giovedì 18 aprile 2024

Riflessioni

Lo sapevate che… un giorno Socrate venne aggredito da un uomo. Era un uomo rozzo, incivile che, avuta la peggio nella discussione, arrivò perfino a schiaffeggiarlo.  

Ancora oggi ci sono tante persone così, persone che non sanno dialogare, persone che quando non sanno come argomentare le loro idee, incominciano ad urlare. Diventano aggressivi. Ricorrono alla violenza. Ma come reagì Socrate? Non fece nulla! Non gridò, non ricambiò la violenza, nulla. Uno dei suoi discepoli si meravigliò dell’atteggiamento di Socrate, ma il grande filosofo gli rispose: «se mi avesse preso a calci un asino, l'avrei forse condotto in giudizio?»

Cosa vi sta dicendo Socrate? Che una persona intelligente non può abbassarsi al livello di un idiota. Socrate credeva nel dialogo, ci credeva fermamente, per Socrate democrazia è dialogare, ma il dialogo è possibile soltanto quando c’è dall’altra parte la volontà di dialogare. «Ci vogliono due anni per imparare a parlare e cinquanta per imparare a tacere,» diceva Luciano De Crescenzo. «È solo quando riesci a “tacere”, evitando discussioni inutili, che mostri la tua saggezza.»

Entrambi, fateci caso, vi stanno dicendo la stessa cosa. Gli ignoranti, i maleducati, gli incivili sono sempre esistiti. Sempre. Oggi però a differenza dei tempi di Socrate sembrano essersi moltiplicati. I social hanno delegittimato la violenza, l’aggressività verbale. Chiunque si sente il diritto di offenderti. O pensate alla televisione, una babele moderna dove chi parla deve manifestare la propria “superiorità” gridando e insultando il proprio interlocutore. Ogni giorno vanno in scena tali deprimenti siparietti: adulti che non fanno che gridare perché non hanno neanche la capacità di confutare con pacatezza il loro avversario.

Ecco, a me è capitato di ricevere insulti davvero pesanti qui sui social. E allora incominci a perdere la pazienza, ti viene quasi voglia di ribattere a questi «leoni da tastiera» che ti sputano addosso il loro veleno. Ma sapete una cosa? In quei momenti faccio un lungo respiro e ripenso alle parole di Socrate. O per dirla come Shaw: «Ho imparato tanto tempo fa a non fare lotta con i maiali. Ti sporchi tutto e, soprattutto, ai maiali piace». 

G.Middei, anche voi mi conoscete come Professor X



domenica 7 aprile 2024

Chi è l'oltreuomo ?

 Chi è l'oltreuomo di cui parla Nietzsche, soprattutto nello Zarathustra? È la conseguenza di alcune riflessioni che devono prima essere introdotte per comprendere il concetto di Ubermensch (oltreuomo).

In Così parlò Zarathustra, Nietzsche narra del Profeta Zarathustra, saggio Eremita che, dopo essersi ritirato per dieci anni, scende dalla montagna in cui viveva per dispensare la sua saggezza. Questo profeta scende e porta con se "il grande annuncio": la morte di Dio (di cui aveva già parlato nella Gaia Scienza).

"Morti sono tutti gli dèi: ora vogliamo che l'oltreuomo viva" "questa sia un giorno, nel grande meriggio, la nostra ultima volontà!" (Così parlò Zarathustra).

Alla già enigmatica affermazione della morte di Dio, egli aggiunge che sono stati proprio gli uomini ad ucciderlo:

"Dio è morto! Dio resta morto! E noi l'abbiamo ucciso!" (Ecce homo). Perché Nietzsche ci accusa e accusa se stesso di essere gli assassini di Dio? Perché Nietzsche non vuole tanto provare la non-esistenza di Dio, quanto affermare che la fede cristiana non è più la guida etica delle persone. Sono le persone che stanno mano a mano diventando atee e così facendo hanno ucciso Dio. Nietzsche fu così lucido da vedere i germi del secolarismo e da capire che esso sarebbe avanzato e rimasto. In questo senso, l'annuncio della morte di Dio è l'annuncio della fine dei valori religiosi come pilastro della nostra società.

Ma non è tutto.

Dio rappresenta la più antica delle bugie che gli uomini si raccontano per non affrontare la vita. Ci rassicuriamo al pensiero che la vita sia ordinata, sensata e che ci sarà una ricompensa per le buone azioni. Dio è la speranza che il mondo abbia un perché, ma purtroppo è solo una nostra invenzione.

