Nigeria, nuova strage di Boko Haram: "Bambini bruciati vivi". Almeno 65
morti
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Ancora stragi di Boko Haram in Nigeria, 80 morti
Nigeria, attacco kamikaze di Boko Haram, decine di morti in una
processione sciita
Nigeria: oltre 30 morti e 80 feriti per un attentato attribuito ai
Boko Haram
Giornata di sangue in Nigeria: oltre 50 morti in attacchi di Boko
Haram a due moschee
Nigeria: 3 bombe ad Abuja, almeno 18 morti. Per la polizia è opera
di Boko Haram
Nigeria, almeno 150 morti in nuovo massacro Boko Haram
Nigeria: attacco contro campi Boko Haram, liberi 178 rapiti
Boko Haram sconfina in Niger e fa strage in due villaggi, 40 morti
Nigeria, decine di morti per esplosione in campo Boko Haram
Nigeria, esplode bomba a Yola: 31 morti. Sospetti su Boko Haram
31 gennaio 2016
Nuova strage di Boko Haram in un villaggio a cinque chilometri di
Maiduguri, in Nigeria. Testimoni parlano di decine di corpi bruciati e
crivellati di proiettili per le strade di Dalori dopo un attacco
avvenuto ieri sera. I jihadisti hanno colpito con armi ed esplosivi il
villaggio di Dalori quindi hanno appiccato il fuoco. Alcuni abitanti
hanno riferito di almeno 65 persone morte. Un uomo, che è riuscito a
sfuggire nascondendosi su un albero, ha raccontato che poteva sentire le
urla dei bambini tra le fiamme.
Secondo il racconto dei testimoni, i miliziani di Boko Haram hanno
imperversato nel paese per quattro ore. Tre donne kamikaze si sono fatte
esplodere tra le persone che fuggivano. Uno degli uomini, che hanno
raccontato il massacro, è rimasto nascosto su un albero fino all'arrivo
dei soldati questa mattina ed ha parlato a condizione di mantenere
l'anonimato per paura di ritorsioni.
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http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Nigeria-nuova-strage-Boko-Haram-Bambini-bruciati-vivi-fe1a4308-5104-4aa9-b752-cc4b8cfd1fbc.html
domenica 31 gennaio 2016
LA MORTE: IL PIU’ GRANDE INGANNO
La morte è l’inganno più grande. Grazie a questo inganno l’èlite è
riuscita a tenere sotto scacco l’umanità: se vi fermate a pensare,
infatti, capirete che ogni dittatura ha sempre fatto leva sulla morte e
sopratutto sulla paura della morte.
La morte non esiste. Se l’umanità non avesse avuto questa paura nessuno mai avrebbe potuta ricattarla. Se un individuo sa di essere immortale non si piega davanti a nessuna dittatura. Religione e scienza di regime sono due facce della stessa medaglia, una dice che se non fai il bravo schiavo finisci all’inferno, l’altra, la scienza di regime, ci dice che siamo qui per caso e che spariremo nel nulla senza nessun motivo. E che tutto questo mondo così complesso e articolato è solo il risultato del caos, aumentando così la paura della morte, visto che l’uomo si convince che questa sia l’unica esistenza che avrà a disposizione.
La morte non esiste. Se l’umanità non avesse avuto questa paura nessuno mai avrebbe potuta ricattarla. Se un individuo sa di essere immortale non si piega davanti a nessuna dittatura. Religione e scienza di regime sono due facce della stessa medaglia, una dice che se non fai il bravo schiavo finisci all’inferno, l’altra, la scienza di regime, ci dice che siamo qui per caso e che spariremo nel nulla senza nessun motivo. E che tutto questo mondo così complesso e articolato è solo il risultato del caos, aumentando così la paura della morte, visto che l’uomo si convince che questa sia l’unica esistenza che avrà a disposizione.
Elisabeth Kübler-Ross
E’ stata una psichiatra svizzera che ha dedicato l’intera vita a curare i pazienti malati terminali. Ella dice: “Dopo aver lavorato per molti anni con malati moribondi, e dopo aver imparato da loro che cosa sia realmente la vita, quali siano i rimpianti che si hanno quando sembra ormai troppo tardi per averne, cominciai a chiedermi che cosa fosse realmente la morte.
Incominciai così a raccogliere i resoconti di esperienze extra-corporee, che i miei pazienti mi riferivano. Tutte queste esperienze risultavano avere le stesse caratteristiche ed essere analoghe anche ad altri resoconti simili registrati in altre parti del mondo, da parte di altrettanti medici. Dall’Australia alla California, tutte queste esperienze avevano un unico denominatore comune: la perfetta consapevolezza da parte delle persone di lasciare il proprio corpo fisico e di essere tuttavia perfettamente coscienti. Tutto ciò conduce ad affermare che la morte, così come la intendiamo noi nel linguaggio scientifico, non esiste.
