1.2 Il Medioevo
1.3 L'Età Moderna
1.4 L'Età Contemporanea 
1.1 L'età Classica
Il bambino è figura del sociale scoperta solo recentemente e a tutt'oggi 
ancora scarsamente ricostruita nel suo passato, un passato coperto dal silenzio, 
da un alone misterioso che ne impedisce una ricostruzione storica completa e 
separata dal mondo dell'adulto.
 "Un'infanzia dura e breve, senza memoria, 
senza storia propria."1Tutto ciò va ricondotto, 
più che alla mancanza di "interesse" per l'infanzia come oggetto storico, al 
modo con cui il mondo adulto percepisce e rappresenta la propria relazione con 
essa.
Il bambino è divenuto veramente oggetto di osservazione storica solo 
quando nell'immaginazione collettiva si è formata l'idea che la stessa infanzia 
dovesse essere un soggetto di relazione. Tale circostanza ha coinciso con 
l'evoluzione di discipline particolari quali la psicologia, la sociologia, la 
pedagogia e con il conseguente sviluppo del diritto e della normativa 
sociale.
Solo di recente, dunque, questa età della vita è stata riconosciuta 
come tappa fondamentale dello sviluppo e della formazione dell'individuo e "al 
bambino è permesso vivere da bambino".
Gli studi fatti dagli storici della 
famiglia mostrano un quadro complesso e a volte contraddittorio sulla condizione 
dei bambini ed in particolare sul fenomeno del maltrattamento e della 
trascuratezza, la sua diffusione e il suo riconoscimento.
2 
De Mause, uno degli studiosi più noti della storia 
dell'infanzia, scrive:
 "la storia dell'infanzia è un incubo dal quale solo 
di recente abbiamo cominciato a destarci. Più si va addietro nella storia più 
basso appare il grado di attenzione per il bambino, e più frequentemente tocca a 
costui la sorte di venire assassinato, abbandonato, picchiato, terrorizzato, e 
di subire violenze sessuali". 3Nonostante, quindi, 
le poche fonti di cui disponiamo, sono numerosi gli abusi subiti dai bambini nel 
corso della storia. 
"Nell'antichità classica il bambino era considerato non 
un essere con un valore in sé, ma un essere menomato perché mancante delle doti 
di un adulto. L'infanzia era ritenuta un'età imperfetta e, per questo, era 
oggetto di autoritarismo vessatorio e di discipline oppressive".4 Presso le antiche 
culture, il neonato diveniva parte integrante del genere umano solo a seguito di 
riti che ne segnavano la "nascita sociale". L'imposizione del nome da parte del 
padre, che accoglieva il bambino nella comunità familiare, aveva una rilevanza 
sociale non trascurabile. Il periodo precedente a tali cerimonie era 
particolarmente significativo per la sopravvivenza del neonato, in quanto in 
questo arco di tempo il padre poteva condannarlo a morte senza incorrere in 
alcuna sanzione. 
Il codice di Hammurabi, in vigore a Babilonia nel XIX 
secolo a.C., non prevedeva alcuna punizione per il padre infanticida poiché il 
neonato non godeva ancora di alcun riconoscimento giuridico, né come individuo, 
né come membro della famiglia. Solo nel caso in cui il bambino veniva 
"eliminato" dopo essere stato riconosciuto erano previste forti pene. 
Pratica ricorrente nell'antichità erano i sacrifici di bambini e neonati 
agli dei; comunemente accettata e praticata era anche l'uccisione di bambini 
deformi o non desiderati. In Grecia i bambini deformi venivano gettati dalla 
rupe Tarpea e tale comportamento era giustificato anche dai filosofi: Platone, 
nel V libro della Repubblica, sosteneva l'esigenza di nascondere "in luogo 
segreto e occulto" i bambini "minorati"; Aristotele nella Politica, in nome 
dell'ordine sociale e della sicurezza civile, giustificava l'infanticidio nei 
casi in cui le cure e l'allevamento dei neonati comportavano una sottrazione di 
risorse per la famiglia e la comunità.
Nel diritto romano arcaico, i poteri 
del
 "pater familias" prevedevano il decidere della vita dei figli (
ius 
vitae et necis) oltre a quello di decidere del loro matrimonio (
ius noxae 
dandi).
