venerdì 28 ottobre 2016

Somalia: chi sono gli islamisti affiliati a Daesh che hanno occupato la prima città del Puntland di Andrea Spinelli Barrile




Il leader di Jabha East Africa, gruppo islamista legato a Daesh, il somalo Abdulqadir Mumin, ex affiliato a al-Shabaab, mentre legge un comunicato in un video diffuso sui network di propaganda dello Stato Islamico. Somalia, Luglio 2015. Frame video | Jabha East Africa

Il leader di Jabha East Africa, gruppo islamista legato a Daesh, il somalo Abdulqadir Mumin, ex affiliato a al-Shabaab, mentre legge un comunicato in un video diffuso sui network di propaganda dello Stato Islamico. Somalia, Luglio 2015. Frame video | Jabha East Africa
La piccola città di Candala nel Puntland, nord della Somalia, dalla mattina di mercoledì 26 ottobre 2016 è sotto il controllo circa di 60 islamisti somali che sostengono di essere affiliati allo Stato Islamico: la città sarebbe caduta senza alcuna resistenza e senza scontri, secondo quanto riferito da diverse agenzie stampa.
Candala è una piccola città costiera che affaccia sul golfo di Aden, nord-ovest della Somalia: si trova in linea d'aria a circa 70 chilometri a est di Bosaso ma per raggiungerla occorre percorrere quasi 400 chilometri di strada nell'entroterra del Puntland.
È la prima volta che una città di questa regione della Somalia cade sotto il controllo di miliziani islamisti, siano essi shabaab, qaedisti o legati a Daesh: i funzionari amministrativi di Candala hanno lasciato la città poco prima dell'occupazione dei miliziani e il borgomastro Jama Mohamed Mumin ha confermato, per quanto possibile, l'identità del gruppo: Stato Islamico. Probabilmente uomini fedeli al somalo Abdulqadir Mumin.
“Candala è caduta questa mattina” ha dichiarato all'AFP Mohamed Muse, uno dei capi tradizionali della città: “Una milizia islamica ha preso d'assalto la città e ha detto alla gente che erano sotto il loro controllo. […] I pescatori riferiscono che la città è stata presa e non sono andati per mare: i combattenti islamisti hanno preso posizione lungo la costa e in diversi luoghi della città. Non sappiamo chi sono” ha detto invece a Jeune Afrique un residente del villaggio di Karin, Abdiweli Adan. Secondo diversi funzionari amministrativi citati dalle agenzie stampa internazionali parte della popolazione è fuggita all'arrivo degli islamisti ma per ora le autorità della regione del Puntland non hanno commentato le notizie da Candala.
Secondo quanto ha riferito un residente anonimo a VOA News gli anziani locali hanno cercato una mediazione, probabilmente ancora in corso, con gli islamisti: si sarebbero incontrati con loro chiedendogli di lasciare Candala e di ritirarsi ma i miliziani non sembrerebbero intenzionati a cedere di un millimetro.
Il Puntland è una regione semi-autonoma dal 1998 che fa parte dello Stato Federale della Somalia, ma che contrariamente alla regione secessionista del Somaliland non ha mire separatiste: il sistema politico locale, basato su clan familiari, è attualmente il migliore che ci sia nel martoriato Paese africano. Effettivamente la regione vive bene o male in pace, a differenza del resto del Paese controllato a macchia di leopardo dagli ex-signori della guerra diventati islamisti al-Shabaab e affiliatisi ad al-Qaeda, può vantare un sistema di welfare che funziona e che attrae gli investimenti di capitali stranieri, che sono possibili in tutta sicurezza. Una sorta di isola felice all'interno della Somalia, anche se nel mese di marzo le forze di sicurezza hanno scongiurato l'occupazione di alcuni villaggi costieri da parte di diverse decine di miliziani Shabaab nel Puntland orientale.
La regione è però anche l'enclave di un gruppo di combattenti islamisti armati al guinzaglio del somalo Abdulqadir Mumin (Shaykh ‘Abd al-Qadir Mu’min), un ex-signore della guerra ed ex-religioso di al-Shabaab che si è arricchito enormemente con il traffico di armi e che un anno fa ha giurato fedeltà al Califfo Abu Bakr al-Baghdadi. Un tempo residente a Londra, Mumin è rientrato in Somalia a metà del 2010 e già un anno più tardi era famoso tra gli attori principali di al-Shabaab. Il suo piccolo esercito è oggi stimato in circa 200 miliziani, ma secondo altre voci questi sarebbero di più, forse 300. Il mese scorso il Dipartimento di Stato americano ha inserito Mumin nella lista dei maggiori ricercati internazionali accusandolo di “terrorismo”; nonostante il predominio di al-Qaeda non sia in alcun modo in discussione, per ora, in tutta l'Africa orientale la frattura causatasi internamente agli Shabaab sta producendo i suoi primi effetti: fino al 22 ottobre 2015 Abdulqadir Mumin era considerato il braccio destro di Ayman al-Zawahiri in Somalia, il medico egiziano oggi al vertice dell'organizzazione islamista fondata da Bin Laden, ma con la rottura tra i due Mumin ha scelto il Puntland per ripararsi dagli attacchi delle forze anti-islamiste e dei caschi verdi presenti in Somalia, ma anche per proteggersi dalle ritorsioni degli stessi Shabaab. Quel giorno un file mp3 di pessima qualità pubblicato online e diffusosi sui social network ha creato scalpore tra gli islamisti somali, oltre che tra gli analisti internazionali: l'ideologo, stratega e grande amico di al-Qaeda passava con il nemico, il Califfo.
L'uomo Mumin è piuttosto pittoresco: dai lineamenti e dalla carnagione scura tipicamente somali, indossa sempre vestiti tradizionali, occhiali da vista rettangolari e si tinge la barba di rosso (o meglio, di un rugginoso arancione) utilizzando l'henné, come molti altri uomini anziani somali, che in genere non amano vedere la propria barba ingrigire o imbiancarsi. In Somalia la barba rossa non è solo un elemento estetico ma anche quasi uno status symbol: è ancora molto di costume tra gli uomini maturi per sposare donne più giovani, che i tradizionalisti esibiscono quasi come trofei, e fino a qualche tempo fa era considerato un elemento estetico di lusso, perché costoso e perché impiega tempo per la sua applicazione.



In questo video pubblicato il 26 ottobre su diversi social network di propaganda islamista del gruppo Stato Islamico si possono osservare alcune immagini dei miliziani somali: tutti in mimetica e kefiah, travisati da passamontagna neri a parte il loro leader Mumin, armati di AK-47 e con le bandiere nere di Daesh in ogni fotogramma.
Il gruppo di Mumin si fa chiamare Jahba East Africa ma non ha fatto molto oltre a rivendicare decine di volte la sua appartenenza allo Stato Islamico: qualche sparatoria in Kenya e in Tanzania e molta comunicazione, niente di più. Jahba East Africa si nasconde attorno e dentro la catena montuosa di Golis ed è formato perlopiù da uomini tra i 20 e i 25 anni che hanno disertato con Mumin da al-Qaeda. È quindi probabile che siano stati gli uomini di Mumin a occupare militarmente la città di Candala, non fosse altro perché in Somalia sono attualmente gli unici ad esibire il marchio di Daesh.
Candala, seppur piccola e apparentemente insignificante rispetto a Bosaso, si trova in una posizione strategica sul golfo di Aden, di fronte allo Yemen: quest'anno diverse spedizioni navali di armi mascherate da missioni navali antiterrorismo sono state intercettate dalle autorità del Puntland. Come ricorda VOA News Abdi Hassan, ex-direttore dei servizi d'intelligence del Puntland, tempo fa aveva lanciato un allarme circa la consegna di forniture di armi agli islamisti nel Puntland dai loro sodali yemeniti: “Hanno ricevuto forniture militari dallo Yemen - armi, munizioni, uniformi, esperti dell'Isis per fare loro formazione” ha detto Hassan spiegando che “la spedizione è stata consegnata via mare partendo dalla città di Mukallah, nel governatorato yemenita di Hadramawt” che si trova esattamente di fronte a Candala, dall'altra parte del golfo di Aden.

http://it.ibtimes.com/somalia-chi-sono-gli-islamisti-affiliati-daesh-che-hanno-occupato-la-prima-citta-del-puntland 

Africa in prima linea per la difesa del Pianeta

Lo storico stop ai gas HFC e l'adozione della 'Carta di Lomè' per la sicurezza marittima africana

