sabato 22 febbraio 2025

Dall'archivio di Giovanni Provvidenti. L'abitudine è la Circe della felicità?

 La stragrande maggioranza delle persone dicono che la felicità o è irraggiungibile oppure troppo effimera per essere riconosciuta e quindi colta; con un dire che è diventata una vera abitudine: forse perché ci si vuole convincere che la felicità è davvero irraggiungibile o effimera? E a chi mostra felicità lo si guarda quasi con patetico sospetto o paternalismo per non sentirsi addosso il peso di un sentimento reconditamente rancoroso: "tanto durerà poco! Che ne sa questo felice del mordi e fuggi della sua emozione! È un illuso perché la felicità è illusione, è speranza, è il giogo giostrale della mente quando fantastica". Siffatta figura retorica è molto consolatoria ... Di certo è che se ci si convince che tale conclusione sia vera, vera diventa. Forse è vero, la felicità è irraggiungibile o troppo effimera, ma è vero solo per loro.

Oh insomma, ci si dovrebbe disabituare alla troppa razionalità, alla troppa oggettività altrimenti tutto diventa relativismo e non prospettiva, e in mancanza di prospettive poetiche e di aneliti tutto diventa logico, razionale, matematico, algoritmico, relativo ad una presunta oggettività dei fatti: ma un pò di "poesia" e un pò di sano romanticismo non guastano mica l'intelletto! Allora si potrebbero cogliere tutte quelle nuances che la natura offre come scorci, che la vita offre come trasogni.

Perchè, solitamente, non si è felici? Perché le persone sono troppo abituate, troppo indaffarate a risolvere piccoli o grandi problemi esistenziali, quotidiani o di sistema, oppure troppo assuefatte ad insensati edonismi (alcool, droghe, acquisti fatti in modo convulsivo e senza criterio di vero bisogno, sì perché anche andar a far compere è diventato una sorta di edonismo), ci si procura insomma emozioni che durano tanto quanto un battito di ciglia; ed è per ciò che si ritiene la felicità qualcosa di effimero, fugace e la si lascia andare per così dire nell'attimo fuggente. Se invece si diventasse capaci di riappropriarsi del proprio tempo e dei propri sguardi e degli scorci che dinnanzi ci si stagliano - ah quante piccole cose si riuscirebbero a cogliere, a percepire! La felicità è fatta di cose "piccole" e semplici e non è affatto vero che è irraggiungibile o effimera, il limite è solo un convincimento autoindotto, il limite è ... un limite! Poiché promuove il senso dell'appagamento costante: la contentezza di ritiene che chi si accontenta gode. Ma se si vivesse magicamente il momento nemmeno ci si renderebbe conto del tempo, dell'attimo fuggente, del nichilistico edonismo e sapremmo cogliere le "occasioni" che l'attimo fuggente ci offre. L'attimo fuggente ce lo dobbiamo creare, non attenderlo come si attende un momento fortunato. L'attimo, invero, è tutta l'eternità che possiamo sottrarre al tempo e il tempo piegarlo al nostro volere. Infine la felicità non bisogna cercarla, inseguirla: più lo si fa più non la si raggiunge - come quel famoso paradosso di Achille e la tartaruga -, la felicità è saper vivere l'attimo, è l'attimo è l'eternità: una felicità senza fine!

Vivi l'attimo e sii simile al fanciullo: e di cosa ha più di tutto il fanciullo se non di vivere l'attimo?

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