Tale stato di sottomissione, proprio dei minori nella famiglia 
patriarcale, rafforzava due opinioni: una, era quella per cui i bambini erano 
proprietà dei genitori e si riteneva naturale che essi avessero pieno diritto su 
di loro; e conseguentemente quella secondo cui i genitori erano considerati 
unici responsabili dei figli, per cui un "trattamento severo" veniva 
giustificato dalla convinzione che fossero necessarie le punizioni, anche 
corporali, per mantenere la disciplina, trasmettere le buone maniere e 
correggere le cattive inclinazioni. 
Nel periodo imperiale era diffusa la 
pratica dell'abbandono e la
 "Columna Lactaria" era il luogo in cui si 
radunavano le balie per allattare i bambini che vi venivano abbandonati.
In 
oltre, fin dagli albori della storia, la sorte del bambino fu quella di essere 
oggetto di violenza sessuale. 
Quando si affronta il fenomeno complesso della 
sessualità umana, bisogna considerare il ruolo che assumono, nel determinare e 
dirigere i comportamenti, i costumi, le tradizioni, le norme morali e sociali. 
Gli aspetti della sessualità, infatti, possono mutare nel tempo e nello spazio e 
alcune norme sul sesso non hanno un carattere universale e culture differenti, 
seppur geograficamente vicine, possono adottare comportamenti diversi. 
All'epoca di Mosè, e nonostante egli abbia duramente condannato la 
corruzione infantile, i costumi ebraici, che erano rigorosissimi verso 
l'omosessualità tra adulti, erano indulgenti nei confronti dei giovani e, se la 
sodomia su bambini di età superiore ai nove anni veniva considerata cosa tanto 
grave da essere punita con la lapidazione, l'atto sessuale con bambini di età 
inferiore non veniva neppure ritenuto tale. La sanzione si limitava a qualche 
frustata poiché azione contraria all'ordine pubblico. 
Nell'antica Grecia e 
in particolare ad Atene le relazioni omosessuali con ragazzi facevano parte dei 
costumi della città. In modo particolare Atene si distingueva per le norme 
sulla
 pederastia. Gli ateniesi ritenevano che l'amore, anche fisico, che 
poteva legare un adulto ad un giovinetto fosse una condizione favorevole alla 
trasmissione del sapere e delle leggi della città e consentisse di trasmettere 
la saggezza acquisita con l'età. Ciò che interessava del ragazzo non era la 
sessualità in sé, quanto la sua formazione e lo sviluppo della personalità. Così 
la pederastia era non soltanto accettata ma, addirittura, considerata una 
conseguenza plausibile del rapporto docente-discente. 
La pederastia è un 
tipo di rapporto estraneo alla nostra mentalità e che si differenzia sia 
dall'omosessualità che dalla pedofilia così come noi oggi le intendiamo, in 
quanto gli ateniesi di allora rivolgevano le loro attenzioni soltanto ai ragazzi 
puberi che però dovevano essere consenzienti. Il sesso con soggetti pre-puberi, 
(pedofilia), era punito con condanne severe, fino alla pena di morte. 
In 
questo contesto culturale crescere ad Atene significava spesso, anche per i più 
piccoli, venire esposti alle aggressioni degli adulti tanto che il legislatore è 
stato costretto a promulgare delle leggi che vietavano agli insegnanti e agli 
allenatori di aprire aule e palestre prima dell'alba e che imponevano di 
chiuderle prima del tramonto onde evitare che si trovassero al buio con i loro 
piccoli alunni. 
5Le 
contraddizioni presenti in questa questione non mancarono di suscitare, 
nonostante la normativa in vigore, qualche problema dal punto di vista morale e 
psicologico come dimostra il fatto che Platone (427-347 a. C.) arrivò ad 
augurarsi che gli abusi nei confronti dei minori fossero proibiti dalla legge e 
Eschilo (525-456 a. C.) nel dramma teatrale Laio rappresentò questo problema. 
Nell'antica Roma la situazione non era migliore, omosessualità e pederastia 
erano diffuse, senza però quella giustificazione pedagogica e filosofica tipica 
dei greci. La pedofilia, invece, era ufficialmente condannata, come in Grecia, 
sebbene la prostituzione maschile e femminile fosse largamente diffusa e le 
prostitute fossero generalmente schiave e giovanissime.