Quindi morire significa solo perdere il proprio corpo fisico, così come fa la farfalla quando esce dal suo bozzolo. Si tratta di una transizione verso un più alto livello di coscienza, in cui si continua a percepire, a ridere, a capire, ad evolvere, e in cui l’unica cosa che si perde, è qualcosa di cui non si ha più bisogno: il corpo fisico.
Nessuno dei pazienti che ha avuto questo tipo di esperienza, ha più avuto paura di morire. Nemmeno uno. Inoltre molti provarono nuovamente una sensazione di integrità del proprio corpo, come quando erano sani: ad esempio, chi era stato investito da un’automobile e aveva perso una gamba, una volta uscito dal corpo fisico, le aveva entrambe al loro posto. Un’altra paziente che aveva perso la vista durante un’esplosione in un laboratorio, non appena uscì dal corpo, riuscì a vedere e a descrivere la scena dell’incidente e la gente che si era precipitata nel laboratorio per aiutarla. Ma quando fu riportata in vita, naturalmente era completamente cieca. E quindi chiaro perché molte delle persone che ebbero esperienze di questo tipo, non avrebbero più voluto tornare indietro: perché ebbero modo di conoscere un luogo tanto più bello e perfetto di quello terreno.
Non dobbiamo aver paura, e un modo per non averne è sapere che la morte non esiste, e che tutto quello che sperimentiamo nella vita ha uno scopo positivo. Bisogna liberarsi della negatività e cominciare a considerare la vita come una sfida, una prova per accertare le proprie risorse interiori e la propria forza. Quello che abbiamo saputo dai nostri amici trapassati, dalle persone che sono ritornate per raccontarci le loro esperienze, è che ogni essere umano, dopo il trapasso rivede tutta la propria vita, come in un film, avendo così l’opportunità di riconsiderare ogni propria azione, ogni parola, ogni pensiero e di giudicarsi da sé. Non c’è perciò nessun giudizio, se non il nostro, e nessun Dio giudicante pronto a punirci”.
Robert Lanza
E’ stato votato come il terzo miglior scienziato in vita dal New York Times, ed egli afferma: “La vita e la coscienza sono fondamentali per l’universo e praticamente è la coscienza stessa che crea l’universo materiale in cui viviamo e non il contrario. Prendendo la struttura dell’universo, le sue leggi, forze e costanti, queste sembrano essere ottimizzate per la vita, il che implica che l’intelligenza esisteva prima della materia”.
Lanza sostiene inoltre che spazio e tempo non siano oggetti o cose, ma piuttosto strumenti della nostra comprensione: “portiamo lo spazio e il tempo in giro con noi, come le tartarughe con i propri gusci. Nel senso che quando il guscio si stacca (spazio e tempo), noi esistiamo ancora. La teoria implica che la morte della coscienza semplicemente non esista. Esiste solo sotto forma di pensiero, perché le persone si identificano con il loro corpo credendo che questo prima o poi morirà e che la coscienza a sua volta scomparirà. Se il corpo genera coscienza, allora questa muore quando il corpo muore, ma se invece il corpo la riceve nello stesso modo in cui un decoder riceve dei segnali satellitari, allora questo vuol dire che la coscienza non finirà con la morte fisica.
In realtà, la coscienza esiste al di fuori dei vincoli di tempo e spazio. È in grado di essere ovunque: nel corpo umano e fuori da esso. Inoltre gli universi multipli possono esistere simultaneamente. In un universo, il corpo può essere morto mentre in un altro può continuare ad esistere, assorbendo la coscienza che migra in questo universo. Ciò significa che una persona morta, durante il viaggio attraverso un tunnel non finisce all’inferno o in paradiso, ma in un mondo simile, a lui o a lei. E così via, all’infinito. Senza ricorrere a ideologie religiose, lo scienziato cerca quindi di spiegare la coscienza quantistica con esperienze precedenti alla morte, proiezione astrale, esperienze fuori del corpo e anche reincarnazione. L’energia della coscienza a un certo punto viene riciclata in un corpo diverso e nel frattempo esiste al di fuori del corpo fisico ad un altro livello di realtà, anche, in un altro universo”.
Eben Alexander
E’ neurochirurgo a Harvard, con un curriculum accademico importante e questa è la sua esperienza: il professor Eben Alexander era sempre stato scettico a proposito di vita ultraterrena e dei racconti di esperienze extracorporee che gli venivano fatti dai suoi pazienti. Ma da quando nel 2008 rimase in coma sette giorni a causa di una rara forma di meningite, la sua opinione è parecchio cambiata. La sua storia è finita sulla copertina di Newsweek, ma anche in un libro intitolato significativamente “Proof of Heaven” (“La prova del paradiso”), e racconta l’esperienza durante la quale il medico cinquantottenne ha visitato quello che lui stesso definisce un luogo «incommensurabilmente più in alto delle nuvole, popolato di esseri trasparenti e scintillanti».
