martedì 28 dicembre 2010

La nuova strategia della tensionepubblicata da Ferdinando Imposimato il giorno sabato 19 dicembre 2009 alle ore 11.44

... la copertura di altri obiettivi e di altre forze interessate a destabilizzare l'ordine pubblico per stabilizzare altri poteri ...di Ferdinando Imposimato [19/12/2009]

Forse siamo in presenza di una nuova strategia della tensione, simile a quella che ha flagellato l'Italia degli anni 60-80. E degli ani 90, con le stragi di Capaci e di Via D'Amelio. Ne sono un sinistro segnale i recenti attentati del Nord Italia. Credo che abbiano una stessa matrice i pacchi bomba esplosi martedì pomeriggio al Cie di Gradisca e giovedì all’Università Bocconi di Milano. A rivendicare i due attentati, è stata una improbabile Federazione anarchica informale, un gruppo anarco-insurrezionalista che negli ultimi anni avrebbe rivendicato atti terroristici compiuti in varie località italiane. Nel tardo pomeriggio del 17 dicembre un volantino firmato da "Sorelle in armi, Nucleo Mauricio Morales-Fai", inviato al quotidiano Libero, rivendicava l’attentato alla Bocconi e a Gradisca. Nel volantino si parlava di contrasto al capitalismo, di moderne galere e campi di concentramento dove relegare gli ultimi della società, e l'inizio di una attività contro i ricchi e il potere politico. Alla Bocconi l’ordigno, un cilindro metallico di circa 25 centimetri con innesco elettrico, è scoppiato alle 3.30 di notte in un tunnel che collega due edifici dell’università. Dopo la rivendicazione gli inquirenti hanno capito di esser di fronte ad un attentato. Il danno è stato minimo perché il tubo è esploso solo in parte per il cattivo funzionamento del timer dovuto, secondo i primi accertamenti, all’imperizia con la quale il detonatore elettrico è stato fabbricato. Quanto all’esplosivo, nella rivendicazione si parla esplicitamente di "due chili di dinamite", ma i primi esami della scientifica non dicono con certezza di che composto si tratti. La matrice anarchica è stata seguita dagli investigatori che indagano sulla busta esplosiva recapitata al Cie di Gradisca. Nel portafoglio da donna, imbottito di polvere pirica, c’era un volantino di rivendicazione firmato dal gruppo anarchico.
Ed ora riflettiamo su ciò che accade: “Guardare al passato per capire il presente e prevedere il futuro”, dice Tucidide. Il passato può ripetersi. Negli attentati odierni, vedo non gesti isolati e velleitari ma una strategia concreta e realistica, che ripropone una stagione di violenza, simile a quella che seguì gli attentati alla fiera di Milano della primavera 1969, culminati con la strage di piazza Fontana. Mi sembra di tornare indietro a 40 anni fa, al 12 dicembre del 1969 quando, giudice istruttore a Milano, seppi della esplosione delle prime bombe tra cui quella di piazza Fontana, cui fu data una matrice anarchica. Ero al Tribunale di Milano dal 1965 . Anche io fui indotto in errore dalle false notizie propalate da tutta la stampa, compresa quella di sinistra, che accreditarono la pista rossa. Verso la matrice anarchica fu depistato anche il mio amico Vittorio Occorsio, Pubblico Ministero, incaricato della inchiesta su quella strage. La indagine gli era stata affidata dopo una manovra giudiziaria del Procuratore generale di Roma, che sottrasse ai giudici di Milano la inchiesta. Dopo alcuni anni, Occorsio, con cui avevo cominciato a indagare sui rapporti tra criminalità e politica, comprese che era stato ingannato dall'Ufficio Affari Riservati del Viminale: la matrice era massonico-fascista. Quando stava per risalire ai mandanti occulti, fu assassinato da alcuni fascisti tra cui Pierluigi Concutelli: era l'11 luglio 1976, pochi minuti dopo aver parlato con me per dirmi che aveva dato parere contrario ad un uomo che poi si seppe essere della P2.
