martedì 12 settembre 2017

DA RIMINI A FIRENZE: LO STUPRO DIVENTA UNA BAGARRE POLITICA E MEDIATICA



Da Rimini a Firenze, casi di stupro e violenze sessuali contro donne e ragazze al centro di un agone mediatico e politico. La violenza sparisce come soggetto, si delineano tifoserie e distinguo, sui giornali si fa spettacolo pubblicando particolari morbosi mentre leader politici e istituzionali cavalcano l’onda con dichiarazioni fuori luogo.
Se per i 4 stupratori di Rimini le condanne sono nette e si agita la strumentalizzazione del “migrante violentatore” sui carabinieri si attivano prudenze o sospetti. Da Salvini al sindaco Nardella si contestualizza la presunta violenza nonostante le prese di posizioni nette del ministro della Difesa Pinotti e del generale dell’Arma Del Sette.
La criminologa: “donne stuprate due volte, anche da opinione pubblica”
Per capire cosa sta accadendo al Paese sul fronte della violenza di genere parla la criminologa e psicoterapeuta Rosaria Cataletto (a sinistra nella foto) che con il suo lavoro è in prima linea costante su questo fronte.
Caso Rimini, ora Firenze, fino a quelli che avvengono nel quotidiano in silenzio. Lo stupro sta diventando, però una tragica bandiera di lotta politica su chi lo commette: cosa ne pensa?
Lo stupro ha sempre avuto una connotazione politica, partendo da quelli di massa che a tutt’oggi ancora si verificano in tantissimi paesi, come predominanza della propria etnia, come possesso di territorio, come indice della supremazia maschile sulla donna. La connotazione politica, che sia su larga scala, o limitata al singolo caso, resta invariata. Infatti, questo viene percepito diversamente a secondo, della fede politica che ci sottende, e a secondo d chi è lo stupratore.
Il caso Rimini è emblematico. Vediamo una larga parte di sinistra che in modo più o meno velato cerca di contenere le aberranti azioni commesse quelle notte da tre ragazzi sventolando in maniera giusta, tra l’altro , che non è stato il colore della pelle il responsabile di quella azione. Dall’altra parte abbiamo una destra che ha visto in questo il segno divino per una lotta senza fine verso tutto ciò che non è bianco, non è nazionale.
Allo stesso modo, dopo qualche giorno, vi è lo stupro di due ragazze americane, fatto da due italiani e tra l’altro militari , le cui reazioni della stampa e quelle popolari hanno ribattuto lo stesso iter dello stupro di Rimini.
Una gran fetta di simpatizzanti della destra, che in maniera quasi spasmodica difendono l’onore nazionale della divisa prima e degli uomini dopo, e una sinistra che invece attacca su tutti i fronti, urlando le proprie ragioni. Sia nel primo caso che nel secondo caso è indubbio che della donna che ha subito lo stupro, non interessa nulla a nessuno, del dolore di questa, della sofferenza, dei danni che si porterà dentro per il resto della vita, non interessa ne a destra e a sinistra. Ognuno attraverso quello stupro, porta i colori del proprio simbolo politico, evidenziando ancora di più, che il fatto che oggi non esiste più una sinistra o una destra, è la teoria più inesatta che possa esserci.
Ma indipendentemente dalla destra o dalla sinistra, la donna che subisce uno stupro viene marchiata e purtroppo molto spesso, le critiche peggiori provengono proprio dalle donne. Proprio per questo motivo di ordine sociale e culturale, la vittima di violenza sessuale viene continuamente stuprata prima dall’aggressore e poi, senza pietà alcuna dalla pubblica opinione e dalla stampa.
Una grande polemica è nata sulla pubblicazione dei particolari della violenza sessuale di Rimini: la responsabilità etica dei giornali è proporzionale alla “domanda” maschile su questi aspetti morbosi?
Tutto è un grande spettacolo, tutto fa audience, i like sono la chiara rappresentazione della nostra importanza. I giornali propongono titoli e articoli che indicano uno stato di reale corrispondenza tra la richiesta e la domanda. La morbosità espressa dai quotidiani circa i particolari di una violenza, altro non è che l’indice di uno stato di malattia di una popolazione.
A questo si aggiunga che i social vengono utilizzati come platee dove per alzata di mano o di clik, si stabilisce ciò che è bene o male, provocando una sorta di influenza collettiva. Più è attivo questo fenomeno, più la stampa perde di vista la sua reale connaturazione rappresentata dalla semplice esposizione di fatti, cercando di presentare le notizie in maniera più o meno imparziale. In sintesi, scrivono fatti, secondo modalità che ai loro utenti più sono gradite.
In questa situazione, la violenza di genere sparisce dall’agenda politica se non in forma di contesa; qual è la sua analisi del nostro paese su questo fenomeno?
La violenza contro le donne è un fatto innegabile, dove spesso la famiglia, diventa il luogo ideale dove perpetrare queste condotte. Purtroppo, la visione di determinati comportamenti tende a radicalizzarsi, per cui, quasi sempre a livello generazionale, troviamo poi, gli stessi modelli. Sono questi aspetti culturali cosi interiorizzati dove le stelle leggi non riescono a portare modifiche significative. Inoltre non dimentichiamo che la stessa politica spesso si macchia di incuria verso il sesso femminile, una chiara conferma di ciò che è stato indicato e lo possiamo trovare nella legge sullo stalking.
Osservando le evoluzioni di questa negli ultimi anni, fino ad arrivare alle ultime modifiche, avute nel luglio di quest’anno, sembra essere ritornati indietro di decenni, dove l’offesa , l’umiliazione, la paura e la dignità della donna, assumono un valore economico. Gli eventi legati ai diversi stupri di questa lunga estate, ha senz’altro distratto sia la pubblica opinione, sia il legislatore. Tutti sono coinvolti tutti in show mediatici, a destra richiedono pene esemplari, a sinistra sventolano tutele per tutti. In realtà, viviamo in uno stato che non è in grado di tutelare nessuno.
Gli indicatori sociali del paese confermano ancora una posizione marginale della donna nel lavoro, nei ruoli dirigenti, o continua quella visione di madre velina: quali sono le condizioni culturali di questa condizione?
La condizione della donna nel nostro paese subisce ancora tanto gli influssi culturali, legati a millenni di storia, che l’hanno sempre relegata a posizioni marginali. Le donne che contestavano determinati ruoli, sempre, sono state allontanate dalla loro quotidianità. Nel medio evo venivano rinchiuse in conventi religiosi, poi con l’inquisizione arse vive, successivamente ospedalizzate, fino ad arrivare al fascismo, in cui ospedali psichiatrici o meglio i famosi “manicomi”, rappresentavano la naturale destinazione, per tutte quelle che rifiutavano ruoli affidati dallo stereotipo.
Nella nostra cultura ancora è molto forte il ruolo della donna madre, a cui affidare il ruolo dell’intera famiglia, dell’educazione dei figli e del sano funzionamento di quel sistema. Ci scandalizziamo per un meteorite che colpisce la madre mentre prepara la colazione, capirà quanto siamo ancora lontani da quel processo di parità professionale che invece dovrebbe essere garantito.
Purtroppo, negli ultimi anni anche da noi in Italia, si è affermato il mito della donna manager epur essendo privi di tutto il contesto culturale che sottende una tale metamorfosi. Chiaramente, mancando un valido e solido supporto culturale, ci ritroviamo donne che strafanno. Donne stanche, proiettate solo tra lavoro, responsabilità, figli, casa e l’immancabile marito, che ancora fa da supervisor.
Giuseppe Manzo
@nelpaeseit

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