sabato 16 marzo 2013

LIBERO O LIBERALE ?

LIBERO O LIBERALE ?

Bellissima e dotta la dissertazione su Liberalismo, Liberismo e via di seguito del caro amico Giovanni Acerboni. Le sue parole hanno per me il credito che do a chi sa esprimersi con le parole influenzate dalla vita di chi ha fatto esperienza in una scuolaa mio avviso insostituibile: l'ambiente alpino. Le Alpi sono il mio mondo, la mia terra, la materia con cui sono costruito, a volte aspra come la roccia, o gelida come il ghiaccio, ma generosa di sole e di ampi spazi, in cui la libertà assume un senso compiuto, e condiziona la tua visione del mondo, dalla prospettiva delle alte quote, in cui le vallate sotto di te sembrano cose modeste, che non sono artefici della tua emozione. Dal cielo puoi vedere la terra ; dalla terra non puoi vedere il cielo, ma soltanto le stelle nelle limpide notti di vento, stelle t roppo lontane per essere comprese. In montagna impari la Libertà, che è fatta di rischio, fatica, responsabilità di scelte che possono anche rivelarsi mortali, e se non sei solo impari anche l'importanza del gruppo, del compagno di cordata da cui può dipendere la tua via o la tua morte. Imparare questo significa imparare a vivere.

Ma di questa parola sublime, LIBERTA' , che giustifica ai miei occhi le ragioni stesse dell'esistenza, si fa troppo spesso un uso improprio, come della parola AMORE, che della libertà è la naturale faccia opposta : AMORE e LIBERTA' : le due facce di una medaglia Senza prezzo. Ed è portando al collo questa medaglia invisibile che mesi fa decisi di entrare in questo movimento, dopo aver deciso molti mesi prima, di lanciare in rete parole in libertà, idee, speranze, valori.
Sono entrato in un movimento LIBERALE ma forse non libertario, forse non LIBERO. Le parole traggono in inganno con la loro sinteticità, dietro la quale chiunque può nascondersi , accampando a buon diritto di potersene fregiare, perchè queste parole non sono tutelate da alcun marchio esclusivo e chiunque ne può fare scempio. Come tu giustamente dici Giovanni parole come LIBERISMO hanno assunto connotazioni diverse nel tempo, rispetto ai significati che i primi ad usare queste parole avrebbero voluto dare loro.

Quindi io esito a dirmi liberale, o liberista, o qualsiasi altra cosa, perchè sono semplicemente un uomo LIBERO, libero dentro, nel mio cuore, condizionato dalle cose nella mia esistenza terrena, che frappongono molti paletti tra me e la mia libertà. Ecco quindi che per distinguere il mio pensiero e le mie parole in questi dibattiti politici io spesso uso un termine che non mi risulta così comune ed abusato, dicendo che FARE è, o meglio deve essere, un movimento LIBERAL POPOLARE, un accoppiamento di termini stridente per qualcuno che accoppia la parola popolare al mondo della sinistra, a sua volta accoppiato al mondo marxista o perlomeno socialista. Per chi come me crede nella libertà come valore tra i valori e crede al medesimo tempo che il solo limite della libertà debba essere la libertà degli altri, la sintesi Liberal-Popolare vuole esprimere questo concetto di libertà partecipata, poeticamente anticipato dall'inestimabile e compianto Giorgio Gaber che ebbe a dire " ... perchè libertà è partecipazione .. ".

Ecco quindi lo spunto che mi dà il bell' articolo di Giovanni Acerboni: io piccolo uomo tra tanti piccoli uomini, mortale, e come tale ospite temporaneo di questo mondo contraddittorio ma anche meraviglioso, voglio essere uomo libero tra uomini liberi, dove ciascuno abbia il diritto di essere e di sentirsi libero, nella società, come in economia, nelle sue possibilità di espressione e comunicazione, nelle sue relazioni con altri uomini liberi come lui, dove a nessuno sia concesso di fare uso del proprio potere per limitare la libertà individuale se non nella misura in cui tale libertà sia limitante di quella altrui. Credo che questo "vangelo" debba essere la cartina di tornasole per chiunque voglia dirsi Liberale, o Liberista, o Libertario o comunque attribuirsi una qualsiasi etichetta che faccia capo al concetto fondativo e prevalente di LIBERTA'.(Franco Puglia)

mercoledì 13 marzo 2013

Nipoti delle Stelle: zio Grillo incorona vicepresidente del partito il figlio del fratello.