montreal




Kampala  –  Nelle prime settimane di ottobre il continente africano è stato protagonista di due storici accordi sulla protezione ambientale per la salvaguardia del Pianeta e delle sue specie (umana compresa). A Kigali, Rwanda, è stato finalmente adottata l’eliminazione progressiva dei gas HFC, una tra le principali cause dell’effetto serra e dei cambiamenti climatici, emendamento inserito all’interno del Protocollo di Montreal.  A Lomè, Togo, tutti i Paesi africani hanno adottato una Carta vincolante per la protezione dei mari, la promozione dell’economia blu e la lotta contro la pirateria internazionale. Due traguardi storici per l’umanità. La diplomazia africana è riuscita a convincere le potenze più recalcitranti come Stati Uniti, Cina e India, facendo comprendere che il Pianeta Terra è unico nella nostra galassia e la sua distruzione un folle suicido della razza umana.
Dopo quattro giorni di intense negoziazioni è stato raggiunto l’accordo riguardante la progressiva eliminazione dei gas HFC grazie agli emendamenti dell’articolo 5 e articolo 2 del Protocollo di Montreal. Si tratta di una rivoluzione ambientale di portata storica che obbliga ad una radicale rivoluzione della produzione mondiale di frigoriferi, sistemi di raffreddamento industriale e apparecchiature di aria condizionata. Tra il 2019 e il 2028 saranno vietate in tutto il mondo la produzione di questi specifici elettrodomestici che utilizzano i gas responsabili della drastica diminuzione dell’ossigeno e dell’aumento dell’effetto serra. Le industrie del settore saranno obbligate a trovare nuove tecnologie compatibili con l’ambiente.
L’eliminazione di antiquate e dannose tecnologie produttive sarà graduale. I paesi sviluppati dovranno rispettare la scadenza del 2019 – 2020. Russia, India, Sud Africa, Pakistan, Cina, Iran, i Paesi latinoamericani ed est europei dovranno rispettare la scadenza del 2026 mentre i Paesi in Via di Sviluppo avranno tempo fino al 2028. L’accordo eviterà l’emissione nella atmosfera di 70 miliardi di tonnellate di CO2 equivalenti alla chiusura di 750 impianti energetici a carbone. Per i negoziatori africani, ruandesi in prima fila, l’ostacolo più duro da superare sono state le reticenze della Cina. La ferma determinazione dei diplomatici africani ha superato ogni ostacolo riportando pazientemente alla ragione il Partito Comunista Cinese.
Il meeting di Kigali è riuscito a raggiungere un accordo storico, disatteso nei precedenti meeting di Parigi e Montreal. Questa è la chiara dimostrazione che l’Africa è il Continente più all’avanguardia nella lotta contro la distruzione del Pianeta e nella salvaguardia di ogni specie vivente. L’impegno di tutte le Nazioni a rispettare la Natura è il migliore regalo che sia stato mai offerto all’umanità.” afferma orgoglioso Vincent Biruta, Ministro delle Risorse Naturali del Rwanda e residente del Ventottesimo Meeting dei firmatari del Protocollo di Monteral (MOP28).
L’accordo raggiunto a Kigali è di portata storica. Questo è stato il giorno dove tutti i potenti del Pianeta si sono resi finalmente responsabili dinnanzi alle future generazioni. È stato veramente eccitante ed entusiasta lavorare al fianco della diplomazia africana osservando la sua determinazione a raggiungere l’accordo. Un successo del tutto inaspettato”, afferma l’Amministratrice della Agenzia Americana di Protezione Ambientale Gina McCarthy.
L’Unione Africana, grazie al sostegno del governo ruandese, è riuscita a far accettare alle potenze mondiali l’impegno finanziario vincolante di aiuti verso le Nazioni povere che dovranno eliminare la produzione e il commercio dei prodotti dannosi. Al momento gli impegni firmati ammontano a 80 milioni di dollari. I diplomatici africani sono sicuri che questa somma sia solo una modesta parte degli impegni finanziari che i Potenti dovranno assumere in solidarietà verso le Nazioni più sfortunate. Il successo del MOP28 di Kigali risiede nella applicazione pratica del concetto di ‘pericolo comune’ tipico della cultura di tutte le società africane. Un concetto che obbliga ogni membro della comunità a dimenticare le divergenze e conflittualità interne per far fronte unico ad un pericolo esterno comune, in questo caso rappresentato da un distorto concetto di sviluppo industriale originato dalla distruttrice ideologia capitalistica del liberalismo assoluto.
Critici internazionali affermano che i risultati del MOP28 rimangono di entità modesta in quanto al meeting di Kigali non è stata toccata la causa prima del cambiamento climatico: l’utilizzo dei combustibili fossili. L’Organizzazione Meteorologica Mondiale ha lanciato un allarme sull’aumento dei gas CO2 nell’atmosfera. Nel 2015 si è registrato un considerevole aumento dell’anidride carbonica, principale responsabile del riscaldamento climatico. I livelli di concentrazione nell’atmosfera hanno oltrepassato la soglia tollerabile: 400 ppm (particelle per milione). L’eliminazione progressiva del CO2 negli elettrodomestici e apparecchiature di raffreddamento è giudicata troppo dilatata. Occorrono politiche rivoluzionarie ed immediate.


Critiche ed osservazioni non ignorate dagli organizzatori africani del MOP28 che, rispondono con un vecchio proverbio caro al Continente: “Il Palazzo del Re si costruisce non dal tetto ma dalle fondamenta”. Il governo del Rwanda, uno tra i Paesi all’avanguardia per la protezione ambientale e l’utilizzo di energie alternative ha promesso di continuare ad impegnarsi per la protezione del Pianeta Terra e dell’umanità. Una promessa fatta da una Nazione testarda e orgogliosa, forgiata dal sacrificio di un milione di suoi cittadini.
A Lomè, Togo, 43 Paesi africani si sono riuniti per prendere in mano i destini del patrimonio marittimo del Continente, minacciato dalla pirateria internazionale e dalla distruttiva pesca intensiva attuata illegalmente da Europa, Cina, India, Stati Uniti. L’Unione Africana, sotto la guida del presidente ciadiano Idris Debi Itno, ha ottenuto la firma di tutte le 43 Nazioni per una carta vincolante della protezione e sicurezza dei mari africani. Una carta tesa ad eradicare la pirateria dalle coste del Continente, bloccare il genocidio della fauna marittima attuato da industrie occidentali ed asiatiche e proteggere i delicati equilibri ambientali marini.
Gli Stati firmatari si sono impegnati a mettere a disposizione le risorse finanziarie e militari necessarie per contrastare le bande piratesche che infestano le acque somale e del Golfo della Guinea così come l’arresto senza condizioni di tutti i pescherecci sorpresi in attività di pesca intensiva illegale nelle acque territoriali africane. Una guerra dura che conoscerà martiri e vittime ma resa possibile dalla storica perseveranza africana di giungere alla vittoria totale e definitiva sul nemico.
L’accordo e gli impegni presi sono considerati di vitale importanza per lo sviluppo del Continente che diede origine alla specie umana. Il 90% delle importazioni, esportazioni avvengono per via marittima. La difesa dei corridoi marittimi africani è nell’interesse anche delle potenze occidentali e asiatiche. L’Organizzazione Marittima Internazionale ha registrato 27 attacchi di pirati avvenuti nel Golfo della Guinea nel primo semestre 2016. In 14 casi sono stati coinvolti navi petroliere e commerciali asiatiche, europee e americane. La guerra contro i pirati verrà condotta con la collaborazione delle marine militari europee e cinese. In prima fila si riscontra l’impegno offerto da Parigi. Un impegno non disinteressato considerando che per la Francia è di vitale importanza proteggere le rotte marittime per il commercio dalle colonie alla Madrepatria.
L’Unione Africana ha chiesto la collaborazione di Bruxelles, Washington, Mosca, New Delhi e Pechino nella lotta contro la pesca intensiva illegale, spesso attuata da battelli su cui sventolano le bandiere di queste potenze mondiali. Ai partner stranieri è stato richiesto maggiore severità nell’impedire tale distruttrice pratica e più severe misure penali contro le ditte coinvolte. L’Unione Africana ha richiesto alle Nazioni Unite di inserire la pesca illegale nei crimini contro la fauna marittima e nei crimini commerciali. A tale proposito vari Paesi africani hanno chiarito la loro intenzione di condurre la lotta contro i battelli illegali con le stesse determinazione e ferocia che saranno utilizzate nella lotta contro la pirateria, avvertendo che potrebbero verificarsi casi di affondamento dei battelli e arresto degli equipaggi in caso di resistenza alle forze marittime africane.
Risolto il problema della pesca illegale l’Unione Africana, tramite il trattato di Lomè, intende promuovere l’economia blu. Mari, oceani, laghi e fiumi sono un bene prezioso per l’umanità ma anche una fortuna economica che, se ben sfruttata, crea posti di lavoro e ricchezza. Lo sfruttamento delle risorse idriche deve essere ecologicamente compatibile per non provocare danni ambientali irreparabili. È questo l’impegno firmato dai 43 Paesi africani desiderosi di sviluppare una economia blu che non danneggi la Natura.
Gli afro-scettici sulla questione della lotta alla pirateria e pesca illegale, evidenziano la mancanza di mezzi finanziari per realizzare questi buoni propositi. Gli Stati costieri africani dispongono di marine militari assai limitate, ad eccezione del Egitto e del Sud Africa. Le attuali navi da guerra africane sono vetuste e le unità di sorveglianza costiera insufficienti per garantire una seria lotta contro i pirati e i battelli di pesca illegale. Le ragioni apposte non sono prive di fondamenta. Riflettono l’attuale realtà militare delle forze di difesa marittima africane. Quello che gli afro-scettici non tengono in considerazione è la determinazione tutta africana di porre il Continente alla leadership mondiale. Una determinazione che spinge i vari Governi ad azioni ardite e inaudite. A tutti gli scettici la risposta più adeguata rimane: “Wait and see”.

http://www.lindro.it/africa-in-prima-linea-per-la-difesa-del-pianeta/


lunedì 26 settembre 2016

AD OGNUNO IL SUO MANIPOLATORE





Premessemanipolare l’altro significa sfruttarlo per il proprio vantaggio;
il narcisismo è il sano amor proprio.
E’ un autocompiacimento che aiuta ad ANDARE VERSO il mondo, andare verso l’altro.
Ci piaciamo, di conseguenza proviamo un sano piacere ad esporci al mondo.
Il narcisismo diventa patologico quando l’amor proprio è così elevato che non permette più di vedere l’altro.
La nostra immagine diventa la nostra prigione.
Vediamo solo noi stessi ed i nostri bisogni. Non sappiamo amare ciò che è altro da noi. L’altro diventa un ELEMENTO UTILE al fine del soddisfacimento dei nostri bisogni; – la perversione è il piacere nel vedere la sofferenza nell’altro.
Detto questo: Un/una narcisista manipolatore perverso è : colui o colei che totalmente ed esclusivamente concentrato sui propri bisogni, vaga per il mondo in cerca di un/una partner che possegga ricchezze psico-fisiche ed economiche da SFRUTTARE.
 