Tra la vita e la morte: una mattina dell’autunno del 2008, Alexander si svegliò con un feroce mal di testa e di lì a poco venne ricoverato d’urgenza in uno degli ospedali dove aveva lavorato, il Lynchburg General Hospital in Virginia. Qui gli venne diagnosticata una meningite batterica da Escherichia Coli, una patologia tipica dei neonati, che in poche ore lo condusse al coma. Per sette giorni il neurochirurgo statunitense rimase tra la vita e la morte, e le frequenti TAC cerebrali e le accurate visite neurologiche dimostrarono una totale inattività della sua neocorteccia (nell’uomo rappresenta circa il 90 per cento della superficie cerebrale e viene considerata la sede delle funzioni di apprendimento, linguaggio e memoria).
La prova delle dimensioni: ma mentre Eben Alexander giaceva immobile e privo di conoscenza, sperimentava anche un vivido e incredibile viaggio destinato a cambiare la sua esistenza. Tutto ha avuto inizio «in un mondo di nuvole bianche e rosa stagliate contro un cielo blu scuro come la notte e stormi di esseri luminosi che lasciavano dietro di sé una scia altrettanto lucente». Secondo Alexander catalogarli come uccelli o esseri di luce non renderebbe giustizia a questi esseri che definisce forme di vita “superiore”. In questa dimensione, arricchita da un canto glorioso, l’udito e la vista sono diventate un tutt’uno. «Potevo ascoltare la bellezza di questi esseri straordinari e contemporaneamente vedere la gioia e la perfezione di ciò che stavano cantando».
Milioni di farfalle: per buona parte del suo viaggio Alexander è stato accompagnato da una misteriosa ragazza bionda dagli occhi blu, che l’uomo racconta di avere incontrato per la prima volta camminando su un tappeto costituito da milioni di farfalle dai colori sgargianti. Nella memoria del neurochirurgo la giovane aveva uno sguardo che esprimeva amore assoluto, ben al di sopra di quello sperimentabile nella vita reale, e parlava con lui senza usare le parole, inviando messaggi «che gli entravano dentro come un dolce vento». Eben Alexander ne ricorda tre in particolare. Il primo era «tu sei amato e accudito», poi «non c’è niente di cui avere paura» e infine «non c’è niente che tu possa sbagliare». Ma l’accompagnatrice del medico aggiungeva anche: «Ti faremo vedere molte cose qui. Ma alla fine tornerai indietro».
Un utero cosmico: proseguendo il cammino l’autore di Proof of Heaven è infine giunto in un vuoto immenso, completamente buio, infinitamente esteso e confortevole, illuminato solo da una sfera brillante, «una sorta di interprete tra me e l’enorme presenza che mi circondava. È stato come nascere in un mondo più grande e come se l’universo stesso fosse un gigantesco utero cosmico. La sfera mi guidava attraverso questo spazio sterminato».
Non si tratta certamente del primo caso di quello che gli anglosassoni chiamano Near Death Experience (esperienze ai confini della morte), ma di certo turba il fatto che a raccontarla sia un affermato docente di neurochirurgia, da sempre dichiaratosi scettico in proposito. «Mi rendo conto di quanto il mio racconto suoni straordinario, e francamente incredibile – ha dichiarato Eben Alexander – se qualcuno, persino un medico, avesse raccontato questa storia al vecchio me stesso, sarei stato sicuro che fosse preda di illusioni. Ma quanto mi è capitato è reale quanto e più dei fatti più importanti della mia vita, come il mio matrimonio o la nascita dei miei due figli».
Per concludere la morte viene smentita anche a livello logico e matematico. Qui sotto ci sono mie riflessioni collegate a delle citazioni di uno dei più grandi filosofi/pensatori del mondo: Parmenide.
«IL NON-ESSERE NON E’, E QUINDI NON E’ NULLA» Se il nulla esistesse io sarei già nulla, perché ogni giorno della mia vita moltiplicato per il nulla è pari a nulla: 100, 1.000, 1.000.000 per 0 fa sempre zero. Quindi, o si esiste sempre o non si esiste mai. E visto che esisto questo implica che l’Essere è eterno, perché non può esserci un momento in cui non è più, o non è ancora: se l’essere fosse solo per un certo periodo di tempo, e ad un certo momento non fosse più, ci sarebbe contraddizione. L’Essere è dunque ingenerato e immortale, poiché in caso contrario implicherebbe il non essere: la nascita significherebbe essere, ma anche non essere prima di nascere; e la morte significherebbe non essere, ovvero essere solo fino a un certo momento.
