venerdì 26 settembre 2025

RECALCATI VORREBBE FARCI VEDERE LA NOSTRA OMBRA PER NASCONDERE IL SUO ABISSO. di Lavinia Marchetti

 


Ho letto l’articolo di Massimo Recalcati (Ringrazio M.Pia Ghirotti per la segnalazione) su Repubblica di ieri, intitolato “I corpi invisibili degli ostaggi”. È un testo che mette in scena un paradosso: il linguaggio della psicoanalisi viene usato come ornamento per una tesi politica già confezionata. Freud viene evocato come marchio di profondità, ma il metodo freudiano, indagare ciò che è rimosso, decifrare i lapsus, anticipare le obiezioni, non appare mai. Al suo posto troviamo una retorica moralistica che, invece di svelare il diniego, lo riproduce. E qui entra in gioco un meccanismo subdolo: Recalcati apre il suo articolo con una sequenza di domande e risposte che suonano come una confessione preventiva. «Credi che il massacro di Gaza sia proporzionato al 7 ottobre? No, non lo credo. Credi che sia giustificato affamare una popolazione? No, non lo credo». Così si assolve in anticipo, per poi introdurre la domanda che gli interessa davvero: «Perché Hamas non li libera?». Qui agisce un trucco collaudato: si costruisce un paravento di concessioni iniziali. Così si ottiene una patente morale e la domanda successiva appare neutra. È una tecnica di inoculazione. Prima si anticipa l'obiezione e ci si autoassolve. Poi si sposta il fuoco dove conviene. Il lettore abbassa le difese e si identifica con quell'equilibrio apparente. Dal punto di vista clinico prende forma il diniego: si riconosce l'orrore, poi si omette l'essenziale. L'esito è un effetto tunnel: tutto converge sulla sua domanda, il resto scivola fuori campo.

Recalcati scrive:

“Ma, soprattutto, perché Hamas non li libera?”

Questa domanda, che egli propone come rivelazione, ignora la cronologia reale. Il 20 e il 23 ottobre 2023 quattro ostaggi vengono liberati per ragioni umanitarie, con la mediazione di Qatar ed Egitto. A novembre, con una tregua prolungata giorno dopo giorno, 105 ostaggi israeliani sono stati scambiati con 150 prigionieri palestinesi. Nei mesi seguenti altri rilasci si sono arenati per condizioni aggiunte imposte da Israele. Parlare di corpi “invisibili” è dunque un artificio: quegli stessi corpi sono stati al centro di trattative, di elenchi, di negoziati quotidiani. Invisibili non sono mai stati, e due settimane fa la cronaca ha parlato per giorni interi dell’ostaggio trovato nel tunnel, con fotografie ripetute ovunque a riempire le prime pagine, rilanciate da testate come Haaretz, Yedioth Ahronoth, Corriere della Sera e la Repubblica tra il 9 e il 12 settembre 2025, con titoli e servizi quotidiani.

Prosegue:

“La loro liberazione non avrebbe ottenuto almeno il cessate il fuoco immediato?”

Chissà dove ha vissuto fino ad ora Recalcati. Forse legge solo Repubblica e pure male. Infatti qui la deformazione diventa palese. Ogni liberazione ha coinciso con tregue temporanee, mai con la fine della guerra. Gli atti del gabinetto israeliano parlano chiaro: pause di pochi giorni, poi bombardamenti ripresi con più violenza. Parlare di cessate il fuoco come conseguenza automatica della liberazione degli ostaggi è ridicolo. Netanyahu non ha mai mostrato interesse reale per la loro sorte, se non come pedine utili a proseguire l’offensiva e a zittire le critiche interne. Trasformare la pace in un gesto unilaterale di Hamas significa assolvere chi ha scelto consapevolmente la prosecuzione del conflitto e sacrificare la vita degli ostaggi al calcolo politico.

Scrive ancora:

“Assenza assordante a sinistra di questa domanda.”

L’assenza non c’è mai stata. I familiari degli ostaggi hanno manifestato a Tel Aviv e in molte città israeliane. Le organizzazioni internazionali hanno lanciato appelli. La questione è entrata nelle cronache quotidiane. Anzi, la sproporzione è stata opposta: i giornali, anche quelli che si definiscono di sinistra, hanno dato spazio quotidiano agli ostaggi, fino alla saturazione, ad nauseam. Per mesi, fino alla saturazione, ogni titolo li evocava. Semmai, il tema rimosso è stato il genocidio in corso a Gaza. Per un anno e mezzo (tranne due giornali: il fatto e il manifesto, e pochissime trasmissioni tv) decine di migliaia di morti palestinesi sono stati espunti dal dibattito pubblico, relegati a note marginali o censurati del tutto. Recalcati inverte la realtà: gli ostaggi sono stati visibilissimi, i palestinesi cancellati, per questo adesso c'è bisogno di parlarne e anche per un fattore numerico oserei dire piuttosto rilevante.

