Dall'archivio
di Giovanni Provvidenti.
Dopo Socrate il filosofo raramente è stato sognatore, un cuore tragico sospinto verso mete e miti da un afflatico romanticismo, il cui anelito fosse l'aire, lo slancio dato da un "istinto razionale", artistico nel pieno significato di arte e di estetica crepuscolare, di estasi dell'anima, quando l'anima diviene una vera e propria aurora dell'Essere. Insomma, il senso artistico del soggetto sognatore, perocchè il sogno dona agli istinti il senso drammatico della commedia e della liturgia dell'ego. Come se si volesse inseguire uno sconosciuto desiderio fuggito da un istinto ribelle, rivoluzionario; un desiderio fuggito da un sogno, e che vuole perseguire realtà e verità il cui principio sia null'altro che un riflesso onirico generato da un palpito che fugge dal cuore e si riversa magmatico nell'aurora dell'anima.
Chissà
perché ci sono filosofi che pensano di dover essere ad ogni costo individui
razionali, freddi, lucidi fino alla lucida follia dei sensi, logici, oggettivi
e possessori del logos più veritiero del mondo, di più: possessori di tutte le
realtà e verità del mondo! Altrimenti non vogliono credere e quando elogiano il
dubbio mentono a se stessi, perché in realtà enunciano un mistificato
necrologio... A meno che il filosofo non sia capace di diventare anche
"poeta", allora il discorso cambia. Allora il filosofo
"filosofeggia", cioè sogna, anela, vuole creare e, più che realtà e
verità, aspira a creare commedie di scorci di panorami di realtà e verità; più
che possibili futuri, attimi danzanti di eternità. Allora inventa i ditirambi
coi quali imprime nelle parole il senso del dramma, del tramonto, la simmetria
e la geometria dei segni, dei simboli, che lascia sì casualmente, ma anche
volutamente, sparsi quà e là nei suoi discorsi; i suoi stessi discorsi assumono
parvenza di drammaturgia. E fonda! Fonda la "sua scuola", i suoi
discepoli, i suoi nuovi valori e principi archetipici, cui tutto il futuro
dovrà fare i conti. I presocratici sono stati filosofi sognatori, poiché la
loro filosofia era intrisa di una meravigliosa poetica. Per quanto sofisti, la
loro tragicità li fece andare al di là dell'astrattismo teoretico, cui la
logica della retorica e della dialettica non proponeva altro che l'eterno
ritorno a una filosofia precedente, seppur trasfigurata in una presunta novità,
allorché il sofismo dialettico susseguente ne mutava il contenuto sillogistico,
cangiando la maschera in commedia; così ogni filosofo diventava maestro di
un'altra maschera e commedia e di una nuova scuola del tragico. Purtroppo dopo
Socrate la filosofia diviene un monolite, una fredda, logica razionalità, un
vero e proprio nichilismo istintuale la qual volontà cognitiva era diventata
oramai cognizione di causa di una altrettanto vera e propria dogmatica: brama
di verità, di sapere, spesso mascherata di "opinione". Si elogiava ancora
la tragedia, la commedia, il dubbio, ma guai ad afferrare per le corna il toro
della verità e matarlo di santa ragione! Guai ad affermare che la loro commedia
fosse oramai diventata noiosa, cioè ripetitiva e priva del fascino dualistico
di Eros e Thanatos, Apollo e Dioniso; invero dell'istintualità più naturale che
nell'epoca tragica dei greci trovava nella commedia la sua massima espressione
- della commedia non solo teatrale, ma soprattutto della vita quotidiana -.
Dopo Socrate dubitare della verità venne considerato pura pazzia. Atene facendo
bere la cicuta a Socrate cercò di salvaguardare l'ultimo barlume di antico
testamento ellenistico rimasto negli anfratti di qualche pensiero filosofico
taletiano, anassimandriniano, eraclitiano; tuttavia Platone, con la sua
Repubblica, diede al pensiero morente presocratico il colpo di grazia. Solo a
partire dall'epoca illuministica della cosiddetta Rivoluzione Copernicana (che
possiamo tranquillamente chiamare anche rivoluzione copernicana della
filosofia) la filosofia ri-inizia a riprendersi il suo posto e il ruolo
originario e preminente nella conoscenza pura, in quanto torna ad appropriarsi
dei suoi specifici strumenti scientifico-teorici, che appunto gli erano propri
nell'epoca presocratica. Fino ad arrivare a Nietzsche che con la sua ulteriore
rivoluzione filosofica abbattè del tutto quel monumentale monolite di pensiero
freddo e razionale, ridando alla tragedia il suo vigoroso, degno ruolo in
commedia, fondando il teatro e l'anfiteatro della verità, mutando la verità nel
luogo tragico ove il filosofo e la filosofia ritrovassero la loro
"follia", il loro gioco e la fanciullezza del sogno, della
metafora... della poesia. Personalmente mi sento erede di questa antica
commedia, erede di questa antica filosofia come "commedia della
verità".
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