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Attua la manipolazione affettiva per LEGARE A SE’ il partner da sfruttare.
La manipolazione affettiva è un’ ATTIVITA’ precisa e riconoscibile. Segue uno schema a fasi:
1) Il love bombing: il/la manipolatore/trice, nei primi giorni di corteggiamento ricopre il /la preda di attenzioni, cure, ascolto. Diventa il confidente/consigliere
2) il manipolatore/trice raccoglie quante più informazioni sulle fragilità della preda. Informazioni sul passato e sul presente. Sapere dell’altro gli servirà per meglio dominarlo.
3) non da precise informazioni su di sè. Resta vago. Non far sapere di sé alla preda gli fornisce un vantaggio.
4) Rende la preda dipendente dalla sua presenza e, a questo punto, improvvisamente attua il silenzio. Si nega.
5) La preda va in crisi. Crede di aver commesso qualche sbaglio. Il manipolatore approfitta di questo momento di destabilizzazione e DETTA LE REGOLE DELLA RELAZIONE. La preda …… nel timore di perdere quella persona unica e speciale… accetta le regole del rapporto.
6) Il legame si consolida (fidanzamento oppure convivenza o anche matrimonio o nascita di un figlio)
7) Consolidato il legame, il/la manipolatore/trice improvvisamente si SVELA per quel che è: un/una DISPOTICO/A EGOISTA. …… e la relazione diverrà un gioco al massacro…… fatto di chiusure e continui ritorni. Di LUNE DI MIELE e PROMESSE DI CAMBIAMENTO e ri-cadute rovinose. …. OK… perchè questa lunga premessa? E perchè la citazione ad inzio post che di seguito riporto?
“leggendo quello che scrivete capisco quanto per un narcisista sia stato facile manipolarvi.”
Il narcisista manipolatore sceglie la preda GIUSTA PER SE’.
Il manipolatore dovrà essere in grado di CONTENERE l’energia della preda.
Come la storiella del serpente che si sdraia disteso per il lungo, nel letto del padrone, di fianco al padrone, ma non per amore bensì per prenderne le misure perchè in realtà ha intenzione di mangiarlo e quindi deve capire se ci sta nel proprio ventre.
Non ce ne rendiamo conto ma siamo avvicinati spesso da personalità narcisistiche (sono sempre a caccia) ma veniamo scartati perchè siamo troppo potenti per loro o poco vitali per loro. Non è corretto dire che per il nostro narcisista è stato facile manipolarci, è più corretto dire che nel cammino della nostra vita abbiamo incontrato (purtroppo) quello con le nostre misure. Eravamo della misura giusta per lui/lei e si è agganciato alla nostra vita. Ne incontriamo tanti e li ricacciamo al loro posto. Provate a riflettere, abbiamo già incontrato altre volte astuti volponi o fate meravigliose … e loro si sono subito allontanati da noi. Perché? Perché li abbiamo respinti! E loro non hanno insistito. Ci hanno percepito troppo grossi per il loro stomaco o troppo piccoli per il loro stomaco.

                   manipulation 

Il narcisista manipolatore PRENDE LE MISURE DELLA SUA PREDA ma ……………..RIMANE A CORTEGGIARE QUELLA CHE HA LE MISURE DEL SUO STOMACO. Ognuno ha avuto il suo personale narcisista manipolatore affettivo.
Le storie ed i vissuti personali sono pertanto DIVERSI !!

Prendetevi cura di voi. Del narcisista si prenderà cura la vita.
Milo

domenica 25 settembre 2016

L’autonomia dell’inconscio: la volontà che opera nonostante l’Io cosciente. (Emma Jung)

 

L’autonomia dell’inconscio

(estratto dal saggio “La realtà dell’Anima”)
«Quando San Paolo dice: “Non faccio il bene che voglio, ma faccio il male che non voglio”, dà espressione alla stessa esperienza, osserva cioè che talvolta si fa viva in noi una volontà che opera il contrario di ciò che noi vogliamo od approviamo. Ciò che è compiuto da quell’altra volontà non è necessariamente il Male; anzi, quella può anche volere il meglio e viene in tal caso supposta come un essere superiore che ci conduce o ispira, come uno spirito protettore o un genio nel senso del “daimonion” socratico. Spesso quella volontà non è neppure un’entità che possa essere chiamata buona o cattiva, ma semplicemente qualche cosa che si fa valere in modo sorprendente, qualche cosa di diverso dalla propria volontà e dal proprio pensiero, così da dare l’impressione che si sia ispirati o posseduti da spiriti estranei.
L’esperienza, non meno nota, dell’attività del sogno e della fantasia, costituisce un’altra fonte di tali rappresentazioni. Il razionalismo scientifico dimenticò l’importanza di tutto ciò, e riteneva che la coscienza dell’Io equivalesse alla totalità della psiche; ma, recentemente, la moderna psicologia medica è venuta a formulare opinioni che palesano una somiglianza sorprendente con le antichissime rappresentazioni menzionate or ora.
Si è giunti infatti all’ipotesi che l’Io cosciente non rappresenti che una sezione della psiche, poiché certi fenomeni, e in particolar modo alcuni tra quelli appartenenti alla vita spirituale anormale, non potrebbero essere spiegati facilmente a meno di voler ammettere l’esistenza di zone dell’anima [Psychè] all’infuori della coscienza dell’Io e l’esistenza ivi di contenuti e attività a cui dovrebbero essere attribuiti non soltanto i sogni ma altresì molti fenomeni i sintomi altrimenti inspiegabili.
Queste zone dell’anima, estranee alla coscienza, vengono riunite sotto la denominazione di “inconscio”.
Ricercatori quali Janet Flournoy, Breuer, Freud ed altri hanno chiaramente provato l’esistenza di quel “quid” inconscio-psichico. Ma limitarsi a constatare l’esistenza di un inconscio non poteva bastare, poiché con ciò quel concetto restava indeterminato e negativo. Bisognava fare quindi un altro passo per esplorare la natura e il contenuto dell’inconscio. A tal fine sono stati dedicati in particolare i lavori di C.G.Jung…”

venerdì 23 settembre 2016

Storia dell'abuso all'infanzia



1.2 Il Medioevo
1.3 L'Età Moderna
1.4 L'Età Contemporanea


1.1 L'età Classica

Il bambino è figura del sociale scoperta solo recentemente e a tutt'oggi ancora scarsamente ricostruita nel suo passato, un passato coperto dal silenzio, da un alone misterioso che ne impedisce una ricostruzione storica completa e separata dal mondo dell'adulto. "Un'infanzia dura e breve, senza memoria, senza storia propria."1
Tutto ciò va ricondotto, più che alla mancanza di "interesse" per l'infanzia come oggetto storico, al modo con cui il mondo adulto percepisce e rappresenta la propria relazione con essa.
Il bambino è divenuto veramente oggetto di osservazione storica solo quando nell'immaginazione collettiva si è formata l'idea che la stessa infanzia dovesse essere un soggetto di relazione. Tale circostanza ha coinciso con l'evoluzione di discipline particolari quali la psicologia, la sociologia, la pedagogia e con il conseguente sviluppo del diritto e della normativa sociale.
Solo di recente, dunque, questa età della vita è stata riconosciuta come tappa fondamentale dello sviluppo e della formazione dell'individuo e "al bambino è permesso vivere da bambino".
Gli studi fatti dagli storici della famiglia mostrano un quadro complesso e a volte contraddittorio sulla condizione dei bambini ed in particolare sul fenomeno del maltrattamento e della trascuratezza, la sua diffusione e il suo riconoscimento.2
De Mause, uno degli studiosi più noti della storia dell'infanzia, scrive:
"la storia dell'infanzia è un incubo dal quale solo di recente abbiamo cominciato a destarci. Più si va addietro nella storia più basso appare il grado di attenzione per il bambino, e più frequentemente tocca a costui la sorte di venire assassinato, abbandonato, picchiato, terrorizzato, e di subire violenze sessuali". 3
Nonostante, quindi, le poche fonti di cui disponiamo, sono numerosi gli abusi subiti dai bambini nel corso della storia.
"Nell'antichità classica il bambino era considerato non un essere con un valore in sé, ma un essere menomato perché mancante delle doti di un adulto. L'infanzia era ritenuta un'età imperfetta e, per questo, era oggetto di autoritarismo vessatorio e di discipline oppressive".4
Presso le antiche culture, il neonato diveniva parte integrante del genere umano solo a seguito di riti che ne segnavano la "nascita sociale". L'imposizione del nome da parte del padre, che accoglieva il bambino nella comunità familiare, aveva una rilevanza sociale non trascurabile. Il periodo precedente a tali cerimonie era particolarmente significativo per la sopravvivenza del neonato, in quanto in questo arco di tempo il padre poteva condannarlo a morte senza incorrere in alcuna sanzione.
Il codice di Hammurabi, in vigore a Babilonia nel XIX secolo a.C., non prevedeva alcuna punizione per il padre infanticida poiché il neonato non godeva ancora di alcun riconoscimento giuridico, né come individuo, né come membro della famiglia. Solo nel caso in cui il bambino veniva "eliminato" dopo essere stato riconosciuto erano previste forti pene.
Pratica ricorrente nell'antichità erano i sacrifici di bambini e neonati agli dei; comunemente accettata e praticata era anche l'uccisione di bambini deformi o non desiderati. In Grecia i bambini deformi venivano gettati dalla rupe Tarpea e tale comportamento era giustificato anche dai filosofi: Platone, nel V libro della Repubblica, sosteneva l'esigenza di nascondere "in luogo segreto e occulto" i bambini "minorati"; Aristotele nella Politica, in nome dell'ordine sociale e della sicurezza civile, giustificava l'infanticidio nei casi in cui le cure e l'allevamento dei neonati comportavano una sottrazione di risorse per la famiglia e la comunità.
Nel diritto romano arcaico, i poteri del "pater familias" prevedevano il decidere della vita dei figli (ius vitae et necis) oltre a quello di decidere del loro matrimonio (ius noxae dandi).
Tale stato di sottomissione, proprio dei minori nella famiglia patriarcale, rafforzava due opinioni: una, era quella per cui i bambini erano proprietà dei genitori e si riteneva naturale che essi avessero pieno diritto su di loro; e conseguentemente quella secondo cui i genitori erano considerati unici responsabili dei figli, per cui un "trattamento severo" veniva giustificato dalla convinzione che fossero necessarie le punizioni, anche corporali, per mantenere la disciplina, trasmettere le buone maniere e correggere le cattive inclinazioni.
Nel periodo imperiale era diffusa la pratica dell'abbandono e la "Columna Lactaria" era il luogo in cui si radunavano le balie per allattare i bambini che vi venivano abbandonati.
In oltre, fin dagli albori della storia, la sorte del bambino fu quella di essere oggetto di violenza sessuale.
Quando si affronta il fenomeno complesso della sessualità umana, bisogna considerare il ruolo che assumono, nel determinare e dirigere i comportamenti, i costumi, le tradizioni, le norme morali e sociali. Gli aspetti della sessualità, infatti, possono mutare nel tempo e nello spazio e alcune norme sul sesso non hanno un carattere universale e culture differenti, seppur geograficamente vicine, possono adottare comportamenti diversi.
All'epoca di Mosè, e nonostante egli abbia duramente condannato la corruzione infantile, i costumi ebraici, che erano rigorosissimi verso l'omosessualità tra adulti, erano indulgenti nei confronti dei giovani e, se la sodomia su bambini di età superiore ai nove anni veniva considerata cosa tanto grave da essere punita con la lapidazione, l'atto sessuale con bambini di età inferiore non veniva neppure ritenuto tale. La sanzione si limitava a qualche frustata poiché azione contraria all'ordine pubblico.
Nell'antica Grecia e in particolare ad Atene le relazioni omosessuali con ragazzi facevano parte dei costumi della città. In modo particolare Atene si distingueva per le norme sulla pederastia. Gli ateniesi ritenevano che l'amore, anche fisico, che poteva legare un adulto ad un giovinetto fosse una condizione favorevole alla trasmissione del sapere e delle leggi della città e consentisse di trasmettere la saggezza acquisita con l'età. Ciò che interessava del ragazzo non era la sessualità in sé, quanto la sua formazione e lo sviluppo della personalità. Così la pederastia era non soltanto accettata ma, addirittura, considerata una conseguenza plausibile del rapporto docente-discente.
La pederastia è un tipo di rapporto estraneo alla nostra mentalità e che si differenzia sia dall'omosessualità che dalla pedofilia così come noi oggi le intendiamo, in quanto gli ateniesi di allora rivolgevano le loro attenzioni soltanto ai ragazzi puberi che però dovevano essere consenzienti. Il sesso con soggetti pre-puberi, (pedofilia), era punito con condanne severe, fino alla pena di morte.
In questo contesto culturale crescere ad Atene significava spesso, anche per i più piccoli, venire esposti alle aggressioni degli adulti tanto che il legislatore è stato costretto a promulgare delle leggi che vietavano agli insegnanti e agli allenatori di aprire aule e palestre prima dell'alba e che imponevano di chiuderle prima del tramonto onde evitare che si trovassero al buio con i loro piccoli alunni. 5
Le contraddizioni presenti in questa questione non mancarono di suscitare, nonostante la normativa in vigore, qualche problema dal punto di vista morale e psicologico come dimostra il fatto che Platone (427-347 a. C.) arrivò ad augurarsi che gli abusi nei confronti dei minori fossero proibiti dalla legge e Eschilo (525-456 a. C.) nel dramma teatrale Laio rappresentò questo problema.
Nell'antica Roma la situazione non era migliore, omosessualità e pederastia erano diffuse, senza però quella giustificazione pedagogica e filosofica tipica dei greci. La pedofilia, invece, era ufficialmente condannata, come in Grecia, sebbene la prostituzione maschile e femminile fosse largamente diffusa e le prostitute fossero generalmente schiave e giovanissime.
La letteratura romana ci offre un ampio e particolareggiato quadro su storie di omosessualità, castrazioni, stupri ed altri affreschi di varia oscenità in cui le vittime sono troppo spesso i bambini. Petronio, per esempio, nel Satyricon descrive, con compiaciuta abilità, la gaia atmosfera nella quale si è consumato lo stupro di una bambina di sette anni fra gli applausi degli astanti, tra i quali non mancavano le donne. Tacito e Svetonio concordano nel riferire e condannare l'uso dell'imperatore Tiberio di fare giochi sessuali, durante il bagno, con bambini molto piccoli.
Va infine detto che, mentre nella Grecia classica le fanciulle si sposavano tra i 18-20 anni, a Roma potevano sposarsi a partire dal dodicesimo compleanno, in quanto si riteneva che i rapporti sessuali facilitassero la comparsa del menarca. Il costume dei matrimoni precoci per le donne si conservò a lungo. Il fenomeno indica la scarsa considerazione in cui erano tenute le donne e una diversa scansione delle età della vita. Mostra che l'iniziazione al sesso era precocissima e ciò che noi consideriamo aberrante a quei tempi era considerato normale o tollerabile.
In questa breve carrellata su quelli che noi oggi definiamo abusi, ma che nel contesto dell'epoca in cui vanno inseriti non furono ritenuti tali dalla stragrande maggioranza dei cittadini di quel tempo, si parla quasi sempre di maschietti. Sulle bambine è invece silenzio perché si trattava di "merce" sottovalutata, perciò qualunque cosa venisse fatta con loro o contro di loro non era suscettibile di interesse o addirittura mostrare qualche interesse sarebbe potuto apparire sminuente.

