martedì 1 gennaio 2019

Il riscaldamento del pianeta per l’effetto serra; nel 2018 ancora nebbia. Il punto sui trasporti. LAMBERTO ROBERTI•SABATO 15 DICEMBRE 2018


di Lamberto Roberti
Direttore responsabile
Quotidiano la Costituzione
Pesaro, 10 dicembre 2018
Il trasporto è l'unico settore dell'economia le cui emissioni di gas serra aumentano ancora a livello globale. In Europa, le emissioni di CO2 del trasporto stradale sono aumentate dal 2013 e contribuiscono a circa un quinto (20%) delle emissioni totali dell'UE.
Non c'è più tempo per giocare a nascondino dietro gli interessi petroliferi.
Sbaglia Diana Ürge-Vorsatz, direttore del Centro per i Cambiamenti Climatici e Politiche per l'Energia Sostenibile e prima del CEU People di Budapest, quando afferma: "Quindi, probabilmente ci sarà una moltitudine di soluzioni, che saranno prese in considerazione." Nessuna delle soluzioni prese in considerazione dagli organi addetti alla soluzione del problema, sarà una strada percorribile per risolvere il problema reale ed impellente.
Le principali soluzioni prospettate sono: il passaggio all’elettrico puro, il biodiesel e l’GNL come carburanti. Inoltre l’unica positività, l’affinamento delle tecnologie dei motori che procede a regolazione fine. Altre sensate, ma non relative ai trasporti, come la coibentazione dei vecchi edifici, le nuove costruzioni con bassi coefficienti di dispersione obbligati e pompe di calore.
Il passaggio all'auto elettrica, non è una reale soluzione per la diminuzione dei gas serra. Allontana le emissioni di CO2 dai centri metropolitani, nella cui area sono concentrate le auto, risolvendo malapena il problema delle polveri sottili. La stessa quantita di anindride carbonica viene emessa nel luogo di produzione dell’Energia elettrica. In quantità addirittura maggiore rispetto ai carburanti raffinati combusti negli automezzi, benzine e frazioni di distillazione del petrolio grezzo.
I fumi di queste centrali, vengono immessi nell'aria e nell'arco di pochi giorni o settimane, per effetto della rotazione terrestre e di perturbazioni locali, si miscelano alla restante aria dell'intero pianeta terra.
Diversi metodi di rilevamento indicano fra il 70 e l’80% l'energia elettrica prodotta con carbonio estratto dal sottosuolo. Tante le tipologie di prodotti utilizzati a cominciare dai carboni, antracite, litantrace, coke e lignite. Le frazioni degli idrocarburi grezzi, oleum, petrolio, GPL ed il metano (CH4). Il meno inquinante, salvo le varianti naturali in purezza, inteso come condizione inquinante del giacimento stesso.
Ciò che appare evidente ed elementare è la falsità delle politiche del cambiamento climatico, per nulla protese ad una vera soluzione del problema.
L’inazione tende invece ad imbrigliare l’urgente e puntuale attività per chissa quanti anni ancora, nelle mani delle “sette sorelle”, oggi scompaginate nella Finanza globale, nel tentativo di sfruttare al massimo e per il maggior tempo possibile le fonti del sottosuolo, deleterie per l’equilibrio naturale e la salute del pianeta. Con l’unico scopo del profitto.
Quantunque risolta l’emissione di CO2 nei trasporti, tutto il comparto chimico mondiale, per mole di produzione di anidride carbonica, che conta miliardi di tonnellate annue, dovrà rivedere i protocolli di produzione dei prodotti chimici derivati dalla sintesi del petrolio. Soprattutto di resine plastiche per la produzione del monouso. Moda consumista che una politica assente, quantomeno superficiale se non corrotta, senza normative stringenti, ha lasciato allo sbaraglio. Oltre al ben noto problema dell’inquinamento fisico da plastica in ogni angolo della terraferma e negli oceani.
Ciò che si legge in questo periodo sulla stampa, poco e pessimo, da giornalisti sollecitati dal Salone KeyEnergy ed Ecomondo svoltosi a novembre a Rimini, oltre all’attuale conferenza mondiale sul clima, che si tiene a Katowice in Polonia, in cui si discute l’accelerazione del riscaldamento del pianeta, con tutte le conseguenze già sotto gli occhi di tutti, senza parlare di scenari apocalittici solo fra quanche decennio, che impongono di ritoccare i tempi stimati dall‘accordo dii Parigi. E’ scioccante vedere propinate notizie spudoratamente false ai lettori anche su quotidiani nazionali.
Leggere sparate dell’amministratore delegato dell’Enel Francesco Starace: “Cambieremo la mobilità italiana. Accelerazione sulle fonti rinnovabili e 450 mila punti di ricarica per auto elettriche (fra pubbliche e private): il futuro e già qui”. L’intervista di Fabio Bogo su la Repubblica A&F, da la misura dell’attuale situazione politica nazionale e mondiale.
