La stragrande maggioranza delle persone dicono che la felicità o è irraggiungibile oppure troppo effimera per essere riconosciuta e quindi colta; con un dire che è diventata una vera abitudine: forse perché ci si vuole convincere che la felicità è davvero irraggiungibile o effimera? E a chi mostra felicità lo si guarda quasi con patetico sospetto o paternalismo per non sentirsi addosso il peso di un sentimento reconditamente rancoroso: "tanto durerà poco! Che ne sa questo felice del mordi e fuggi della sua emozione! È un illuso perché la felicità è illusione, è speranza, è il giogo giostrale della mente quando fantastica". Siffatta figura retorica è molto consolatoria ... Di certo è che se ci si convince che tale conclusione sia vera, vera diventa. Forse è vero, la felicità è irraggiungibile o troppo effimera, ma è vero solo per loro.
Oh insomma, ci si dovrebbe
disabituare alla troppa razionalità, alla troppa oggettività altrimenti tutto
diventa relativismo e non prospettiva, e in mancanza di prospettive poetiche e
di aneliti tutto diventa logico, razionale, matematico, algoritmico, relativo
ad una presunta oggettività dei fatti: ma un pò di "poesia" e un pò
di sano romanticismo non guastano mica l'intelletto! Allora si potrebbero
cogliere tutte quelle nuances che la natura offre come scorci, che la vita
offre come trasogni.
Perchè, solitamente, non si è felici?
Perché le persone sono troppo abituate, troppo indaffarate a risolvere piccoli
o grandi problemi esistenziali, quotidiani o di sistema, oppure troppo
assuefatte ad insensati edonismi (alcool, droghe, acquisti fatti in modo
convulsivo e senza criterio di vero bisogno, sì perché anche andar a far
compere è diventato una sorta di edonismo), ci si procura insomma emozioni che
durano tanto quanto un battito di ciglia; ed è per ciò che si ritiene la
felicità qualcosa di effimero, fugace e la si lascia andare per così dire
nell'attimo fuggente. Se invece si diventasse capaci di riappropriarsi del
proprio tempo e dei propri sguardi e degli scorci che dinnanzi ci si stagliano
- ah quante piccole cose si riuscirebbero a cogliere, a percepire! La felicità
è fatta di cose "piccole" e semplici e non è affatto vero che è
irraggiungibile o effimera, il limite è solo un convincimento autoindotto, il
limite è ... un limite! Poiché promuove il senso dell'appagamento costante: la
contentezza di ritiene che chi si accontenta gode. Ma se si vivesse magicamente
il momento nemmeno ci si renderebbe conto del tempo, dell'attimo fuggente, del
nichilistico edonismo e sapremmo cogliere le "occasioni" che l'attimo
fuggente ci offre. L'attimo fuggente ce lo dobbiamo creare, non attenderlo come
si attende un momento fortunato. L'attimo, invero, è tutta l'eternità che
possiamo sottrarre al tempo e il tempo piegarlo al nostro volere. Infine la
felicità non bisogna cercarla, inseguirla: più lo si fa più non la si raggiunge
- come quel famoso paradosso di Achille e la tartaruga -, la felicità è saper
vivere l'attimo, è l'attimo è l'eternità: una felicità senza fine!
Vivi l'attimo e sii simile al
fanciullo: e di cosa ha più di tutto il fanciullo se non di vivere l'attimo?
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