venerdì 6 giugno 2014

Un presidente povero in Uruguay: la storia silenziosa di Pepe Mujica


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Per quanto la sua esistenza sia taciuta dalla maggior parte dei quotidiani italiani, il Presidente dell’Uruguay Josè Mujica, Pepe per gli amici, è un uomo in carne e ossa. Difficile da credersi se si analizza la persona un po’ più a fondo e soprattutto se la si inserisce in un contesto istituzionale.
Nelle ultime settimane il Presidente torna a far parlare di sé per tre notizie, che ne evidenziano l’eccezionalità.
I primi giorni di maggio Josè Mujica ha preso la decisione di ritirare la sicurezza negli stadi. Questo ha anticipato la fine del campionato, rivelando la volontà del Presidente di denunciare con chiarezza la violenza ed il razzismo che la fanno da padrone nel mondo del calcio, in Uruguay, così come in moltissimi altri Paesi del mondo. Pochi giorni dopo, segue la richiesta ufficiale che cinquanta bambini siriani vengano accolti nella residenza presidenziale di Colonia, a 200 Km dalla capitale Montevideo. Secondo quanto riferito dal ministro degli esteri Luis Al magro, l’iniziativa esprime la volontà di “offrire una possibilità di uscita ai bambini e alle vedove perché abbiano una condizione di vita migliore.” Il 15 maggio scorso il New York Times riferisce, infine, il desiderio del Presidente uruguayano di accogliere nel Paese sudamericano sei detenuti di Guantanamo. Si tratta di quattro siriani, un Palestinese e un tunisino. Ai fini della concreta realizzazione del trasferimento, Mujica ha incontrato il presidente statunitense Barack Obama. Nel caso in cui l’ accordo venga raggiunto, l’Uruguay passerebbe alla storia per essere la prima nazione al mondo ad accogliere detenuti provenienti dalla tristemente famosa prigione made in U.S.A.  Nel leggere queste notizie, sembra di avere davanti agli occhi un santo più che un presidente; o forse sarebbe meglio dire “sicuramente non un politico”, visti soprattutto gli standard cui siamo abituati nel nostro Paese.
Il Presidente guerrigliero
‘Pepe’ Josè Mujica ha 78 anni. Figlio di un imprenditore agricolo, cresce nutrendo grande amore per la terra e la vita di campagna. Agli inizi degli anni ’60 milita nelle file del famoso gruppo armato dei Tupamaros. In seguito alla sconfitta politica e militare del fronte rivoluzionario, diventa un prigioniero del regime e rimane in carcere per quindici anni, dodici dei quali trascorsi in isolamento. “Peggio della solitudine c’è solo la morte e quando si resta soli a lungo, come lo sono stato io, bisogna difendersi dalla pazzia” ha detto, ricordando quegli anni. Viene liberato nel 1985 e fonda il Movimento per il Potere Popolare. Dal 1994 al 2010 è deputato, quindi senatore. Nel 2008 è nominato ministro dell’Agricoltura dall’allora presidente della Repubblica Tabarè Vazquez. Eletto presidente nel novembre del 2009, ha assunto i pieni poteri nel marzo del 2010.
L’Uruguay di Pepe
L’Uruguay è un piccolo Paese; un minuscolo puntino in quella terra vasta e problematica che è l’America del Sud, continente che è patria di grandi letterati e uomini di cultura. Marquez, Borges, Amado, solo per citarne alcuni. L’Uruguay è la seconda nazione più piccola dell’America Latina, dopo il Suriname. Nel discorso tenuto in occasione del G20 del 2012 in Brasile, il Presidente Mujica ha così descritto la sua terra: “ Appartengo ad un piccolo Paese dotato di molte risorse naturali. Nel mio Paese ci sono poco più di 3 milioni di abitanti. Ma ci sono anche 13 milioni di vacche, tra le migliori al mondo e circa 8 o 10 milioni di meravigliose pecore; è esportatore di cibo, di latticini, di carne. È una pianura e quasi il 90% del suo territorio è sfruttabile.” Quando manca meno di un anno alla fine del mandato presidenziale (Mujica cesserà di essere presidente nel marzo 2015 ed ha espresso la volontà di non essere rieletto) è possibile tirare le