1.2 Il Medioevo

Nel mondo Medievale la situazione dell'infanzia all'interno della famiglia e della società in generale non muta sostanzialmente. Diminuiscono notevolmente gli infanticidi di bambini legittimi, mentre resta costante la soppressione dei figli naturali; elevata rimane anche la mortalità infantile dovuta a malattie e trascuratezza. Le notizie che possediamo sulle abitudini e le pratiche di allevamento si riferiscono quasi esclusivamente alla classe nobiliare e ci mostrano un bambino poco abituato alle carezze e alle manifestazioni di affetto materne.
L'arte medievale rappresenta il bambino, almeno fino al dodicesimo secolo, come un adulto in miniatura. All'età di sette anni entrava a far parte del mondo degli adulti, infatti, veniva inviato presso terzi per apprendere un mestiere o, se di nobili origini, soprattutto se cadetto, veniva affidato alle cure particolari di un maestro.
Nel corso del Medioevo e nei secoli successivi vi fu sempre una diffusa promiscuità tra adulti e bambini anche per la condivisione degli spazi sia di giorno che di notte. Dormire da soli non era un'abitudine diffusa e i bambini rimanevano spesso nel letto o nella stanza dei genitori, o in quella di altri parenti o servitori, anche quando ormai erano un po' cresciuti. Ne deriva che essi potevano essere facilmente oggetto di attenzioni e molestie da parte di qualche membro del nucleo familiare (famiglia allargata di cui facevano parte anche nonni, zii e cugini). Questa abitudine rimase sino all'inizio del seicento e oltre, non soltanto tra il popolo ma anche tra i nobili, come testimonia un minuzioso diario della vita del re di Francia, Luigi XIII, scritto dal suo medico Heroard. In questo scritto si trovano delle indicazioni sulla licenza che si usava con i bambini, sulla grossolanità degli scherzi e degli atteggiamenti, di cui pochi si scandalizzavano.
Secondo lo storico Philippe Ariès il clima culturale era uguale in tutte le famiglie, nobili o no.
Nella seconda metà del seicento si iniziò a guardare con sospetto a questo tipo di licenze e, proprio alla corte di Francia, nacque una letteratura pedagogica ad uso degli educatori che aveva la funzione di salvaguardare l'innocenza infantile. Si raccomandava di non far dormire più bambini nello stesso letto, di evitare di coccolarli, di sorvegliare le loro letture, di non lasciarli soli con i domestici.6
La morale cristiana andava diffondendo un nuovo atteggiamento nei confronti della sessualità infantile e nuove regole di comportamento, che alcune famiglie accettavano e altre invece ignoravano.
Scrive Angela Giallongo ne Il bambino medievale: "Il dualismo "innocenza colpevolezza", oggetto della tematica cristiana fin dai primi secoli, fu alla base dell'etica pedagogica medievale, divisa fra il considerare l'infanzia desessualizzata e ritenerla incline a ogni genere di vizio. Partendo da questi elementi contraddittori si combinarono norme preventive e provvedimenti repressivi, che abituavano fin dalla nascita ad una certa estraneità dal corpo e che proibivano gesti affettuosi da parte dei genitori, maestri e adulti in genere verso i bambini e fra i bambini stessi. Il Dominici nel dettare nel XV secolo le "regoluzze" adatte, riconosceva che sebbene prima dei cinque anni non si manifestassero preoccupanti impulsi naturali, tuttavia non bisognava abituare il bambino a certe pratiche che avrebbe ripetuto senza freni perdendo così definitivamente il senso del pudore. Pertanto andare vestito con una camiciola, il non vedere nudi il padre e la madre, né tanto meno toccarli, il non stare a contatto con le sorelle né di giorno né di notte, erano cautele da mettere in atto subito dopo i tre anni. Il problema dei rapporti omosessuali ed eterosessuali tra bambini, inclusa la masturbazione, diventarono una vera propria ossessione per gli educatori, dopo il XV secolo..7

