lunedì 27 agosto 2012

In Libia la strage silenziosa dei Tawergha di Monica Ricci Sargentini

Oggi il nostro blog ospita un articolo del collega Andrea de Georgio che è appena tornato da un viaggio in Libia dove ha documentato la persecuzione della minoranza tawergha.  (di Andrea de Georgio )

Tawergha è una città fantasma. Case distrutte, segni di vita abbandonata da poco, vie deserte, cani randagi e carcasse di macchine bruciate ad ogni angolo (nella foto sopra di Luca Pistone). Il silenzio rimbomba. Il vento alza la polvere. L’odore del fuoco che un anno fa ha ridotto questa cittadina del nord della Libia ad un museo degli orrori si sente ancora forte, insieme alla puzza di morte. Ad agosto 2011, quando la guerra stava per volgere al termine, circa 4000 miliziani rivoluzionari di Misurata hanno attaccato Tawergha, borgo abitato da 35 mila persone (discendenti degli schiavi neri arrivati in Libia nel XVIII secolo) a pochi chilometri, distruggendolo casa per casa a colpi di artiglieria pesante e costringendo intere famiglie alla fuga.

Abd al Salim, capo della qatiba (brigata rivoluzionaria, milizia) Malik Idris, fra le più spietate di Misurata, quel giorno di agosto sfogava, alla guida dei suoi giovani rivoluzionari, tutta la rabbia e l’odio accumulato in un anno di guerra civile contro i tawergha (http://www.amnesty.org/en/library/info/MDE19/007/2012/en), vicini e nemici di sempre. “Non solo questi negri erano dalla parte di Shashufa (“capellone, dai capelli ricci” dispregiativo di Gheddafi, ndr) e hanno partecipato all’assedio di Misurata. Hanno stuprato le nostre donne, le nostre figlie, le nostre sorelle. Questo è il loro crimine, e noi non possiamo perdonare. Per questo li abbiamo cacciati e non li faremo mai tornare”. Abd al Salim, come molti libici, giura di aver visto coi propri occhi i video che provano gli abusi sessuali dei tawergha nei telefonini sequestrati durante la guerra. Ma questi video non verranno mai mostrati e le vittime non parleranno.

Per le società musulmane lo stupro è un tabù, uno dei più gravi crimini possibili che sporca l’onore dell’intera famiglia della vittima. Un proverbio libico recita: “La donna è come un bicchiere di latte, se si sporca si vede subito”. L’Onu e diverse organizzazioni internazionali per i diritti dell’uomo hanno condotto delle inchieste ad hoc senza trovare prove tangibili dei crimini dei tawergha. Abd al Salim con una mano guida il pick-up e con l’altra, dal finestrino, spara colpi a casaccio col kalashnikov. Khaled, rivoluzionario ventenne in pantaloncini e infradito, carica un altro fucile pronto a passarlo al capo. “Veniamo qui ogni settimana. Controlliamo che non ci sia nessuno, spariamo un po’ e portiamo via ciò che resta nelle case. Se troviamo un tawergha lo uccidiamo sul posto, come un cane”.

La guerra civile, in Libia, è finita da più di 8 mesi. Ma il tempo della riconciliazione, della rinascita e del ritorno alla normalità sembra ancora lontano, almeno da Tawergha. Nonostante il 7 luglio si siano svolte (pacificamente) le prime elezioni libere della storia del Paese – che porteranno il parlamento eletto a scegliere un comitato di esperti col compito di redigere la nuova costituzione – molte ferite di guerra rimangono aperte e sanguinanti. Fra tutte la questione delle minoranze appare un punto cruciale che né il governo di transizione né il neonato esecutivo guidato dal partito di Mahmoud Jibril (l’Alleanza delle forze nazionali che ha ottenuto quasi il 50% dei voti) hanno mostrato di voler affrontare con determinazione.

Mashasha, tuareg, tabu, berberi e tawergha pur godendo dello status di cittadini a tutti gli effetti (che manca, invece, alle migliaia di migranti presenti in Libia) soffrono ancora di vessazioni, arresti arbitrari, detenzioni illegali e torture, come riporta un recente report di Amnesty International. Il vuoto di potere lasciato dalla caduta del regime di Gheddafi, durato 42 anni, è occupato oggi dalle milizie rivoluzionarie. Migliaia di giovani e giovanissimi armati fino ai denti e guidati da un manipolo di signori della guerra che, approfittando dell’assenza di polizia e rifiutando di riconsegnare le armi e di essere assorbiti nel neonato esercito nazionale, dettano legge e “garantiscono” la sicurezza del Paese. I 35 mila tawergha che vivono in campi sparsi in tutta la Libia sono il bersaglio preferito della vendetta dei miliziani.