Articolo di di Beppe Caselle
Fonte: http://ununiverso.altervista.org/
http://risvegliati.altervista.org/4792-2/
sabato 30 gennaio 2016
Questa vita è importante, la scintilla divina che è in noi va realizzata!
(Jung, dal seminario sulla Psicologia del Kundalini Yoga)
«C’è una quantità di persone che non sono ancora nate. Sembra che
siano qui e che camminano ma, di fatto, non sono ancora nate perché si
trovano al di là di un muro di vetro, sono ancora nell’utero. Sono nel
mondo soltanto provvisoriamente e presto ritorneranno al pleroma da cui
hanno avuto inizio. Non hanno ancora creato un collegamento con questo
mondo; sono sospesi per aria, sono nevrotici che vivono una vita
provvisoria. Dicono: “Adesso sto vivendo in queste condizioni. Se i miei
genitori si comportano secondo i miei desideri, ci sto. Ma se dovessero
mai fare qualcosa che non mi piace, allora tiro le cuoia.” Questa,
vedete, è la vita provvisoria: una vita condizionata, la vita di
qualcuno che è ancora collegato al pleroma, il mondo archetipico dello
splendore, da un cordone ombelicale grosso come una gomena da nave.
Bene, nascere è importantissimo; si deve venire in questo mondo,
altrimenti non si può realizzare il Sé, e fallisce lo scopo di questo
mondo. Se questo succede, semplicemente si deve essere ributtati nel
crogiuolo e nascere di nuovo. […] Vedete, è di un’importanza assoluta
essere in questo mondo, realizzare davvero la propria “entelechia”, il
germe di vita che si è, altrimenti non si può mai mettere in moto
Kundalini e non ci si può mai distaccare. Si viene ributtati indietro, e
non è successo nulla, è un’esperienza assolutamente priva di valore. Si
deve credere in questo mondo, mettere radici, fare del proprio meglio,
anche se bisogna credere alle cose più assurde. […] Si
deve infatti lasciare qualche traccia di sé in questo mondo, che
certifichi che siamo stati qui, che qualcosa è successo. Se non accade
nulla del genere, non ci si sarà realizzati; il germe di vita è caduto,
per così dire, in uno spesso strato d’aria che lo ha tenuto sospeso. Non
ha mai toccato il suolo, e quindi non ha potuto produrre la pianta. Se
invece si entra in contatto con la realtà in cui si vive, vi si rimane
per diversi decenni e si lascia la propria impronta, allora può avviarsi
il processo di impersonale. Vedete, il germoglio deve sbocciare dalla
terra, e se la scintilla personale non è mai entrata nella terra, da lì
non uscirà nulla, non ci saranno né “linga” né “Kundalini” perché si è
ancora nell’infinità che c’era prima.»
(C.G.Jung – La Psicologia del Kundalini Yoga, Seminario tenuto nel 1932, Bollati Boringhieri, pp.75-76)
«C’è una cosa sola al mondo che non dovete mai dimenticarvi di fare.
Se dimenticate tutto il resto, ma non questo, non c’è da preoccuparsi;
se invece ricordate tutto ma dimenticate questo, allora non avete fatto
niente nella vostra vita. E’ come se un re vi avesse mandato in qualche
paese a eseguire un compito, e voi faceste mille altri servizi, ma non
quello che vi ha mandato a compiere. Dunque gli esseri umani vengono al mondo per realizzare una particolare opera. Quell’opera è lo scopo,
ciascuno specifico per ogni persona. Se non la compi è come se una
spada indiana di valore incalcolabile venisse usata per affettare carne
putrefatta.»
(Jalal ‘uddin RUMI)
(Jalal ‘uddin RUMI)
—————–
venerdì 29 gennaio 2016
Nuotare con i delfini: l’inquietante verità che i turisti non conoscono (FOTO)
- Scritto da Marta Albè
I delfini
sono animali marini che affascinano molto l’umanità tanto che alcune
persone sperano di poter nuotare al loro fianco prima o poi. Il sogno di
nuotare con i delfini in alcuni luoghi del mondo è realizzabile, ma a quale prezzo?
I turisti che prenotano una nuotata con i delfini in vista del loro prossimo viaggio in uno dei paradisi blu del mondo – i Caraibi sono al primo posto – spesso non sanno in quali condizioni i cetacei siano costretti a vivere.
