sabato 1 novembre 2025

LA VOSTRA AURA

 

Leggete qualsiasi testo spirituale delle tradizioni induista, buddista, sufi e cabalistica e troverete un accordo universale sul fatto che gli esseri umani sono molto più di un corpo fisico. Il nostro corpo fisico è solo una piccola percentuale di ciò che siamo. Il nostro spirito è ospitato all'interno del nostro corpo, ma scorre ben oltre le tenui mura della nostra carne. La parte del nostro spirito che circonda l'esterno del corpo è un campo energetico che viene spesso chiamato aura.

Quest'aura viene effettivamente registrata su strumenti fisici e i suoi colori possono essere visti attraverso la fotografia Kirlian. L'aura riflette tutto ciò che riguarda la vostra personalità e le vostre esperienze in questa vita e in altre incarnazioni. I chiaroveggenti possono vedere le informazioni contenute in questo campo energetico sotto forma di colori e immagini.

L'aura è composta da strati, o corpi spirituali. Nel corso dei secoli, diverse discipline spirituali e religioni hanno descritto l'aura in modo molto simile. In genere si ritiene che l'aura abbia sette strati o corpi principali.

Nella fotografia Kirlian, questi strati non sono molto distinti; i colori si fondono insieme, a volte coprendo completamente il soggetto della fotografia. I colori dell'aura o di altre energie spesso si manifestano inaspettatamente anche nella fotografia normale. Ai fini di una lettura chiaroveggente, è utile distinguere gli strati dell'aura, immaginando che ogni strato sia separato e unico dagli altri. In questo modo è più facile orientarsi nel complesso sistema di informazioni contenute nel campo energetico dell’interlocutore.

Nella mia esperienza, il primo strato (il primo corpo aurico) contiene spesso informazioni sul corpo fisico, poiché è il più vicino al corpo.

Il secondo strato corrisponde alle emozioni e alle energie sessuali.

Il terzo strato contiene spesso informazioni sul potere, sul controllo e sull'autostima.

Il quarto strato sembra contenere informazioni sulle questioni di cuore e sulle relazioni.

Il quinto strato riguarda la comunicazione. Il sesto strato contiene informazioni su come una persona percepisce sé stessa. Infine, il settimo strato, il più lontano dal corpo ma il più vicino al mondo esterno, spesso contiene informazioni sulle percezioni degli altri e sulle energie estranee che entrano ed escono dall'aura.

Potrebbero esserci altri strati che non ho sperimentato a causa della mia formazione e dei miei preconcetti sull'aura. L'aura contiene l'energia propria e quella delle altre persone e dell'ambiente.

Tutto ciò che vi riguarda - tutto ciò che siete stati, avete pensato, sognato, sperimentato, sentito, desiderato, così come ogni relazione che avete avuto - è registrato, immagazzinato e trasmesso attraverso l'aura.

Esito a descrivere l'aura nei dettagli perché il modo migliore per conoscerla, come per qualsiasi altra cosa, è attraverso la propria osservazione chiaroveggente, la sperimentazione e l'esperienza.

JEAN PIERRE HONLA

 

mercoledì 29 ottobre 2025

IL TEMPO CHE PASSA

 

C’è un momento nella vita in cui lo specchio smette di restituirci l’immagine di ciò che eravamo, e inizia a mostrarci chi siamo diventate davvero. È un passaggio delicato, silenzioso, spesso accompagnato da un sorriso amaro, da un sospiro, da una nostalgia che affiora nei ricordi di una giovinezza che ormai vive nei dettagli del passato. Le rughe, i capelli grigi, i segni del tempo non sono solo tracce biologiche: sono il linguaggio con cui la vita scrive la sua storia sul corpo di una donna.

Ma ciò che la pelle perde in elasticità, la mente può guadagnarlo in luce.

L’età che avanza non è una resa, è un’evoluzione. È la stagione in cui l’esteriorità smette di essere la protagonista e cede il passo alla profondità, alla lucidità, alla libertà di pensiero che solo chi ha vissuto davvero può possedere. Una donna di cinquant’anni o più non ha bisogno di imitare la giovinezza: la abbraccia, la comprende, la osserva con tenerezza. Sa che ogni età ha la sua bellezza e che la vita non premia chi resta giovane, ma chi resta vivo.

Le donne che hanno attraversato il dolore, la perdita, la fatica, la maternità, la solitudine o la rinascita sono testimoni di un valore raro: la resilienza.

Sono le stesse donne che, quando il corpo si stanca, tengono acceso il lume dell’intelligenza, della curiosità, della memoria. La loro mente (se coltivata, se nutrita di letture, passioni, affetti e stimoli) diventa un faro che non teme il tempo.

Perché il segreto non è sfidare gli anni, ma attraversarli con dignità e consapevolezza.

