venerdì 8 settembre 2023

Solitudine e pathos della distanza

 Spesso pensiamo alla solitudine come a una sorta di eremo, un luogo lontano dagli uomini, come se fosse un mondo dietro il mondo, il rifugio salvifico che ci siamo creati dentro di noi. Ma se ci fossimo soltanto creati un nulla interiore per annientare la nostra coscienza? Restare da soli con se stessi a volte implica possedere in animo una cospicua dose di nichilismo perché si rinuncia a tutto, al proprio io, alla propria istintualità, alla propria socialità interiore, rimanendo indifferenti dinanzi agli scorci mondani e alle tragedie che lo specchio della vita ci mostra come fosse una commedia dell'arte, uno spettacolo anfiteatrale in tutti i sensi. Tale fuga è tipica dell'eremita, del santo che cerca di sfuggire a se stesso, mentre si recita addosso la menzogna che in realtà và in cerca di se stesso. No, io penso che la solitudine non sia un eremo, o meglio, che non debba esserlo, penso altresì che chi cerca solitudine alla fine trova solo abbandono. La solitudine è qualcosa che somiglia al pathos della distanza, qualcosa che ci fa sentire sotto e sopra di noi lo spazio necessario della disuguaglianza, della diversità e non si pone la domanda fatidica che diviene una sorta di prigione per la coscienza: cos'è solitudine? Ecco le miriadi di risposte che saltellano e danzano davanti a noi, e come satiri e pagliacci ridono e sghignazzano costruendoci intorno il deserto! Il deserto cresce: guai a chi porta in serbo il deserto, canta il mago, e si dilegua nel nichilismo di ogni parola che riesce a far diventare simbolo! Infine gli altri ci sono necessari, egoisticamente necessari per andare oltre noi stessi; perciò la "solitudine", in verità, ci sottrae spazio vitale seppur si espande d'intorno come un deserto, come un destino trachiuso in un granello di follia o di ragione, ci sottrae la capacità di sentire le voci e gli echi dei mille logos che parlano dentro di noi, dei mille discorsi che divengono effluvio di sapienza nelle nostre vene, come il mitico fiume pantareico: effluvio di sangue della conoscenza. No, la solitudine non può essere un eremo, bensì il pathos della distanza. Chi è diverso è solo! Chi non somiglia a nessuno è solo! Chi vuole ciò che altri non vogliono è solo! E si è più soli là dove la folla tace piuttosto che dove ciancia ad alto tono: bisogna saper ascoltar dove la parola è il peggio che si possa udire per poter comprendere la solitudine - ed imparare ad ascoltar se stessi. Allora si ritrova se stessi e si fugge lontano dagli uomini cavalcioni il proprio pensiero, il proprio silenzio.

Giovanni Provvidenti



 

 

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