La Peta denuncia
da tempo le condizioni dei delfini utilizzati come mera attrazione
turistica nei Caraibi e in altri luoghi del mondo. Secondo quanto
comunicato dalla Peta, la maggior parte di delfini costretti in cattività e utilizzati per i programmi di nuoto con i turisti muore prematuramente. La loro aspettativa di vita è la metà rispetto ai delfini che vivono in un ambiente naturale.
L’intelligenza
dei delfini è ormai ben nota alla scienza e la loro capacità cognitiva è
seconda soltanto agli esseri umani. In natura i delfini possono nuotare
in tranquillità e spesso si muovono in gruppo in grandi spazi aperti.
Cosa che non può avvenire nei centri turistici e nei delfinari che li sfruttano per il nuoto con i turisti e per gli spettacoli.
I delfini sono costretti a vivere in piscine troppo piccole
per loro dove sono infastiditi dal cloro, che può nuocere alla loro
salute. Il loro habitat oceanico è ridotto ad una piscina
claustrofobica. Quando vengono nutriti con pesce surgelato, inoltre,
rischiano carenze alimentari.
Negli Stati Uniti, come segnala la Peta,
la tutela dei delfini è ancora scarsa. Alcuni di loro, quando non
vengono trasferiti nelle piscine, sono trattenuti in angoli di mare
purtroppo caratterizzati dall’inquinamento e dalla presenza di rifiuti,
tra cui si trovano sacchetti di plastica che rischiano di provocare
problemi gastrointestinali se vengono ingeriti, quando non causano il
soffocamento e la morte.
Secondo il racconto di un ex addestratore di delfini, la loro situazione è davvero preoccupante quando sono costretti a vivere in cattività. L’ex addestratore ha mantenuto l’anonimato e ha spiegato che
nella struttura in cui lavorava mancavano i veterinari per accudire i
delfini in caso di bisogno e la sofferenza degli animali marini, anche a
livello psicologico, era evidente, dato che si trovavano costretti a
vivere in spazi ristretti.
Fonte foto: Indybay
Alcune madri tra i delfini sarebbero giunte a soffocare i loro piccoli per non vederli costretti a vivere in cattività. Secondo un rapporto della Humane Society sui cetacei in cattività, ai delfini e ad altri animali marini vengono somministrati di routine antibiotici e altri farmaci. Inoltre hanno bisogno di integratori vitaminici perché vengono alimentati con cibi carenti di sostanze nutritive.
Fonte foto: My Ocean News
I
Caraibi, dove i delfinari e il nuoto con i delfini sono molto diffusi,
starebbero iniziando a fissare dei regolamenti per affrontare il
problema dei delfini in cattività ma le normative esistenti pare vengano
applicate solo raramente, dato che mancano i controlli.
Fonte foto: Svopi
A volte i delfini selvatici vengono
ancora catturati dall’oceano e poi trasportati nei delfinari. Altre
volte si utilizzano delfini che sono stati allevati in cattività fin dalla nascita.
In ogni caso si tratta di animali che dovrebbero vivere nel loro
habitat naturale e che invece sono costretti a nuotare in piscine troppo
piccole che per loro equivalgono a delle gabbie.
Fonte foto: The Dodo
Insomma, sarebbe meglio che il desiderio di nuotare con i delfini rimanesse soltanto un sogno.
Marta Albè
domenica 24 gennaio 2016
Ecco come distruggiamo la mente dei nostri figli: tutti i genitori dovrebbero leggere!
Sono molto indignata per la facilità con cui i nostri bambini vengono giudicati e “torturati” psicologicamente. E non sto esagerando! Perché la tortura non è solo quella fisica, ma anche e ai nostri giorni soprattutto, quella psicologica.
Viviamo in una società molto superficiale, dove i tempi frenetici e la poca pazienza che abbiamo nei confronti dei nostri bambini e delle nostre bambine, ci spingono a conclusioni affrettate sulle loro potenzialità e capacità cognitive, purché ci sollevino dall’incombenza di seguirli negli studi.
Troppo spesso i genitori mi portano i loro figli emotivamente avviliti, psicologicamente affranti, demotivati e senza più la minima autostima di se stessi. Arrivano da me dicendomi che il loro bambino o la loro bambina ha difficoltà nello studio; che piange perché non vuole studiare; che non vuole andare a scuola. Me li portano dicendomi che l’insegnante gli ha detto che sicuramente ha qualche problema cognitivo, e quando arrivano da me hanno già fatto percorsi con il logopedista e il più delle volte, il medico, gli ha certificato un ritardo nell’apprendimento. Ma sapete una cosa? Nel 99% dei casi, il bambino o la bambina non ha niente, recuperando nel giro di un anno scolastico tutte le carenze!