La letteratura romana 
ci offre un ampio e particolareggiato quadro su storie di omosessualità, 
castrazioni, stupri ed altri affreschi di varia oscenità in cui le vittime sono 
troppo spesso i bambini. Petronio, per esempio, nel Satyricon descrive, con 
compiaciuta abilità, la gaia atmosfera nella quale si è consumato lo stupro di 
una bambina di sette anni fra gli applausi degli astanti, tra i quali non 
mancavano le donne. Tacito e Svetonio concordano nel riferire e condannare l'uso 
dell'imperatore Tiberio di fare giochi sessuali, durante il bagno, con bambini 
molto piccoli. 
Va infine detto che, mentre nella Grecia classica le 
fanciulle si sposavano tra i 18-20 anni, a Roma potevano sposarsi a partire dal 
dodicesimo compleanno, in quanto si riteneva che i rapporti sessuali 
facilitassero la comparsa del menarca. Il costume dei matrimoni precoci per le 
donne si conservò a lungo. Il fenomeno indica la scarsa considerazione in cui 
erano tenute le donne e una diversa scansione delle età della vita. Mostra che 
l'iniziazione al sesso era precocissima e ciò che noi consideriamo aberrante a 
quei tempi era considerato normale o tollerabile. 
In questa breve carrellata 
su quelli che noi oggi definiamo abusi, ma che nel contesto dell'epoca in cui 
vanno inseriti non furono ritenuti tali dalla stragrande maggioranza dei 
cittadini di quel tempo, si parla quasi sempre di maschietti. Sulle bambine è 
invece silenzio perché si trattava di "merce" sottovalutata, perciò qualunque 
cosa venisse fatta con loro o contro di loro non era suscettibile di interesse o 
addirittura mostrare qualche interesse sarebbe potuto apparire sminuente. 
 
1.2  Il Medioevo
Nel mondo Medievale la situazione dell'infanzia all'interno della famiglia e 
della società in generale non muta sostanzialmente. Diminuiscono notevolmente 
gli infanticidi di bambini legittimi, mentre resta costante la soppressione dei 
figli naturali; elevata rimane anche la mortalità infantile dovuta a malattie e 
trascuratezza. Le notizie che possediamo sulle abitudini e le pratiche di 
allevamento si riferiscono quasi esclusivamente alla classe nobiliare e ci 
mostrano un bambino poco abituato alle carezze e alle manifestazioni di affetto 
materne. 
L'arte medievale rappresenta il bambino, almeno fino al dodicesimo 
secolo, come un adulto in miniatura. All'età di sette anni entrava a far parte 
del mondo degli adulti, infatti, veniva inviato presso terzi per apprendere un 
mestiere o, se di nobili origini, soprattutto se cadetto, veniva affidato alle 
cure particolari di un maestro. 
Nel corso del Medioevo e nei secoli 
successivi vi fu sempre una diffusa promiscuità tra adulti e bambini anche per 
la condivisione degli spazi sia di giorno che di notte. Dormire da soli non era 
un'abitudine diffusa e i bambini rimanevano spesso nel letto o nella stanza dei 
genitori, o in quella di altri parenti o servitori, anche quando ormai erano un 
po' cresciuti. Ne deriva che essi potevano essere facilmente oggetto di 
attenzioni e molestie da parte di qualche membro del nucleo familiare (famiglia 
allargata di cui facevano parte anche nonni, zii e cugini). Questa abitudine 
rimase sino all'inizio del seicento e oltre, non soltanto tra il popolo ma anche 
tra i nobili, come testimonia un minuzioso diario della vita del re di Francia, 
Luigi XIII, scritto dal suo medico Heroard. In questo scritto si trovano delle 
indicazioni sulla licenza che si usava con i bambini, sulla grossolanità degli 
scherzi e degli atteggiamenti, di cui pochi si scandalizzavano. 
Secondo lo 
storico Philippe Ariès il clima culturale era uguale in tutte le famiglie, 
nobili o no.
Nella seconda metà del seicento si iniziò a guardare con 
sospetto a questo tipo di licenze e, proprio alla corte di Francia, nacque una 
letteratura pedagogica ad uso degli educatori che aveva la funzione di 
salvaguardare l'innocenza infantile. Si raccomandava di non far dormire più 
bambini nello stesso letto, di evitare di coccolarli, di sorvegliare le loro 
letture, di non lasciarli soli con i domestici.