“Il Merito”. “La democrazia partecipativa della rete”. “L’Onestà”. “L’Uguaglianza”. Beata retorica nuovista dei bei pensieri e delle buone parole. La retorica dei FIGLI DELLE STELLE ( cinque ), che però si scontra con la realtà dei vecchi sistemi, quelli peraltro già sperimentati con certo successo dall’estinto (politicamente) Antonio DiPietro (IDV): partito politico a dimensione familiare con moglie e figlio a condividere i Valori … immobiliari.
L’irresistibile attrazione del sangue. La stessa a cui non ha saputo resistere nemmeno il vecchio Grillone, gestore unico della setta a cinque stelle, che ha piazzato nello statuto (segreto) del movimento il nipote Enrico (chi?) a vicepresidente. Sarebbe il figlio del fratello, con buona pace del Blog, della Rete e del “siamo tutti uguali difronte alla raccolta differenziata”.
Nello stesso statuto il comico genovese viene descritto un po’ più di quel megafono che lui stesso ama autodefinirsi. Egli infatti è Presidente ed ha la titolarità assoluta del contrassegno e della pagina del blog. È così, archiviata per un momento la supercazzola dei MeetUp, della rete e dei dibattiti virtuali, ciò che alla fine rimane è che zio e nipote detengono il dominio formale sulla “setta” . Attendendo che si realizzi quanto pragmaticamente predetto dallo stesso Statuto di Grillology ( la convivenza armoniosa tra gli uomini ) annotiamo ancora una volta l’applicazione della famosa Legge Della Maniglia : “ogni partito c’ha la sua famiglia” .


domenica 10 marzo 2013

Non in Italia e neppure in Europa


Ma non si potrebbe fare in modo che, una volta chiusa la fabbrica per delocalizzarla all'estero, nessuna autovettura o motocicletta possa entrare in Italia e in Europa (una volta tanto veramente unita) con pneumatici di questa multinazionale? oppure mettere una tassa di ingresso?

Bari, chiude stabilimento Bridgestone: Passera scrive ai vertici multinazionale
“La chiusura dello stabilimento è grave e immotivata” per il ministro dello Sviluppo Economico: “Sulla volontà di chiudere lo stabilimento pugliese, il Gruppo Bridgestone avrebbe dovuto discutere e confrontarsi con il governo e con le istituzioni competenti così da permettere l’individuazione di soluzioni diverse da quella comunicata”. Vertice a Roma
Bisognerà attendere giovedì 14 marzo per capire se i 950 operai dello stabilimento Bridgestone di Bari, dovranno andare a casa oppure avranno qualche speranza di salvare il proprio posto di lavoro. Per quella data, infatti, è stato convocato un incontro presso il Ministero dello Sviluppo Economico, al quale prenderanno parte anche i rappresentanti del ministero del Lavoro, della Regione Puglia, del Comune di Bari e delle organizzazioni sindacali.

La posizione del governo è chiara. “La chiusura dello stabilimento è grave e immotivata”. Lo ha scritto il ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera in una lettera al CEO della casa madre giapponese, Masaaki Tsuya. Il responsabile del dicastero nella missiva non ha mancato di sottolineare come, “sulla volontà di chiudere lo stabilimento pugliese, il Gruppo Bridgestone avrebbe dovuto discutere e confrontarsi con il governo e con le istituzioni competenti così da permettere l’individuazione di soluzioni diverse da quella comunicata”. Di qui la richiesta, in tempi strettissimi, di comunicare qualsiasi altra decisione e soprattutto di fornire tutti i chiarimenti richiesti.

Da quando tre giorni fa la multinazionale ha comunicato la decisione di chiudere la sede barese, le istituzioni si sono mobilitate per fare il possibile per evitare l’abbattersi in Puglia dell’ennesima vertenza occupazionale. La proposta più forte è arrivata dal sindaco di Bari. “Nel caso in cui il sindacato dovesse decidere per forme di lotta più incisive, come l’occupazione dello stabilimento – ha detto Michele Emiliano – la città e il sindaco in persona saranno dalla parte degli operai e occuperanno la fabbrica”. Il governatore della Puglia, Nichi Vendola, invece, ha contestato le modalità con cui l’azienda ha informato i lavoratori della decisione assunta. “Abbandonare il campo senza avvisare è un atteggiamento che manifesta arroganza e violenza inaccettabili”.