Mi sono chiesta più volte se voi vi foste mai domandati come reagiscono i vostri figli a tutte queste chiacchiere non vere sulla loro capacità di apprendimento. Vi siete mai chiesti cosa provano? Come stanno? Cosa pensano di tutte quelle ricerche mediche e quelle esercitazioni alienanti, ai quali vengono sottoposti anche solo perché hanno una pessima scrittura? Vi siete mai chiesti guardando la calligrafia di un medico se anche lui fosse disgrafico?
Ve lo dico io cosa pensano i nostri figli! Pensano di essere inferiori, di essere diversi, stupidi, non capaci come i loro compagni di classe. E la loro psiche lentamente cambia e diventa brutta. Perdono la loro autostima, diventano tristi, paurosi e a scuola non rendono più, non si sentono capaci e si convincono di non riuscire negli studi; dentro di loro si domandano perché devono continuare a studiare; perché devono andare a scuola, a cosa serve… perché la scuola non brucia!
Sono molto indignata! con la connivenza dei medici psichiatri che devono trovare necessariamente un’anomalia in un bambino che ha solo bisogno di essere rispettato nei suoi tempi di apprendimento, mentre la loro diagnosi è basata su statistiche (vi ricordo che Albert Einstein ha mostrato la sua genialità solo all’università, risultando terribilmente carente in tutti i precedenti corsi di studi, soprattutto in matematica; e nonostante oggi si dica che fosse dislessico, niente e nessuno allora, fortunatamente, gli ha impedito di credere in se stesso e di diventare ciò che tutti noi conosciamo). Vogliamo parlare dei logopedisti? Che uccidono il pensiero del bambino tediandolo con tanti esercizietti che allontanano sempre più il piccolo dalla scuola? E tutto questo pur di non ammettere che quel paziente non ha bisogno del loro aiuto, ma solo di una efficace didattica che loro ignorano completamente.
Ma è tutto un sistema di scarica barile: l’insegnante ai genitori, i genitori al medico, il medico al logopedista e il logopedista sul problema diagnosticato dal medico che purtroppo si può migliorare, ma non curare. E non c’è la cura semplicemente perché non c’è la malattia!
Ma sono indignata anche con voi genitori! Che non avete la pazienza di ascoltarli i vostri figli; che li imboccate come se fossero sempre piccoli, senza svezzarli nel rapporto e nella loro continua e costante crescita di competenze. E questo è un errore grave, molto grave, perché non permettete loro di crescere, di sviluppare indipendenza, di conquistarsi quel pezzettino di mondo a scuola, che solo a loro appartiene. Non avete voglia di seguire e capire i cambiamenti che la scuola li costringe a sviluppare, non avete la voglia di capire che il vero problema potrebbe essere nel rapporto con voi, con la maestra o con i compagni di classe. Perché è così: quasi sempre il problema scolastico ha le sue profonde radici nel rapporto umano.
Allora non distruggiamo la mente e la vitalità dei nostri figli, abbiate il coraggio e l’umiltà di valutare il vostro rapporto, di considerare quello che la maestra ha con vostro figlio o vostra figlia, prima ancora di intraprendere un percorso diagnostico, che in quanto tale, nella mente del bambino, riporta sempre e comunque a una malattia e quindi a una diversità dai compagni di scuola. Ricordandovi inoltre che oggi, quella che viene comunemente definita dislessia, il più delle volte è un abuso di terminologia e medicalizzazione su bambini sanissimi per questione di business. Non confondiamo le difficoltà didattiche e di rapporto con la scusa della malattia, una malattia che nessuno ha organicamente riscontrato e che si basa solo su statistiche. Eviteremo così di crescere bambini insicuri, ribelli, aggressivi, svogliati, tristi, spaventati e senza autostima.
Dr. Tiziana Cristofari
Fonte
sabato 23 gennaio 2016
La denuncia di Amnesty- Morire di cobalto. Sotto accusa le multinazionali
Piero Bosio
sabato 23 gennaio 2016 ore 07:00
“Passo praticamente 24 ore nei tunnel. Arrivo presto la mattina e vado via la mattina dopo. Riposo dentro i tunnel. La mia madre adottiva voleva mandarmi a scuola, mio padre adottivo invece ha deciso di mandarmi nelle miniere di cobalto”. È la testimonianza di Paul, 14 anni, uno degli 87 minatori o ex minatori incontrati da Amnesty International
nella Repubblica democratica del Congo. Paul, raccontano gli inviati di
Amnesty, ha iniziato a lavorare nella miniera a 12 anni. Ha già i polmoni a pezzi.
L’Unicef stima che siano almeno 40mila i bambini sfruttati nelle miniere. “Solo nell’ultimo anno sono morti nel Sud del Congo ottanta bambini minatori, questo mentre le aziende produttrici di apparecchi elettronici fanno profitti stimati in 125 miliardi di dollari annui e non riescono a dire dove e in che condizioni di lavoro si procurano le materie prime”.
