conosciuto come il Santo Isha. Aperto alla verità dello yoga - tutto in uno -, ha avuto un intenso desiderio di condividere con gli altri la sua esperienza.

È stato formato in Egitto, ha viaggiato in India e pratico yoga - tecniche, attitudini, chiavi e conoscenze - che portano all'illuminazione. così come la saggezza del Buddismo che ha avuto un'influenza sostanziale sulla vita e sugli insegnamenti di Gesù. È tornato nel suo paese per insegnare. I registri indiani e tibetani raccontano il viaggio di Gesù. Dopo la crocifissione, i suoi discepoli hanno viaggiato ai confini del mondo per condividere i loro insegnamenti. Ma Gesù tornò sulle montagne indiane dove morì.

Gesù di Nazareth, lo yogi, è una chiave importante per accedere allo yoga, non solo dal cristianesimo, ma dal buddismo, dal giainismo o dall'islamismo. L'esperienza di Gesù come yogi è l'esperienza di un maestro contemporaneo che aspira all'unità e alla visione chiara. È un'esperienza mistica yoguica.

Cristo è stato molto frainteso dal mondo. Anche i principi più elementari dei suoi insegnamenti sono stati profanati crocifissi per mano del Dogma, del fanatismo, dei pregiudizi e della mancanza di comprensione e la profondità esoterica di questi principi è stata dimenticata. Sotto la presunta autorità di dottrine del cristianesimo forgiate dall'uomo, sono state combattute guerre genocidi e persone sono state bruciate al rogo con l'accusa di stregoneria o eresia. Come possiamo salvare questi insegnamenti immortali dalle grinfie dell'ignoranza e del fanatismo religioso. Bisogna conoscere Gesù come un Cristo orientale, come uno yogi supremo che ha manifestato il pieno dominio sulla scienza universale dell'unione con Dio e quindi ha potuto parlare e agire come un salvatore che contava sulla voce e sull'autorità di Dio. Gesù è stato occidentalizzato troppo. Gesù era orientale, sia per nascita che per legami di sangue e per l'istruzione ricevuta. Dissociare un maestro spirituale dalle sue origini e dal suo ambiente significa impegnare la comprensione attraverso la quale deve essere percepito. Indipendentemente da ciò che Gesù Cristo era di per sé nella maturità in Oriente, ha dovuto utilizzare la civiltà orientale, i suoi costumi, le sue peculiarità, la lingua e le parabole come strumento per diffondere il suo messaggio. Pertanto, per comprendere Gesù Cristo e i suoi insegnamenti dobbiamo essere ricettivi e ben predisposti verso il punto di vista orientale. Mentre gli insegnamenti di Gesù, dal punto di vista esoterico, sono universali, sono impregnati dell'essenza della cultura orientale e radicati in influenze orientali che si sono adattate all'ambiente occidentale. L'insegnamento principale di Gesù come diventare un Cristo. , il potere divino della realizzazione cristica è un'esperienza interiore, che possono ricevere coloro che provano devozione pura per Dio e per il suo riflesso immacolato come Cristo. un insegnamento antichissimo che si è perso nel tempo,

Non era importante per i cristiani, e i libri che scelsero le classi ecclesiastiche per la loro Bibbia non enfatizzano in alcun modo il vero insegnamento di Gesù. Il cristianesimo allora e ora era ed è più preoccupato della presunta crocifissione di Gesù che dei veri insegnamenti e pratiche spirituali del Maestro.

Gesù di Nazareth era un vero Yogi. Il Cristo ha esercitato come uno yogi, ha insegnato la scienza universale per raggiungere l'unione con il padre.

Il potere delle chiese e dei templi svanirà.

La vera spiritualità deve nascere dai templi delle grandi anime che giorno e notte rimangono nell'estasi di Dio.

 

 

 

I Km degli immigrati

 

Cinque chilometri. I primi cinque chilometri. quasi mezz'ora di viaggio e il camion già si ferma. Da una garitta escono tre poliziotti armati. Fanno scendere tutti. E' il primo posto di controllo sulla pista per Ténéré. Bisogna sedersi a terra con le mani sopra la testa. Uno dei tre ragazzi in mimetica sfila il pugnale dalla fondina e va a squarciare le intercapedini di canapa che avvolgono i bidoni dell'acqua e le borracce. Scompare dietro il camion ma forse non trova nulla e ritorna. A un gruppo di passeggeri seduti nelle prime file fa togliere le scarpe. Il poliziotto raccoglie le scarpe, una ad una e per ogni scarpa, con un'incisione netta della lama, taglia in due la suola.