Il Marina Accademy, una vecchia base militare dell’esercito di Gheddafi occupata durante la guerra, è il campo profughi più grande del Paese. E’ una struttura fatiscente che si affaccia a picco sul mare di Jansour, quartiere occidentale di Tripoli, e ospita 2106 persone, tutte scappate da Tawergha in fiamme. L’Agenzia dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) opera insieme ad altre organizzazioni internazionali per dare assistenza alla popolazione del campo. “Cerchiamo di fare il possibile per queste persone che vivono in condizioni disperate, ma non è facile. Nella Libia post guerra civile la questione dei tawergha è uno dei tabu più difficili da scalfire”.

Anis, giovane libico che lavora coi tawergha di Tripoli come operatore umanitario dell’Unhcr, racconta che nei vari campi in cui sono “ospitati” i quasi 74 mila libici “sfollati interni” della guerra (i cosiddetti Internal displaced people, di cui la metà sono tawergha) vengono attaccati dai miliziani con cadenza settimanale. Gli accampamenti sono sorvegliati da gruppi di rivoluzionari che, quando le milizie di Misurata attaccano, non battono ciglio. Gli uomini delle qatibe entrano, sparano e prelevano giovani uomini che spariscono nel buio delle carceri illegali per mesi, tornando al campo con chiari segni di torture.

Come Mansour Ghiliwan, prelevato al Marina Accademy di Jansour durante l’attacco del 6 febbraio 2012, uno dei più violenti, in cui tre persone hanno trovato la morte (una bambina di 10 anni, una donna di 56 e un sessantenne). “Erano una cinquantina. Sono entrati in casa e mi hanno caricato su un pick-up con altre sei persone del campo. Ci hanno scaricato in un posto isolato, ci hanno fatti mettere contro un muro e ci hanno fucilato. Quando si sono accorti che ero ancora vivo mi hanno picchiato e portato alla prigione Madrasa al Wahida, dove sono stato rinchiuso in un container 12 giorni con una pallottola nella gamba senza acqua né cibo. Se non fosse per Medici Senza Frontiere che mi ha trovato, liberato e operato sarei morto in quel container”. Mansour si sposta per il campo su una sedia a rotelle. La gamba destra è gonfia e livida, porta i segni indelebili della cancrena e dell’operazione. Anche la sinistra è ferita.

“Non ho fatto niente durante la guerra, lo giuro. Ci perseguitano solo perché siamo tawergha e siamo neri. Per loro tutti i neri sono stati mercenari di Gheddafi. Noi vogliamo solo tornare alle nostre case”. Mentre parla si avvicina Ali Arous Abd al Rahman, il portavoce del campo di Jansour, mostrando fotocopie di cartelle mediche e documenti vari a testimonianza dei crimini subiti dalla sua gente. “Questa è pulizia etnica. Da una parte il governo di transizione ci fa eleggere un nostro rappresentante per il nuovo parlamento. Dall’altra permette che i cosiddetti rivoluzionari ci attacchino e ci sequestrino. Hanno ucciso un Gheddafi per crearne altri mille”.



 

giovedì 23 agosto 2012

IL DIRITTO DI ESSERE UOMO


 La Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo trova fondamento nel valore cardine che l'essere umano è inteso in senso globale e universale, nessuno escluso.
Potrebbe sembrare un'inutile precisazione, ma l'indicazione della totalità non include poi realmente tutti gli esseri umani.
Come principio di uguaglianza trova fondamento in questa inclusione il concetto che l'umanità è intesa come l'insieme di tutti gli esseri umani, nessun escluso e solo in questo caso è possibile parlare di uguaglianza di diritti.
 Nell'ambito di quest'umanità globale è possibile attuare il diritto di uguaglianza e le libertà individuali.
Nella visione globale del diritto universale si ha la concezione dell'uomo come essere che agisce, è responsabile, volitivo, sensibile. Fintanto che anche una sola di tali caratteristiche è presente, l'uomo esiste.
Il diritto alla libertà si fonda sulla considerazione che l'uomo è un essere volitivo e responsabile in grado di agire, gestire le proprie azioni e di comprenderne le conseguenze.
Il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana, e dei loro diritti, uguali e inalienabili, può costruire le basi per un mondo di convivenza pacifica con un richiamo forte alla fratellanza. E' un richiamo a una condizione umana e affettiva, un richiamo al sentimento che più unisce i simili tra loro, è un legame di sangue e di origine, di condivisione e di reciprocità, di appartenenza e relazione. E' il riconoscimento dell'uguale natura e della medesima provenienza degli uomini. 
La fratellanza non è solo un concetto, é un principio statico perché impone un'azione, un avvicinamento, un agire verso e per. Immutabile è il valore universale insito nell'uomo: la sua dignità.
 Il significato di dignità umana è un concetto giuridico?
 La Dichiarazione universale contiene norme valevoli nei confronti di tutte le genti, principi etici cui si pretende che gli Stati si uniformino al fine di essere assunti nella comunità internazionale. I diritti inalienabili in essa contenuti sono tali in senso assoluto e perciò anche al di fuori di un ordinamento statale che li riconosca.
 I diritti inalienabili dell'uomo sono perciò la garanzia della tutela della dignità umana, l'esercizio della legalità non è sufficiente, il rispetto delle regole e delle procedure costruisce un equilibrio tra diritti, ma non realizza la pienezza della persona che si raggiunge solo attraverso la giustizia, che è un valore etico universale.
 L'obbligo di protezione dei governanti nei confronti dei governati impone la tutela dei cittadini da ogni attacco alla vita, alla salute, alla dignità, principio di responsabilità di proteggere che è un'esplicazione del principio di solidarietà.
La protezione e il diritto-dovere di proteggere i propri membri sono la funzione primaria della famiglia che si riflette nella famiglia universale di cui ciascun uomo fa parte.(Angela Baldi)