Questa un’altra testimonianza raccolta da Amnesty in Congo. E quella di François che lavora nelle miniere di cobalto, con il figlio tredicenne Charles. Estraggono le pietre, le lavano e poi le trasportano fino alla casa di un commerciante, non lontano dalla miniera. “Come si fa a pagare la retta della scuola?”, si domanda François. “Come si fa a pagare il cibo? Dobbiamo lavorare in questo modo, perché non c’è alcun altro lavoro. Dateci un lavoro e noi ci prenderemo meglio cura dei nostri figli”. Charles la mattina va a scuola e il pomeriggio aiuta il padre.
Il rapporto di Amnesty This is what we die for (Ecco per che cosa moriamo) ricostruisce il percorso del cobalto estratto nel Congo: “Attraverso la Congo Dongfang Mining (Cdm), interamente controllata dal gigante minerario cinese Zheijang Huayou Cobalt Ltd (Huayou Cobalt), il cobalto lavorato viene venduto a tre aziende che producono batterie per smartphone e automobili: Ningbo Shanshan e Tianjin Bamo in Cina e L&F Materials in Corea del Sud. Queste ultime riforniscono le aziende che vendono prodotti elettronici e automobili. Il Congo produce quasi la metà del cobalto a livello mondiale che viene poi utilizzato per le batterie al litio”.
Amnesty International ha contattato 16 multinazionali che risultano clienti delle tre aziende asiatiche che producono batterie utilizzando il cobalto proveniente dalla Huayou Cobalt o da altri fornitori. Le multinazionale sono: Ahong, Apple, BYD, Daimler, Dell, HP, Huawei, Inventec, Lenovo, LG, Microsoft, Samsung, Sony, Vodafone, Volkswagen e ZTE.
Riccardo Noury è il portavoce di Amnesty Italia.
Che cosa hanno risposto le multinazionali alle vostre richieste di chiarimento sui fornitori di cobalto e le condizioni di lavoro?
“Delle 16 aziende interpellate da noi di Amnesty International, una ha ammesso la relazione, quattro hanno risposto che non lo sapevano, cinque hanno negato di usare cobalto della Huayou Cobalt, due hanno respinto ogni evidenza di rifornirsi di cobalto della Repubblica Democratica del Congo e le altre hanno promesso indagini”.
E Apple?
“In particolare Apple ha risposto che l’azienda sta in questo periodo valutando da quali fonti arriva il cobalto usato nei suoi prodotti. Però LG Chem, fornitore di Apple, ha confermato che acquista cobalto dalla Tianjin Lishen. e che avrebbe indagato sulle denunce di Amnesty International”.
E Microsoft?
“Microsoft ha dichiarato di non essere in grado di andare a ritroso lungo la filiera e dunque di poter dire con assoluta certezza se il cobalto sia o meno frutto di lavoro minorile. Vodafone ha detto di non sapere se il cobalto che usa provenga o meno dalla Repubblica Democratica del Congo, poi ha smentito di avere Tianjin Lishen come fornitore, sul cui sito invece Vodafone è citata tra i clienti. Samsung sostiene che il cobalto dei prodotti che le fornisce LG Chem non passa attraverso la Huayou Cobalt”.
Da questa vostra indagine e dalle risposte che avete avuto dalle multinazionali che valutazione fate?
“Il quadro che emerge è quello di una mancanza complessiva di trasparenza. Sulla base delle risposte fornite dalle 16 aziende interpellate, Amnesty International sostiene che nessuna sia stata in grado di fornire informazioni dettagliate, sulle quali poter svolgere indagini indipendenti per capire da dove venga il cobalto”.
Quindi rispetto le regole internazionali che conclusione trae Amnesty?
“Riteniamo che sebbene il cobalto non sia tra i minerali oggetto di una normativa specifica che dovrebbe impedire di rifornirsi di materie prive provenienti da zone di conflitto, le aziende dovrebbero comunque seguire gli standard internazionali dell’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico, ndr) e dell’Onu che richiedono di fare ricerche lungo la filiera e di adottare rimedi nel caso si verifichino violazioni dei diritti umani”.
Il rapporto sul Congo è stato fatto in collaborazione con Afrewatch (African Resources Watch) di cui Emmanuel Umpula è direttore esecutivo. “È paradossale che nell’era digitale – ha commentato Umpula – alcune delle compagnie più innovative e ricche al mondo siano in grado di vendere dispositivi incredibilmente sofisticati senza dover dimostrare da dove arrivano le materie prime per le loro componenti”.