I colpevoli della strage restarono ignoti. Ma molti ufficiali dei servizi segreti (SID) furono condannati per i depistaggi sulla strage: tra gli altri fu condannato per calunnia il generale Giandelio Maletti, uno dei vertici del SID. Che la settimana scorsa ha ammesso, in una intervista all'Espresso, che la bomba di Piazza Fontana era stata confezionata con esplosivo straniero: parte dell'esplosivo della strage era arrivato da un deposito militare americano in Germania. “Era entrato in Italia dal Brennero, a bordo di uno o più Tir. Fu scaricato a Padova, dove venne affidato agli ordinovisti locali”. L'esplosivo era, secondo Maletti “trinitrotoluene. Ovvero, tritolo”. Era una notizia attribuita dal Sid alla "Fonte Turco", cioè tal Casalini, un militante del gruppo di Freda e Ventura che aveva partecipato agli attentati sui treni dell'8 e 9 agosto '69. “Gli americani fornivano mezzi ed esplosivo,- ha detto Maletti- ma il lavoro lo lasciavano fare agli indigeni. C'era un laissez-faire, un indirizzo generale, poi messo in pratica da gruppi italiani o internazionali. Se ne occupavano i servizi segreti, ma non solo la Cia”. Eppure per anni si seguì la pista rossa. E i responsabili restarono impuniti. Oggi si ripropone uno scenario simile: ma non vogliamo attendere 40 anni per sapere la verità. La formazione anarchica informale (FAI) costituisce verosimilmente la copertura di altri obiettivi e di altre forze interessate a destabilizzare l'ordine pubblico per stabilizzare altri poteri .
Certo è che colpisce la coincidenza degli attentati con l'ennesimo attacco alla Costituzione, baluardo della democrazia. Si vuole una Repubblica presidenziale , come quella auspicata da Licio Gelli. Si vuole distruggere la Corte Costituzionale, colpevole di avere bocciato il lodo Alfano. Essa è accusata di essere formata da giudici comunisti scelti da Presidenti filocomunisti. Non mi risulta che Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi fossero comunisti. La Costituzione, approvata da popolari, comunisti, socialisti, repubblicani, liberali e monarchici, non va cambiata in nessuna parte. Non eravamo e non siamo d'accordo con chi, non avendola mai letta, auspica riforme come il premierato e il federalismo. Qualunque dialogo con il centro destra sarebbe assurdo. Stupisce che non lo abbia compreso il segretario del PD, che insiste nel volere riforme condivise (Corsera 11.12.2009).
La maggioranza non vuole riformare la Costituzione, vuole farla a pezzi, è un ostacolo a precisi disegni egemonici. E' un momento buio per la democrazia: il solo argine a mire eversive è la nostra Costituzione: il testamento spirituale di 100.000 morti. Il progetto plebiscitario non è utopistico: la maggioranza degli italiani, annichilita dalle TV di regime, lo sosterrebbe. Per il Paese sarebbe la rovina. Noi ribadiamo un fermo no al federalismo, al premierato, al plebiscitarismo alla delegittimazione della Consulta. Deploriamo l’eccesso dei poteri al Presidente del Consiglio. E rammentiamo che la Corte Costituzionale, con l’aumento dei giudici designati dal Parlamento federale, diventerebbe organo della maggioranza e perderebbe il ruolo di giudice indipendente delle leggi. La Corte deve restare l’estrema barriera contro il tentativo di attentare all’essenza della democrazia.
Ferdinando Imposimato