martedì 21 agosto 2012

Bambini e schiavi

 Il fattore chiave dell’esistenza della nuova schiavitù è l’aumento incontrollato, e incontrollabile, della popolazione mondiale dopo il 1945. La crescita esponenziale si è registrata in quei paesi che fanno della schiavitù il loro fiore all’occhiello. I territori del sud-est asiatico, del subcontinente indiano, Africa e paesi arabi vivono situazioni di enorme povertà e la crescita di bambini si dimostra un ulteriore peso per le poche risorse disponibili. Come ovviare quando gli individui non hanno di che mangiare e la vita perde di valore? Senza contare l’incremento della modernizzazione e della globalizzazione che hanno trascinato nel baratro le piccole imprese, cancellato i contadini spingendoli verso la schiavitù forzata per la sopravvivenza. A questo si somma il destino di chi cerca un futuro migliore e finisce sulla strada: se i grandi vengono colpiti senza pietà, figuriamoci cosa accade ai più piccoli. Il numero di minori vittime è pari a 1, 2milioni, senza contare chi subisce sfruttamento sessuale e lavorativo, altrimenti la cifra crescerebbe anche di cinque volte.
I dati sono forniti dal nuovo dossier di Save the Children: “I piccoli schiavi invisibili 2012″, alla vigilia della Giornata Onu del 23 agosto in ricordo del commercio degli schiavi e della sua abolizione. Per quanto riguarda il nostro Paese manca una ricerca accurata e precisa ma basta basarsi sulle statistiche che fissano a 280 casi di minori segnalati o identificati come vittime di tratta o riduzione in schiavitù. I ragazzini, provenienti dall’Europa orientale e balcanica, hanno beneficiato di programmi di assistenza specifici lo scorso anno. Si stima tra i 1.600 e i 2000 il numero di minori che si prostituisce in strada, in gran parte vittime di tratta e sfruttamento. Il dato destabilizzante preoccupa per l’enorme quantità di minori sbarcati sulle coste italiane e abbandonati a un destino di violenza, come le giovani nigeriane arrivate fra il 2011 e l’agosto 2012 via mare, finite sui marciapiedi e vittime di una tratta sessuale: un fenomeno che non accenna a diminuire, anzi cresce ogni giorno.
In paesi come la Thailandia lo sfruttamento sessuale minorile è all’ordine del giorno e, anzi è diventato una forma di costume sociale, come prendere il thè o fare shopping. Grazie al nuovo benessere, gli uomini frequentano i bordelli con assiduità e le mogli thai tacciono sotto il peso di un “non vedo-non sento”. Secondo il rapporto di Save the Children, lo sfruttamento minorile su strada negli altri paesi non è molto diverso: stabile e addirittura in crescita, soprattutto per le minori rumene e nigeriane. Sono stati segnalati casi nelle Marche, in Abruzzo, in Molise e nel napoletano: ecco dove sono finite le 3.857 migranti di origine nigeriana, di cui 179 minori.   Nei primi mesi del 2012 sono stati segnalati “solo” 4 minori non accompagnati su 159 nigeriani. Se il dato è in diminuzione per la Nigeria, quello delle minori rumene è in crescita per via della cittadinanza comunitaria: dall’arrivo alla schiavitù il passo è breve e si ottiene con la violenza e il ricatto affettivo
(tratto da www.giornalettismo.com)

venerdì 17 agosto 2012

NESTLÉ: CAFFÈ, CIOCCOLATA, LATTE IN POLVERE... E TANTI BAMBINI MORTI AVVELENATI!