6 
La morale cristiana andava diffondendo un nuovo atteggiamento nei confronti 
della sessualità infantile e nuove regole di comportamento, che alcune famiglie 
accettavano e altre invece ignoravano.
Scrive Angela Giallongo ne
 Il 
bambino medievale:
 "Il dualismo "innocenza colpevolezza", oggetto della 
tematica cristiana fin dai primi secoli, fu alla base dell'etica pedagogica 
medievale, divisa fra il considerare l'infanzia desessualizzata e ritenerla 
incline a ogni genere di vizio. Partendo da questi elementi contraddittori si 
combinarono norme preventive e provvedimenti repressivi, che abituavano fin 
dalla nascita ad una certa estraneità dal corpo e che proibivano gesti 
affettuosi da parte dei genitori, maestri e adulti in genere verso i bambini e 
fra i bambini stessi. Il Dominici nel dettare nel XV secolo le "regoluzze" 
adatte, riconosceva che sebbene prima dei cinque anni non si manifestassero 
preoccupanti impulsi naturali, tuttavia non bisognava abituare il bambino a 
certe pratiche che avrebbe ripetuto senza freni perdendo così definitivamente il 
senso del pudore. Pertanto andare vestito con una camiciola, il non vedere nudi 
il padre e la madre, né tanto meno toccarli, il non stare a contatto con le 
sorelle né di giorno né di notte, erano cautele da mettere in atto subito dopo i 
tre anni. Il problema dei rapporti omosessuali ed eterosessuali tra bambini, 
inclusa la masturbazione, diventarono una vera propria ossessione per gli 
educatori, dopo il XV secolo..
7
 
1.3 L'età Moderna
In epoca moderna il bambino diventa oggetto di maggiore interesse da parte di 
"esperti" (medici, maestri, filosofi) e l'opinione pubblica prende lentamente coscienza del 
problema della tutela del bambino e dei suoi diritti, ciò si riflette positivamente sulle 
modalità di allevamento e di cura.
Questo processo di "coscientizzazione" è 
legato a significativi cambiamenti sociali. Uno di questi è sicuramente il 
mutamento della struttura familiare. La nascita della famiglia nucleare, 
costituita da genitori e figli non sposati, porta a una maggiore centralità del 
bambino, seppur con accentuazioni diverse nei paesi dominati dalla Riforma 
protestante e dalla Controriforma cattolica.
"Questa tendenza 
puerocentrica sempre più marcata è documentabile dalla creazione, a partire 
dalle classi aristocratiche e colte, di un mondo proprio dei bambini 
(giocattoli, abbigliamento, passatempi…),e culmina con l'organizzazione di 
istituzioni scolastiche pensate appositamente per loro".8   
Dal XVI secolo notevole importanza assumono le 
rivoluzioni religiose che talvolta ebbero conseguenze ideologicamente negative 
per l'infanzia. Nei paesi anglosassoni la riforma protestante ed in particolare 
il puritanesimo, considerando il bambino come un individuo "depravato" e da 
"redimere", sostennero e predicarono un'azione educativa che faceva ampio uso di 
punizioni corporali per cercare di vincere le sue inclinazioni 
malvagie.
Calvino affermava che
 "solo spezzando totalmente la volontà del 
bambino, questo può essere salvato dallo spirito innato del male insito in 
lui".
9 
Intanto la campagna avviata dai moralisti rinascimentali contro le molestie 
sui bambini è continuata per tutto il XVII secolo finché nel XVIII, e questo è 
singolare perché siamo in pieno illuminismo, ha cambiato tono facendosi 
esasperata non tanto verso l'abusante, quanto e soprattutto verso il bambino 
stesso che si è visto sanzionato, persino per quelle attività sessuali relative 
al suo sviluppo, con pesanti punizioni che si traducevano in veri e propri 
maltrattamenti sia fisici che psichici.
 Nel secolo scorso poi i medici hanno 
propagato la diffusione di bizzarre leggende che ipotizzavano ancor più bizzarre 
conseguenze dell'attività sessuale infantile quali pazzia, cecità, epilessia, 
facendo così scattare una virulenta battaglia repressiva da parte dei genitori 
che si sono accaniti con inaudita violenza sui loro figli fino ad applicar loro 
sanzioni mutilanti. A tal proposito scrivono A. Oliverio Ferraris e B. 
