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foto Elena Perlino (www.elenaperlino.com) |
Le
strade italiane, in particolare quelle periferiche delle grandi e medie
città, sono popolate da tante Joy, Jessica o Pamela, nomi fantasiosi di
donne dalla pelle scura, alcune succintamente vestite altre meno
appariscenti. Qualcuna perfino abbondante nei suoi lineamenti. Vivono ai
margini, spesso in situazioni di grande degrado urbano e vendono il
loro corpo per qualche decina di euro. Sono quelle che oramai da molti
sono conosciute come le ragazze di Benin City.
La prostituzione italiana
di pelle nera è quasi esclusivamente nigeriana e la stragrande
maggioranza (secondo alcuni dati, l'80%) proviene proprio dalla citta'
industriale di Benin City nell'Edo State.
La tratta delle donne
nere ha inizio a meta' degli anni '80, quando a seguito del boom
economico legato ai proventi del petrolio (abbondante in Nigeria e in
particolare nel Delta del Niger) originato negli anni '60, si assiste
alla prima crisi economica. Crisi che, bisogna essere onesti, e'
generata da una classe politica avida, corrotta e dittatoriale che ha
permesso alle multinazionali di depredare e devastare il territorio in cambio di enormi tangenti. In quegli anni sono nate delle vere e proprie cleptocrazie.
La prima migrazione
verso l'Europa ha fatto scoprire che in quei paesi vi e' una grande
richiesta (e quindi mercato) di donne a pagamento. Gli Europei, e gli
italiani in particolare, sono sempre stati dei fruitori del sesso a
pagamento. Sono stati scritti fiumi di parole sulle motivazioni di
questa propensione. Il maschio latino, il cattolicesimo, la
trasgressione, il desiderio di dominare sulla donna e infine, per quanto
riguarda le nigeriane, il fascino della pelle nera e molti falsi
stereotipi. Certo questa grande richiesta si e' incontrata con una
criminalita' organizzata, quale quella nigeriana, nata proprio in quel
contesto economico, che aveva bisogno di estendere i suoi traffici in
Europa (criminalità pervasiva). La mafia nigeriana nel tempo ha
consolidato i suoi traffici in due grandi settori: lo spaccio di
stupefacenti e la tratta delle donne, con un terzo settore d'interesse,
quello della falsificazione dei documenti, necessario agli altri due
molto più redditizi. Mentre per gli stupefacenti sono stati necessari
accordi con le mafie locali (in particolare con i clan in Campania - da
cui la base logistica nigeriana di Castelvolturno e il litorale
domiziano) per la prostituzione l'autonomia era molto ampia (i centri
logistici nigeriani erano soprattutto al nord, nel Veneto e in
Lombardia, in particolare). Si puo' affermare che la prostituzione e'
stata il cavallo di troia nigeriano per mettere la testa, e non solo,
nel grande business del malaffare europeo.
Bisognava, come si dice in gergo, saturare il mercato. Tra
la fine degli anni '80 e la meta' degli anni 90 sono giunte in Europa
un numero elevatissimo di giovani donne nigeriane, tutte con la promessa
di una vita migliore. Lo scherma e' oramai noto. A donne semi
analfabeti delle periferie povere e alle loro famiglie si promettevano
lavori in Europa (parrucchiere, badanti, baby-sitter, lavoro nei campi)
ben retribuiti. In cambio si chiedevano ingenti somme di denaro per
organizzare il viaggio e per i documenti necessari (tra i 30 e i 70 mila
euro). Somme che spesso le ragazze non avevano consapevolezza del loro
reale ammontare. Al fine di sancire l'impegno alla restituzione, si
organizzavano riti religiosi (di ispirazione vudu) e altre cerimonie che
creavano vincoli indissolubili. Chi conosce l'Africa sa quanto, molto
più di altre cose, un rito vincoli a vita un individuo ad un impegno.