Pensa l'uomo: d'altra parte, la sofferenza deve pur avere un senso. Perché dovrei alzarmi ogni mattina per mungere la vacca, sennò? Che senso avrebbe mettere al mondo - un mondo pieno di sofferenza - un figlio? E poi, tutti i miei cari che non sono più quì con me, saranno pur da qualche parte ad aspettarmi. In un bel posto, una realtà metafisica, una realtà altra, diversa da questo mondo imperfetto. Un paradiso, pieno di luce e senza dolore, governato da Dio. No, queste sono solo bugie. Menzogne che ci diciamo da sempre, calunnie che ci servono a sopportare le difficoltà della vita. Gli uomini, ritrovandosi in un mondo pieno di incertezze, si sono rifugiati in esse. La differenza tra l'oltreumo e l'uomo consiste proprio nel coraggioso rifiuto delle menzogne millenarie.

Ma questa verità non può essere accettata da tutti, scrive Nietzsche. Di sicuro non dal gregge (il popolino). Il Gregge ha assorbito acriticamente la cultura in cui si trova. Il Gregge non si chiede neanche perché giudica una certa cosa buona o cattiva. Semplicemente segue quello che gli è stato insegnato, la religione, la tradizione e la cultura di cui è impregnato. La morale dell'Occidente (quella Cristiana) è una morale "anti-naturale", la quale va contro l'istinto vitale, contro lo spirito di chi può affermare la propria Volontà di Potenza. Secondo Nietzsche, come abbiamo detto, questa moralità cristiana sta declinando, ma questo non significa che si imporrà quella dei Signori (morale di un'ipotetica Aristocrazia, basata su valori vitali). Anzi, Nietzsche capì che che si sarebbe comunque imposta una morale del Gregge: "il pericolo dei pericoli", secondo lui, è la vittoria della morale dei deboli, di quelli guidati dal ressentiment verso chi riesce a imporsi nella vita, verso chi affronta la vita con coraggio. La morale del gregge impedisce agli individui di sviluppare i propri talenti, considera tutti uguali e non riconosce il merito dell'impegno e che, così facendo, spinge tutti gli individui con il potenziale di elevarsi sopra le masse a diventare: "un più piccolo, quasi ridicolo, animale del gregge, un qualcosa facile da compiacere, malaticcio, e mediocre" (Al di là del bene e del male).

Anche dovesse cadere l'apparato valoriale cristiano, il gregge continuerà ad odiare chi si mette in gioco, chi dedica ogni sua energia ad uno scopo e passa la vita alla ricerca di un obiettivo più alto. Una delle più belle descrizioni del comportamento del popolino nei confronti di chi si riesce ad elevare al di sopra della mediocrità è data dalla figura del funambolo. Il funambolo diventa simbolo dell'uomo che tenta di superare se stesso. Un funambolo prende la vita coraggiosamente. Il suo non è un mestiere in cui si possa fingere. Egli si è messo in gioco veramente: o riesce ad attraversare la corda o cade e si spezza l'osso del collo. La corda del funambolo diventa simbolo del percorso tra uomo e oltreuomo, tra l'inerzia e il sì alla vita: "L'uomo è una corda annodata fra l'animale e l'oltreuomo, una corda tesa sopra un abisso (Così parlò Zarathustra).

Nonostante il funambolo cada e fallisca, Zarathustra lo loda. Il popolo però non capisce le sue parole e ride.

Quando Zarathustra ebbe pronunciate queste parole, guardò di nuovo gli uomini e tacque. "Eccoli - disse al suo cuore - essi ridono: essi non mi comprendono, io non sono bocca per queste orecchie".

Perché questa è la punizione che riservano gli altri a chi cerca di elevarsi al di sopra della massa, a chi cerca di essere diverso, di non accettare il mos maiorum: la derisione. Come a dire: tu sei solo un poveraccio, che cosa ti eri messo in mente di fare? Nessuno può uscire dal gregge, nessuno può pensare di essere autonomo, libero dal passato e dal pensiero comune.

Ma come si fa, volendolo, ad uscire dal gregge? Nietzsche lo spiega attraverso tre figure: quella del cammello, del leone e del fanciullo.