- La Nestlé viene accusata di una politica commerciale aggressiva e irresponsabile per quanto riguarda la promozione di latte per neonati nei paesi in via di sviluppo, soprattutto attraverso forniture gratuite a strutture ospedaliere.
Secondo l'UNICEF, la sostituzione dell'allattamento materno con il latte in polvere, porterebbe nei paesi del Terzo Mondo alla morte di circa un milione e mezzo di bambini ogni anno, a causa di problematiche legate alla difficoltà di sterilizzazione dell'acqua e dei biberon utilizzati. Vi è evidenza che anche in paesi sviluppati l'utilizzo del latte in polvere per neonati comporta un aumento dei rischi di mortalità post-neonatale rispetto all'allattamento materno. Diverse indagini hanno mostrano come la Nestlé e altre compagnie produttrici di latte in polvere per neonati negli ultimi anni abbiano ripetutamente infranto, soprattutto in regioni sottosviluppate, il Codice internazionale dell'OMS al quale hanno ufficialmente aderito.
- Nel novembre 2005 Nestlé si oppose alla decisione svizzera di bandire gli OGM.
- Nel 2001 Nestlé e altri grandi produttori di cioccolato hanno firmato un accordo, il protocollo Harkin-Engel (o Protocollo sul cacao), per affermare che avrebbe certificato, da luglio 2005, che il suo cioccolato non era stato prodotto attraverso manodopera minorile, debitoria, forzata o proveniente da traffico di esseri umani. Il protocollo, secondo il più recente report dell'International Labor Rights Fund pubblicato nel 2008, sarebbe stato disatteso.
- Nel 2009 La Nestlé italiana è stata condannata, insieme alla Tetrapak, al pagamento dei danni, per l'inquinamento del latte Nidina con Itx, un tipo di inchiostro.

[fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Nestl%C3%A8#Critiche_alla_politica_commerciale_di_Nestl.C3.A9]

Per maggiori informazioni:
- http://www.tmcrew.org/csa/l38/multi/nestle.htm
- http://www.mclink.it/personal/MC6065/RRCC/azione/bimbinfiera.htm
- http://isole.ecn.org/molino/giornale/numero5/boicottare.htm
- http://web.peacelink.it/nestle.html
- http://www.aamterranuova.it/Ambiente-e-decrescita-felice/Un-motivo-in-piu-per-boicottare-la-Nestle

PRODOTTI A MARCHIO NESTLÉ: Aberfoyle Springs, Acqua Brillante Recoaro, Aero, After Eight, Alpo, Alsoy, Antica Gelateria del Corso, Aquarel, Arrowhead;,Baby Ruth, Baci, Bakers Complete, Barenmarke, Belté, Berni, Blaue Quellen, Bolino, Bonka, Boost, Buitoni , Butterfinger, Buxton,Cailler, Camy, Carnation , Caro, Carola, Cérélac, Chamyto, Cheerios, Chef, Chef America, Chino, Chocapic, Chokito, Ciocoblocco, Claudia, Coffee-Mate, Condipasta, Condiriso, Contadina, Croquons la vie, Crosse & Blackwell, Crucial, Crunch ,Dairy Farm, Dancow, Davigel, Davigel, Delta Ice Cream, Diger Selz,E. Wedel, Ecco Franck, Excelsia,Fancy Feast, Fibre 1, Fido , Frigor, Friskies , Frubetto, Fruit Joy,Galak, Garoto, Gerber , Gervais, Giara, Gingerino Recoaro, Giulia, Gloria, Golden Grahams, Gourmet, Guigoz,Herta , Hills Brothers',Jenny Craig,Kit Kat, Kix,La Cremeria, La Lechera, La Valle degli Orti, Lactogen, LC1, Le Ore Liete, Levissima, Libby's, Limpia, Lora Recoaro, Loumidis,Mac'ani, Maggi , Magnolia, Malto Kneipp, Mare Fresco, Materna, Mighty Dog, Milkmaid, Milo, Mirage, MJB, Mont Blanc, Mousline , Munch Bunch,Nan, NaturNes, Nescafé , Nescau, Nespray, Nespray, Nespresso, Nesquik , Nestéa , Nestlé , Nestum, Nico, Nidal, Nidina, Nido, Nuts ,Omega Complete, One-to-One, Optifast, Ortega, Orzoro, Ozarka Spring Water,Panna, Pejo, Perugina, Pezzullo, Plancoët, Poland Spring, Polo, Pracastello, Protéika, Purina,Quality Street,Resource, Ricoffy, Ricoré, Rolo, Rowtree Macintosh,San Bernardo, San Pellegrino , Sanbitter, Sandalia, Santa Maria, Santa Rica, Sasso, Sassonaise, Schoeller, Shreddies and Cherrios (U.K.), Ski, Smarties, Spillers, Stouffer's, Surgela,Taster's Choice, Thomy, Tione, Toll House, Totole Group, Trio,Ulmeta, Uncle Tobys, Uncle Toby's,Vera, Vitalife,Waters Partners Bottling (50%), Willy Wonka, Wonka,Yes,Zoegas.
(grazie a Chantal per il preziosissmo elenco! ^_^)

