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Pubblichiamo, condividendone in pieno le parole, il comunicato
stampa emanato ieri 8 agosto dall’Agenzia Habeshia e dal suo presidente
don Mussie Zerai, contro cui oggi si sta scatenando l’ennesima ignobile
macchina del fango. Conosciamo da tanti anni don Mussie e il suo
impegno per coloro che fuggono da una delle peggiori dittature che
insanguinano il continente africano, conosciamo la sua enorme autorità
morale che lo ha reso più volte al centro di minacce e attacchi.
Conosciamo il sorriso che tanti uomini e donne che si sono salvati
fanno, quando si pronuncia il suo nome. Persone che hanno rischiato la
vita in mare, persone che hanno subito violenze indicibili nei paesi in
transito, persone che oggi hanno riconquistato il diritto a vivere anche
grazie all’esistenza di persone come lui. Non ci spaventano le indagini
che si faranno come non spaventano Don Mussie. Ci spaventano e siamo
indignati di fronte alla precisa volontà politica di chiudere la bocca a
chiunque oggi, con la propria opera volontaria, racconta una verità
diversa da quella dei governi e degli strumenti di disinformazione di
regime.
don Mussie Zerai
presidente dell’Agenzia Habeshia
Comunicato stampa

Negli
ultimi giorni, prendendo spunto dall’inchiesta aperta dalla Procura di
Trapani su alcuni episodi di cui si sarebbero resi protagonisti membri
della Ong tedesca Jugend Rettet, sono stato chiamato in causa da qualche
testata giornalistica per episodi che, così come sono stati ricostruiti
e raccontati, si rivelano a mio avviso vere e proprie calunnie e, per
la sistematicità con cui vengono rappresentati e diffusi, potrebbero
configurare una vera e propria campagna denigratoria nei miei confronti e
di quanti collaborano con me nel programma umanitario in favore di
profughi e migranti, che abbiamo costruito nel corso di anni di lavoro.
Mi riservo di controbattere nelle sedi legali opportune a questa
serie di calunnie che mi sono state indirizzate. Per il momento posso
dire di aver ricevuto solo la mattina di lunedì 7 agosto, mentre
rientravo da un viaggio di lavoro, la notizia che la Questura di Trapani
dovrebbe notificarmi l’avviso di un procedimento per conto della locale
Procura. Immagino che sia un provvedimento ricollegabile all’inchiesta
aperta sulla Ong Jugend Rettet. Se di questo si tratta, posso affermare
in tutta coscienza di non aver nulla da nascondere e di aver agito
sempre alla luce del sole e in piena legalità. A parte l’iniziativa di
Trapani, di cui ho già informato i miei legali in modo da prenderne
visione ed eventualmente controbattere in merito, non sono stato
chiamato in alcuna altra sede per giustificare o comunque rispondere del
mio operato in favore dei profughi e dei migranti.

Confermo
che, nell’ambito di questa attività – che peraltro conduco da anni
insieme ai miei collaboratori – ho inviato segnalazioni di soccorso
all’Unhcr e a Ong come Medici Senza Frontiere, Sea Watch, Moas e Watch
the Med. Prima ancora di interessare le Ong, ogni volta ho informato la
centrale operativa della Guardia Costiera italiana e il comando di
quella maltese. Non ho invece mai avuto contatti diretti con la nave
della Jugend Rettet, chiamata in causa nell’inchiesta della Procura di
Trapani, né ho mai fatto parte della presunta “chat segreta” di cui
hanno parlato alcuni giornali: le mie comunicazioni sono state sempre
inoltrate tramite un normalissimo telefono cellulare. Tutte le
segnalazioni sono il frutto di richieste di aiuto che mi sono state
indirizzate non da battelli in partenza dalla Libia, ovvero al momento
di salpare, ma da natanti in difficoltà al largo delle coste africane,
al di fuori delle acque territoriali libiche e comunque dopo ore di
navigazione precaria e pericolosa. Quando mi è stata comunicata nella
richiesta di aiuto, ho specificato anche la posizione in mare più o meno
esatta del natante. Lo stesso vale per il numero dei migranti a bordo
ed altre notizie specifiche: persone malate o ferite, donne in
gravidanza, rischi particolari, ecc. In buona sostanza, cerco di avere
ogni volta le informazioni che mi sono state indicate proprio dalla
Guardia Costiera Italiana. E’ vero che di volta in volta ripeto la
segnalazione anche via mail, ma anche questo è dovuto a una indicazione
che ho ricevuto nel 2011 dal comando centrale della Guardia Costiera,
che mi chiese di confermare i miei messaggi via mail, cioè in forma
scritta, dopo la tragedia avvenuta nel Mediterraneo tra i mesi di marzo e
aprile (63 morti), in merito alla quale diversi soggetti negarono di
aver ricevuto richieste di soccorso.
Non si tratta dunque, come qualcuno ha scritto, di messaggi
telefonici in rete “pro invasione” dei migranti – ammesso e non concesso
che sia una invasione, ipotesi smentita dalle cifre stesse degli arrivi
rispetto alla popolazione europea – ma di interventi rivolti a salvare
vite umane. Interventi concepiti nel medesimo spirito, ad esempio,
dell’operazione Mare Nostrum – varata nel novembre 2013 dal Governo
italiano e purtroppo revocata dopo un anno – nella convinzione che se
programmi del genere fossero in vigore ad opera delle istituzioni
europee o magari dell’Onu, probabilmente non sarebbe stata necessaria la
mobilitazione delle Ong e, più modestamente, quella di Habeshia, nel
Mediterraneo. Fermo restando che il problema non si risolve con il
soccorso in mare, per quanto tempestivo ed efficiente, ma, nel
breve/medio periodo, con l’organizzazione di canali legali di
immigrazione e con una riforma radicale del sistema europeo di
accoglienza e, nel lungo periodo, con una stabilizzazione/pacificazione
dei paesi travolti dalle situazioni di crisi estrema che costringono
migliaia di persone a fuggire ogni mese.
Quanto alle accuse che mi vengono mosse dal Governo eritreo, anche
queste ampiamente riprese da alcuni organi di stampa, si commentano da
sole: sono le accuse di un regime dittatoriale che ha schiavizzato il
mio Paese e non tollera alcun tipo di opposizione, perseguendo anche il
minimo dissenso con la violenza, il carcere, i soprusi, la calunnia. Un
regime – hanno denunciato ben due rapporti dell’Onu, dopo anni di
inchiesta, nel 2015 e nel 2016 – che ha eletto a sistema il terrore,
costringendo ogni anno migliaia di giovani ad abbandonare la propria
casa per cercare rifugio oltre confine.
Alla luce di tutto questo, ritenendo molte notizie pubblicate sul
mio conto assolutamente diffamatorie e denigratorie, ho dato incarico ai
miei legali di tutelare in tutte le sedi opportune la mia onorabilità
personale, quella del mio ruolo di sacerdote e quella di Habeshia,
l’agenzia che ho fondato e con la quale collaborano persone
assolutamente disinteressate e a titolo totalmente volontario.