Gli altri due poliziotti camminano tra le teste chine e sfiorano i corpi con due grossi tubi di gomma. Gridano due sole parole: money e argent. Vogliono soldi. Chi è a piedi nudi o in ciabatte viene trascinato dietro la garitta da dove arrivano altre voci. Poco dopo si sentono grida sommesse, colpi di tosse, il sibilo di una frusta. Anche Bill, Adolphus e Aloshu vengono picchiati. I due tubi di gomma si abbattono sulle loro schiene magre. Le mani dei due poliziotti salgono bene in alto, in modo che anche da dietro possano vedere cosa stringono in pugno. E poi giù con forza, finchè nel caldo risuoni quel tonfo cupo accompagnato dal debole lamento orgoglioso. Bill e i suoi due amici devono sopportare le torture davanti a tutti. Forse perchè non hanno mai rinunciato alle scarpe e non intendono togliersele. Resistono meno di un minuto. Un minuto lungo un giorno. Alla fine consegnano diecimila franchi a testa, poco più di 15 euro. E i poliziotti vogliono di più, vogliono le scarpe e quello che forse c'è dentro.

.....

Dopo un'ora di botte e perquisizioni si risale sul camion. In venti restano a terra. Si avviano verso overst con il passo lento di chi non aspetta più niente. Li hanno fatti scendere perchè non avevano soldi, scarpe o indumenti da regalare ai poliziotti. Tornano a piedi ad Agadez. Anche se avevano pagato il viaggio......

Bilal - Fabrizio Gatti

 

 


Dal Gruppo Chi ha paura del buio

 

Ti ricordi cosa stavi facendo un anno fa? Dov’eri, con chi? Eri felice, eri triste? Ti ricordi chi eri?

Immagina di costruire un castello di sabbia. Bene. Ora immagina di impiegare un anno per scambiare ogni granello di sabbia con un altro granello. Domanda: alla fine dell’operazione avrai lo stesso castello? O sarà un altro castello, più o meno identico a quello originario ma non proprio lo stesso?

Pensa bene alla risposta che stai per dare, perché nel corso degli ultimi 365 giorni il 98% degli atomi del tuo corpo è stato sostituito con un altro atomo dello stesso tipo. A seconda della tua altezza e del tuo peso, sei fatto da 1 a 10 miliardi di miliardi di miliardi di atomi. Ci sono molti più atomi nel tuo corpo che stelle nell’intero universo osservabile. E qualunque cosa stessi facendo un anno fa, quasi nessuno di questi atomi era parte di te.

Se stai con una persona da più di un anno, quasi nessuno degli atomi che hai di fronte ora era lì quando quella persona ti ha fatto innamorare. E tu non hai quasi più nessuno degli atomi che avevi quando per la prima volta hai pensato «Sì, mi piace».

È lo stesso castello di sabbia perché ha la stessa forma, o è un altro castello perché è fatto di granelli diversi?

Adesso hai altri atomi, che prima stavano in un oceano, in una mucca, in una mela, nell’atmosfera, in un filo d’erba, in un’altra persona che magari non hai mai conosciuto e magari ora non c’è più.

Hai un eroe? Un personaggio storico che ammiri particolarmente? Qualcuno che avresti tanto voluto incontrare? Statisticamente parlando, in questo momento all’interno del tuo corpo hai un miliardo di atomi che erano parte del suo corpo. E la persona che un futuro sbarcherà per prima su un altro pianeta, o premerà il pulsante che distruggerà il nostro, avrà in sé un miliardo di atomi che ora sono tuoi.

Nel tuo corpo ci sono atomi che appartenevano ad Adolf Hitler, magari legati insieme ad altri che furono di Anne Frank. Perché alla fine siamo tutti fatti degli stessi identici atomi, che girano per il cosmo da 13,8 miliardi di anni. Siamo un grumo di atomi che si sono momentaneamente organizzati in un certo modo prima di disperdersi e tornare a fare quello che hanno sempre fatto: essere semplicemente una minuscola parte dell’universo.

-Filippo (Chi ha paura del buio)