Per inviare un parere all'azienda: ir@nestle.com
(tratta dalla pagina Earth Riot (Convivenza Pacifica)FB)

martedì 14 agosto 2012

Trattato Ue: il Mostro Giuridico



Nella crisi, ma anche prima, le peculiari caratteristiche della Bce rispetto ad una vera banca centrale nazionale, di non essere per statuto abilitata a finanziare i deficit degli stati membri e di non poter espletare le funzioni di prestatore di ultima istanza, sono state evocate con frequenza. Perché le cose stiano così è facile capirlo: l’Unione monetaria europea fu costituita da stati legati da un’unione economica ma non politica, e nemmeno facenti parte di una federazione. Visto che l’Unione monetaria era stata una creatura politica imposta dai francesi ai tedeschi per tenerli aggregati all’Occidente dopo la fine dell’Urss, bisognava inventare per lei una banca centrale con regole diverse da quelle delle banche centrali degli Stati nazionali e delle federazioni. Regole che creassero una moneta unica al posto di quelle degli Stati della Unione, ma che non abolissero le banche centrali nazionali (restate a esercitare la supervisione sulle proprie banche commerciali) e che non dessero alla banca europea la sovranità monetaria.

Ne venne fuori un esemplare unico nella storia monetaria: una banca centrale priva di sovranità monetaria che quindi abdicava a due delle funzioni caratterizzanti una banca centrale, la possibilità di creare moneta per finanziare i bilanci pubblici degli stati membri e di fungere da prestatore di ultima istanza per le banche dell’area della moneta unica. In tal modo si distruggeva anche la sovranità monetaria dei singoli stati membri. D’altronde, senza una vera unione politica o almeno fiscale, sarebbe stato veramente peculiare fare altrimenti. Negli anni 80 e 90 il mondo aveva visto crisi finanziarie imponenti ma mai una che colpisse il centro dell’economia mondiale con la potenza della crisi attuale. Evidentemente i fondatori dell’Ume sperarono che ciò continuasse nel futuro, e che la funzione di banca centrale mondiale continuasse nelle emergenze a essere svolta da chi l’aveva fatto per cinquant’anni, la Federal Reserve.


Queste acrobazie furono architettate ed eseguite perchè la Germania, centro del sistema monetario europeo, aveva acconsentito alla creazione della moneta unica solo sotto la spinta della politica estera e dei propri industriali, che vedevano con grande interesse una unificazione dei mercati europei delle merci e dei servizi e la fine della politica dei cambi fluttuanti in Europa. La Bundesbank e i partiti conservatori non vedevano con fiducia la fine del marco e cercarono di attutirne le conseguenze. Dovettero accettare una banca centrale europea il cui consiglio direttivo non era formato secondo criteri di potenza economica ma nel quale piccoli paesi come Austria e Finlandia contavano quanto la Germania. Con lo scoppio della crisi, queste debolezze costituzionali sono emerse e hanno colpito come uno shock imprevisto. Non ci si aspettava che anche i sistemi bancari europei ritenuti più forti ne fossero investiti con tanta violenza.


La preparazione istituzionale alla crisi era ugualmente debole sia negli Usa che in Europa. Negli Usa la tradizione di sovranità monetaria era fortissima e nessuno si sognò di bloccare l’interventismo della Fed di Ben Bernanke, come nessuno in altre emergenze aveva fermato la Fed di Alan Greenspan. In Europa, non solo non c’erano precedenti per la Bce, troppo recente per aver avuto necessità simili, ma la banca centrale più importante del sistema, la Bundebank, e buona parte della pubblica opinione tedesca, erano contrari a tale interventismo per motivi di teoria e prassi economica e politica. Per questo abbiamo assistito a continui rinvii invece che a interventi tempestivi e massicci da parte della Bce, o anche degli organi della Unione Europea, e alla faticosa elaborazione di istituzioni e metodi di intervento nuovi, come la Efsf e Esm, tentativi abbastanza penosi di riuscire ad affrontare i gravissimi problemi posti dalla crisi senza voler prendere il toro per le corna, cioè dare alla Bce un vero statuto di banca centrale e promuovere risolutamente i passi necessari a realizzare una unione politica avente gli stessi confini della zona euro o anche solo di una parte di essa.