Gruppo per il ripristino della Costituzione del 1948
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domenica 26 dicembre 2010

Frantumazione degli interessi



                            Fonte: Il Pensiero Attuazionista

Quello che mi preme sottolineare, in questo ragionamento, è il ruolo che ha avuto la sinistra nell’affossare definitivamente la centralità del conflitto tra capitale e lavoro e, specificamente, i partiti comunisti che si sono succeduti dopo lo scioglimento del PCI, e allo stesso tempo, oggi, voler riaffermare questa centralità come se nel frattempo non fosse avvenuto nulla.
La prima incapacità risiede nell’aver accettato di delegare a un potere terzo il comando politico sull’economia e di non aver messo al centro la questione nazionale come interesse generale dei lavoratori contro ogni forma di disgregazione sociale e territoriale.
Comando politico dell’economia significa avere la possibilità per uno stato di prendere decisioni in merito allo stato sociale, ovvero difendere la propria forma economica da ingerenze esterne, che in soldoni significa non permettere, ad esempio alla Fiat, di ricattare i lavoratori e di fare gli interessi di uno potenza economica imperialista come gli USA.
Ma significa pure non assumere come una calamità naturale la crisi economica e meno che mai la crisi economica come crisi del capitalismo, ma di fornire ai lavoratori una lettura onesta e veritiera, ovvero che la crisi economica è uno specifico progetto politico per il riassetto dello stato sociale sul modello culturale e politico della potenza di turno, che si forma a livello di lotta politica tra stati e che ha ricadute e ripercussioni nazionali.
Quando si dice che l’economia, ovvero i poteri finanziari, la fanno da padroni sulla politica si dice una cosa giusta, ma non spiegandola si finisce per affermare una cosa sbagliata.
Nel nostro paese, ad esempio, il potere politico accetta determinate scelte politiche esterne che possono anche non coincidere con gli interessi dei lavoratori, tali scelte politiche determinano a loro volta scelte economiche. Allora, sono le scelte politiche ad avere ricadute economiche e non viceversa. Per determinare una data scelta economica bisogna avere una certa indipendenza politica, cosa che noi non abbiamo in quanto soggetti a poteri e forze straniere.
Come possiamo pensare di arginare lo smantellamento dello stato sociale, i continui e sempre più pervasivi attacchi contro i lavoratori, la scuola, l’università, la sanità, in una parola lo stato sociale, se non recuperiamo il ruolo politico determinante per le nostre scelte interne?
Sono anni che ci vengono raccontate le crisi delle forme del lavoro, dell’organizzazione dell’impresa, delle politiche economiche di adeguamento all’Unione Europea come fossero tutte forme normali del processo di globalizzazione. Vogliamo sostituire una volta per tutte la parola globalizzazione con capitalismo imperialista?
Il lavoro ha assunto sempre più forme e caratteri nuovi negli attuali processi di ristrutturazione, e ne assumerà sempre di nuovi e pervasivi, perché il comando sul processo e sul ciclo produttivo ha assunto anch’esso forme nuove. Allora bisogna convincerci che la crisi politico-statale si riversa inevitabilmente nella crisi economico-sociale e nella sua composizione sociale.
I vari fenomeni di aggregazioni transitorie, sporadiche e di fortuna per resistere agli attacchi non solo non sono contrastati ma addirittura favoriti. Più si frantumano gli interessi e più si formano due specifiche classi sociali: la classe per sé e la classe lasciata a se stessa. Entrambe a loro volta frantumate e dislocate socialmente e territorialmente. Si assumono forme locali territoriali di difesa come di aggregazioni sociali sempre più particolari. Ad un attacco a livello globale si cerca di rispondere a livello locale. In tutto questo la sinistra e i comunisti non hanno saputo rispondere se non con uno schema teorico che fa acqua da tutte le parti.
Se una forza di sinistra e comunista vuole veramente essere efficace, in questa fase storica, deve comprendere che una forza anticapitalista e antimperialista deve fare i conti con quello che c’è e non con quello che si vorrebbe che ci fosse. Al momento abbiamo la politicizzazione del mercato e la mercificazione dello stato.
In questo momento ci troviamo di fronte all’assenza del soggetto politico capace di incidere in maniera costruttiva sull’ordine presente delle cose e anche per questo i sindacati di base si trovano in condizioni di grave difficoltà. Difficoltà che sono tutte riconducibili a una mancanza di prospettiva politica.
Gli industriali hanno già preso accordi con il governo per trasferire all’estero tutta la loro produzione e stanno aspettando solo il momento propizio per realizzare l’operazione. E’ per questo che il disegno sociale, che si è già realizzato, sta assumendo la sua definitiva messa a punto che passa inevitabilmente per la riforma della scuola, dell’università e della pubblica amministrazione.
Ma su questo punto dobbiamo essere chiari. La chiusura delle fabbriche, il licenziamento dei lavoratori e il trasferimento all’estero delle fabbriche è avvenuto grazie alla complicità dei partiti di sinistra e dei sindacati di regime. E come hanno convinto gli operai a subire una tale mortificazione dei loro diritti e un simile ricatto? Con la parola magica della “crisi economica” ripetuta dalla sinistra e dai comunisti come fosse un concetto neutrale e non avesse invece una matrice politica, culturale e sociale ben definita.
Al ricatto di Marchionne, tutto nell’interesse degli USA, che vuole portare le medesime condizioni schiavistiche in Italia, vogliamo continuare a rispondere con le manifestazioni organizzate dalla CGIL? Oppure con la teoria del conflitto tra proletari e borghesi?
Affrontare il problema in maniera seria significa pensare ad un progetto politico capace di ridisegnare i confini entro cui la classe per sé possa finalmente incontrare la classe lasciata a se stessa.
Per questo è urgente disegnare il percorso politico che porti ad un Primo Maggio all’insegna della dignità contro ogni forma di pagliacciata. (Roberto Scorzoni)

lunedì 20 dicembre 2010

I 5 miliardi per fermare l'immigrazione

Intervistiamo lo scrittore e giornalista Gabriele Del Grande, autore di Mamadou Va a Morire e Il Mare di Mezzo