1.3 L'età Moderna

In epoca moderna il bambino diventa oggetto di maggiore interesse da parte di "esperti" (medici, maestri, filosofi) e l'opinione pubblica prende lentamente coscienza del problema della tutela del bambino e dei suoi diritti, ciò si riflette positivamente sulle modalità di allevamento e di cura.
Questo processo di "coscientizzazione" è legato a significativi cambiamenti sociali. Uno di questi è sicuramente il mutamento della struttura familiare. La nascita della famiglia nucleare, costituita da genitori e figli non sposati, porta a una maggiore centralità del bambino, seppur con accentuazioni diverse nei paesi dominati dalla Riforma protestante e dalla Controriforma cattolica.
"Questa tendenza puerocentrica sempre più marcata è documentabile dalla creazione, a partire dalle classi aristocratiche e colte, di un mondo proprio dei bambini (giocattoli, abbigliamento, passatempi…),e culmina con l'organizzazione di istituzioni scolastiche pensate appositamente per loro".8
Dal XVI secolo notevole importanza assumono le rivoluzioni religiose che talvolta ebbero conseguenze ideologicamente negative per l'infanzia. Nei paesi anglosassoni la riforma protestante ed in particolare il puritanesimo, considerando il bambino come un individuo "depravato" e da "redimere", sostennero e predicarono un'azione educativa che faceva ampio uso di punizioni corporali per cercare di vincere le sue inclinazioni malvagie.
Calvino affermava che "solo spezzando totalmente la volontà del bambino, questo può essere salvato dallo spirito innato del male insito in lui".9
Intanto la campagna avviata dai moralisti rinascimentali contro le molestie sui bambini è continuata per tutto il XVII secolo finché nel XVIII, e questo è singolare perché siamo in pieno illuminismo, ha cambiato tono facendosi esasperata non tanto verso l'abusante, quanto e soprattutto verso il bambino stesso che si è visto sanzionato, persino per quelle attività sessuali relative al suo sviluppo, con pesanti punizioni che si traducevano in veri e propri maltrattamenti sia fisici che psichici.
Nel secolo scorso poi i medici hanno propagato la diffusione di bizzarre leggende che ipotizzavano ancor più bizzarre conseguenze dell'attività sessuale infantile quali pazzia, cecità, epilessia, facendo così scattare una virulenta battaglia repressiva da parte dei genitori che si sono accaniti con inaudita violenza sui loro figli fino ad applicar loro sanzioni mutilanti. A tal proposito scrivono A. Oliverio Ferraris e B. Graziosi:
"Nell'Inghilterra vittoriana il timore del sesso portò ad adottare misure molto restrittive. Per evitare che i ragazzi si masturbassero vennero realizzate delle gabbie che venivano applicate di notte sugli organi genitali, per poi essere chiuse ermeticamente e riaperte soltanto al mattino. Il massimo ritrovato della tecnica fu però un apparecchio che in corso di erezioni spontanee faceva suonare un campanello per richiamare l'attenzione dei preoccupati genitori."10
A partire dal XVII secolo in tutte le classi sociali si diffuse l'abitudine del "baliatico", che consisteva nell'affidare i neonati ad una nutrice per un periodo di almeno due anni. Per i lattanti affidati a balie povere, in genere contadine, ciò significava molto spesso denutrizione, carenze igieniche, abbandono, mortalità molto elevata.
La rivoluzione industriale non migliorò le condizioni dell'infanzia, ma anzi aumenta su larga scala lo sfruttamento del lavoro minorile.
Nelle grandi città della Francia e dell'Inghilterra i piccoli lavoratori, servi, garzoni, apprendisti erano numerosissimi. L'età minima poteva essere di sei anni, sebbene talvolta potesse abbassarsi a quattro nel caso degli spazzacamini; la durata della giornata lavorativa era di 14 ore durante l'inverno e raggiungeva le 16 in estate.
"In alcune zone rurali dell'Inghilterra era frequente che bambine di cinque-sei anni lavorassero tutto il giorno per fabbricare oggetti di paglia o ricamare merletti con il collo e le braccia scoperte per poterle schiaffeggiare meglio".11
Lo sfruttamento della manodopera minorile continuò in Europa fino alla fine dell'Ottocento, quando furono emanate le prime leggi in tutela dei piccoli lavoratori. Inoltre per tutto il XVIII secolo il lavoro femminile, fondamentale fonte di sussistenza nelle famiglie povere, porta necessariamente ad una maggiore trascuratezza dei figli. Aumenta il numero dei bambini abbandonati ed il sistema della "ruota", adottato per affidare il minore al brefotrofio, concorre indirettamente ad incrementare tale pratica, permettendo ai genitori di rimanere nell'anonimato.
Nel XIX secolo sorgono in Europa numerosi istituti per orfani e bambini abbandonati dove vivono in una condizione di grave disagio psichico e fisico. La gravità dei maltrattamenti subiti dai piccoli istituzionalizzati emerge dai dati dei registri di questi istituti, che evidenziano un decesso ogni quattro ricoverati per stenti, incuria e maltrattamento fisico.
Filosofi e pedagogisti, quali Locke e Rousseau, esaltano il ruolo materno e la funzione della donna nella crescita dei figli e suggeriscono nuove idee guida su come trattare i bambini.
L'acquisizione di una nuova sensibilità nei genitori ha comportato la nascita di un atteggiamento di maggiore protezione nei confronti dei minori, protezione non esente da vistose contraddizioni.
La progressiva affermazione del ceto borghese contribuisce a sollecitare una maggiore attenzione "igienica" e "affettiva"; la nuova immagine che si ha del minore, come essere separato dall'adulto, porta inevitabilmente a un cambiamento negli interventi pedagogici: alle punizioni corporali si preferisce sostituire un'azione educativa che agendo sulla sfera interiore porti all'introiezione di norme sociali, principi morali e valori religiosi. Comincia a farsi strada la domanda su "chi è" il bambino con cui si interagisce.
Questo cambiamento di tendenza, in ogni modo diffuso solo nei ceti elevati, non è destinato a durare: alla fine del secolo, da più parti si tornerà ad interrogarsi se tutto ciò non abbia portato ad un eccessivo permissivismo nei confronti dei figli.
Un ruolo importante nella crescita e nell'educazione dei figli all'interno della famiglia è affidato al medico e proprio dal mondo medico partono le prime denunce dei maltrattamenti. Nel 1852, a Parigi un medico legale, Ambroise Tardieu, in uno studio dal titolo "Etude medico-legale des blessures", descrive la "Battered Child Syndrome". Egli descrisse 32 bambini picchiati e ustionati a morte.
Nel 1868, Athol Johnson, al Sick Children Hospital di Londra, segnalò la frequenza di ripetute fratture nei bambini. Egli attribuì ciò alla fragilità ossea, poiché il rachitismo, a quel tempo, era molto diffuso fra i bambini di Londra. Ora sappiamo che quasi tutti i casi che egli descrisse erano in realtà storie di "abusi".
La teoria del rachitismo continuò a persistere fino al XX secolo.
Nel 1874, a New York, per salvare una bambina di nove anni dai maltrattamenti dovette intervenire un ente per la protezione degli animali. La piccola fu trovata, in casa, incatenata al letto con ematomi, ferite e abrasioni in tutto il corpo. Ma non si poteva fare nulla perché secondo le leggi USA, i genitori avevano diritto assoluto sui figli e potevano allevarli come meglio credevano. La Società per la protezione degli animali, già fiorente in America, esaminò il caso e riconoscendo che rientrava in quelli previsti dal proprio statuto intervenne. E così la bambina fu salva.
In seguito a questo fatto, nacque a New York la "New Society for the Reformation of Juvenile Delinquents" che organizzò un rifugio per bambini difficili che, in seguito, accolse anche bambini trascurati e abusati: si trattò della prima Società ad occuparsi di prevenzione all'abuso all'infanzia.

1.4 L'età Contemporanea

All'inizio del secolo attuale pedagogia, psicologia e sociologia iniziano ad interrogarsi sul problema dell'infanzia e dei suoi bisogni. Al bambino vengono riconosciuti esigenze e bisogni affettivi e psicologici, viene affermato che i diritti dei minori devono essere garantiti non solo dai genitori, ma da tutta la società.
In quest'ottica, nel 1924, viene approvata a Ginevra la Dichiarazione dei diritti del fanciullo, in cui si afferma che il fanciullo deve essere posto in condizione di svilupparsi in maniera normale sia sul piano fisico che spirituale, che i bambini hanno il diritto di essere nutriti, curati, soccorsi e protetti da ogni forma di sfruttamento.
A partire dall'Ottocento e fino ai primi decenni del novecento assistiamo nei ceti emergenti alla nascita e all'espansione della moderna famiglia nucleare, borghese, puerocentrica. Questa famiglia di tipo acquisitivo, mette al mondo i figli e li educa in vista del successo e della riuscita familiare e ha come fine ultimo la società urbana aperta, si è istituzionalizzata in quello che oggi è il modello normalmente atteso di famiglia, omogeneo alla società industriale.
L'infanzia cresce e si sviluppa all'interno di una famiglia nucleare relativamente isolata dalla parentela e dalla comunità, centro di consumo, il cui orizzonte territoriale è la moderna società urbana amorfa e cosmopolita. La famiglia borghese si può definire puerocentrica, nel senso che essa investe quasi tutto sui figli, visti soprattutto come spinta e strumento di quel successo familiare che è stato la base dell'economia capitalistica.
Ma nel punto del suo massimo sviluppo, che possiamo datare intorno agli anni sessanta, questa famiglia privatizzata entra in crisi e con essa la sua rappresentazione dell'infanzia. Al puerocentrismo acquisitivo, sostengono alcuni psicologi, si sostituisce un nuovo puerocentrismo narcisistico (il bambino soggetto solo in quanto oggetto di gratificazione dell'adulto/genitore), tipico della "famiglia di coppia", il cui orizzonte territoriale ha confini limitati.
Ed è proprio nel momento in cui l'immagine infantile del bambino raggiunge il suo culmine, che dalla società parte la denuncia del maltrattamento e parallelamente si muove a tutela dei diritti del minore in quanto individuo bisognoso di protezione.
Ancora una volta, l'ipotesi della violenza subita dai bambini in famiglia viene formulata in prima istanza nel mondo medico. Alcuni pediatri americani riconoscono in determinati quadri clinici, osservati nei bambini, la sintomatologia del maltrattamento.12
Nel 1961 Henri Kempe presentò all'Annual Meeting of American Academy of Pediatrics, una relazione interdisciplinare sulla "Battered Child Syndrome". La descrizione completa della sindrome fu pubblicata l'anno seguente nel "Journal of the American Medical Association": essa comprendeva considerazioni pediatriche, psichiatriche, radiologiche e legali e forniva pure le primissime cifre sullo stato del problema negli Stati Uniti. Con questa pubblicazione tale realtà viene portata a conoscenza del mondo medico internazionale e da allora prendono il via studi e rilevazioni del fenomeno, che si scopre avere una dimensione inaspettata.
In quello stesso anno due medici italiani, Rezza e De Caro, avvertono la necessità di estendere "la sindrome" ad altri aspetti del maltrattamento infantile e nel 1976 Kempe allarga il concetto di "sindrome del bambino maltrattato" ad altre forme di abuso, quali, ad esempio, la trascuratezza e la malnutrizione che non necessariamente compromettono la sopravvivenza del minore.
Parallelamente alla denuncia del maltrattamento vengono sottoscritti pronunciamenti ufficiali a salvaguardia del bambino. La società contemporanea rappresenta, infatti, la punta massima della salvaguardia "sulla carta" dei diritti del bambino come individuo.
Nel 1948, con la Dichiarazione universale dei diritti umani, le Nazioni Unite inclusero l'infanzia nell'intera famiglia umana da proteggere contro qualsiasi trattamento disumano o degradante.
In particolare l'art. 25 afferma:
"la maternità e l'infanzia hanno diritto a speciali cure e assistenza" e "tutti i bambini nati dal matrimonio o fuori di esso devono godere delle stesse protezioni sociali".
Nel 1959 l'ONU approva la "Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo", "affinché egli abbia un'infanzia felice e possa godere, nell'interesse suo e di tutta la società, dei diritti e della libertà che vi sono enunciati, invita i genitori, gli uomini e le donne in quanto singoli, come anche le organizzazioni non governative, le autorità locali e i governi nazionali a riconoscere questi diritti e a fare in modo di assicurarne il rispetto per mezzo di provvedimenti legislativi e di altre misure da adottarsi gradualmente in applicazione dei sui dieci principi". 13
Il Principio sesto afferma: Il fanciullo, per lo sviluppo armonioso della sua personalità, ha bisogno di amore e di comprensione. Egli deve per quanto possibile, crescere sotto le cure e la responsabilità dei genitori e, in ogni caso, in un'atmosfera di affetto e di sicurezza materiale e morale.
Il bambino, a causa della sua immaturità psico-fisica, ha diritto ad "essere protetto contro ogni forma di negligenza, crudeltà o di sfruttamento".
Dal 1979, "Anno internazionale del bambino", l'Onu ha costituito il gruppo di lavoro della "Commissione per i diritti del bambino" per elaborare una "Convenzione internazionale per i diritti del bambino". A dieci anni di distanza, il 20 novembre 1989, è stata approvata all'unanimità dall'Assemblea dell'Onu la "Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia" che dovrà essere ratificata dai paesi aderenti alle Nazioni Unite.
Dei 54 articoli di cui è costituito il testo della Convenzione, ve n'è uno che tratta specificatamente dell'abuso intrafamiliare e stabilisce che:
  • Art.19: Gli Stati Parti alla presente Convenzione prenderanno ogni appropriata misura legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per proteggere i bambini da qualsiasi forma di violenza, danno o abuso fisico o mentale, trascuratezza o trattamento negligente, maltrattamento o sfruttamento incluso l'abuso sessuale, mentre sono sotto la tutela dei genitori, del tutore legale o di chiunque altro si prenda cura del bambino/a. Tali misure protettive per essere appropriate devono comprendere procedure efficaci per l'allestimento di programmi sociali che forniscano il sostegno necessario al bambino/a e a coloro che ne hanno la responsabilità, così come per altre forme di prevenzione, identificazione, rapporti, ricorsi, investigazioni, cure, esami, a seguito di istanze per maltrattamenti al bambino/a come precedentemente descritti e, se il caso, per implicazioni di carattere giudiziario.
    Altri articoli affrontano diverse forme di maltrattamenti e impegnano gli "Stati Parti" a proteggere i minori da esse. Tra questi:
  • Art.37: Gli Stati Parti alla presente Convezione devono garantire che:
    1. nessun bambino/a sia soggetto a tortura o ad altre forme di trattamento o punizione crudeli, inumane, degradanti. Né la pena capitale né l'ergastolo senza possibilità di rilascio debbono essere applicati per reati commessi da persone sotto i 18 anni di età. (….)14
    Non vanno dimenticate le Raccomandazioni del Consiglio d'Europa (n.561 del 1963, n.17 del 1979 e n.4 del1985) e la Risoluzione del Parlamento Europeo del 1986, in cui si invitano i governi degli stati membri ad adottare le misure necessarie per prevenire ed intervenire nelle situazioni di maltrattamento, oltre che assistere i minori vittime di abusi e le famiglie in difficoltà.
    Si tratta dei primi documenti sovraterritoriali, in cui i minori vengono riconosciuti "soggetto di diritto" da parte dell'ordinamento anche all'interno della famiglia, mentre la legge viene autorizzata ad interporsi nei rapporti genitori-figli come terzo elemento regolatore.
    La società contemporanea è sempre più cosciente delle problematiche legate all'infanzia e i casi di abuso, oggi, sono sicuramente più visibili che in passato. Ma, nonostante questa maggiore coscienza i casi che vengono alla ribalta sono ancora solo la punta dell'iceberg.