Stiamo così, in maniera artificiosa e contorta, arrivando ad una ripetizione degli episodi di unificazione monetaria italiana e tedesca dell’800: un’unificazione monetaria forzata dal paese più potente, come furono Piemonte e Prussia. Ma non è la stessa cosa. Ora si tratta di paesi creditori, capeggiati dalla Germania, che cercano di imporre qualche forma di controllo finanziario sui paesi debitori perchè non esistono legami federali che permettano una centralizzazione delle finanze pubbliche o un controllo centralizzato di esse per l’intera area monetaria. In quest’ottica bisogna vedere il trattato di Bruxelles firmato qualche giorno fa. È una mostruosità giuridica, come lo fu il trattato di Maastricht. La Bundesbank già ne critica la mancanza di rigore. Invece di costituire la Bce in vera banca centrale, si è dato vita a due pessime e poco potenti imitazioni dell’Fmi come l’Esm e l’Efsf, che appena create già richiedono un potenziamento se si vuole che abbiano qualche impatto come muri parafuoco contro l’accendersi di fiammate nei paesi deboli d’Europa.


Si dice: ma l’Europa si è costruita così, con artifici, stratagemmi, strane istituzioni, perchè in Europa non sempre una linea retta può unire due punti. La storia non lo permette, purtroppo. Il passato non passa. Ma alla fine, una complicazione dopo l’altra, un artificio dopo l’altro, si riusciva ad unire i due punti. Si risponde: ma c’erano gli Usa a fare da supervisore e protettore della unificazione europea e l’Urss a fare da babau, da uomo nero. Ora la seconda è svanita e i primi sono meno interessati a tenerci uniti e nemmeno ne hanno più i mezzi. Nè la Cina ha intenzione di prendere il posto degli Usa. E poi, perchè noi europei dobbiamo sempre aver bisogno di un "fratello maggiore"?
(Fonte: http://www.sinistrainrete.info/europa/1879-marcello-de-cecco-trattato-ue-il-mostro-giuridico.html)

venerdì 10 agosto 2012

Energia sostenibile, un aiutino per l’economia

9 agosto 2012 | NRC Handelsblad

Norme energetiche più severe sarebbero non solo vantaggiose per l’ambiente, ma favorirebbero anche la competitività dell’Europa. Purtroppo, si rammarica un ecologista olandese, i dirigenti europei non sembrano esserne consapevoli. 
Ron Wit

I dirigenti europei cercano disperatamente i mezzi per stimolare la crescita economica, ma trascurano i 90 miliardi che hanno a portata di mano. Questa somma è rappresentata dal risparmio che potrebbero ottenere sulla bolletta energetica delle famiglie e delle imprese se rendessero più severe le norme energetiche sulle apparecchiature elettriche. Secondo alcuni studi questa operazione rappresenterebbe un risparmio di 280 euro all’anno per una famiglia media. E permetterebbe inoltre di creare un milione di nuovi posti di lavoro in Europa.

La Commissione europea pensa di rivedere la direttiva quadro "Ecoconception", che risale al 2005. La normativa definisce le esigenze minime per il consumo elettrico di 40 apparecchiature e influenza più della metà del consumo elettrico europeo.

Tuttavia questa direttiva è uno degli strumenti di ottimizzazione energetica più sottovalutati in Europa. Anche i responsabili del settore dell’energia alzano le spalle quando si chiede loro di quantificare il risparmio energetico da essa rappresentato.

In realtà la risposta non è difficile: se le norme energetiche fossero fissate in modo più ambizioso, le necessità europee in materia di elettricità e di gas si ridurrebbero rispettivamente del 17 e del 10 per cento. Un risultato che sarebbe positivo anche per il clima. Un risparmio del genere significherebbe che nel 2020 sarebbero rigettate nell’atmosfera 400 megatonnellate di anidride carbonica in meno, cioè una quantità equivalente al risultato del sistema di scambio delle quote di emissione europee o a due volte l’emissione totale di anidride carbonica dei Paesi Bassi. Sarebbe quindi il momento che funzionari e politici cominciassero a riflettere su questo punto.

La Cina e gli Stati Uniti hanno capito molto meglio i vantaggi economici e ambientali delle norme energetiche. In questi paesi un numero di funzionari dieci volte superiore a quello dell’Unione europea studia l’introduzione di norme sulle apparecchiature elettriche.

Un impegno che ha delle valide motivazioni: uno studio statunitense ha mostrato che ogni dollaro speso per nuovi funzionari impegnati in questo settore rappresenta 60mila dollari di risparmio energetico per i consumatori finali.