I cittadini vengono presi per il naso e gestiti come pecore da mungere e sfruttare, senza minimi accorgimenti per la salute generale delle persone, del pianeta, e degli stessi idioti responsabili, i quali, comuni mortali, subiranno le ire della natura. Ciò che acceca ed ottunde le menti di costoro, sono i numeri di un desktop. Neppure più il denaro, diventato ormai virtuale.
Dal 2009 non ho letto un solo giornalista che abbia scritto qualcosa di sensato sul tema ‘auto e ambiente nel futuro’.
L’ultima trovata nazionale, in ordine di tempo, fatta passare per miglioramento delle emissioni è il GNL, acronimo di Gas Naturale Liquefatto, alla pompa LNG (inglese), composto soprattutto da metano (CH4) ed una miscela di gas alifatici, etano (C2H6), propano (C3H8), e butano (C4H10). Come si può rilevare dalla formula bruta, tutti contengono C che nella pirolisi, assume lo stato finale di CO2.
Un’altra presa per il naso per i cittadini, che ignoranti di chimica, sono in balia di messaggi pubblicitari ingannevoli di falsi profeti e della televisione.
Bio-diesel. Nome altisonante per il suffisso bio, che potrebbe far pensare ad un carburante biologico quindi non inquinante. Non è affatto così. Anche la scarsa presenza di quella infinita quantita di molecole che troviamo negli idrocarburi, migliora di poco la quantità e qualità di incombusti nei gas di scarico oltre la solita CO2. Proprio per le caratteristiche del sistema di reazione, che avviene nella camera a scoppio del motore a ciclo diesel. Ovvero per innesco all’alta temperatura creata, grazie all’alta pressione raggiunta dalla miscela iniettata per compressione del pistone , che scoppia. Il prodotto di combustione e del tutto simile al diesel di provenienza petrolifera, stante le simili condizioni di regolazione dei reagenti.
La potente lobby agricola, sulla traccia dell’America del Sud, Brasile in particolare, da decenni persegue il business del carburante, ricco quanto ampio, esteso a tutto il mondo.
Quindi anche il biodiesel è un’altra presa per il naso del cittadino, che ignaro, acquista felice, pensando di aver contribuito al benessere del pianeta. Mentre così non è.
Il metano (CH4), risulta essere il migliore. La sua combustione produce una sola molecola di CO2 e due di H2O con un impatto ambientale minimo rispetto agli altri idrocarburi. Scelte politiche non oculate ne hanno limitato l’espansione. Su circa 20 mila distributori di benzine, di metano soltanto un migliaio. Non supera il 5%.
Comunque, anche il metano produce una molecola di anidride carbonica che va ad aggiungersi a quelle già nell’aria.
Dei piccoli sistemi elettrolitici per la produzione di idrogeno, da abbinare al flusso di aria della carburazione, da alcuni anni sono posti in commercio su internet. In realtà procurano, a seconda della più o meno adattabilità della messa a punto del mezzo, in particolare a ciclo diesel, un miglioramento della resa che va dal 15 al 30%. Sistema interessante, ma ben lontano dall’auto ad idrogeno per cui viene spacciato. Anzi, procurando un danno d’immagine alla reale auto ad idrogeno. Convincendo la massa che l’H2 sia tutto lì, in quella trovata che cambia di poco l’inquinamento ambientale.
Ma allora quale possibile soluzione radicale risolverà il problema CO2?
Di soluzioni reali, una soltanto. L’idrogeno (H2), come combustibile e mezzo energetico.
Anche un bambino capisce al volo che la reazione di 2 H2 + O2 produce solo 2 H2O, acqua. In una camera a scoppio di un motore classico o in una Fuel Cell dove l’H2 si ricombina all’ossigeno (O), non compare la CO2, ne le PM10, elementi inquinanti.
L’idrogeno H, primo elemento della tavola periodica di Mendeleev. Primo per concentrazione sulla terra. Sono poche le cose che noi vediamo intorno, il cui componente principale non sia l’H. La chimica organica, o chimica del carbonio, potrebbe chiamarsi anche chimica dell’idrogeno, molecola numericamente maggiore, ma per il rapporto in peso atomico di 1 a 12, non maggiore in peso della materia.
Ma esiste un problema per reperirlo. Sulla terra, nell’aria, non staziona come gas in modo libero. Talmente leggero e volatile che velocemente raggiunge gli spazi siderali. Nell’universo conosciuto lo troviamo di nuovo al primo posto.
Oggi la produzione dell’idrogeno nell’industria chimica, usato in massima parte per la produzione dell’ammoniaca, 100 milioni di ton. annue nel mondo, base per fertilizzanti, viene estratto da gas di cockeria ricavato dalla distillazione a secco di carbone (litantrace) o dal syngas prodotto dalla reazione di reforming con vapore di idrocarburi.