di Luigi Riccio

INTERVISTA. “Chiediamo all’Europa 5 miliardi per fermare l’immigrazione” ha ripetuto il leader libico Gheddafi all’ultimo vertice Unione europea-Unione africana. Lo scenario futuro che il dittatore disegna è sempre lo stesso: un’Europa nera, sommersa da migliaia e migliaia di disgraziati. A parlare sembra più un Borghezio della Lega Nord che un leader africano. Ma tant’è. Se l’Europa vuole fermare “l’invasione”, deve sganciare i soldi.
Ma visto poi che questi soldi non sono neanche pochi, viene da chiedersi quanto questo "aiuto" possa essere utile. Per questo, abbiamo chiesto allo scrittore e giornalista Gabriele Del Grande, uno che in questi ultimi anni ha studiato sul campo i flussi migratori provenienti dal nord Africa e autore del libro Il Mare di Mezzo (qui recensito).
Gheddafi ha rinnovato la sua “disponibilità” a fermare l’immigrazione clandestina in Europa, previo pagamento di 5 miliardi. Quale potrebbe essere l’impatto reale del suo contributo?
E' tutta una farsa. La sua e quella dell'Europa. Quella che chiamano immigrazione clandestina non esiste. E se esiste non passa dalla Libia. Cosa voglio dire? Ad esempio che Maroni ha appena firmato un decreto per l'ingresso di 100.000 lavoratori stranieri in Italia per il 2011, ovvero 100 volte il numero dei mille respinti in Libia dalla marina italiana tra il 2009 e il 2010. Un decreto farsa, nel senso che come tutti sanno i 100.000 sono già in Italia, dove sono arrivati con un visto turistico, in buona parte dall'Europa orientale, che poi è scaduto gettandoli nella clandestinità. Loro emergeranno e avranno i documenti. I meno fortunati, che in proporzione rappresentano l'1% degli arrivi, saranno invece arrestati e torturati nelle carceri libiche finanziate dall'Europa e dall'Italia. Gheddafi fa leva sulle paure dell'Europa. E l'Europa ha definitivamente perso il contatto con la realtà. Il problema non sono gli sbarchi nel Mediterraneo. Anche perché la repressione lungo la frontiera non ferma gli arrivi, ma ha solo due effetti: cambiare le rotte e aumentare il potere delle mafie dei contrabbandieri che gestiscono le tratte proibite.
Dai fatti di cronaca dei 250 ostaggi nel deserto del Sinai emerge ( o si conferma) che le direzioni dei flussi non sono statiche, ma possono cambiare, per esempio, quando vecchi canali non sono più percorribili. Dopo gli accordi Italia-Libia, quale cambiamento hanno avuto le rotte dei migranti?
Le rotte principali non sono cambiate. Si arriva in autobus e in aereo, dall'Europa orientale, dal Sud America e dal Maghreb, poi si lascia scadere il visto e si aspetta la sanatoria o il decreto flussi. Sono cambiate invece le rotte del mare, che riguardano una minima parte delle persone emigrate in Italia, fra l'altro in gran parte rifugiati politici, verso i quali l'Italia ha un obbligo di protezione internazionale. Queste persone hanno iniziato a raggiungere l'Europa attraverso la porta orientale, in particolare attraverso la Turchia e l'Ucraina. E in parte, soprattutto per gli eritrei, verso lo Stato di Israele, attraverso l'Egitto. Frontex lo sa bene, motivo per cui ha aumentato la repressione e il controllo sui confini dell'Europa con Turchia e Ucraina.
Frontex, l’agenzia per le frontiere europee, è stata poco fa in Senegal, in Grecia e altri paesi da cui maggiormente proviene l’immigrazione clandestina. L’impressione che fa, è che stiano cercando di tappare tutte le “falle” per rendere l’Europa inaccessibile. Sei d’accordo con questa visione? E quali conseguenze può avere o sta avendo questo tipo di politiche?
L'obiettivo non è tanto sigillare la frontiera, quanto piuttosto usare la frontiera per filtrare e controllare chi passa. L'Europa non riconosce il diritto alla libertà di circolazione, che pure vale per i suoi cittadini in quasi tutto il mondo, e decide di trattare gli stranieri come merci. Ogni anno, unicamente sulla base di stime economiche, i governi decidono quante braccia da lavoro importare dai paesi esteri per mantenere a basso costo le produzioni di certi settori come l'edilizia, l'agricoltura, l'assistenza domestica. E fa di tutto per bloccare tutti gli altri indesiderati, siano poveri o rifugiati. E fa di tutto per espellere dal suo territorio tutti i cittadini stranieri poveri, marginali e improduttivi. La logica è chiara. Perdi il contratto di lavoro, ti ritiro il permesso di soggiorno. Le conseguenze di queste pratiche sono gravissime, perché stanno istituzionalizzando la cultura dell'espulsione. La cultura cioè per la quale se sei povero, marginale, improduttivo, problematico, anziché aiutarti, la società ti espelle. Oggi si applica ai cittadini stranieri, la cui marginalità è causata proprio dalle nostre leggi che vietano loro di lavorare, di affittare casa, di esistere. Domani a chi si applicherà? Ai disabili? Ai malati mentali? Ai disoccupati? Ai precari? Sono questioni che riguardano tutti, perché riguardano lo stato di diritto.

sabato 18 dicembre 2010

Gay e marito. Quando l'omosessualità è una colpa

DAKAR. Incontro Ousmane in uno dei tanti fast food del centro. Non è stato facile riuscire a farlo venire. Ousmane è gay, ed essere gay in Senegal vuol dire portarsi dietro il peso di una colpa. L'omosessualità resta un argomento tabù di cui non si può nemmeno parlare. Ousmane si guarda attorno e quasi sussurra le parole, come se la sua omosessualità fosse incisa come un marchio sul suo volto. E' un ragazzo davvero bello, trant'anni e una laurea in storia.