Graziosi:
"Nell'Inghilterra vittoriana il timore del sesso portò ad 
adottare misure molto restrittive. Per evitare che i ragazzi si masturbassero 
vennero realizzate delle gabbie che venivano applicate di notte sugli organi 
genitali, per poi essere chiuse ermeticamente e riaperte soltanto al mattino. Il 
massimo ritrovato della tecnica fu però un apparecchio che in corso di erezioni 
spontanee faceva suonare un campanello per richiamare l'attenzione dei 
preoccupati genitori."10 A partire dal XVII 
secolo in tutte le classi sociali si diffuse l'abitudine del "baliatico", che consisteva 
nell'affidare i neonati ad una nutrice per un periodo di almeno due anni. Per i 
lattanti affidati a balie povere, in genere contadine, ciò significava molto 
spesso denutrizione, carenze igieniche, abbandono, mortalità molto elevata. 
La rivoluzione industriale non migliorò le condizioni dell'infanzia, ma anzi 
aumenta su larga scala lo sfruttamento del lavoro minorile.
Nelle grandi 
città della Francia e dell'Inghilterra i piccoli lavoratori, servi, garzoni, 
apprendisti erano numerosissimi. L'età minima poteva essere di sei anni, sebbene 
talvolta potesse abbassarsi a quattro nel caso degli spazzacamini; la durata 
della giornata lavorativa era di 14 ore durante l'inverno e raggiungeva le 16 in 
estate.
 "In alcune zone rurali dell'Inghilterra era frequente che bambine di 
cinque-sei anni lavorassero tutto il giorno per fabbricare oggetti di paglia o 
ricamare merletti con il collo e le braccia scoperte per poterle schiaffeggiare 
meglio".
11  Lo sfruttamento della manodopera minorile 
continuò in Europa fino alla fine dell'Ottocento, quando furono emanate le prime 
leggi in tutela dei piccoli lavoratori. Inoltre per tutto il XVIII secolo il 
lavoro femminile, fondamentale fonte di sussistenza nelle famiglie povere, porta 
necessariamente ad una maggiore trascuratezza dei figli. Aumenta il numero dei 
bambini abbandonati ed il sistema della "ruota", adottato per affidare il minore 
al brefotrofio, concorre indirettamente ad incrementare tale pratica, 
permettendo ai genitori di rimanere nell'anonimato.
 Nel XIX secolo sorgono in 
Europa numerosi istituti per orfani e bambini abbandonati dove vivono in una 
condizione di grave disagio psichico e fisico. La gravità dei maltrattamenti 
subiti dai piccoli istituzionalizzati emerge dai dati dei registri di questi 
istituti, che evidenziano un decesso ogni quattro ricoverati per stenti, incuria 
e maltrattamento fisico.
 Filosofi e pedagogisti, quali Locke e Rousseau, esaltano 
il ruolo materno e la funzione della donna nella crescita dei figli e 
suggeriscono nuove idee guida su come trattare i bambini. 
L'acquisizione di 
una nuova sensibilità nei genitori ha comportato la nascita di un atteggiamento 
di maggiore protezione nei confronti dei minori, protezione non esente da 
vistose contraddizioni. 
La progressiva affermazione del ceto borghese 
contribuisce a sollecitare una maggiore attenzione "igienica" e "affettiva"; la 
nuova immagine che si ha del minore, come essere separato dall'adulto, porta 
inevitabilmente a un cambiamento negli interventi pedagogici: alle punizioni 
corporali si preferisce sostituire un'azione educativa che agendo sulla sfera 
interiore porti all'introiezione di norme sociali, principi morali e valori 
religiosi. Comincia a farsi strada la domanda su "chi è" il bambino con cui si 
interagisce.
Questo cambiamento di tendenza, in ogni modo diffuso solo nei ceti elevati, non 
è destinato a durare: alla fine del secolo, da più parti si tornerà ad interrogarsi se tutto ciò 
non abbia portato ad un eccessivo permissivismo nei confronti dei figli. 
Un ruolo importante nella crescita e nell'educazione dei figli all'interno della famiglia è 
affidato al medico e proprio dal mondo medico partono le prime denunce dei maltrattamenti. Nel 
1852, a Parigi un medico legale, Ambroise Tardieu, in uno studio dal titolo
 "Etude 
medico-legale des blessures", descrive la
 "Battered Child Syndrome". Egli descrisse 
32 bambini picchiati e ustionati a morte.