    1 Becchi E., (a cura di), Storia dell'educazione, La Nuova Italia, Firenze, 1987
    2 Cesa-Bianchi M., Scabini E., La violenza sui bambini. Immagine e realtà, Franco Angeli, Milano, 1991.
    3 De Mause, Storia dell'infanzia, Emme, Milano, 1983, in Campanini A. M., Maltrattamento all'infanzia, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1993
    4 Fischetti C., Innocenza violata, Editori Riuniti, Roma, 1996
    5 Du Pasquier F., L'infanzia attraverso i secoli nella cultura occidentale, in De Cataldo Neuburger, (a cura di), Abuso sessuale di minore e processo penale: ruoli e responsabilità, Cedam, Padova, 1997.
    6 Oliverio Ferraris A., Graziosi B., Il volto e la maschera, Casa Editrice Valore Scuola, Roma, 1999
    7 Giallongo A., Il bambino medievale, in Oliviero Ferraris A., Graziosi B.,op. cit.
    8 Cesa-Bianchi M., Scabini E., op. cit. Milano, 1991.
    9 Montecchi F., Gli abusi all'infanzia, NIS, Roma, 1994
    10 Oliverio Ferraris A., Graziosi B., op. cit.
    11 Montecchi, op. cit.
    12 Cesa-Bianchi M., Scabini E., op. cit.
    13 Proclama dell'Assemblea Generale, in Dichiarazione dei diritti del Fanciullo, ONU, New York 20 novembre 1959.
    14 Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia, ONU, 20/11/89, in Izzo F., Norme contro la pedofilia, Edizioni Giuridiche Simone, Napoli, 1998
  • Art.34: Gli Stati Parti alla presente Convenzione devono proteggere il/la bambino/a da tutte le forme di sfruttamento sessuale o abuso sessuale. A tale scopo gli Stati Parti devono prendere in particolare tutte le adeguate misure nazionali, bilaterali e multilaterali, per prevenire:
    1. l'induzione o coercizione di un bambino/a per coinvolgerlo in qualunque attività sessuale illegale;
    2. lo sfruttamento dei bambini nella prostituzione o in altre pratiche sessuali illegali;
    3. lo sfruttamento dei bambini in spettacoli e materiali pornografici.
  • Art.35: Gli Stati Parti alla presente Convezione devono prendere tutte le appropriate misure nazionali, bilaterali e multilaterali per prevenire il rapimento, la vendita o il traffico di bambini con ogni fine o sotto ogni forma.
  • Art.36: Gli Stati Parti alla presente Convezione devono proteggere il/la bambino/a contro tutte le forme di sfruttamento dannose, sotto qualsiasi aspetto, per il benessere del bambino/a.

  • La storia dei bacha-bazi in Afghanistan. Bambini costretti a ballare, travestiti da donna, abusati


     Aggiornato:




    In alcuni paesi del mondo i bambini hanno un prezzo, chi lo paga ne decide anche l'identità. Accade in Afghanistan e loro sono i bacha-bazi. È una pratica atroce, anche se socialmente accettata, perché protetta dallo scudo della tradizione secolare di questo paese. Sono abusi di cui si parla poco, che ancora oggi rappresentano un tabù. I bacha-bazi sono letteralmente i "bambini per gioco", minori, maschi, costretti a indossare abiti femminili ed essere sfruttati sessualmente da uomini molto più grandi di loro. Vengono rapiti ancora adolescenti, adescati per strada, prelevati dalle proprie famiglie da ricchi e potenti mercenari, disposti a comprarli e mantenerli economicamente.
    Il bambino da quel momento diventa di proprietà del compratore e viene costretto a cambiare identità. Vestito da donna, con tanto di campanelli ai polsi e alle caviglie e un po' di make-up a ricoprirne il viso, viene obbligato a imparare a cantare e ballare con il solo obiettivo di essere poi violentato quando la danza e la musica saranno finite. I "proprietari", chiamiamoli così, dei bacha-bazi approfittano della condizione di povertà in cui vivono questi bambini e le loro famiglie, sapendo che i genitori non posso rifiutarsi o denunciarli, perché sono troppo potenti e influenti nel proprio paese e nessuno avrebbe il coraggio di opporsi. Nemmeno la legge. Questa tremenda pratica è infatti una violazione dell'ordinamento giudiziario afghano contraria a tutte le norme della convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, ma le autorità locali spesso chiudono un occhio a causa dello strapotere proprio di questi uomini. Essere un "bambino danzante", come lo definiscono molti media, in Afghanistan vuol dire subire un forte danno psicologico, dovuto al cambio di personalità, essere picchiato e vittima di ripetute violenze carnali da parte del proprio padrone o dei suoi amici.


    Una condizione di sottomissione che riunisce il concetto di prostituzione ma anche di pedofilia e che segna il ragazzo a vita. All'età di 18 anni, solitamente, i bacha-bazi vengono liberati anche se non hanno più un futuro. La vicinanza a uomini di potere se da una parte eleva lo status del ragazzo dall'altra lo rende riconoscibile e, quindi, vulnerabile: una volta lasciato solo altri uomini abuseranno di lui, come se ormai avesse perso il diritto di decidere. Spesso nessuno di questi bambini denuncia i suoi aggressori perché, oltre alle violenze già subite, rischiano di essere accusati (notate bene: i bambini, non i loro persecutori) di omosessualità.Quando si parla di negazione dell'identità, con il tacito consenso della comunità afghana, però i maschi non sono gli unici a doverne subire gli effetti. Si chiamano bacha-posh e sono bambine vestite e trattate come un ragazzo a tutti gli effetti. In alcune zone dell'Afghanistan e del Pakistan, infatti, una madre che non abbia partorito almeno un figlio maschio, non è vista di buon occhio. Così, come accade per le spose bambine, se una femmina nasce in certi angoli del mondo non ha diritto di scegliere il proprio futuro. Tra le tante figlie i genitori scelgono quella che sarà il "maschio di casa", colei che avrà tutti i diritti e i privilegi di cui godono solo gli uomini, che potrà frequentare una scuola e poter lavorare.
    Capelli corti e i pantaloni, le bacha-posh vengono trattate come fossero bambini, private di un'identità e del diritto di sviluppare una loro personalità, succubi dell'ennesima imposizione. Almeno fino all'età da marito. Nel giro di una notte in età adolescenziale, infatti, le ragazze vengono svestite dei loro panni da maschio, perdono libertà, diritti, privilegi e si riappropriano della loro natura di donna, costrette a piegare il capo di fronte al nuovo ennesimo cambiamento. Vengono poi mandate in sposa a un uomo che non hanno scelto e continueranno la loro vita come se nulla fosse mai successo. Il trauma che subiscono questi bambini e queste bambine è enorme e non c'è tradizione che tenga.
    (Post redatto in collaborazione con Flavia Testorio)

    mercoledì 21 settembre 2016

    Congo, sterminio dei Nande: chi è il Generale Baillaud Le accuse rivolte alla MONUSCO convergono sull'alto graduato francese