Il primo simbolo di reazione verso la cultura tramandata (senso di colpa e pregiudizi, religione e morale popolare) è quella del cammello. Il cammello è colui che nutre ancora timore reverenziale nei confronti di Dio. Questa persona affronta a suo modo la vita, addossandosi carichi pesanti, prendendosi le responsabilità e chinando la testa. C'è un non so che di dignitoso nel suo addossarsi le difficoltà. Il problema è che non lo fa per sé, ma per paura di una futura punizione divina.

La figura del leone si avvicina a quella dell'oltreuomo. Il leone rifugge la morale che gli è stata imposta. "Quale è questo drago immane che lo spirito non vuole più oltre chiamar suo padrone e suo Dio? Si chiama egli: "Tu devi". Ma contro di lui lo spirito del leone avventa le parole: "Io voglio" (Così parlò Zarathustra).

Il "drago" di cui parla è la seduzione della facile scelta di seguire ciò che ci impone la tradizione. Ma questo drago è forte e avversario temibile. Sa i suoi punti di forza e ribatta che tutti i valori sono già stati creati. "Ogni valore fu già creato; e io tutti li rappresento. L' "io voglio" non deve più esistere". (Così parlò Zarathustra).

Il leone può solo limitarsi a dire il suo "sacro no" ai valori tramandati, ma la parte destruens non basta. È la figura dello spirito che vuole la sua propria volontà. Se il leone era la figura della "libertà da…", il fanciullo è "libertà di…". Perché il fanciullo è l'innocenza, è l'oblio: un ricominciare, un gioco, una ruota che gira per sè stessa, un primo movimento, una santa affermazione.

Il fanciullo è appena nato, non ha i preconcetti degli adulti. Quello che Nietzsche aveva in mente era un individuo libero dal peso delle norme sociali, dei costumi e dogmi della società. Ma non solo: il bambino è anche pieno di gioia per la vita, si meraviglia per le scoperte e ama creare cose nuove. È quello che Nietzsche chiama il "sacro sì" alla vita.(Giovanni Provvidenti)










martedì 2 aprile 2024

Gesù: il primo oltreuomo (mia personale opinione).

 Gesù è stato un uomo straordinario! Straordinario in quanto fuori dall'ordinario ed ha rivoluzionato il pensiero del suo tempo coevo e il pensiero a venire dell'Occidente. È stato un uomo coraggioso perché ha messo in discussione un già secolare sistema teologico corrotto, rischiando in prima persona. Questo è puro eroismo! Eroismo che mette in gioco tutto: epoca, tradizionalismo teologico, storicismo, politica, se stessi. In questo Gesù è stato grande e spiritualmente libero, perché è andato oltre il convenzionalismo allora imperante. Io lo ammiro come uomo che è andato oltre se stesso, come primo tentativo ante litteram e post-storico di trasformare l'uomo in individuo a sè, in io a sè, in corpo a sè; lo ammiro in quanto primo tentativo post-umano di liberazione del bruto ancestrale e di traslarlo in una umanità al di là del bene e del male. È stato il primo uomo a mostrare la "corda tesa" sulla quale transita l'uomo pericolosamente, empiricamente e non suggestivamente, cioè come soggetto-oggetto reale e consustanziale e non come soggetto-oggetto astratto; non ha ridotto l'uomo a semplice concettualismo metafisico, ma lo ha posto al centro di tutte le cose (parimenti la donna, fino allora bistrattata). Si è fatto "funambolo" ed ha pericolosamente mostrato l'abisso che separa l'uomo dal bruto, mostrando il Dio-tormento nella coscienza degli individui. Si è incarnato in Dioniso mostrando, dimostrando che la forza tensiva universale è volontà di potenza. È stato "cammello", si è mutato in leone e infine è diventato un fanciullo... Vi ricorda qualcuno il Cristo Gesù?