A causa della mancanza di competenza della Commissione europea, ci vogliono a volte anche più di cinque anni per introdurre una norma energetica. Nel frattempo il mondo continua ad andare avanti e quando queste norme entrano in vigore, sono già superate. Così Sharp ha deciso di lanciare un televisore che consuma il 50 per cento in meno di quanto richiesto dalla norma in vigore. Ci vogliono delle procedure più rapide per introdurre norme energetiche più rigorose.

Al contrario di quello che si pensa, rafforzare le norme energetiche permetterebbe di migliorare la competitività dell’economia europea. Anche le imprese fuori dall’Ue, come i produttori cinesi, dovranno adeguarsi alle norme più rigorose quando vorranno proporre i loro prodotti sul mercato europeo.

Per una impresa elettronica come la Philips, questo sarebbe un vantaggio. I suoi prodotti diventerebbero più interessanti (perché più economici) per i clienti. Certo, il prezzo di acquisto di un televisore aumenterà di una decina di euro, ma i clienti risparmierebbero il quadruplo durante l’utilizzo dell’elettrodomestico.

Tuttavia in Europa rimane sempre almeno un produttore per ogni gruppo che non ha voglia o non è in grado di fare degli sforzi supplementari per rendere i suoi prodotti più economici. L’attività di lobbying di questi ritardatari impedisce ai cittadini e a tutte le altre imprese europee di approfittare completamente dei vantaggi economici della direttiva Ecodesign.

In ogni modo è confortante sapere che di recente alcuni giganti dell’elettronica come Philips, Electrolux, Camfil Farr e il gruppo Bosch Siemens abbiano chiesto ai paesi europei di rafforzare rapidamente le norme energetiche sugli elettrodomestici.

L’Europa ha tutto l’interesse a investire nello sviluppo e nella fabbricazione di una tecnologia pulita, piuttosto che spendere somme più consistenti nell’importazione di energia (nel 2011 sono stati spesi solo per importare petrolio 300 miliardi di euro).

Inoltre una crescita verde può creare quei posti di lavoro di cui tanti giovani disoccupati hanno bisogno. Adesso la palla è nel campo dei leader europei, che hanno abbastanza buon senso per sapere dove cogliere queste risorse a portata di mano.

Traduzione di Andrea De Ritis

Fonte: http://www.presseurop.eu/it/content/article/2495971-un-aiutino-l-economia

mercoledì 8 agosto 2012

DOCUMENTO di SOSTEGNO a ROBERTO SCARPINATO e alla LIBER TA’ di ESPRESSIONE

Mi è capitato ieri di leggere questo post di Francesco Messina che condivido perchè la libertà di espressione è sancita della Costituzione come diritto inalienabile di ogni cittadino indipendentemente dalla professione che svolge.
Ho deciso di condividerlo e farlo conoscere al maggior numero di persone(pubblicato su FB)

"Trascrivo il documento, che ho contribuito a redigere, a sostegno del Collega Roberto Scarpinato.
Il documento e' stato sin ora firmato da 320 magistrati italiani e da molti esponenti della società civile attenta ai principi democratici.
Chi vuole può condividere". Francesco Messina