 Nel 1868, Athol Johnson, al Sick Children Hospital 
di Londra, segnalò la frequenza di ripetute fratture nei bambini. Egli attribuì ciò alla 
fragilità ossea, poiché il rachitismo, a quel tempo, era molto diffuso fra i bambini di Londra. 
Ora sappiamo che quasi tutti i casi che egli descrisse erano in realtà storie di "abusi".
 
La teoria del rachitismo continuò a persistere fino al XX secolo.
 Nel 1874, a New York, per 
salvare una bambina di nove anni dai maltrattamenti dovette intervenire un ente per la protezione 
degli animali. La piccola fu trovata, in casa, incatenata al letto con ematomi, ferite e abrasioni 
in tutto il corpo. Ma non si poteva fare nulla perché secondo le leggi USA, i genitori avevano 
diritto assoluto sui figli e potevano allevarli come meglio credevano.
La Società per la protezione degli animali, già fiorente in America, esaminò il caso e 
riconoscendo che rientrava in quelli previsti dal proprio statuto intervenne. E così la bambina 
fu salva.
In seguito a questo fatto, nacque a New York la
 "New Society for the Reformation of 
Juvenile Delinquents" che organizzò un rifugio per bambini difficili
 che, in seguito, accolse anche bambini trascurati e abusati: si trattò 
della prima Società ad occuparsi di prevenzione all'abuso all'infanzia.
 
1.4 L'età Contemporanea
All'inizio del secolo attuale pedagogia, psicologia e sociologia iniziano ad interrogarsi sul
problema dell'infanzia e dei suoi bisogni. Al bambino vengono riconosciuti esigenze e bisogni 
affettivi e psicologici, viene affermato che i diritti dei minori devono essere garantiti non 
solo dai genitori, ma da tutta la società.  
 In quest'ottica, nel 1924, viene approvata a Ginevra la Dichiarazione dei diritti del 
fanciullo, in cui si afferma che il fanciullo deve essere posto in condizione di svilupparsi in 
maniera normale sia sul piano fisico che spirituale, che i bambini hanno il diritto di essere 
nutriti, curati, soccorsi e protetti da ogni forma di sfruttamento.
A partire dall'Ottocento e fino ai primi decenni del novecento assistiamo nei ceti emergenti 
alla nascita e all'espansione della moderna famiglia nucleare, borghese, puerocentrica. Questa 
famiglia di tipo acquisitivo, mette al mondo i figli e li educa in vista del successo e della 
riuscita familiare e ha come fine ultimo la società urbana aperta, si è istituzionalizzata in 
quello che oggi è il modello normalmente atteso di famiglia, omogeneo alla società industriale. 
L'infanzia cresce e si sviluppa all'interno di una famiglia nucleare relativamente isolata 
dalla parentela e dalla comunità, centro di consumo, il cui orizzonte territoriale è la moderna 
società urbana amorfa e cosmopolita. La famiglia borghese si può definire puerocentrica, nel 
senso che essa investe quasi tutto sui figli, visti soprattutto come spinta e strumento di quel 
successo familiare che è stato la base dell'economia capitalistica.  
Ma nel punto del suo massimo sviluppo, che possiamo datare intorno agli anni sessanta, 
questa famiglia privatizzata entra in crisi e con essa la sua rappresentazione dell'infanzia. 
Al puerocentrismo acquisitivo, sostengono alcuni psicologi, si sostituisce un nuovo puerocentrismo 
narcisistico (il bambino soggetto solo in quanto oggetto di gratificazione dell'adulto/genitore), 
tipico della "famiglia di coppia", il cui orizzonte territoriale ha confini limitati.
 Ed è proprio 
nel momento in cui l'immagine infantile del bambino raggiunge il suo culmine, che dalla società 
parte la denuncia del maltrattamento e parallelamente si muove a tutela dei diritti del minore 
in quanto individuo bisognoso di protezione. 
Ancora una volta, l'ipotesi della violenza subita dai bambini in famiglia viene formulata in 
prima istanza nel mondo medico. Alcuni pediatri americani riconoscono in determinati quadri clinici, 
osservati nei bambini, la sintomatologia del maltrattamento.