somme, seppure ancora parziali, di questi anni di governo. Mujica è uomo e politico. Nel corso del suo mandato, la natura dell’uomo semplice e progressista sembra aver prevalso sulla carica istituzionale. Mujica, l’essere umano, memore delle lotte per il salario minimo e le 8 ore lavorative, è colui che vive in austerità. Dello stipendio di 150.000 dollari all’anno, ha deciso di riscuotere il 10% (1.250 $ al mese). Il restante 90% è devoluto ad una Fondazione amministrata dal Movimento di Partecipazione Popolare che supporta le piccole e medie imprese e le NGOs operative per il sostegno dei più poveri del Paese. Questa discreta somma è sufficiente a garantire a Mujica una vita dignitosa, ma priva di eccessi, che conduce nella dacia di proprietà della moglie Lucìa Topolansky dove coltiva verdure. L’austerità dell’individuo si fonde con il politico in un connubio quasi sincretico in merito alla scelta di una politica economica basata sulla solidarietà sociale. Fra le iniziative prese è particolarmente significativa quella in merito alla legalizzazione del consumo, della produzione e della distribuzione della Marijuana. Una legge che arriva a distanza di soli due anni dalla scelta di legalizzare l’aborto (2012) e ad appena un anno dalla legalizzazione dei matrimoni omossessuali (2013). Le politiche economiche e sociali dell’Uruguay non possono, però, essere sintetizzate in queste sole tre leggi. A partire dal 2005 (anno della vittoria alle elezioni della coalizione dei partiti di sinistra) fino al 2014, le politiche sociali del Frente Amplio hanno riportato gran parte della popolazione ad una qualità di vita dignitosa, dopo una gravissima recessione. Ciò è stato possibile grazie ad alcune iniziative come la creazione di un valido sistema pensionistico e di un buon sistema sanitario pubblico e l’introduzione di un salario minimo (360$). In nove anni la disoccupazione è scesa del 6,5% e l’analfabetismo si è azzerato. Queste e molte altre scelte governative hanno reso oggi l’Uruguay una nazione all’avanguardia: motivo per cui l’Economist ha scelto di nominarla Paese dell’anno 2013.
Non è tutto oro quello che luccica
Mujica il presidente elogiato, stimato, beatificato. Mujica il San Francesco dei presidenti.
‘Pepe’ Mujica non è solo il santo ma anche il politico ed è il politico a prevalere se si considerano alcune spinose questioni quali il progetto della miniera di ferro Artirì, la cui costruzione comporta un pesante danno per l’ambiente. È necessario poi sottolineare come, a fronte di una netta diminuzione della povertà media, le disuguaglianze sociali sono però aumentate; il narcotraffico imperversa in Uruguay e molti abitanti non si dicono del tutto soddisfatti del Presidente. Le critiche sono principalmente rivolte all’inefficienza dello Stato nel gestire le questioni dell’educazione scolastica e della sicurezza pubblica. Spesso, quando guardiamo ad un politico, chiunque esso sia ed indipendentemente dalla carica che riveste, il confine tra l’esercizio del ruolo e il suo essere autenticamente uomo si confonde. Nel suo esistere come politico Mujica, si dimostra, invece, uomo. “L’uomo non governa oggi le forze che ha sprigionato, ma sono queste forze che governano l’uomo, ed anche la nostra vita. Perché noi non siamo nati solo per svilupparci. Siamo nati per essere felici” ha detto in Brasile, il presidente uruguayano. Mujica sa insegnare l’esistenza semplice di chi vive con poco e sa viverci bene. E quanto poco può sembrare anche solo un piccolo appezzamento di terra agli occhi di chi ha vissuto per dodici anni in un buco di prigione senza poter parlare con nessuno se non con i topi? Il presidente dell’Uruguay è un rivoluzionario e il suo valore aggiunto è quello di essere riuscito a fare il rivoluzionario saggio da politico, non solo da uomo.(Cecilia di Mario)

 iMille.org – Direttore Raoul Minetti

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