Ammiro Gesù perché è stato il primo tentativo post-storico di mettere in pratica l'oltreuomo. Poi si può discutere di tutto quanto intorno a lui si è eretto, il simbolo della croce della salvezza in primis; ma non si può negare che sia stato il primo uomo che ha compreso l'ultimo uomo che dimora nel SÈ ed ha cercato di superarlo con un afflato che possiamo considerare "afflato da oltreuomo" e, a mio parere, ci è riuscito. Perocchè Gesù è stato una rivoluzione, un movimento, un cammino, una volontà di potenza, un abisso sotto e sopra la coscienza dell'uomo; ma anche un anelito, un eterno ritorno samsarico della vita oltre la morte: non "ritorno" nell'aldilà, ma attraverso i posteri, dunque una vita che ritorna attraverso la vita. Nonché è stato una speranza: non speranza come male del mondo o come illusione ottimistica, bensì come qualcosa che si può progettare, far avverare, che si può affidare al divenire. Perciò non dobbiamo considerare Gesù come una sorta di archè strutturante una nuova teologia, bensì come un umanista che ha mostrato per la prima volta come si può amare al di là del bene e del male: ama il tuo nemico significa anche questo, in quanto odio e amore sono il combinato disposto di tutte le passioni di bene e di male. Solo chi ama e chi odia sa delibare la malvagità e infine trasformarla in bontà - solo dopo aver disprezzato se stessi! Gesù infatti ha disprezzato se stesso e tutto il sistema sociale teologico immondo allora imperante, ed è stato il disprezzo di sè e di quel mondo sociale, il disgusto di sè, perché là era vissuto e cresciuto, che gli ha dato le ali dello spirito libero: poiché ha superato il disgusto ed ha imparato ad amare se stesso e ognuno come avrebbe amato se stesso.

Tutto quanto di malvagio il cristianesimo e la chiesa cattolica hanno perpetrato contro l'uomo usando il suo nome, abusando del suo nome, non è colpa sua. Da questa mia ultima considerazione si evince che Gesù non ha bisogno di essere assolto da chissà quale colpa, ma di essere compreso: ha bisogno di essere esplorato con spirito gnoseologico, "archeologico" e filologico più che con spirito teologico.

(Giovanni Provvidenti)

venerdì 29 marzo 2024

Qual è il satellite naturale più grande del sistema solare?

Ganimede, la luna più grande di Giove nonché la luna più grande in tutto il Sistema Solare.

Ganimede è la terza delle 4 lune galileiane per distanza da Giove, è stata scoperta il 7 Gennaio del 1610 da Galileo Galilei e ad oggi è una delle mete più ambite dalle missioni spaziali: vediamo perché!

Ganimede, con i suoi 5262 Km di diametro, è il satellite naturale più grande in tutto il nostro Sistema Solare: non è solamente più grande della nostra Luna (3475 Km di diametro), ma è addirittura più grande del pianeta Mercurio, che ha un diametro di 4878 Km.

Ganimede presenta delle caratteristiche che lo rendono un corpo celeste piuttosto interessante: risonanza orbitale con Europa e Io: per ogni rivoluzione che Ganimede compie attorno a Giove, Europa ne compie 2 e Io ne compie 4. Questo tipo di risonanza orbitale in cui sono coinvolti 3 o più corpi si chiama Risonanza di Laplace.

Presenza di acqua: Ganimede ha una superficie per lo più ghiacciata (anche se non come Europa), tuttavia sotto di essa ci sono parecchi strati di ghiaccio e di acqua salata accatastati gli uni sopra gli altri per 800 Km in profondità: tutta l'acqua presente su Ganimede (liquida e non) corrisponde a circa 26,5 volte tutta quella presente sul nostro pianeta.

Campo Magnetico: Ganimede è l'unica luna in tutto il Sistema Solare ad avere un campo magnetico vero e proprio e questo fa si che Ganimede abbia anche delle Aurore.

Queste caratteristiche aumentano notevolmente le possibilità che Ganimede possa ospitare delle forme di vita (batteriche) e che possa essere una nostra prima colonia quando in futuro inizieremo ad esplorare il Sistema Solare esterno inviando esseri umani.(Giovanni Provvidenti )

Ganimede visto per intero, fotografia della sonda Galileo, crediti: NASA JPL





CASA NOSTRA

 Sono così tanti gli aggettivi che si potrebbero usare per descrivere questa immagine, ma basta soltanto guardarla per perdere completamente la capacità di trovarne uno adeguato. E forse non c'è nemmeno bisogno, degli aggettivi, quando gli occhi si posano su una meraviglia del genere.

Questa non è grafica computerizzata: è un'immagine REALE della nostra Terra che “tramonta” sulla Luna. L'autrice di questo scatto è la sonda americana Lunar Reconnaissance Orbiter (per gli amici LRO), che dal 2009 orbita attorno al nostro bellissimo satellite.