Chi ha memoria storica e consapevolezza culturale sa che la storia del nostro paese è anche la storia di poteri criminali che ne hanno condizionato lo sviluppo sociale, politico ed economico.
Chi ha una coscienza morale e professionale e il coraggio di non rassegnarsi a quello che è accaduto ed accade nel nostro Paese, ha il dovere civico di associare il proprio impegno professionale e culturale alla difesa intransigente dei valori costituzionali e di opporsi al rischio di un progressivo svuotamento dello statuto della cittadinanza che, lasciando spazio al crescere di una rassegnata cultura della sudditanza, determina il degrado del vivere comune a causa del proliferare di sopraffazioni, arroganze e cortigianerie interessate.
Chi, oltre a possedere quella coscienza e quel coraggio, può spendere la credibilità di una vita passata a combattere i poteri criminali, ha il dovere e il diritto di marcare la differenza tra l'agire autenticamente democratico e quello di chi si adatta alle situazioni e preferisce il vivere mediocre che supporta e stabilizza le ingiustizie e le mistificazioni.
E' il dovere della verità e della conoscenza ciò che qualifica la statura etica della persona, qualunque sia la sede o il contesto in cui si concretizza la sua esistenza.
La verità e la giustizia insite nella coscienza, nel coraggio, nell'impegno di ogni cittadino non possono essere fonte di equivoci o divenire espressione di un sapere egoistico in quanto socialmente limitato. Esse devono, invece, manifestare il pregio della chiarezza, della trasparenza, del riconoscimento, anche ricordando quanto la fatica giurisdizionale ha accertato nell'interesse primario del sapere collettivo.
Il 19 luglio 2012 Roberto Scarpinato ci ha ricordato la coscienza, il coraggio, l'impegno per la giustizia e la verità di Paolo Borsellino, il quale, esponendosi in prima persona, denunziò pubblicamente più volte come per mobilitare tutte le migliori risorse della società civile nel contrasto alla mafia, fosse indispensabile ripristinare la credibilità dello Stato minata da quanti, pur ricoprendo cariche pubbliche, conducevano tuttavia vite improntate a quello che egli definì il “puzzo del compromesso morale che si contrappone al fresco profumo della libertà”.
A venti anni dalla strage di via D’Amelio restano, purtroppo, attuali le sofferte parole che Paolo Borsellino, esempio illuminante di uomo di Stato, dedicò a questo tema e ricordate da Roberto Scarpinato: “Lo Stato non si presenta con la faccia pulita .. Che cosa si è fatto per dare allo Stato.. una immagine credibile?.... La vera soluzione sta nell’invocare, nel lavorare affinché lo Stato diventi più credibile, perché noi ci dobbiamo identificare di più in queste istituzioni“. "No, io non mi sento protetto dallo Stato perché quando la lotta alla mafia viene delegata solo alla magistratura e alle Forze dell’Ordine, non si incide sulle cause di questo fenomeno criminale”.
Lo scritto di Roberto Scarpinato, nella forma di una lettera ideale, così come gli era stato richiesto dai familiari di Borsellino, è stato un omaggio alla verità ed alla giustizia, un ringraziamento a Paolo Borsellino, un corrispondere a un debito di riconoscenza che mai salderemo del tutto.
E' stato l'espressione concreta del dover essere al servizio della comunità attraverso una partecipazione "alta" alla vita della "polis", finalizzata alla consapevolezza e alla responsabilizzazione critica di ogni cittadino.
Le parole di Roberto Scarpinato, nell'esaltare la cultura delle Istituzioni, sono state anche esempio di adeguatezza comunicativa: hanno assolto al dovere di comprensibilità verso chi ha meno presidi culturali, senza abbassare il sentimento di autentica giustizia, che troppo volte viene eluso preferendo la comodità del linguaggio autoreferenziale dei pochi, insensibile al desiderio di conoscere e di crescere culturalmente dei molti.
Il suo discorso non ha seguito la celebrazione del "mito" di Paolo Borsellino, tranquillizzante nella sua fissità sterile, ma ha voluto indicare l'Uomo e il Magistrato come suscitatore di coscienze profonde che avvertono l'ineludibile necessità di pensare e di agire nella prospettiva di un positivo cambiamento comune.
Abbiamo appreso dalla stampa che, a seguito della lettera dedicata da Roberto Scarpinato a Paolo Borsellino, è stata aperta presso la Prima Commissione del CSM una pratica per il suo trasferimento di ufficio e che la richiesta di apertura della pratica è stata trasmessa dal Comitato di presidenza del CSM alla Procura generale presso la Corte di Cassazioneper eventuali iniziative disciplinari.
L’Associazione Nazionale Magistrati, il 26 luglio 2012, ha espresso sorpresa e preoccupazione per tale iniziativa ritenendo che quel discorso non possa essere inteso che come “manifestazione di libero pensiero, quale giusto richiamo, senza riferimenti specifici, nel ricordo delle idee e delle stesse parole di Paolo Borsellino, alla coerenza di comportamenti ed al rifiuto di ogni compromesso, soprattutto da parte di chi ricopre cariche istituzionali”.
Il discorso di Roberto Scarpinato, a nostro parere, merita di essere diffuso, nelle istituzioni e nelle scuole, tra i concittadini onesti ed impegnati. A titolo di merito per chi ha ricordato un pezzo della nostra storia con la credibilità del proprio passato. Come monito alle tante persone che si stanno formando una coscienza civile o a quelle che possono cedere alla tentazione della disillusione, e come esortazione a tener sempre un comportamento esemplare e onesto nell'interesse Stato democratico e costituzionale.
Non si tratta di discutere solo della possibilità di un magistrato (dell'autorevolezza di Roberto Scarpinato) di esprimere le proprie opinioni con la ponderazione e lo scrupolo che derivano dalla delicata funzione svolta, ma anche di assicurare alla collettività italiana il congruo bagaglio cognitivo ed etico.
C'è necessità di parlare con quella che i greci chiamarono "parresia", ovvero con la libertà e il dovere morale di chi non teme di urtare la suscettibilità di alcuno perché non prevede di aver benefici o debiti nei confronti del Potere.
Per questi motivi facciamo nostre le nobilissime parole della lettera di Roberto Scarpinato a Paolo Borsellino.