    Generale Baillaud

    Le accuse rivolte alla MONUSCO convergono sull'alto graduato francese
    Major General Jean Baillaud (C), deputy head of the UN Mission in the Democratic Republic of Congo (MONUSCO), visits the Guatemalan military base in Sake on July 12, 2016. / AFP / Eduardo Soteras        (Photo credit should read EDUARDO SOTERAS/AFP/Getty Images)


    Le accuse della popolazione e della società civile rivolte alla MONUSCO che non vorrebbe difendere i civili, convergono su un alto graduato francese che la popolazione individua come il grande burattinaio che da anni assicura la protezione di bande criminali che massacrano le popolazioni ad est e rapinano migliaia di tonnellate di oro, diamante, coltan e cobalto. Nell’occhio del ciclone c’è il Maggiore Generale Jean Baillaud, Vice Comandante Supremo dei Caschi Blu in Congo.
    «Le accuse rivolte da certi media e attivisti politici congolesi alla MONUSCO non sono vere. Non siamo qui a contare i morti ma per impedirli. Stiamo affrontando un immenso sforzo militare che ha già provocato decine e decine di morti tra i Caschi Blu. Voglio ricordare comunque che la soluzione alla instabilità nell’est della Repubblica Democratica del Congo non può essere ricercata esclusivamente nelle azioni militari. Occorre affiancare soluzioni politiche e socio economiche considerando anche le divergenze e le conflittualità inter etniche della regione» afferma lo scorso maggio il Maggiore Generale Jean Baillaud Vice Comandante Supremo della MONUSCO.
    Il Generale Baillaud è diventato l’uomo più odiato in tutto il Nord Kivu. Il suo nome viene pronunciato con disprezzo sputando per terra. La società civile e la popolazione in generale lo accusa di convivenze politiche e militari con gli islamici ADF, i terroristi ruandesi FDLR e le milizie congolesi Mai Mai responsabili della pulizia etnica contro i Nande.È una verità imbarazzante per i Caschi Blu ma spiega la sistematica mancata assistenza alla popolazione civile dei soldati comandati dal Generale francese Jean Baillaud. Non possono combattere i loro alleati con cui forse ci fanno anche degli affari commerciali. Le Nazioni Unite devono affrontare questo serio problema in quanto la passività del Generale Baillaud infrange il suo mandato R2P (Responsability to Protect). Le pulizie etniche contro i Nande sono attuate da vari gruppi armati ma organizzate dallo Stato Maggiore dell’esercito congolese e dal governo Kabila. L’obiettivo è sterminare questa etnia. Le Nazioni Unite sono a conoscenza di questo piano genocidario ma lasciano fare. Non ci rimane altro che difenderci da soli contro tutti i nostri nemici, Caschi Blu compresi” afferma un attivista Nande di Butembo protetto da anonimato. Le stesse accurate accuse di questo attivista Nande contro il Generale francese e il governo di Kinshasa furono rilasciate nel maggio 2015 alla Agence France Presse – AFP. Ora l’attivista congolese ci rivela che i commercianti Nande (che detengono il potere sulla comunità) stanno seriamente pensando a finanziare la creazione di una milizia Nande di autodifesa. Richieste di addestramento militare e armi sarebbero state inoltrate a non specificati Paesi confinanti.
    «Noi siamo qui per la popolazione congolese e il nostro principale mandato è di proteggerla. Di conseguenza queste accuse dirette contro la mia persona e contro la MONUSCO non sono fondante. Sono calunnie politicamente orientate. La nostra determinazione è di annientare tutti i banditi presenti all’est del Congo e principalmente i miliziani ADF responsabili dei massacri della popolazione di Beni. Non potete accusarci di collaborare con questi criminali. Una simile accusa è semplicemente vergognosa!» dichiarò il Generale Baillaud ad AFP come risposta alle denunce del anonimo attivista Nande di Butembo.
     Purtroppo il passato militare del Generale Baillaud sembra rafforzare le accuse rivolte. Jean Baillaud è un paracadutista di 58 anni con mal celate tendenze politiche di estrema destra e elemento di spicco nelle missioni militari estere condotte dalla Francia. Baillaud ha iniziato le sue missioni all’estero in Libano e successivamente in Bosnia e Kosovo dove avrebbe giocato un ruolo fondamentale per la secessione della provincia dalla Serbia. Divenuto Consigliere militare speciale dell’Ambasciatore Francese presso il Consiglio di Sicurezza a New York, Baillaud dal 2005 è stato inviato su diversi teatri africani di guerra: Sierra Leone, Darfur e Mali. Ha partecipato anche agli interventi militari francesi (subdolamente definiti “missioni umanitarie’) a Timor Orientale e in Siria dove gravano sospetti di aver organizzato reparti di ribelli siriani all’inizio del conflitto. In Congo gli è stato affidato il comando della Brigata di Intervento composta da reparti degli eserciti malawiano, sudafricano e tanzaniano). Baillaud ha coordinato nel 2013 le operazioni militari contro la guerriglia tutsi congolese Movimento 23 Marzo – M23.
    Assieme a Crispin Atama Tabe Ministro congolese della Difesa, al Generale di Brigata francese Patrick Boubèe de Gramont e al responsabile della missione MONUSCO, il francese Hervè Ladsous (noto per il suo odio contro i tutsi e il suo supporto a varie teorie negazioniste del Olocausto Africano) ha organizzato  l’alleanza tra Kinshasa e il gruppo terroristico ruandese FDLR per combattere i ribelli tutsi congolesi del M23. Ha inoltre organizzato la protezione militare e il trasporto fino a Roma di leader terroristici delle FDLR che nel luglio 2014 furono ospitati presso la sede della Comunità di Sant’Egidio attiva dal 1996 nel sostegno del Signore della Guerra Pierre Nkurunziza divenuto presidente del Burundi e ora dittatore sanguinario. All’epoca questa comunità cattolica che si definisce ‘Costruttori di Pace’ tentò senza riuscirci di convincere il governo ruandese di accettare i terroristi  FDLR come un partito politico e di creare assieme a loro un governo di unità nazionale. Il presidente Paul Kagame rispose senza indugi che nessun compromesso o dialogo era possibile con chi 20 anni prima aveva causato oltre un milione di morti nel Rwanda. Dopo il fallimento la Comunità di Sant’Egidio ha adottato la tattica del prudente silenzio.
    Nel 2014 il Generale Baillaud viene indicato dalla società civile dell’est del Congo come il principale ostacolo per l’eliminazione dei terroristi ruandesi FDLR. Tra il luglio e il settembre 2014 il Generale Baillaud avrebbe ordinato ai Caschi Blu di non intercettare le colonne di terroristi ruandesi FLDR che stavano attraversando la frontiera burundese, invitati dall’allora presidente Pierre Nkurunziza. Le testimonianze di tre suore italiane (subito uccise) e di un rapporto della Missione ONU in Burundi, denunciarono nello stesso periodo che l’invio di mercenari FDLR in Burundi faceva parte di un piano genocidario ideato da Nkurunziza contro la minoranza tutsi del suo Paese. Piano parzialmente attuato  dal novembre 2015 al maggio 2016 e successivamente abbandonato causa la mancata volontà delle masse contadine hutu burundesi di attuare il genocidio e l’isolamento progressivo del Burundi a livello internazionale. Dal novembre 2015 le FDLR detengono il controllo delle decisioni politiche e militari in Burundi.
    Il Generale Baillaud è accusato anche di intrattenere rapporti amichevoli e pubblici con lo Stato Maggiore dei terroristi FDLR a Goma (capoluogo della provincia del Nord Kivu). Tutte queste accuse sono state categoricamente smentite dal Generale francese, costretto però a una serie di ‘no Comment’ che hanno evitato di spiegare come mai la MONUSCO non è mai intervenuta contro le FDLR o come può accettare la presenza del Comando Operativo Militare delle FDLR a Goma che dista soli 1,5 km dalla Base MONUSCO dove il Generale Baillaud operava. Baillaud è sospettato anche di assicurare la logistica e la copertura internazionale alle industrie belliche e al governo francese per fornire ai reparti terroristici FDLR in Burundi e alle forze genocidarie del dittatore burundese Nkurunziza armi sofisticate e moderne che vengono sistematicamente utilizzate per sterminare la popolazione e mantenere il potere con la forza. 
     Le accuse di complicità rivolte a Baillaud escono dai confini del Nord Kivu e diventano internazionali grazie alle inchieste del giornalista Jean-Francois Dupaquier. “Il dispositivo politico e militare della MONUSCO è controllato dalla Francia attraverso il Generale Jean Baillaud e dal suo aiutante il Generale di Brigata Patrick Boubèe de Gramont. Non sono in Congo per azioni umanitarie o per proteggere i civili. Sono in Congo per proteggere i loro alleati ruandesi FDRL con cui collaborano fin dal 1993 anno in cui la Francia contribuì nell’organizzazione del genocidio in Rwanda avvenuto l’anno successivo. Il Generale Baillaud si è impegnato seriamente solo a contrastare la ribellione tutsi del M23 utilizzando i terroristi FDLR come alleati politici e militari. L’attuale situazione di violenza e crimini contro l’umanità all’est del Congo è stata creata dalla Francia quando nel 1994 attivò l’Operation Tourqoise per salvare l’esercito e le milizie genocidarie ruandesi dalla vittoriosa offensiva delle forse ribelli comandate da Paul Kagame. All’epoca le forze genocidarie ripiegarono nello Zaire (attuale Congo) protette dai soldati francesi. Nel 2000 Parigi diede il suo consenso favorevole e i finanziamenti necessari per la riorganizzazione delle forze genocidarie sotto una nuova sigla: FDRL…” spiega il giornalista Dupaquier.
    Grazie alla Francia e alla MONUSCO questo gruppo terrorista autore dell’Olocausto Africano ora conta 12.000 uomini sparsi nell’est del Congo e in Burundi (1.200 secondo le irrealistiche cifre fornite dalla MONUSCO). Oltre ad essere la prima minaccia regionale le FLDR sono diventate la più importante impresa criminale africana con un fatturato annuo di 71 milioni di dollari provenienti dalla pesca illegale, traffico di oro, diamanti e coltan, droga, prostituzione, traffico di esseri umani. Nei territori controllati riscuote le tasse dai commercianti e i pedaggi autostradali. Il suo Quartiere Generale è a Goma dove i leader terroristici agiscono alla luce del giorno e frequentano hotel e ristoranti di lusso, frequentati anche dai Generali Congolesi e della MONUSCO.
    Una imprudente intervista rilasciata in tempi non sospetti dal Generale di Brigata De Gramont sulla rivista miliare Doctricne Tactique, numero 28, settembre 20123 conferma le accuse rivolte a posteriori dalla società civile e dal giornalista investigativo francese. «I nostri ufficiali presenti nello Stato Maggiore della  MONUSCO rappresentano la Francia e hanno precise indicazioni di servire direttamente gli interessi strategici del loro paese. I Cachi Blu della MONUSCO e alcuni alleati locali permettono alla Francia di non impegnarsi in prima persona in una operazione militare nella regione che la esporrebbe a rischi politici e a critiche internazionali. La MONSUCO garantisce alla Francia di raggiungere i suoi obiettivi politici militari con il minimo sforzo di uomini e di risorse finanziarie». Queste le crude parole del Generale di Brigata De Gramont.
    Le prove contro il Maggiore Generale Jean Baillaud che sono sorte durante i suoi tre anni di mandato in Congo, sono state sistematicamente ignorate da Nazioni Unite e Unione Europea ma sembrano aver costretto Parigi a prendere provvedimenti cautelativi. Il Generale Baillaud ha terminato il suo mandato presso lo Stato Maggiore della MONUSCO il 26 luglio 2016. Una cerimonia di addio è stata organizzata presso il quartiere generale MONUSCO a Kinshasa in presenza del Capo di Stato Joseph Kabila e dell’Ambasciatore francese in Congo. Le Nazioni Unite hanno sottolineato che la partenza del contestato Generale francese è strettamente collegata ai tempi previsti per il suo mandato umanitario e non vi è alcun nesso con le accuse rivolte considerate false e frutto di grezza propaganda locale. Accuse considerate inventate ma che hanno costretto l’immettente televisiva filo-governativa France24 a trasmettere un reportage (Getting away with murder in DR Congo) con l’obiettivo di difendere il Generale Baillaud. Nel reportage la figura del Generale viene riabilitata ma il giornalista che commenta fuori campo è costretto ad affermare a più riprese che qualcosa non va nel mandato della MONUSCO in Congo…