Tipicamente la camera di LRO punta verso la superficie lunare: del resto è il suo oggetto di studio, dove altro dovrebbe puntare? Ogni tanto, però, c'è bisogno di far ruotare la navicella per ricaribrarla e... toh, mentre la sonda sorvola a 134 km di quota sopra il cratere Compton, sul lato nascosto della Luna, che cosa trova?

Casa nostra.

La casa di te che leggi, di me che scrivo, di tutti quelli a cui vuoi bene e anche di quelli a cui righeresti volentieri la macchina. La casa, l'unica, di tutti i nostri sogni e delle nostre speranze, di tutti i nostri dolori e dei nostri rimpianti, la casa di tutto quello di cui ti importa qualcosa e anche quello di cui non t'importa niente, ma importa a qualcun altro, e tu magari non ci hai nemmeno mai pensato. 

Eppure lo vedi così chiaramente, da quassù: protetto da quel sottilissimo strato di ossigeno non c'è nulla che non sia un miracolo. Trattiamolo come tale.

-Filippo (Gruppo Chi ha paura del buio )

Credits: NASA/GSFC/Arizona State University


mercoledì 27 marzo 2024

ETICA E MORALE

 “Non accettate nulla come verità che sia privo d’amore.

E non accettate nulla come amore che sia privo di verità.

L’uno senza l’altro diventa una menzogna distruttiva.”

Edith Stein, “ Il problema dell'empatia “


Edith Stein, nel suo capolavoro "Il problema dell'empatia", ci invita a considerare l'importanza dell'amore e della verità nella nostra vita quotidiana. Secondo la Stein, l'amore e la verità sono due facce della stessa medaglia e non possono esistere l’uno senza l'altro.

L'amore senza verità può diventare una menzogna distruttiva. Quando l'amore è privo di verità, rischia di trasformarsi in manipolativo o ingannevole. Può portare a relazioni malsane, dove le persone si usano a vicenda per i propri scopi egoistici. Questo non è amore vero, ma una sua distorsione.

D'altra parte, la verità senza amore può diventare anche fredda e insensibile. La verità nuda, senza l'amore per ammorbidirla, può ferire e alienare gli altri. Essa deve essere espressa amorevolmente altrimenti può divenire un'arma, piuttosto che uno strumento di illuminazione.

D’altra parte l’empatia può servire come ponte tra amore e verità. Quando siamo empatici, ci mettiamo nei panni degli altri, sentiamo ciò che sentono e vediamo il mondo dal loro punto di vista. Questo ci permette di amare in modo autentico perché vediamo la loro verità. Allo stesso tempo, l'empatia ci permette di comunicare la nostra verità in modo amorevole, perché comprendiamo le emozioni e le esperienze altrui.

L’empatia  è la chiave per vivere in modo autentico sia l'amore che la verità. Come Edith Stein ci ricorda, dobbiamo cercare di non accettare nulla come amore che sia privo di verità, e nulla come verità che sia privo d'amore.(tramite Luca Scarano))


martedì 26 marzo 2024

Cos'è la VOLONTÀ DI POTENZA?

Cercherò di riassumerne i concetti essenziali in una spiegazione quanto più accessibile a beneficio di coloro che con Nietzsche non hanno dimestichezza.

È il senso dell'Essere, è la vita intesa come forza espansiva e autosuperantesi. Pertanto la molla della vita è la ricerca del piacere o l'istinto di sopravvivenza, nonché la spinta all'autoaffermazione, all'autopotenziamento. La volontà di potenza si incarna nell'oltreuomo, che è "oltre" non solo perché supera l'uomo del passato, ma anche perché la sua essenza è il continuo autosuperamento di sè, è libertà creativa, la continua autrocreazione della vita. In questo senso l'arte, intesa come rappresentazione creativa, interpretativa della realtà, è volontà di potenza, manifestazione della libertà creativa dell'oltreuomo. L'essenza creativa della volontà di potenza è essenza ermeneutica, interpretativa e si manifesta nella produzione di valori (tant'è che uomo vuol dire proprio colui che valuta le cose, dando loro un valore e un senso). Pertanto la volontà di potenza si esprime nella creazione "oltreomistica" dei valori e del senso del caos insensato del mondo. Pertanto la volontà di potenza è quindi l'accettazione-istituzione oltreomistica dell'eterno ritorno, atto attraverso cui l'oltreuomo si libera del passato e "redime" il tempo. La redenzione del tempo determina l'apoteosi del divenire che, eterizzato, riceve il sigillo, il carattere dell'Essere.

