Se devo parlare della mia diretta esperienza, lo scrivere per me è un'esigenza spirituale imprescindibile, quindi non posso che affermare che la scrittura è una forma di ascolto del proprio io, cioè scrivendo ci si mette in contatto col proprio io, e assicuro che difficilmente allora l'io può mentirci, ingannarci o illuderci; allo stesso modo il nostro intelletto subconsciente riuscirebbe a perpetrare inganni nei confronti dell'io. Ne deriva un confronto con se stessi schietto, leale, onesto, perché scrivendo, seppur tendiamo, inconsapevolmente, a creare maschere e caverne, ci si intende comunque tra l'io e l'intelletto.
Maschere e caverne
ci sono necessarie per non mostrare tutto di noi, dei nostri abissi, nei nostri
enigmi. In realtà ogni buon filosofo, così come ogni buon poeta, vuole essere
indovinato e non visto d'acchito "nudo". Fa parte del pudore (e della
vanità pudìca) voler essere visti attraverso un mistero indovinato, un enigma
risolto. È una intenzionalità di cui non si è del tutto consci, perché anzi
ognuno che scrive VUOLE essere compreso, teme piuttosto il fraintendimento.
Scrivere dunque è
dar forza al pensiero, renderlo consistente, in un certo empirico; è come
mutare il foglio di carta bianca in un mondo multicolore, in una seconda mente,
una seconda memoria, che diventa memoria universale se chi scrive ha dei
lettori. Allora il lettore, lo sappia o no, assume il ruolo di spettatore e
commediante e, in un certo senso, diviene il deus ex machina di tutte le
possibili soluzioni delle tragedie interiori vissute dallo scrittore. Scrivere
infatti è come confessare al lettore i propri drammi interiori, che non sono
necessariamente il dolore recondito di un pathos che si rivela all'improvviso,
perché non è raro che perfino una gioia diventi tragedia sconosciuta! Lo sanno
benissimo i drammaturghi e i poeti, cioè lo intuiscono, seppur non sanno
spiegarselo. Perciò scrivere è come andare alla ricerca di confessori, tanto
quanto si va alla ricerca di se stessi; e in ogni parola che si imprime sulla
carta, una parte di noi si rivela per sempre ed è come se danzasse libera nello
sconosciuto battito d'ali di un'Araba Fenice, perché muore e rinasce sempre nel
fuoco ignoto di una passione: la passione magmatica che scorre fluida nello
spirito del lettore.
Ma la cosa più
importante che bisogna dire è che lo scrivere insegna a pensare, a far danzare
il pensiero, a far danzare la penna e a mutare il foglio di carta in una pista
da ballo. È la danza dell'io che non può più mimetizzarsi negli istinti o nella
ragione, non può più costruire alcun velo di Maya ove riparare, l'intelletto
glielo impedisce pensando, e scrivendo lo mette a nudo, al di là di ogni
riverbero onirico. Difatti è come se si trovasse finalmente libero dai sogni e
totalmente riversato nella realtà più vigente, svestita d'ogni fronzolo, ma
creatore delle mille realtà che la penna riesce a descrivere: scrivere infatti
aiuta a creare! Aiuta l'io a diventare creatore di immagini e mondi. Scrivere
non è solo l'arte del saper descrivere mondi esteriori e interiori, è
soprattutto estetica del pensiero che diviene parola, suono, immagine, simbolo,
interpretazione di cose note e cose ignote; è la vera danza delle intenzioni,
l'alchimia dell'io del saper mutare la realtà in mille prospettive. Devo infine
aggiungere che scrivere è necessario? Soprattutto saper scrivere, ovvero creare
"drammi" per farsi ricordare.(Giovanni Provvidenti)
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