12  
Nel 1961 Henri Kempe presentò all'
Annual Meeting of American Academy of Pediatrics, 
una relazione interdisciplinare sulla
 "Battered Child Syndrome". La descrizione completa 
della sindrome fu pubblicata l'anno seguente nel
 "Journal of the American Medical Association": 
essa comprendeva considerazioni pediatriche, psichiatriche, radiologiche e legali e forniva 
pure le primissime cifre sullo stato del problema negli Stati Uniti. Con questa pubblicazione 
tale realtà viene portata a conoscenza del mondo medico internazionale e da allora prendono il 
via studi e rilevazioni del fenomeno, che si scopre avere una dimensione inaspettata. 
In quello stesso anno due medici italiani, Rezza e De Caro, avvertono la necessità di 
estendere "la sindrome" ad altri aspetti del maltrattamento infantile e nel 1976 Kempe allarga 
il concetto di "sindrome del bambino maltrattato" ad altre forme di abuso, quali, ad esempio, la 
trascuratezza e la malnutrizione che non necessariamente compromettono la sopravvivenza del minore.
Parallelamente alla denuncia del maltrattamento vengono sottoscritti pronunciamenti ufficiali 
a salvaguardia del bambino. La società contemporanea rappresenta, infatti, la punta massima della 
salvaguardia "sulla carta" dei diritti del bambino come individuo.
 Nel 1948, con la
 Dichiarazione universale dei diritti umani, le Nazioni Unite inclusero 
l'infanzia nell'intera famiglia umana da proteggere contro qualsiasi trattamento disumano o 
degradante.
 In particolare l'art. 25 afferma: 
 "la maternità e l'infanzia hanno diritto a 
speciali cure e assistenza" e
 "tutti i bambini nati dal matrimonio o fuori di esso 
devono godere delle stesse protezioni sociali".   
Nel 1959 l'ONU approva la 
"Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo",
 "affinché egli 
abbia un'infanzia felice e possa godere, nell'interesse suo e di tutta la società, dei diritti e 
della libertà che vi sono enunciati, invita i genitori, gli uomini e le donne in quanto singoli, 
come anche le organizzazioni non governative, le autorità locali e i governi nazionali a riconoscere 
questi diritti e a fare in modo di assicurarne il rispetto per mezzo di provvedimenti legislativi e 
di altre misure da adottarsi gradualmente in applicazione dei sui dieci principi".
13
Il Principio sesto afferma:
 Il fanciullo, per lo sviluppo armonioso della sua personalità, 
ha bisogno di amore e di comprensione. Egli deve per quanto possibile, crescere sotto le cure e 
la responsabilità dei genitori e, in ogni caso, in un'atmosfera di affetto e di sicurezza materiale 
e morale.             
Il bambino, a causa della sua immaturità psico-fisica, ha diritto ad
 "essere protetto 
contro ogni forma di negligenza, crudeltà o di sfruttamento". 
Dal 1979, "Anno internazionale del bambino", l'Onu ha costituito il gruppo di lavoro della 
"Commissione per i diritti del bambino" per elaborare una "Convenzione internazionale per i 
diritti del bambino". A dieci anni di distanza, il 20 novembre 1989, è stata approvata all'unanimità 
dall'Assemblea dell'Onu la
 "Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia" che 
dovrà essere ratificata dai paesi aderenti alle Nazioni Unite.
 
Dei 54 articoli di cui è costituito il testo della Convenzione, ve n'è uno che tratta specificatamente 
dell'abuso intrafamiliare e stabilisce che:
 
Art.19: Gli Stati Parti alla presente 
Convenzione prenderanno ogni appropriata misura 
legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per proteggere i 
bambini da qualsiasi forma di 
violenza, danno o abuso fisico o mentale, trascuratezza o trattamento 
negligente, maltrattamento 
o sfruttamento incluso l'abuso sessuale, mentre sono sotto la tutela dei
 genitori, del tutore 
legale o di chiunque altro si prenda cura del bambino/a. Tali misure 
protettive per essere appropriate devono comprendere procedure efficaci 
per l'allestimento di programmi sociali che forniscano il sostegno 
necessario al bambino/a e a coloro che ne hanno la responsabilità, così 
come per altre forme di prevenzione, identificazione, rapporti, ricorsi,
 investigazioni, cure, esami, a seguito di istanze per maltrattamenti al
 bambino/a come precedentemente descritti e, se il caso, per 
implicazioni di carattere giudiziario.