Primi tentativi di mediazione ci sono stati. A Bari il presidente di Confindustria Puglia, Angelo Bozzetto, ha tentato di parlare con i manager aziendali. In quell’occasione l’amministratore delegato Roberto Mauro, ha tenuto a precisare che “prima dell’incontro presso il Ministero dello Sviluppo Economico, non saranno avviate procedure di riduzione di personale né trasferimento di macchinari e stampi”. Ma al termine del vertice, il parere di Bozzetto è stato chiaro. “Qui non stanno scappando perché hanno preso il malloppo. Stanno scappando via perché non ci sono più le convenienze economiche. Ed è su questo punto che ci dobbiamo confrontare”.

La decisione della multinazionale giapponese è arrivata come una doccia fredda tre giorni fa. Lunedì il management ha comunicato agli operai la scelta tramite una videoconferenza. Per chi c’era. Gli altri lo hanno saputo con il tam tam sui social network . Nulla era immaginabile fino a cinque minuti prima della comunicazione ufficiale. Qualche piccolo segnale di crisi c’era anche stato, ma non certo di questa portata. “Si c’è stata una contrazione del mercato” dice un lavoratore. “Ma c’erano utili e numeri. Nessuno ci ha mai detto che la vitalità poteva essere breve”. “La filosofia giapponese ci ha sempre inculcato la lealtà. E ora proprio loro sono i primi a tradirci”, dice un altro.

Le spiegazioni rese dal colosso sono quelle classiche. Calo della domanda, concorrenza dei Paesi emergenti, costi troppo alti, cambiamenti avvenuti nell’ultimo biennio nel mercato degli pneumatici. Di qui la necessità di accelerare lo spostamento strategico della propria produzione verso il segmento degli pneumatici di alta gamma. E lo stabilimento di Bari, è focalizzato su quelli di uso generico. “Bridgestone ha aperto una fabbrica a Poznan, in Polonia – fa notare un operaio – e da due mesi i nostri stampi sono già stati portati fuori per l’esternalizzazione e i minori costi”. A Bari i cancelli del colosso nipponico chiuderanno non più tardi della prima metà del 2014. E l’elenco della mortalità delle aziende si allunga paurosamente.
(Fonte) (dal blog Il mio canto libero)

mercoledì 6 marzo 2013

IL CACCIATORE DI MOSCHE

Il racconto si snoda con un'agilità e una grazia espositiva che a volte suscitano il sorriso, a volte costringono ad una partecipazione emotiva molto intensa. Ci si affeziona ai personaggi in maniera spontanea, e questo è il risultato più encomiabile cui  può aspirare un romanzo.
Ho tratto per voi un piccolo stralcio che mi ha coinvolta emotivamente in modo intenso:
"Si era ormai fatto tardi, ma non andai subito a casa, mi fermai sulla collina per restare un po'  solo con me stesso e con la notte. Vedere se stessi è la cosa più difficile, i pensieri, le emozioni, le sensazioni girano a velocità pazzesca, non puoi fermarti su qualcosa che subito cambia senza nemmeno che te ne accorgi, tutto va, rotola, in automatico. Restare in solitudine, con la fioca luce della notte, nel silenzio, il turbine un po' si acquieta, come le onde del mare senza vento.
Mi ero fermato un poco distante da una casa; era stata una giornata calda, alcune persone sedute nel cortile si godevano il fresco e parlavano a bassa voce, in allegria. Di fronte a me le luci scintillanti della pianura e la sagoma delle colline, una dietro l'altra, illuminate dalla luna quasi piena.
Sentivo dentro di me una pace profonda e un senso di unità con ogni cosa, come se i confini fra me e il resto dell'universo fossero improvvisamente caduti, regalandomi un profondo senso di pienezza, di completezza. Non mi mancava nulla, non desideravo nulla.Forse avrei voluto condividere quella sensazione con qualcuno, ma sentivo che non era possibile, che tutto era così e non poteva essere diversamente.
Si può essere felici di nulla? Del silenzio? Della solitudine?
Pensai al mondo, a questo mondo, alle guerre in corso, e alla stupidità che le sostiene, alle sofferenze inutili, a popoli interi massacrati.Provai un senso profondo di compassione"
Questa breve presentazione vuol essere un invito alla lettura di questo libro molto interessante sotto tutti i punti di vista.
Se andate al link che vi trascrivo in calce, potrete ascoltare una demo che lo illustra ulteriormente e se decidete di comprarlo potete farlo.

http://www.ilcacciatoredimosche.com/

martedì 5 marzo 2013

NOTTURNO

E' appena uscito un altro mio libro di poesie edito da BOOKSprint Edizioni. Da domani puoi ordinarlo nelle librerie dando il codice ISBN 978-88-6742-9806 oppure acquistarlo on line direttamente dalla casa editrice.