E’ facile capire da queste righe, che la produzione di idrogeno per via industriale non è scevra da CO2 come da ossido di carbonio (CO). Ciononostante questo problema, è ciò che le famose “sette sorelle”, ovvero la finanza mondiale, sta tentando di fare, nel silenzio più totale dei media e del mondo scientifico. Purtroppo per logica e pratica deduzione, al soldo del padrone. Per un passaggio morbido, indolore, dal business dall’attuale petrolio a quello all’idrogeno, senza perdere il dominio finora aqcuisito ed i lauti guadagni finora accumulati.
Nel 2009 le “sette sorelle” decisero di affossare l’idrogeno.
Comprarono lo stato italiano. In particolare uomini di riferimento come Fabio Orecchini, factotum del settore espositivo e giornalista, che ha lavorato contro l’H2 per un decennio.
In sordina fecero scomparire le esposizioni in cui si rendicontava la ricerca sull’H2.
La stessa ENEA, fiore all’occhiello della ricerca italiana, è stata privata di finaziamenti, di personale e bloccata sulla ricerca H2, dirottando le scarse risorse umane ed economiche soltanto nella ricerca di sistemi di accumulo di energia elettrica, sulle batterie. Il salone biennale H2Roma svuotato e spostato a Rimini con KeyEnergy ed Ecomondo. Nel 2017 le ditte Toyota e Hyundai non portarono più neppure le auto ad H2 in esposizione. Era presente solo l’Ibrido. Fino a giungere all’edizione 2018 in cui è scomparso anche il simbolo dell’H2 dal logo e dalle locandine pubblicitarie. L’unico stand che parlava di H2 era H2KM0 Srls ovvero Idrogeno a Km zero, concesso dopo 9 anni di attesa. Neppure riportato nel Catalogo Ufficiale perché già dato in stampa al momento del contratto. Un distributore autonomo in energia elettrica per elettrolisi dell’H2O, con un modulo base di 50 pieni al giorno, con serbatoi di circa 6 Kg, sufficienti per oltre 800 Km. Modulo replicabile all’infinito che attende soltanto cittadini interessati all’impianto che abbiano a disposizione un Ha di terreno o gia una terreno con un MW di energia che potrebbe rendere il triplo della vendita di corrente alla rete nazionale (Enel). Preferibile la vicinanza a strade statali e caselli di autostrade.
Tutto sostituito dalla parola “sostenibile” a cui stanno dando il significato opposto della ragione per cui è nata, in associazione ad altre parole. Sviluppo sostenibile. Ambiente sostenibile. Citta sostenibile. Concetti traviati, che oggi esprimono solamente la capacità economica-finanziaria del progetto. Senza più uno sviluppo pratico della ricerca, o dell’immensa ed immediata attività lavorativa possibile. Senza più reali valutazione ambientale, bensì parametri dettati a tavolino dall’interesse economico. Senza più valutazione delle necessità e priorità della città e dei bisogni delle persone. Una “sostenibilità” decisa da burocrati, a busta paga delle multinazionali.
Ma questo non è bene per l’aria del pianeta terra.
In aiuto al dilemma, la chimica dell’idrogeno offre il suo uovo di colombo. Partire dall’acqua (H2O) e riavere come residuo di reazione, dal tubo di scarico dell’auto, acqua pura (H2O). Ciò è già possibile realtà tecnologica.
Belle auto di quasi tutti i più grandi produttori, con i giapponesi in testa, sono in vendita in tutto il mondo da un decennio, meno che in Italia non potendo essere omologate fino allo scorso mese con serbatoio a pressione di 700 bar, perché il limite posto dal Ministero dei Trasporti era 200 bar. Dal 1 gennaio alcune ditte produtttrici, come Toyota, Honda, Yundai metteranno a listino anche in Italia codeste auto ad H2. Sedersi alla guida di un’auto ad idrogeno, dal cruscotto digitale, al silenzio del propulsore, con prestazioni eccellenti del tutto simili alla categoria, sembra di stare in un’astronave terrestre.
Realmente si può affermare “il futuro e già qui”.
Tutto ciò attraverso un semplice processo di scissione dell’acqua in H2 ed O2. Dove si produce H2 per elettrolisi dell’acqua, l’aria circostante si arricchisce di O2 prodotto non raccolto e liberato nell’aria. La classificazione come industria chimica ed i relativi limiti normativi, fanno ridere i polli. Ma perché tutto il processo sia pulito, serve energia elettrica da fonte rinnovabile. Le attuali tecnologie permettono di ottenere energia pulita dal sole con pannelli solari e dal vento con pale eoliche, solo per indicare le principali, migliori ed illimitate.
Ed il gioco è fatto.


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