Altri articoli affrontano diverse forme di maltrattamenti e 
impegnano gli "Stati Parti" a proteggere i minori da esse.  Tra questi:
 
Art.37: Gli Stati Parti alla presente Convezione devono garantire che:
 
 nessun bambino/a sia soggetto a
 tortura o ad altre forme di trattamento o punizione crudeli, inumane, 
degradanti. Né la pena capitale né l'ergastolo senza possibilità di 
rilascio debbono essere applicati per reati commessi da persone sotto i 
18 anni di età. (….)
14 
 
Non vanno dimenticate le 
Raccomandazioni del Consiglio d'Europa (n.561 del 1963, n.17 del 1979 e 
n.4 del1985) e la Risoluzione del Parlamento Europeo del 1986, in cui si
 invitano i governi degli stati membri ad adottare le misure necessarie 
per prevenire ed intervenire nelle situazioni di maltrattamento, oltre 
che assistere i minori vittime di abusi e le famiglie in difficoltà. 
Si tratta dei primi documenti sovraterritoriali, in cui i minori 
vengono riconosciuti "soggetto di diritto" da parte dell'ordinamento 
anche all'interno della famiglia, mentre la legge viene autorizzata ad 
interporsi nei rapporti genitori-figli come terzo elemento regolatore.  
 
La società contemporanea è sempre più cosciente delle problematiche 
legate all'infanzia e i casi di abuso, oggi, sono sicuramente più 
visibili che in passato. Ma, nonostante questa maggiore coscienza i casi
 che vengono alla ribalta sono ancora solo la punta dell'iceberg.
 
1 Becchi E., (a cura di),
 Storia 
dell'educazione, La Nuova Italia, Firenze, 1987
2 Cesa-Bianchi M., Scabini E.,
 La violenza sui bambini. Immagine e realtà, Franco Angeli, Milano, 1991. 
3 De Mause,
 Storia dell'infanzia, Emme, Milano, 1983, in Campanini A. M.,
 Maltrattamento all'infanzia, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1993  
4 Fischetti C.,
 Innocenza violata, Editori Riuniti, Roma, 1996 
5 Du Pasquier F.,
 L'infanzia attraverso i secoli nella 
cultura occidentale, in De Cataldo Neuburger, (a cura di), 
Abuso sessuale di minore e processo penale: ruoli 
e responsabilità, Cedam, Padova, 1997.
6 Oliverio Ferraris A., Graziosi B.,
 Il volto e la maschera, Casa Editrice Valore Scuola, Roma, 1999
7 Giallongo A.,
 Il bambino medievale, in Oliviero Ferraris A., Graziosi B.,op. cit.  
8 Cesa-Bianchi M., Scabini E., op. cit.
Milano, 1991.
9 Montecchi F.,
 Gli abusi all'infanzia, NIS, Roma, 1994 
10 Oliverio Ferraris A., Graziosi B., op. cit.
11 Montecchi, op. cit.
12 Cesa-Bianchi M., Scabini E., op. cit.
13 Proclama dell'Assemblea Generale, in Dichiarazione dei diritti del Fanciullo, ONU, New York 
20 novembre 1959.
14 Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia, ONU, 20/11/89, in Izzo F., 
Norme contro la pedofilia, Edizioni Giuridiche Simone, Napoli, 1998
 Art.34: Gli Stati Parti alla 
presente Convenzione devono proteggere il/la bambino/a da tutte le forme
 di sfruttamento sessuale o abuso sessuale. A tale scopo gli Stati Parti
 devono prendere in particolare tutte le adeguate misure nazionali, 
bilaterali e multilaterali, per prevenire: 
 l'induzione o coercizione di un bambino/a per coinvolgerlo in qualunque attività sessuale illegale;
 
 lo sfruttamento dei bambini nella prostituzione o in altre pratiche sessuali illegali;
 
 lo sfruttamento dei bambini in spettacoli e materiali pornografici.
 
Art.35: Gli Stati Parti alla presente 
Convezione devono prendere tutte le appropriate misure nazionali, 
bilaterali e multilaterali per prevenire il rapimento, la vendita o il 
traffico di bambini con ogni fine o sotto ogni forma.
Art.36: Gli Stati Parti alla 
presente Convezione devono proteggere il/la bambino/a contro tutte le 
forme di sfruttamento dannose, sotto qualsiasi aspetto, per il benessere
 del bambino/a.