'Ho sempre saputo di essere gay. Fin da piccolo cercavo la compagnia dei maschi, ero attratto da loro, dalla loro fisicità, dal loro modo di fare. Le ragazze non mi interessavano' mi dice prima di abbassare gli occhi e sospirare. 'Qui è difficile. Non è possibile dichiararsi e vivere la propria vita in pace. E allora ho mentito e mento da una vita'. Le parole di Ousmane non mi sono nuove, questa è la quotidianità omosessuale di un paese, il Senegal, fortemente omofobo. 'Qui se sanno che sei gay ti lanciano le pietre, ti insultano, ti allontanano dalla famiglia. Le persone pensano che sia una malattia o, peggio ancora, che sia il risultato di uno dei tanti 'maraboutage' (sortilegi) fatti contro la famiglia' continua Ousmane.

'Com'è vivere una doppia vita?' gli chiedo. Sospira, poi riprende 'E' difficile. Sette anni fa sono riuscito a partire per l'Italia. E' stata una liberazione. Sono arrivato a Brescia, a casa di un amico e per la prima volta nelle vita, mi sono sentito libero. Ho avuto una bellissima storia d'amore con un uomo italiano, sposato, per circa due anni'. 'E poi?' incalzo io. 'Poi la moglie ha scoperto tutto, colpa dei messaggi nel cellulare, le è venuta una crisi, ha minacciato di rendere pubblica la cosa e lui, stimato uomo d'affari, non poteva permetterselo. Ha preferito lasciare me. Dopo di lui solo tante piccole avventure'. 'Come mai sei tornato?' continuo 'Non riuscivo a trovare lavoro e i senegalesi cominciavano a parlare. Telefonavano alla mia famiglia dicendo che io andavo a letto con uomini italiani. Ho deciso di tornare e per il bene di mia madre mi sono sposato'.

Ousmane parla a tratti, lo sguardo sempre attento ogni volta che la porta si apre, poi continua 'E' stato difficile. E' difficile vivere l'intimità con mia moglie. Lei pensa sia colpa sua e piange, mi chiede se ho altre donne. Come faccio a dirle che non ho altre donne ma frequento un uomo?'.

'Sei fidanzato?' gli chiedo subito io. 'Diciamo. Da qualche tempo frequento Saly, un angolo europeo in mezzo al Senegal. E' lì che ho conosciuto Richard, un uomo francese di 50 anni. Viviamo una storia nella clandestinità, io, per facciata, faccio finta di essere il guardiano di casa e tutti ci credono'.

'Esiste un mondo omosessuale nascosto, qui a Dakar?' chiedo provocatoriamente. Ousmane risponde senza esitare, 'Sì, eccome. E' un mondo sotterraneo che parte dalle famiglie e arriva fino alla società tutta. Molti sono i locali in cui i gay si ritrovano, in generale sono le discoteche frequentate dagli 'gnak' (termine wolof per designare gli africani anglofoni o, in generale, provenienti dall'Africa centrale). Gli gnak sono più liberi, tanti sono dichiaratamente bisessuali e vivono la loro sessualità con meno paura. A loro non gliene frega niente di essere visti'.

'Come vedi il futuro?' gli domando. 'Non lo immagino. Per ora vivo il presente e la mia storia d'amore' tentenna per un momento Ousmane poi riprende 'veramente un sogno ce l'ho. Spero che Richard mi porti con lui in Francia. Oggi sarei pronto a scappare e lasciare tutto. Mentire alla mia famiglia mi logora. Ho paura. Ogni singolo giorno ho paura di essere scoperto e di essere linciato. Per i gay qui, l'unica soluzione è trovare un fidanzato europeo che possa aiutarli ad emigrare. Ecco perché la maggior parte degli omosessuali senegalesi frequentano gli alberghi di lusso'.

Stò zitta e penso. Che tristezza. 'Laggiù' come dicono e pensano in tanti, troppi qui, sembra essere la sola soluzione e questa soluzione passa attraverso chi in Senegal arriva dall'Europa, ponte suo malgrado verso una nuova vita. Peccato poi che in gioco ci siano i sentimenti delle persone. Quelli no, non sono finzione, sono relai. E se per una volta si partisse dalla radice del problema? Se per una volta si cominciasse dall'educazione nelle famiglie? Se si partisse dalla scuola? Se si arrivasse a far capire alle persone che l'omosessualità non è una malattia? Sorseggio anch'io il mio succo. Italia, Senegal, in fondo la situazione non è poi tanto diversa. da Corriere Immigrazione