Il
viaggio procedeva verso diverse rotte. Quella ad ovest, via aerea,
toccava la Spagna, quella ad est, raggiungeva la Grecia (o i paesi
dell'Est) o quella, più lunga e faticosa passava attraverso il deserto
libico o algerino e poi il Mar Mediterraneo (i particolare Algeria e
Marocco). Un viaggio dove nella maggioranza dei casi avveniva una
forzata iniziazione al lavoro futuro. Le donne erano violentate e
costrutte ad ogni surpruso. Un viaggio - poteva durare anche sei mesi -
in cui le donne erano nelle mani dei trafficanti che le usavano come
qualsiasi merce ed erano accompagnate da quello che in gergo viene
definito trolley (un addetto alle pratiche soprattutto aereoportuali).
Giunte in Italia, erano affidate a delle donne, chiamate madam o maman,
una sorta di matrigna che gestiva il quotidiano (casa, soldi e lavoro), i
loro documenti sequestrati fino alla estinzione del debito. I
meccanismi con cui le organizzazioni criminali ottenevano (e ottengono)
i documenti vedono naturalmente la complicita' di apparati dello Stato
(spesso gia' nelle ambasciate o nelle rappresentanza diplomatiche)
perche' con il denaro tutto e' possibile. La prostituzione era la sola
occupazione di queste donne, che sottratte le spese, pagato una parte
del debito, riuscivano anche a mandare a casa qualche soldo per le
famiglie, che le credevano (non sempre) a lavoro nella ricca Europa. In
quei anni le strade si popolarono di prostitute nere, spesso ad ogni
orario del giorno e della notte, costrette a tutto, nei luoghi piu'
degradati (la concorrenza con le italiane e dopo con albanesi e rumene
era alta, e la mafia nigeriana, contrariamente alle altre, non
interveniva molto in strada, lasciando alle donne il compito di
sgomitare in un giungla tutt'altro che semplice).
Le
donne nigeriane che hanno soddisfatto in tutti i modi centinaia di
migliaia di italianissimi padri di famiglia, hanno pagato un prezzo
altissimo in termini di violenza e di morti. Molte sono sparite nel
nulla, altre sono state trovate ai margini delle strade, massacrate e
sistemate in sacchi di immondizie. Altre sono state uccise da clienti
che nella loro per niente lucida follia, pensavano di aver trovato la
donna dei sogni o la schiava per qualsiasi depravazione.
Altre,
nel tempo, sono diventate a loro volta madam, occupandosi delle nuove
arrivate, quasi a continuare un ciclo che forse non avra' mai fine.
Qualcuna
e' riuscita ad estinguere il suo debito, ma anni di strada non si
cancellano con una spugna. Nel tempo e' cambiato qualcosa, le nuove
Jessica o Pamela, spesso partono sapendo cosa andranno a fare
(testimonianze dicono che già nel 1996-1997 a Benin City era chiaro cosa
avrebbero fatto le donne una volta giunte in Europa e in particolare in
Italia), ma le alternative in Nigeria non sono molte e la
consapevolezza delle condizioni di lavoro non sono cosi' alte. Il flusso
continua in modo ininterrotto, tra le maglie dei richiedenti asilo.
Ancora una volta, le violenze di Boko Haram sono funzionali (e forse non
solo) ai trafficanti di carne umana.
Ora
come allora, le ragazze sono in strada, nei luoghi piu' impensabili, si
vendono per poco e nonostante tutto sono ancora capaci di sorridere.
Ancora una volta, molti fanno finta di non vedere.
Per chi volesse approfondire suggerisco questa ricerca
di Franco Prina, che seppur datata (2003) ricostruisce con grande
precisione le dinamiche dello sfruttamento sessuale delle donne
nigeriane.
Vi segnalo anche il
lavoro fotografico di Elena Perlino, chiamato Pipeline proprio sulle donne nigeriane in Italia
Tra le tante testimonianze dirette che sono reperibili in rete, vi rimando a quella di Maris Davis Joseph (in particolare nelle toccanti pagine in cui parla della sua storia).