E c’è un’altra omissione che pesa. Mi chiedo: quanti prigionieri palestinesi senza processo conosce Recalcati? A dicembre 2024, i dati ufficiali registravano 3.327 persone in detenzione amministrativa, trattenute senza accuse formali, mentre il totale dei detenuti palestinesi raggiunge i 9.619 (fonte: B’Tselem). In alcune stime recenti, si parla di 3.600 detenuti senza processo nei carceri israeliani (fonte: Anadolu Agency). Non sono ostaggi questi? Torturati e ammazzati senza che nessuno lo saprà mai? Tra i minori, il 41% è trattenuto in detenzione amministrativa, senza che vengano presentate accuse (fonte: Defence for Children International – Palestine). Eppure, Recalcati non li nomina. Quei corpi non visibili nella sua analisi non sono “fantasmi”: sono detenuti sotto legge militare, in silenzio giudiziario, nell’ombra della macchina statale. Se li ignoriamo, l’ombra non la proiettiamo su Hamas, ma su chi interpreta la psicoanalisi come catechismo e rimuove i corpi che non servono alla sua messa in scena.

Il passo più discutibile è quello in cui afferma:

“Difendere la causa del popolo palestinese non impone la detenzione degli ostaggi se non per fare di quello stesso popolo il martire sacrificale di una ideologia di morte.”

Qui non c’è più neanche il tentativo di un'analisi psicoanalitica. C’è solo moralismo astorico. Insomma, si può anche tacere qualche volta se non si conosce l'argomento. Scrive un libro dietro l'altro, parla di tutto, ogni tanto, su un fatto, può dire: non ne so abbastanza per scriverci un articolo in prima pagina di un quotidiano nazionale. Poi penso che è La repubblica e revoco il mio disappunto. il metodo che uno psicoanalista dovrebbe seguire: mostrare come la lingua dei governi funzioni da diniego. Invece Recalcati preferisce feticizzare un’ombra, spostando il discorso sul nemico.

Cita Elvio Fachinelli:

“Dove è finito il corpo di Lin Piao?”

Fachinelli (1935–1989) è stato uno dei più originali psicoanalisti italiani. Negli anni Settanta, quando la sinistra italiana taceva sulla sorte oscura di Lin Biao, successore designato di Mao morto in un misterioso incidente aereo, Fachinelli pose la domanda scomoda. Quel corpo sparito rappresentava il rimosso di una fede ideologica. Citare Fachinelli oggi avrebbe senso se si volesse smascherare le rimozioni effettive: le frasi di ministri israeliani che definiscono i palestinesi “animali umani”, le dichiarazioni di Blinken che bollano l’accusa di genocidio come “meritless”, le parole di Cameron che la liquidano come “nonsense”, o di Tajani che la riduce a “carneficina”. Questo è il terreno su cui la psicoanalisi dovrebbe agire: mostrare come la negazione funzioni da marchio, come il “no” riveli proprio ciò che si vuole espellere.

Lo scambio Gilad Shalit del 2011, un soldato israeliano liberato in cambio di 1027 prigionieri palestinesi, dimostra che la logica dello scambio è parte costante della storia del conflitto. Gli scambi del 2023–2025 confermano la stessa regola. Parlare di ostaggi come fantasmi significa ignorare una prassi consolidata, e cancellare la documentazione, si chiama politica, in un conflitto dove i civili non esistono...

Ecco allora il vero rovesciamento: mentre i governi negano il genocidio di Gaza con formule eufemistiche, Recalcati inventa un’ombra che non esiste. Gli ostaggi sono stati raccontati ogni giorno. I palestinesi uccisi e i prigionieri senza processo sono stati rimossi per più di un anno. Non era un'ombra era un occultamento deliberato di un genocidio: un abisso di ombre. La psicoanalisi, se vuole davvero entrare nel discorso pubblico, deve mostrare questo diniego collettivo, non fabbricare spettri.

Gli ostaggi hanno diritto di tornare a casa. I palestinesi hanno diritto di sopravvivere. La psicoanalisi deve illuminare ciò che viene negato, non ciò che già occupa le prime pagine. Deve servire a leggere la lingua del potere, non a rafforzarla. Altrimenti resta soltanto una predica che invoca fantasmi e lascia intatto il massacro. A volte si fa più bella figura a tacere

 

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