    domenica 18 settembre 2016

    Cooperazione occidentale in Africa: fautrice di Cleptocrazia

    Che senso ha coltivare il grano se viene regalato? così, chi regala controlla. E' il modello occidentale
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    Mauro Conti, medico odontoiatra italiano, è a Ngozi, nel nord del Burundi, dove tiene un Corso di due settimane presso la locale Universitè de Ngozi, ‘Centre d’etudes medicales’. L’iniziativa, di cui è uno degli animatori e protagonisti, prende vita dalla S.M.O.M. (Solidarietà Medico Odontoiatrica nel Mondo), organizzazione no profit.
    Per ‘L’Indro’ racconta il Burundi e l’Africa vista da un occidentale secondo i racconti ascoltati dai locali e le considerazioni da ‘uomo bianco’. Prima puntata ‘Africa: educarne uno per salvarne cento’, del 18 agosto; seconda puntata Burundi: calma apparente, guerra imminente’, del 23 agosto; terza puntata ‘Il Burundi secondo me, Muzungu’, del 25 agosto.
     ***
    Statunitensi, in competizione con i cinesi, europei divisi tra le diverse strategie di francesi, inglesi e tedeschi. Gli italiani ‘di rincorsa’ e senza strategie. Tutti divisi, tutti uniti dall’essere definiti muzungu in lingua swahili, diffusa in gran parte dell’Africa orientale, centrale e meridionale. Idioma nazionale di Tanzania, Kenya, Uganda, e complessivamente di oltre 80 milioni di persone nel continente è tra le lingue ufficiali dell’Unione Africana. Soprattutto, e in pratica, si tratta dell’unico linguaggio autoctono corposamente diffuso sopravvissuto (per quanto ‘imbastardito’) al colonialismo che è stato anche, in maniera decisiva, colonialismo del linguaggio. Abitualmente e quasi ossessivamente utilizzato per indicarci, il termine ‘muzungu’ viene in occidente solitamente tradotto come ‘uomo bianco’, o comunque senza la pelle color ebano. In realtà significa ben altro e di più. La sua radice etimologica sta in ‘strano’, ‘meraviglioso’. E solo con il tempo, e tutto quello che abbiamo combinato attraverso i locali meridiani e paralleli, siamo diventati da ‘strani’, ‘estranei’ e ‘stranieri’. Comunque ‘diversi’, in positivo o negativo che sia. E a partire da questa condizione da noi vissuta, dalle popolazioni locali percepita, viviamo e ‘giudichiamo’ l’Africa.

    Carl von Clausewitz, geniale generale e teorico bellico prussiano del setteottocento, ideò la fortunata definizione secondo cui «La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi». Ebbene, per la Cooperazione internazionale è la stessa cosa. Come un coltello affilato può essere usato sia per tagliare il pane che per ferire qualcuno, così se il cooperante, avanguardista dell’occidente, arriva con l’arroganza di avere tutte le soluzioni e la pretesa di fare del benenon fa altro cheenfatizzare i problemi.
    Quando i primi cooperanti del periodo del boom economico postbellico si accorsero che la terribile piaga della mortalità infantile, appena debellata dalle nostre parti, in Africa era ancora devastante, diedero, con ragione, colpa all’eccessiva magrezza delle madri e dei piccoli appena nati. Però da queste parti le donne sono quelle che lavorano veramente, e lo fanno fino all’ultimo giorno di gravidanza. Dire che l’alimentazione sia scarsa è tautologia, i neonati avevano, , un peso appena compatibile con la vita, ma compatibile con il bacino stretto di madri selezionate nei secoli da una natura tanto generosa quanto difficile. Senza considerare il contesto culturale, e credendo in buona fede di fare l’interesse di madri e bambini, i ‘nostri’ procurarono migliore alimentazione e riposo forzato alle puerpere. Con il risultato di avere neonati decisamente più grandi del canale vaginale delle madri e conseguente incremento della necessità di parti cesarei. Se avere bambini di soli 2.500 grammi con parto naturale portava ad un elevato livello di mortalità infantile, avere da queste parti neonati di più di 3 chili senza assistenza chirurgica al parto portava e può portare a stragi di madri e figli.
    Un proverbio recita che «Il meglio è nemico del bene», così, utilizzare soluzioni adeguate a situazioni più evolute è come regalare ad un bambino abituato al ‘Game boy’ una ‘Play station 4’. Con la differenza che al massimo quel bambino non ci può giocare. Qui si fa danno. E’ di fondamentale importanza avere, invece, l’umiltà di chi desidera imparare e mettere a disposizione, su richiesta, soluzioni magari desuete ma ‘abbordabili’ e ripetibili nel contesto, piuttosto che la sicumera di chi ha soprattutto bisogno di espandere il proprio ego. E il proprio potere, e la propria zona di influenza, ieri politica oggi soprattutto economica. C’è molto da imparare in Africa eil politicallycorrect non aiuta. Gli africani sono africani, e non è un discorso razzista quanto culturale. Un afroamericano ha in comune con un indigeno africano quasi solo il colore della pelle, come un normanno della Sicilia con capelli biondi e occhi azzurri è più lontano da uno svedese di Zlatan Ibrahimović, nato da quelle parti da immigrati jugoslavi. E’ il pensiero ad essere diverso. E’ proprio laforma mentis ad essere diversa. Il fatto che siano poveri non significa che la loro cultura non sia profonda e articolata analogamente alla nostra, come dimostra la complessità e varietà delle lingue. La presunzione antropologica dell’Occidente, all’indomani della scoperta del ‘Nuovo mondo’ da parte di Cristoforo Colombo che ha portato all’inizio del colonialismo, fu che tutti gli aspetti culturali di una società fossero allo stesso livello. Ed essendo gli europei anni luce avanti rispetto al resto del mondo in campo ‘tecnologico’, si riteneva conseguentemente che tutti ambiti della vita degli altri popoli dovessero essere ad un identico grado di evoluzione. Solo ora ci rendiamo conto di quanta profondità vi sia nel pensiero matematico indiano, nell’astronomia dei Maya, nella sostenibilità ecologica dei nativi americani o australiani.
    Gli africani sono africani, nel bene e nel male. Per loro il futuro è oggi, la risposta giusta è quella che vuoi sentire, l’esperienza li porta all’hobbesiano «Homo homini lupus». Sonorazzisti, classisti e machisti. Approssimativi e superstiziosi. E questi ‘giudizi’ provano a non essere tali, quanto descrizioni. Tento di non utilizzare il comportamento tipico dell’occidentale che giudica, e peggio ancora lo fa con il suo proprio metro di giudizio. La mia prova invece ad essere non una condannaquantouna constatazione. In questo essere medico aiuta. L’asettico studio dei segni, la semeiotica divenuta semiotica in tempi più recenti, ci insegna che una descrizione non è in sé stessa un giudizio e che una piccola, asintomatica, macchia nera sulla pelle può essere di gran lunga più letale di un dolorosissimo calcolo ai reni. Per fare un esempio, un indù che crede nella reincarnazione e in una divisione in caste dovute ai meriti o ai demeriti di una vita precedente non potrà avere lo stesso atteggiamento di commiserazione nei confronti di un povero storpio che hanno un cristiano o un buddista convinti della virtù della compassione. E’ proprio in questo modo che gliaiuti umanitari’, non tenendo conto delle mentalità locali o, peggio, ancora approfittandone, hanno distrutto intere economiee inventato lecleptocrazie’. Quando la voce più rilevante dell’economia reale di una Nazione sono gli aiuti umanitari, la vera ricchezza consiste nel controllarli. Non ha senso coltivare il grano se viene regalato. Così chi lo regala controlla e chi lo coltivava non ha più una funzione sociale.
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