sabato 7 marzo 2015

La cattiva scuola

La cattiva scuola. Ideologismi e demeriti di una riforma (annunciata)

Novello Monelli * - 07.03.2015
Logo TFA C’è del marcio nella buona scuola

Come è spesso capitato in questi malaugurati anni di riforme permanenti, non è realmente chiaro cosa succederà al settore scuola nei prossimi mesi. La posizione presa dal presidente del consiglio (ma non sposata dal ministro competente) di prevedere un passaggio parlamentare ordinario senza percorrere la scorciatoia del decreto legge ha però suscitato subito l’allarme di una vasta galassia di sostenitori dell’annunciata riforma “per la buona scuola”. Le reazioni sono state a volte scomposte (è il caso di Laura Boldrini che ha dimostrato una volta di più di non saper mantenere un contegno istituzionale), a volte francamente bizzarre. La FLC-CGIL, branca del principale sindacato nazionale dedicata ai lavoratori di istruzione e ricerca, ha accusato il governo di voler procedere troppo rapidamente e senza alcun confronto, portando avanti proposte irricevibili. Contemporaneamente si è lamentata del venir meno delle promesse di assunzione di 100 o 150mila precari, un provvedimento giudicato “urgentissimo”. In sintesi, in casa CGIL si ritiene che qualsiasi cambiamento del sistema scolastico possa essere oggetto di discussione (possibilmente all’infinito), mentre la stabilizzazione di una massa di docenti pari a poco meno di un quarto dell’attuale organico (circa 700mila docenti, inclusi quelli di sostegno) ha carattere di urgenza. C’è del marcio nella buona scuola, come in tutte le riforme scolastiche che si ricordino negli ultimi vent’anni, ma sicuramente il problema non risiede nei tempi della discussione parlamentare.

Pubblicità seducenti e telesimpatia

 In realtà di questa molto annunciata riforma delle riforme si sa ben poco, in parte per la consueta sciatteria della stampa italiana, incapace di informarsi e informare correttamente, in parte per le dichiarazioni confuse e non di rado contraddittorie degli ambienti di governo. Fino ad ora si è discusso di principi e linee guida e sarà (probabilmente) solo al consiglio dei ministri di martedì 10 marzo che verranno delineati obiettivi e tempi del nuovo modello di scuola targato Renzi, ma anche queste linee guida alimentano non poche perplessità. In primo luogo, per la retorica della presentazione e l’inclinazione a favorire seduzioni e mode più che risposte serie ai molti problemi della docenza. La (cosiddetta) buona scuola è stata ventilata come la prima risposta alle esigenze “degli italiani” rispetto al servizio fornito loro dal sistema dell’istruzione e della formazione. Non riforme calate dall’alto, ma ascolto e condivisione dunque, attraverso una consultazione online a cui hanno partecipato circa 200mila italiani (a cui va aggiunta una miriade di incontri “sul territorio”). Lo slogan della “partecipazione dal basso” è stata una trovata geniale mediaticamente (cioè, elettoralmente), ma induce a qualche considerazione preoccupata. Come chiunque abbia un minimo di esperienza scolastica nell’insegnamento sa benissimo, chiedere a studenti e genitori di decidere sui modi e i contenuti dell’insegnamento è quantomeno azzardato. Con l’esclusione di un piccolo segmento di volenterosi, la maggior parte degli studenti, soprattutto negli anni dell’obbligo, sogna soprattutto meno disciplina, meno carico didattico e meno compiti a casa, in questo sostenuti da genitori che gradiscono poco brutti voti e bocciature ma raramente spronano i propri rampolli a lavorare di più. I problemi degli insegnanti in Italia sono certamente tanti. Sono poco selezionati, poco incentivati, poco pagati, poco apprezzati e meno ancora rispettati. Quello di cui sicuramente non hanno bisogno è di essere esposti ad un giudizio continuo che non mette in discussione le competenze e o risultati (magari!) ma il loro indice di gradimento: estrema conseguenza di una visione cialtronesca della scuola (e dell’università) in cui gli studenti (e i genitori) si percepiscono come “clienti” da accontentare, non come dei discepoli che devono formarsi (e, orrore!, magari faticare ed essere selezionati). Il profilo ideale del “buon insegnante” oggi diventa così quello di un bravo imbonitore, un conduttore da ruota della fortuna simpatico e amichevole.

Vade retro competenza

In termini del tutto simmetrici (e altrettanto agghiaccianti) quando si è chiesto ai partecipanti di indicare come si sarebbe dovuto modificare il nuovo tipo di concorso per l’abilitazione una maggioranza netta ha sostenuto che i nuovi docenti  non andavano selezionati in base a curriculum e pubblicazioni. Non stupirà scoprire che il 54% dei partecipanti alla consultazione era composto da docenti già in attività: ennesima dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, che uno zoccolo duro di insegnanti, normalmente i più anziani e sindacalizzati, gradisce poco l’idea che la competenza scientifica e magari anche l’originalità interpretativa approdino nelle aule scolastiche. Ci mancherebbe altro che diventassero importanti per attribuire riconoscimenti in termini di carriera e stipendio. In questo disprezzo (o timore) del sapere l’ossessione dei sindacati per i disastri della valutazione e l’ansia gigionesca dei sostenitori della “buona scuola” rischiano paradossalmente di saldarsi. Tra quei 150mila (più o meno) precari che i sindacati vorrebbero stabilizzare si trovano molte migliaia di meritevoli, in possesso di un’abilitazione ottenuta attraverso concorso, mediante la frequentazione di una SISS o di un TFA, ma stabilizzarli tutti di colpo equivarrebbe a rinunciare ad ogni forma di selezione, pregiudicando inoltre assunzioni di merito negli anni a venire. Dall’altra parte, il sistema di selezione e valutazione che (pare) uscire dalla (sempre cosiddetta) “buona scuola” prevede principi corretti (assunzioni solo tramite concorso) ma anche linee guida discutibili, che svalutano le competenze scientifiche e negano la possibilità di assumere docenti capaci di introdurre insegnamenti innovativi, ad esempio valutando molto di più il dottorato e le pubblicazioni. Complessivamente, un’alleanza nefasta, tra chi ha paura del merito e chi vuole solo inseguire consenso e gradimento.




* Professore a contratto Università di Padova

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