Il concetto di volontà di potenza, al di là di queste valenze filosofiche, non assume il significato di sopraffazione e dominio, come tendono a semplificare i detrattori di Nietzsche. Al contrario, la volontà di potenza esorta ognuno ad innalzare se stesso ma senza abbassare alcun individuo, semmai è l'individuo - identificato da Nietzsche nell' "ultimo uomo" - che tende ad abbassare se stesso, nonché alla sopraffazione del proprio io e dell'io collettivo... retaggio della nefasta dottrina cristiana. (Giovanni Provvidenti )

sabato 23 marzo 2024

Per un nuovo umanesimo (verso una vera evoluzione della specie)

 Siamo ancora in ritardo rispetto alla precocità dei tempi e quindi ben lontani da una presa di coscienza su noi stessi senza tabù e falsi totem da innalzare al processo evolutivo della specie, voglio dire dal punto di vista umano. 

Noi odierni, "civilizzati", resi più tronfi dalle nostre società tecnologiche, con le nostre presunte conquiste umanistiche, ci siamo illusi di vivere avulsi da contesti tribali e ancestrali, e invece dobbiamo (al più presto) rivedere le nostre convinzioni e le nostre convenzioni sociali, politiche e culturali che aderiscono a una illusione ottica oltremodo ottimistica circa l'evoluzione della specie umana. Distorsione ottica e distopica diffusissima dentro e intorno a noi. Dobbiamo insomma iniziare ad imparare a lottare contro noi stessi e il nostro male ancestrale, vincerlo per accettarlo e depotenziarlo, ovvero superarlo, perché il nostro male ancestrale non lo potremo nè annientare nè estinguerlo, ma renderlo innocuo sì. Occorre dunque fondare una scuola di pensiero sociale, politico e culturale del tutto nuova e che metta al centro dei sunti pedagogici la questione psicologica individuale e collettiva per eccellenza: l'istinto di sopraffazione. Lo si fa con la consapevolezza di essere ciò che siamo senza lasciarci andare a romantici buonismi per sfuggire alla nostra amata realtà delle apparenze, degli inganni, delle illusioni e degli ottimismi; dovremmo imparare a guardarci allo specchio senza trasformare lo specchio in una sorta di maschera, o addirittura ad una sorta di caverna di Platone; non possiamo più rifugiarci in una qualche accomodante deità per coprire il volto tragico del nostro io, usando Dio come fosse un accessorio per abbellire la nostra coscienza; usando la maschera Dio come fosse un velo di Maya per non vedere il volto tragico del nostro io. 

Bisognerebbe iniziare i bambini, fin dalle elementari, ad un nuovo umanesimo che sia teso a superare il bruto primordiale; gradualmente fino a far loro raggiungere un grado di coscienza limpida, scevra da inani coacervi psicologici puramente noziativi e travianti circa l'origine del male, che, stando a una gnoseologia effimera e d'accatto, dovrebbe sempre essere uno strano imput dato da un ipotetico demone che si è impossessato delle nostre sempre acerbe o fragili anime. Il male nasce con noi ed è diffuso in tutto l'Essere, non è un fattore esterno che assume un ruolo e un valore interno da esorcizzare con chissà quale rito ecclesiale o tribale. Il male, la violenza, la crudeltà sono insiti nella natura umana e, per quanto possano far inorridire i nostri sensi, con siffatti imput fisiologici ci siamo evoluti. Dunque è con noi stessi che dobbiamo avere a che fare. Con noi stessi dobbiamo fare i conti... e facciamoli bene eh? Perché l'essere umano è anche capace di profondere amore in qualità e quantità! Non il bene o la bontà o la pietas, bensì l'amore: che è l'artefice di ogni archè umano, troppo umano.

Giovanni Provvidenti





martedì 6 febbraio 2024

Il paradosso come principio escatologico per l'evoluzione della filosofia?