martedì 14 dicembre 2010

I vestiti nuovi dell'imperatore


Molti anni fa viveva un imperatore che amava tanto avere sempre bellissimi vestiti nuovi da usare tutti i suoi soldi per vestirsi elegantemente. Non si curava dei suoi soldati né di andare a teatro o di passeggiare nel bosco, se non per sfoggiare i vestiti nuovi. Possedeva un vestito per ogni ora del giorno e come di solito si dice che un re è al consiglio, così di lui si diceva sempre: «E nello spogliatoio!».
Nella grande città in cui abitava ci si divertiva molto; ogni giorno giungevano molti stranieri e una volta arrivarono due impostori: si fecero passare per tessitori e sostennero di saper tessere la stoffa più bella che mai si potesse immaginare. Non solo i colori e il disegno erano straordinariamente belli, ma i vestiti che si facevano con quella stoffa avevano lo strano potere di diventare invisibili agli uomini che non erano all'altezza della loro carica e a quelli molto stupidi.
"Sono proprio dei bei vestiti!" pensò l'imperatore. "Con questi potrei scoprire chi nel mio regno non è all'altezza dell'incarico che ha, e riconoscere gli stupidi dagli intelligenti. Sì, questa stoffa dev'essere immediatamente tessuta per me!" e diede ai due truffatori molti soldi, affinché potessero cominciare a lavorare.
Questi montarono due telai e fecero fìnta di lavorare, ma non avevano proprio nulla sul telaio. Senza scrupoli chiesero la seta più bella e l'oro più prezioso, ne riempirono le borse e lavorarono con i telai vuoti fino a notte tarda.
"Mi piacerebbe sapere come proseguono i lavori per la stoffa" pensò l'imperatore, ma in verità si sentiva un po' agitato al pensiero che gli stupidi o chi non era adatto al suo incarico non potessero vedere la stoffa. Naturalmente non temeva per se stesso; tuttavia preferì mandare prima un altro a vedere come le cose proseguivano. Tutti in città sapevano che straordinario potere avesse quella stoffa e tutti erano ansiosi di scoprire quanto stupido o incompetente fosse il loro vicino.
"Manderò il mio vecchio bravo ministro dai tessitori" pensò l'imperatore "lui potrà certo vedere meglio degli altri come sta venendo la stoffa, dato che ha buon senso e non c'è nessuno migliore di lui nel fare il suo lavoro."
Il vecchio ministro entrò nel salone dove i due truffatori stavano lavorando con i due telai vuoti. "Dio mi protegga!" pensò, e spalancò gli occhi "non riesco a vedere niente!" Ma non lo disse.
Entrambi i truffatori lo pregarono di avvicinarsi di più e chiesero se i colori e il disegno non erano belli. Intanto indicavano i telai vuoti e il povero ministro continuò a sgranare gli occhi, ma non potè dir nulla, perché non c'era nulla. "Signore!" pensò "forse sono stupido? Non l'ho mai pensato ma non si sa mai. Forse non sono adatto al mio incarico? Non posso raccontare che non riesco a vedere la stoffa!"
«Ebbene, lei non dice nulla!» esclamò uno dei tessitori.
«È splendida! Bellissima!» disse il vecchio ministro guardando attraverso gli occhiali. «Che disegni e che colori! Sì, sì, dirò all'imperatore che mi piacciono moltissimo!»
«Ne siamo molto felici!» dissero i due tessitori, e cominciarono a nominare i vari colori e lo splendido disegno. Il vecchio ministro ascoltò attentamente per poter dire lo stesso una volta tornato dall'imperatore, e così infatti fece.
Gli imbroglioni richiesero altri soldi, seta e oro, necessari per tessere. Ma si misero tutto in tasca; sul telaio non giunse mai nulla, e loro continuarono a tessere sui telai vuoti.
L'imperatore inviò poco dopo un altro onesto funzionario per vedere come proseguivano i lavori, e quanto mancava prima che il tessuto fosse pronto. A lui successe quello che era capitato al ministro; guardò con attenzione, ma non c'era nulla da vedere se non i telai vuoti, e difatti non vide nulla.
«Non è una bella stoffa?» chiesero i due truffatori, spiegando e mostrando il bel disegno che non c'era affatto.
"Stupido non sono" pensò il funzionario "è dunque la carica che ho che non è adatta a me? Mi sembra strano! Comunque nessuno deve accorgersene!" e così lodò la stoffa che non vedeva e li rassicurò sulla gioia che i colori e il magnifico disegno gli procuravano. «Sì, è proprio magnifica» riferì poi all'imperatore.
