Il
22 febbraio di 34 anni fa veniva stuprata e dilaniata Rossella Casini.
Lei, fiorentina, si era innamorata di un ragazzo di 'ndrangheta.
Lentamente, con la forza del conforto e di un legame, lo aveva convinto a
pentirsi. Per questo fu condannata a morte.
-----------
Stuprata, fatta a pezzi, buttata via, come immondizia, dispersa in
mare. Senza spoglie. Senza memoria. Aveva poco più di vent’anni Rossella
Casini quando morì, ammazzata dalla ‘ndrangheta. Sparì il 22 febbraio
del 1981. Oggi potrebbe essere il trentaquattresimo anniversario della
sua morte, se avesse una tomba. Si dissolse invece nel nulla, senza mai
più dare notizie di sé, fino a quando un pentito, Vincenzo Lo Vecchio,
raccontò agli inquirenti che cosa fu di lei. Punita per aver svelato le
trame della cosca.
Rossella, emancipata, universitaria, fiorentina,
non sapeva cosa fosse una faida, lo scoprì quando conobbe e si innamorò
di Francesco Frisina, suo coetaneo, studente. In Toscana studiavano
insieme, lui si presentò come un ragazzo pulito, innocente. Non lo era.
Il loro amore crebbe fino all’estate del 1979 quando Rossella arrivò a
Palmi, in Calabria, in vacanza. Era piena di sole. Poi vide il sangue,
la violenza, il padre di Francesco, Domenico Frisina, fu ammazzato. Non
capiva Rossella quell’odio. Provò a farlo. Forse fu lei che portò le
armi al clan, perché quelle vendette continuassero, così raccontò un
pentito, anni dopo. Ebbe giorni difficili, provò ad entrare nella
famiglia, quella fatta di ‘sangue’, di interessi, mascherati dalla
parola onore. Non ci riuscì. I suoi genitori la convinsero a tornare a
casa, a Firenze dopo mesi. A dicembre del 1979 ripartì per la Toscana. A
Roma tra un cambio di treno, un caffè, una pausa più lunga telefonò ai
Frisina e le dissero che, in un conflitto a fuoco, il suo fidanzato era
rimasto ferito gravemente. Come impazzita, Rossella decise di tornare
indietro. Fu mesi al suo capezzale. Francesco aveva un proiettile
conficcato in testa. Era in coma. Trascorse mesi perché lui rimettesse a
posto ogni tassello della sua memoria e infine riuscì a portarlo a
Firenze. Era il febbraio del 1980. E lì, lontano dal mare di Calabria,
dal sangue, dall’odio, convinse il suo giovane amore a pentirsi. Piano.
Sottovoce, con l’aiuto di un maresciallo. Non sapeva Rossella a che cosa
si potesse arrivare per “difendere” la famiglia, quella che mescola il
sangue con un presunto onore. Lo capì quando la minacciarono. Accadde
dopo gli arresti che avvennero a Palmi, alle cinque del mattino, come un
fulmine, perché mai alcuno, specie in quegli anni, aveva osato
“pentirsi”, svelare i segreti, gli affari della ‘ndrangheta di Reggio
Calabria. La magistratura, grazie ai suoi racconti e a quelli del
fidanzato riuscì a tracciare il filo di commerci di droga e soprattutto
della faida in corso, che trasformò la città in un campo da guerra. Dopo
poco fu presa dal terrore Rossella, mentre suo padre e sua madre si
consumavano nel dolore. Così ritrattò. Il suo fidanzato lo aveva fatto
prima, dicendo che era fuori di testa, che non sapeva neanche che fosse
un maresciallo quell’uomo che Rossella le presentava come amico. A lei
il cuore si frantumò. Voleva cancellare tutto. Aveva paura. Raccontò
agli inquirenti che era stata rapita dal clan avversario dei Frisina,
affinché confermasse le dichiarazioni contro la famiglia
del suo fidanzato. Scrisse una lettera a sua cognata perché
controllasse che le “nuove” ricostruzioni dei fatti, le andassero a
genio. Le stavano tessendo una trappola. La gabbia stava per chiudersi.
Le ultime dichiarazioni della Casini erano state indotte dai Frisina. Lo
scriveranno i giudici, dopo anni, in una sentenza del tribunale di
Palmi. La giovane nel febbraio del 1981 infatti, pochi giorni prima
della sua scomparsa, telefonò a suo padre, facendogli capire che era
alla Tonnara di Palmi, da amici. Non gli disse chiaramente dove, ma è
come se ammettesse che era presso i Condello, altro clan, avversario dei
Gallico-Frisina. Dopo pochi giorni sparì, era il 22 febbraio del 1981.
L’obiettivo della famiglia di Francesco Frisina era annullarla. La
fecero tacere per sempre. Muta. Fatta a pezzi. E non solo. Tentarono di
mascherare tutto col tradimento, provando ad incolpare di quella
sparizione la cosca avversaria. Un depistaggio vero e proprio. Era
quella la cesoia che avevano costruito attorno alla ragazza. La trappola
scattò. Lei sparì. Nel maggio del 2006, più di vent’anni dopo, il
tribunale di Palmi ricostruisce la storia di Rossella Casini, la
sentenza condanna gli affiliati del clan e anche il fidanzato, la
cognata, la suocera. Grazie ad un pentito si ipotizza che la giovane
donna sia morta, dopo che il suo corpo fu violato e l’anima tradita.
Lei non ha ancora una tomba. Non l’avrà mai. Sfidò la ‘ndrangheta. E ne
morì. I suoi genitori, prima ancora del processo, si spensero in
Toscana, consumati dal dolore, certi che la loro figlia fosse morta,
perché voleva una giustizia fatta non di vendette sanguinarie. Non
ebbero mai il sollievo, lieve, di portarle dei fiori. La ‘ndrangheta
aveva buttato via Rossella e disperso le sue membra in mare, come un
sacco di letame. Lei, stuprata, fatta a pezzi, dimenticata. Pronta a
risorgere in chi ricorda la sua storia. (Roberto Saviano)
Nessun commento:
Posta un commento