Attorno agli ottomila euro, circa un decimo rispetto alla vita di un italiano. Proprio così: la sentenza che ha ridotto il risarcimento ai familiari di un lavoratore morto «perché era albanese» si basa su una tabella ufficiale del ministero. Che ha effetti agghiaccianti.
La notizia è di ieri: un giudice del tribunale di Torino ha deciso che per stabilire l’ammontare del risarcimento danni da corrispondere ai familiari di un morto sul lavoro occorre fare riferimento al reale valore del denaro nell’economia del paese ove costoro risiedono.
La notizia è di ieri: un giudice del tribunale di Torino ha deciso che per stabilire l’ammontare del risarcimento danni da corrispondere ai familiari di un morto sul lavoro occorre fare riferimento al reale valore del denaro nell’economia del paese ove costoro risiedono.
Nel caso di specie, poiché si trattava di un lavoratore albanese, il giudice ha ritenuto di utilizzare come parametro legale il coefficiente di conversione della parità di potere d’acquisto tra Italia e Albania contenuto nella tabella di cui al Decreto del Ministero del Lavoro del 12 maggio 2003, pari a 0,3983: posto pari a 72.300 euro il risarcimento che spetterebbe a ciascun genitore italiano di una persona morta sul lavoro, e tenuto conto che nella circostanza il giudice ha attribuito al lavoratore deceduto un concorso di colpa del 20%, il risarcimento dovuto ad ognuno dei suoi genitori è venuto fuori dal semplice calcolo che segue:
72.300 X 80% X 0,3983 = 23.038
oltre, naturalmente, agli interessi legali sull’importo dovuto, che hanno portato il risarcimento definitivo a circa 32.000 euro.
Bene, sono andato a ripescarmi la tabella a cui ha fatto riferimento il giudice nella sentenza, e ho provato a calcolare quanto sarebbe dovuto, utilizzando lo stesso criterio ed ipotizzando per comodità un concorso di colpa del danneggiato analogo a quello in esame, a ciascun genitore di un morto sul lavoro proveniente da altri paesi, per i quali il coefficiente di conversione è ancora più basso di quello relativo all’Albania.
Supponiamo, ad esempio, che si trattasse di un lavoratore dello Sri Lanka, paese per il quale il coefficiente di conversione è pari a 0,2501: in tal caso la somma dovuta a ciascuno dei suoi genitori, fatti salvi gli interessi legali, sarebbe stata pari a:
72.300 X 80% X 0,2501 = 14.466
Un po’ pochino rispetto a un lavoratore italiano, vero? Ma c’è di peggio. Se il lavoratore fosse stato dell’Uganda il coefficiente di conversione da utilizzare sarebbe stato pari a 0,1834, e quindi ancora più basso rispetto a quello del suo collega cingalese, con la conseguenza che se l’incidente mortale sul lavoro fosse capitato a lui a ciascuno dei suoi genitori sarebbe andata la somma di:
72.300 X 80% X 0,1834 = 10.608
Siamo, ne converrete, su un livello molto basso: eppure ci sono casi ancora peggiori. Se si fosse trattato di un lavoratore proveniente dal Burundi il tasso di conversione sarebbe stato appena 0,1342, con la conseguenza che il risarcimento dovuto a ciascuno dei suoi genitori in caso di morte sul lavoro sarebbe stato pari a:
72.300 X 80% X 0,1342 = 7.762
Capito? Secondo il criterio utilizzato a Torino la vita di un essere umano, per il solo fatto che costui proviene da un paese sfigato, può valere meno di ottomila euro, ammesso e non concesso -circostanza non scontata, visti i livelli della mortalità dei paesi in via di sviluppo- che gli sia rimasto almeno un genitore vivo.
Ditemi la verità: non provate anche voi un brivido gelido di terrore?
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