Tutti in città parlavano di quella magnifica stoffa.
L'imperatore volle vederla personalmente mentre ancora era sul telaio. Con un gruppo di uomini scelti, tra cui anche i due funzionari che già erano stati a vederla, si recò dai furbi truffatori che stavano tessendo con grande impegno, ma senza filo.
«Non è magnifique?» esclamarono i due bravi funzionari. «Sua Maestà guardi che disegno, che colori!» e indicarono il telaio vuoto, pensando che gli altri potessero vedere la stoffa.
"Come sarebbe!" pensò l'imperatore. "Io non vedo nulla! È terribile! sono forse stupido? o non sono degno di essere imperatore? È la cosa più terribile che mi possa capitare". «Oh, è bellissima!» esclamò «ha la mia piena approvazione!» e ammirava, osservandolo soddisfatto, il telaio vuoto; non voleva dire che non ci vedeva niente. Tutto il suo seguito guardò con attenzione, e non scoprì nulla di più; tutti dissero ugualmente all'imperatore: «È bellissima» e gli consigliarono di farsi un vestito con quella nuova meravigliosa stoffa e di indossarlo per la prima volta al corteo che doveva avvenire tra breve. «E magnifìque , bellissima, excellente » esclamarono l'uno con l'altro, e si rallegrarono molto delle loro parole. L'imperatore consegnò ai truffatori la Croce di Cavaliere da appendere all'occhiello, e il titolo di Nobili Tessitori.
Tutta la notte che precedette il corteo i truffatori restarono alzati con sedici candele accese. Così la gente poteva vedere che avevano da fare per preparare il nuovo vestito dell'imperatore. Finsero di togliere la stoffa dal telaio, tagliarono l'aria con grosse forbici e cucirono con ago senza filo, infine annunciarono: «Ora il vestito è pronto.»
Giunse l'imperatore in persona con i suoi illustri cavalieri, e i due imbroglioni sollevarono un braccio come se tenessero qualcosa e dissero: «Questi sono i calzoni; e poi la giacca - e infine il mantello!» e così via. «La stoffa è leggera come una tela di ragno! si potrebbe quasi credere di non aver niente addosso, ma e proprio questo il suo pregio!».
«Sì» confermarono tutti i cavalieri, anche se non potevano vedere nulla, dato che non c'era nulla.
«Vuole Sua Maestà Imperiale degnarsi ora di spogliarsi?» dissero i truffatori «così le metteremo i nuovi abiti proprio qui davanti allo specchio.» L'imperatore si svestì e i truffatori fìnsero di porgergli le varie parti del nuovo vestito, che stavano terminando di cucire; lo presero per la vita come se gli dovessero legare qualcosa ben stretto, era lo strascico, e l'imperatore si rigirava davanti allo specchio.
«Come le sta bene! come le dona!» dissero tutti. «Che disegno! che colori! È un abito preziosissimo!»
«Qui fuori sono arrivati i portatori del baldacchino che dovrà essere tenuto sopra Sua Maestà durante il corteo!» annunciò il Gran Maestro del Cerimoniale.
«Sì, anch'io sono pronto» rispose l'imperatore. «Mi sta proprio bene, vero?» E si rigirò ancora una volta davanti allo specchio, come se contemplasse la sua tenuta.
I ciambellani che dovevano reggere lo strascico finsero di afferrarlo da terra e si avviarono tenendo l'aria, dato che non potevano far capire che non vedevano niente.
E così l'imperatore aprì il corteo sotto il bel baldacchino e la gente che era per strada o alla finestra diceva: «Che meraviglia i nuovi vestiti dell'imperatore! Che splendido strascico porta! Come gli stanno bene!». Nessuno voleva far capire che non vedeva niente, perché altrimenti avrebbe dimostrato di essere stupido o di non essere all'altezza del suo incarico. Nessuno dei vestiti dell'imperatore aveva mai avuto una tale successo.
«Ma non ha niente addosso!» disse un bambino. «Signore sentite la voce dell'innocenza!» replicò il padre, e ognuno sussurrava all'altro quel che il bambino aveva detto.
«Non ha niente addosso! C'è un bambino che dice che non ha niente addosso!»
«Non ha proprio niente addosso!» gridava alla fine tutta la gente. E l'imperatore, rabbrividì perché sapeva che avevano ragione, ma pensò: "Ormai devo restare fino alla fine". E così si raddrizzò ancora più fiero e i ciambellani lo seguirono reggendo lo strascico che non c'era.