 Dal punto di vista prettamente filosofico l'uomo, psichicamente e ontologicamente, si è evoluto al di sopra dell'animale in un ambito misterico e religioso, bisogna ammetterlo con onestà intellettuale. In siffatto computo psichico ed ontologico si sono evoluti l'Essere, l'io, la coscienza, gli istinti (i quali istinti sono diventati sentimenti a tutti gli effetti), insomma l'uomo, per gli "effetti collaterali" derivanti dai vari timori che la natura gli causava, ha sviluppato un karma escatologico e destinale. Si è evoluta a tal punto la sua coscienza escatologica da iniziare a porsi domande esistenziali e cosmologiche, tali domande e la conseguente ricerca a delle risposte, hanno contribuito significativamente ad assegnarli un posto di preminenza nell'Artemisio cosmogonico universale: infatti Dio è ogni divinità che l'uomo si è via via rappresentato in forma sovrumana sono diventati, anzitutto, il determinismo escatologico col quale ha avvertito la necessità di una società interiore ordinata in grado di relegare il caos primordiale nel ripostiglio degli archetipi, cioè Dio e vari dèi sono divenuti la proiezione plastica del suo intelletto atto alla formazione e determinazione dell'Essere così come oggi ce lo prefiguriamo. In siffatto determinismo l'uomo ha trovato se stesso, si è riconosciuto ed ha nel tempo plasmato la sua memoria atavica e futuristica, si è connesso coi principi cardinali del tempo ed ha acquisito una coscienza empirica, logica e razionale, ma non oggettiva! Perocchè, in mancanza di tale sostanza puramente ontica, ha altresì dovuto acquisire una seconda coscienza metafisica, alogica e irrazionale, affinché intelletto e Essere trovassero in se stessi l'equilibrio indispensabile della "soggettività". Così Dio e dèi - che l'uomo voglia o non voglia -, si son dovuti "accontentare" di esistere nella sola sostanza metafisica che l'Essere iniziò a produrre con generosa prodigalità: l'onirismo - o la fede, se vogliamo traslare d'imperio ogni elemento paradossale che il concetto di fede possiede nell'elemento gnoseologico per antonomasia che è la "prospettiva". Tuttavia il paradosso della fede (ma in generale ogni paradosso) trachiude in sè ogni possibilità di realtà, di prospettiva appunto, in quanto il paradosso non inchioda l'intelletto in qualcosa di ineluttabilmente improbabile o perfino impossibile, bensì diveniente. La fede teologica infatti non è un sentimento veramente paradossale ma racchiude in sè le mille percezioni di realtà della teogonia interiore della quale il super-io è oramai testimone e custode: il paradosso è il pregiudizio di una coscienza ancora legata a un'abitudine, a un determinato punto di vista, ad valore dato per certo, a un vizio formale dello stereotipo, ecc. La filosofia primigenia ha contribuito non poco all'evoluzione di tale coscienza cosmogonica e oggi possiamo affermare, a ragione seconda me, che la filosofia si sia formata nelle menti degli antichi presocratici come elemento misterico dell'archè-tipico principio dell'uomo di volersi comparare a qualcosa di universale, così ha inventato gli dèi, dèi che dessero un senso a tutti i misteri esistenziali, la physis ne è un esempio eclatante: e non che la physis abbia avuto il solo compito di indagare ogni elemento naturale di per sè, ma tale ricerca si è spinta ben oltre, fino alla creazione di un mondo dietro il mondo, o di un mondo parallelo che giustificasse la dischiusa dell'Uovo: l'assurdità invero associata e dissociata insieme che si trova in ogni elemento materico fondamentale, tant'è che senza l'altrettanto fondamentale legge dei contrari l'elemento materico sarebbe rimasto privo del necessario elemento spirituale: allora a che prò gli "dèi" negli abissi ontologici simili a riflessi istintuali? E riflessi istintuali sono diventati e rimasti. Mito e mitologia hanno così edificato L'estetismo di ogni filosofia presocratica, e ancora oggi tale estetismo quanto ci affascina! Ed ecco rivelato il contenuto del paradosso della fede di per sè: il fascino! L'inganno! L'illusione! Ma non una mancanza di realtà, anzi di mistero della realtà. Cos'è realtà infine? Apparenza! Ma L'apparenza può ingannare, illudere: un paradosso? Oppure le mille possibilità di realtà della prospettiva? Per ciò ritengo che Dio e dèi sono figli di una prospettiva equazionale e soggettiva, tuttavia il fedele non dubita affatto che sia una prospettiva equazionale oggettiva; insomma ciò che è oggettivo e soggettivo sembrano proprio avere la loro orbita intorno al paradosso. Perocchè concludo, con un pò di sfrontatezza, che la filosofia si è evoluta attraversando continuamente i sentieri dei paradossi, alias del divenire (?).Giovanni Provvidenti