Presentazione


C'è un momento della giornata, la notte, in cui l'anima si libera dei lacci della quotidianità e vola: ricerca emozioni smarrite, le rielabora alla luce della sua vera identità. Riaffiorano i ricordi e fanno da ponte alla realtà del presente. Tutto è silenzio, tutto assume una valenza irripetibile:l'amore, il dolore, la rabbia, la speranza, la malinconia; navigano nella coscienza infinita dell'essere e assumono una dimensione amplificata dalla catarsi dello spirito,come semi impollinati dal vento, germogliano ad una nuova vita. Il tempo si ferma, il cuore è solo con se stesso, unito al mondo e a tutto l'universo. (Valdo Immovili)

giovedì 21 febbraio 2013

LE MULTINAZIONALI DEVASTANO IL MONDO!!

LA CHEVRON DOVRA' PAGARE 9 MILIARDI DI DOLLARI PER DANNI ALL'AMBIENTE AI CITTADINI DELL'EQUADOR
L'accusa è di aver "massacrato" per trent'anni, con le sue attività, una parte della foresta amazzonica ecuadoriana con danni irreversibili all'ambiente e alla popolazione. La causa iniziata nel lontano 1993, era stata intentata dalle comunità indigene contro la Texaco, poi assorbita dalla Chevron nel 2001
a cura di Greenreport
QUITO - E' una sentenza destinata ad entrare nella storia, un caso "scuola" che ha già iniziato a far discutere. Si tratta della sentenza emessa da una corte dell'Ecuador che ha condannato la Chevron al pagamento complessivo di oltre 9 miliardi di dollari per danni ambientali.
L'accusa. Alla multinazionale del petrolio, è imputata l'accusa di aver "massacrato" per trent'anni, con le sue attività, una parte della foresta amazzonica ecuadoriana con danni irreversibili all'ambiente e alla popolazione. La causa iniziata nel lontano 1993, era stata intentata dalle comunità indigene contro la società petrolifera Texaco (poi assorbita dalla Chevron nel 2001), ma i fatti risalgono addirittura agli anni tra il 1960 e il 1990. Il pubblico ministero aveva richiesto addirittura 27 miliardi di dollari giustificandoli con un dossier immenso in cui erano contenute prove ritenute incastranti, sull'inquinamento delle acque e sull'aumento dei tumori nella popolazione.

La sentenza. Seppur con un notevole ridimensionamento e molti anni dopo, le ragioni dell'accusa sono stare riconosciute dal giudice che ha emesso la sentenza (Nicolas Zambrano): 8,6 miliardi di dollari l'ammontare del risarcimento per i danni provocati più un miliardo di dollari che la Chevron dovrà pagare alla Amazon defense coalition, l'associazione che raggruppa i promotori della querela.

Una brutta eredità. E' quella della Chevron, di cui era sicuramente a conoscenza quando ha acquisito la Texaco. Ora i suoi avvocati, che faranno ricorso, ritengono la sentenza "illegittima e inapplicabile" con stima dei danni gonfiata ad arte. Ma di fatto se la Chevron non si scuserà pubblicamente entro 15 giorni tramite annunci sui giornali americani ed ecuadoriani, la cifra del risarcimento potrebbe salire: infatti la sentenza prevede il raddoppio della multa.

E' la prima volta di un popolo indigeno. Sul fronte dell'accusa, l'Amazon defense coaliton esprime soddisfazione "È la prima volta che un popolo indigeno fa causa a una multinazionale nel Paese in cui i crimini sono stati commessi e ottiene giustizia", ma al contempo l'avvocato sceso in campo in difesa delle popolazioni indigene, Pablo Fajardo, afferma che i danni provocati dalla società petrolifera sono ben maggiori: "Abbiamo intenzione di presentare ricorso perché riteniamo che il risarcimento non sia sufficiente. Secondo un rapporto recentemente presentato in tribunale i danni potrebbero ammontare a 113 miliardi di dollari".

La complicità del governo. Tra ricorsi e contro ricorsi, il governo del paese che in passato aveva consentito e condiviso l'azione delle multinazionali del petrolio sul suo territorio, ora è apertamente schierato con le popolazioni locali. Rafael Correa, presidente socialista dell'Ecuador dal 2007, ha affermato che nessun risarcimento restituirà la salute ai suoi concittadini e l'ecosistema dell'Amazzonia: "La società petrolifera ha commesso un crimine contro l'umanità. Villaggi interi sono stati sterminati a causa dell'inquinamento".

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