L’Unicef stima che siano almeno 40mila i bambini sfruttati nelle miniere. “Solo nell’ultimo anno sono morti nel Sud del Congo ottanta bambini minatori, questo mentre le aziende produttrici di apparecchi elettronici fanno profitti stimati in 125 miliardi di dollari annui e non riescono a dire dove e in che condizioni di lavoro si procurano le materie prime”.
Questa un’altra testimonianza raccolta da Amnesty in Congo. E quella di François che lavora nelle miniere di cobalto, con il figlio tredicenne Charles. Estraggono le pietre, le lavano e poi le trasportano fino alla casa di un commerciante, non lontano dalla miniera. “Come si fa a pagare la retta della scuola?”, si domanda François. “Come si fa a pagare il cibo? Dobbiamo lavorare in questo modo, perché non c’è alcun altro lavoro. Dateci un lavoro e noi ci prenderemo meglio cura dei nostri figli”. Charles la mattina va a scuola e il pomeriggio aiuta il padre.
Il rapporto di Amnesty This is what we die for (Ecco per che cosa moriamo) ricostruisce il percorso del cobalto estratto nel Congo: “Attraverso la Congo Dongfang Mining (Cdm), interamente controllata dal gigante minerario cinese Zheijang Huayou Cobalt Ltd (Huayou Cobalt), il cobalto lavorato viene venduto a tre aziende che producono batterie per smartphone e automobili: Ningbo Shanshan e Tianjin Bamo in Cina e L&F Materials in Corea del Sud. Queste ultime riforniscono le aziende che vendono prodotti elettronici e automobili. Il Congo produce quasi la metà del cobalto a livello mondiale che viene poi utilizzato per le batterie al litio”.
Amnesty International ha contattato 16 multinazionali che risultano clienti delle tre aziende asiatiche che producono batterie utilizzando il cobalto proveniente dalla Huayou Cobalt o da altri fornitori. Le multinazionale sono: Ahong, Apple, BYD, Daimler, Dell, HP, Huawei, Inventec, Lenovo, LG, Microsoft, Samsung, Sony, Vodafone, Volkswagen e ZTE.
Riccardo Noury è il portavoce di Amnesty Italia.
Che cosa hanno risposto le multinazionali alle vostre richieste di chiarimento sui fornitori di cobalto e le condizioni di lavoro?
“Delle 16 aziende interpellate da noi di Amnesty International, una ha ammesso la relazione, quattro hanno risposto che non lo sapevano, cinque hanno negato di usare cobalto della Huayou Cobalt, due hanno respinto ogni evidenza di rifornirsi di cobalto della Repubblica Democratica del Congo e le altre hanno promesso indagini”.
E Apple?
“In particolare Apple ha risposto che l’azienda sta in questo periodo valutando da quali fonti arriva il cobalto usato nei suoi prodotti. Però LG Chem, fornitore di Apple, ha confermato che acquista cobalto dalla Tianjin Lishen. e che avrebbe indagato sulle denunce di Amnesty International”.
E Microsoft?
“Microsoft ha dichiarato di non essere in grado di andare a ritroso lungo la filiera e dunque di poter dire con assoluta certezza se il cobalto sia o meno frutto di lavoro minorile. Vodafone ha detto di non sapere se il cobalto che usa provenga o meno dalla Repubblica Democratica del Congo, poi ha smentito di avere Tianjin Lishen come fornitore, sul cui sito invece Vodafone è citata tra i clienti. Samsung sostiene che il cobalto dei prodotti che le fornisce LG Chem non passa attraverso la Huayou Cobalt”.
Da questa vostra indagine e dalle risposte che avete avuto dalle multinazionali che valutazione fate?
“Il quadro che emerge è quello di una mancanza complessiva di trasparenza. Sulla base delle risposte fornite dalle 16 aziende interpellate, Amnesty International sostiene che nessuna sia stata in grado di fornire informazioni dettagliate, sulle quali poter svolgere indagini indipendenti per capire da dove venga il cobalto”.
Quindi rispetto le regole internazionali che conclusione trae Amnesty?
“Riteniamo che sebbene il cobalto non sia tra i minerali oggetto di una normativa specifica che dovrebbe impedire di rifornirsi di materie prive provenienti da zone di conflitto, le aziende dovrebbero comunque seguire gli standard internazionali dell’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico, ndr) e dell’Onu che richiedono di fare ricerche lungo la filiera e di adottare rimedi nel caso si verifichino violazioni dei diritti umani”.
Il rapporto sul Congo è stato fatto in collaborazione con Afrewatch (African Resources Watch) di cui Emmanuel Umpula è direttore esecutivo. “È paradossale che nell’era digitale – ha commentato Umpula – alcune delle compagnie più innovative e ricche al mondo siano in grado di vendere dispositivi incredibilmente sofisticati senza dover dimostrare da dove arrivano le materie prime per le loro componenti”.
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