domenica 6 febbraio 2011

LA SPERANZA CHE VIENE DALL'EGITTO

In termini di filosofia politica, nei moti tunisini e egiziani si può intravedere il sorgere di una forma nuova di associazione cittadina che anela a istituzionalizzarsi in modo autonomo secondo il modello generico delle democrazie laiche. Questi processi faticheranno certamente a concludersi: in verità è vera democrazia il mai finito. Le convulsioni della nazione più potente – scardinando necessariamente il sistema di potere religioso islamico, che reagirebbe alla minima scalfittura – potrebbe durare a lungo, e costare botte, furori, sangue.
Noi non sappiamo far altro che deplorare sempre, ogni momento, ipocritamente, la violenza. Eppure la Convenzione, in Francia, svaginò la democrazia tagliando indegnamente teste; De Gaulle la salvò tra le bombe; la creazione di una autentica democrazia nella Spagna schiacciata dalla Chiesa cominciò entre riòs de sangre nel 1936 e durò quarant'anni; l'incompiuto risorgimento italiano ebbe bisogno di un tempo analogo, interamente costellato di violenze. Quel che oggi complica tutto è una verità tra le più allarmanti, questa: (Heidegger, Lettera sull'umanesimo; e la data è significativa: 1946). Nessuna democrazia moderna ( e neppure quella ateniese) è nata senza il terreno solido di una patria, surrogato della religione perdente, in fuga dalla tolleranza.
Dovunque, globalizzazione e consumi sono perdita di patria, diaspora d'esilio; il loro esito, e lo vediamo, se vogliamo vederlo, è disperazione economica, guerra mercantile tra entità statali prive di nome. Un trapianto d'industrie è la celebre fuga a Samarcanda del vizir che incontra la Morte nel suk di Baghdad: non sfuggirà alla fatalità.
Una crisi come quella che si è aperta al Cairo non può essere fermata con la semplice cacciata dal potere dell'uomo che si illudeva di fondare una dinastia di regime, sia pure stato a lungo quel che chiamiamo un , per il pavido Occidente.
Se in Italia c'è chi pensa che togliendo di mezzo Berlusconi si fa il bucato a una democrazia in condizioni di agonia ( sebbene affondata nella globalità più sbandante) come questa in cui perdiamo tutti il rispetto di noi stessi – dire che è di vista corta è misericordia. Gli anni di Berlusconi hanno il merito di aver fatto emergere dalla babele delle parole l'immangiabile verità di una forma democratica in sfacelo, come la casa degli Usher di Poe. Andate a leggervi quel racconto e vedrete qualcosa di simile alla democrazia italiana di questi Tristi Duemila.
Se da noi l'illegalità-chiave sono i partiti occupatori, ridotti a fazioni ruffiane di potere – come anomalmente predicano Pannella e i radicali – la nazione ha il dovere di non più tollerarli. Se le illegalità sono milioni, una sola grossissima può purgarle tutte, come un immane clistere: una rivolta popolare che sommerga letteralmente sedi e palazzi governativi e parlamentari, una marcia su Roma non di lugubri teschi ma di tricolori-multicolori persuasi del vento che li spinge, di cittadini vedovati di identità patria, un risveglio del Colosso di Goya fatto di uno, due, tre, quattro milioni di teste – la resurrezione di Bruto!
Intorno al 1880, il marchese Cesare Alfieri di Sostegno raccomandava: < Chiudete quelle fogne amministrative di Palermo e di Napoli!>: benissimo, ottimo consiglio – via le fogne, via le infezioni mafiose, la restituzione all'aria della sua respirabilità. A cosa può servire fare un processo dopo l'altro (in verità: a minacciarlo, coitus reservatus) contro persone singole, quando una intera classe dirigente è imputabile di fellonia, di tradimento, di sbranamento dell'unità patria?
A Ercole occorrerebbero milioni di braccia per ripulire le stalle d'Augìa di questa famosa Penisola!
E dopo il purgone bisognerebbe rifare tutto senza un solo batterio di quel che è stato, eleggere una Costituente repubblicana di facce nuove, senza più destra-sinistra, vuote occhiaie – una Costituente presidenziale capace di stanare un uomo giovane, incontaminato, un Kemal Ataturk libertario, figlio di qualche sobborgo disperato, e di farne un Primo Console. L'ossessione dell'economia globale, dell'investimento a oltranza, con le sue triviali predicazioni sulla crescita del prodotto e del suo forsennato consumo, spinge a capofitto nel baratro, fa crescere essenzialmente la sete di denaro, perchè il Pensiero Unico è padre di crimine, alimenta cronaca criminale...Ma finalmente ridiamo un po' di ossigeno a questo linguaggio asfissiato!
Fino a un coma tragico me l'hanno addormentata, questa parassitosa nazione di divisioni perpetue, che ha avuto dei Machiavelli ammutoliti, ma non un De Gaulle capace di dirci che ci ha capiti.
Non si vede, dappertutto stendiamo lo sguardo, che passività incurabile, torpore, inebetimento... (Così) bene lo previde, nel suo romanzo postumo, Guido Piovene).
La piazza egiziana ha acceso un barlume di speranza: il suo messaggio ancora sigillato viaggerà lontano. Un Egitto che immagina qualcos'altro, per sé e per tutti, è una pietra preziosa che irradia una luce insolita di fresca aurora.

di Guido Ceronetti

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