POTENZA DELLE FIABE DICONO LA VERITA' FINO IN FONDO...OGGI QUEL RE ERA NUDO
IN TUTTA LA SUA ARROGANZA CON UNA CORTE CHE SI E' VENDUTA

giovedì 9 dicembre 2010

La mia sfiducia per il 14 dicembre

Oggi è molto facile diventare populisti…basta cavalcare l’onda del malcontento diffuso per ritrovarti a capo di un movimento che rivendica un qualche diritto. E se non diventi populista ti fanno diventare capo di un nuovo partito come se non ce ne fossero abbastanza con tutti i loro pregi e difetti…ma qual è il problema…?
Oggi non si può parlare, non si può criticare, non si può esprimere un dissenso o peggio non si può protestare, non ci si può lamentare, perché di fronte ti ritrovi un’altra persona che parla più di te, che critica più di te, che esprime il dissenso più di te, che si lamenta più di te.
E’ diventato davvero difficile campare, non dico vivere che è un’altra cosa, dico campare per sopravvivere a questa confusione che ci fa ondeggiare da una parte all’altra senza una direzione precisa, senza il progetto di una meta precisa…campiamo alla giornata..ma sì che importa quello che accadrà domani, ora siamo qui e godiamo.
Ma godiamo di cosa…di ciò che non abbiamo, il godere è solo un piacere passeggero non è felicità, non è quell’appagamento che ti fa sentire pieno dentro quasi smarrito in un vortice di benessere.
E di chi la colpa se non possiamo beneficiare di tanto ????
Allora andiamo a monte a verificare perché è accaduto tutto questo, come siamo arrivati a perdere il senso delle cose, chi ci ha fatto smarrire una strada che pur abbiamo sempre saputo essere quella giusta soprattutto se eravamo nell’ottica della giustizia , nell’attuazione di uno stato di diritto, nella costruzione di una società plurale dove tutti dovevamo riconoscerci ed essere riconosciuti.
Abbiamo prima cominciato a patteggiare il diritto di esserci senza sapere che il posto c’era per tutti e abbiamo perso perchè ci hanno relegato in un angolo ad assistere ad un banchetto al quale non eravamo più invitati, riservato solo a coloro che avevano invece sempre annuìto senza porsi tanti perché.
Alla fin fine l’estromissione sociale è divenuto un fatto compiuto…possiamo anche scendere in piazza, sembra che non aggiungiamo valore ad una situazione già consolidata, decisa apriori senza il nostro consenso..noi cittadini di un paese che non ci appartiene in cui non possiamo più decidere del nostro futuro né di quello dei nostri figli.
Non chiedo neanche più alle ideologie di venirmi in aiuto, non sanno dare una risposta perché anche loro sono state asservite dal potere di chi pensava di poter decidere unilateralmente senza la partecipazione attiva dei cittadini.
Cosa ci resta…la coscienza di essere persone, di saper vedere dentro di noi, prendere in mano tutta la situazione e non trovare più alcuna giustificazione per quelli che mentono, per quelli che rubano, per quelli che dilapidano una economia che va solo in una direzione. Dobbiamo ritrovare il buonsenso di dire basta…chi non è in grado di governare vada a casa senza se e senza ma…non si può continuare a voler guardare dietro l’angolo senza averlo prima attraversato.
Questa è la mia sfiducia come cittadina di questo paese che va a rotoli.

Angela

domenica 5 dicembre 2010

L'onestà


Ero davvero molto piccola quando ho conosciuto questa parola…la ripeteva sempre mia madre e le dava un significato che mi è rimasto dentro per sempre. Lei amava dire: -Vedi tuo padre è un uomo onesto, per questo non abbiamo niente!-
Dentro di me pensavo che doveva essere qualcosa di molto importante se, il non avere niente di mio padre, rendeva mia madre così orgogliosa di lui. E allora anch’io cominciai a pensare nello stesso modo…non hai niente però sei onesto, una grande qualità…ma quanta sofferenza e angoscia comportava per me e i miei fratelli ..la sua onestà interfacciata con la nostra rinuncia a tutto quello che gli altri bambini avevano…Mi rincuoravo pensando che tutto sommato gli altri non avevano l’onestà e che, quindi ,erano disonesti.

Dovevo arrivare ad essere più grande per raddrizzare il tiro, quando fu proprio mio padre che mi deluse, mettendomi di fronte ad una situazione di povertà dovuta più non all’onestà ma alla mancanza di lavoro subìta per circostanze che non vi sto a raccontare, ma che servirono a dare un’altra visione dell’onestà…quella verso se stessi e le persone che ci sono accanto, una responsabilità che si assume nel momento stesso in cui nasci e che cammina di pari passo con la coerenza.

E’ arrivato il momento in cui ho cominciato a camminare da sola ed ancora le stesse raccomandazioni da parte di mia madre sempre su questa onestà che avrei dovuto mantenere ad ogni costo…la cosa cominciava a darmi parecchio fastidio se mi guardavo indietro e il risultato era che l’onestà certo non dava benessere e comodità…però chissà perché ,ogni volta che mi accadeva di trovarmi di fronte a qualcosa ,che mi poteva costringere a rinunciare al mio modo di essere, quelle parole mi tornavano in mente…beh è parecchio difficile rifare il cammino di rinuncia in nome dell’onestà e quando ti sei abituato, hai conquistato altro per te soltanto e difficilmente cambi e torni indietro.

Ma ecco che la vita poi ti sommerge con tutte le sue esperienze e cominci a prendere colpi su colpi e ti passano accanto persone che proprio di onestà non parlano, anzi non sanno che cosa sia e tu passi per una esaltata o peggio ancora una stronza, addirittura una incapace di liberarsi degli insegnamenti ricevuti ormai desueti.

Nel frattempo ti accorgi che gran parte della società è fatta di disonesti, anzi peggio ancora di ladri, di quelli che non guardano in faccia a nessuno pur di prendere il più possibile e arricchirsi a dismisura. Ti accorgi che l’unico modello di vita di riferimento è fatto di questo..di disonestà perché l’unico che ti consente di avere, di apparire, di comandare ,di esserci ,mentre tutti gli altri gli onesti diventano invisibili, quasi inutili …

A cosa è servito, ti chiedi, aver vissuto rinunciando in nome di un valore che non esiste più????? Però poi guardi dentro te stessa e dici: è valsa la pena, perché ho davvero qualcosa che gli altri devono conquistare ancora e per questo è un bene prezioso.
(Angela)