In un mondo che idolatra l’apparenza e scarta ciò che non è più “nuovo”, queste donne rappresentano l’antidoto alla superficialità. Sono il volto autentico della bellezza: quella che non si misura in centimetri di pelle liscia ma in profondità di sguardo, quella che non sfiorisce perché nasce dentro.

Mantenere la mente brillante è un atto di amore verso se stesse.

È dire al tempo: “Puoi prendere il mio corpo, ma non la mia luce”.

È leggere, pensare, imparare ancora. È non arrendersi alla pigrizia intellettuale che invecchia più delle rughe.

È continuare a cercare il senso delle cose, a emozionarsi per un tramonto, a discutere con passione, a ridere di sé, a sognare ancora.

Ogni donna che ha superato la giovinezza biologica, ma ha conservato viva la curiosità, la cultura, la voglia di capire e di evolvere, incarna una verità semplice e potente: la giovinezza non è un’età, è una condizione dell’anima.

E allora, a tutte le donne che non si arrendono al tempo ma lo guardano negli occhi con fierezza, va il più grande degli omaggi: non siete semplicemente sopravvissute.

Siete vive. E la vostra mente, più che mai, continua a brillare.

(da "Esserci ... qualche volta rifletto" di Saro Micalizzi)


domenica 26 ottobre 2025

GAZA COMPLICITA' CRIMINALE

 

Washington, Berlino, Roma: una firma sul genocidio

Titolo: “Gaza Genocide: a collective crime”. Sigla A/80/492. Un documento esplosivo, classificato advance unedited version, è stato trasmesso all’Assemblea generale dell’ONU il 20 ottobre 2025. Firmato: Francesca Albanese, relatrice speciale sui diritti umani nei Territori palestinesi occupati.

Parla senza mezzi termini di genocidio in corso a Gaza. Non un eccesso di linguaggio: un atto d’accusa fondato su mesi di prove, testimonianze, archivi. “Una distruzione pianificata del popolo palestinese come gruppo nazionale.”

Il rapporto elenca i segni dell’annientamento: uccisioni di massa, fame deliberata, distruzione di ospedali e scuole, trasferimenti forzati, assedio totale. Tutto riconducibile alla definizione giuridica di genocidio.

Ma il punto più dirompente non riguarda Israele. Riguarda chi lo arma.

Francesca Albanese parla di una “catena di complicità internazionale”: Stati che forniscono armi, coperture diplomatiche, silenzi compiacenti.

Sotto accusa, più di tutti, tre capitali: Washington, Berlino, Roma. Tre governi che hanno continuato a firmare contratti e inviare armi mentre le bombe cadevano su Gaza.

Gli Stati Uniti ovviamente guidano il flusso di morte: miliardi di dollari, arsenali, veti ONU seriali. Dal 1967 Israele è il principale beneficiario dei fondi militari americani: 3,8 miliardi l’anno, un flusso costante e senza pari. Il boom dal 7 ottobre. 14,3 miliardi nell’ottobre 2023, altri 26,4 miliardi approvati nell’aprile 2024.

Documenti riservati parlano di 742 consegne di armi in due anni, vendite da decine di miliardi approvate in silenzio, spesso fuori dai circuiti di controllo del Congresso. Ad aprile 2025 risultano attivi 751 contratti per un valore complessivo di 39,2 miliardi di dollari: un business colossale - una economia del Genocidio - che salda in modo indissolubile Washington e Tel Aviv.

Armi ma anche copertura politica. Dopo il 7 ottobre,la Casa Bianca ha posto sette veti all’ONU per bloccare risoluzioni sul cessate il fuoco. Una complicità assoluta.

Dopo gli Stati Uniti c’è la Germania, schiacciata dal peso del proprio passato: oggi secondo esportatore di armi verso Israele. E l’Italia, terza rotella dell’ingranaggio, non è da meno: nel dossier ONU compaiono componenti per caccia F-35, sistemi di puntamento e difesa, tecnologia “dual use” mascherata da cooperazione industriale. Roma ha avuto un ruolo anche nell’addestramento militare, con esercitazioni congiunte, scambi di personale e corsi per piloti e tecnici israeliani.

Il ministero di Crosetto ha mantenuto attive le licenze, nonostante le risoluzioni ONU e la legge 185/90 vietino esportazioni verso Paesi coinvolti in conflitti armati o responsabili di violazioni dei diritti umani. Dietro ogni fornitura c’è una firma ministeriale, una scelta politica, un atto di complicità. L’Italia di Giorgia Meloni ha scelto l’obbedienza atlantica, senza se e senza ma, a scapito della legalità internazionale.

Tant’è che nelle settimane scorse, un gruppo di avvocati e giuristi internazionali ha presentato alla Corte penale internazionale una denuncia per complicità in genocidio contro il governo Meloni, accusandolo di aver sostenuto Israele con forniture militari e cooperazione strategica.

Con il rapporto A/80/492, la questione di Gaza entra in una nuova fase politica e giuridica. Mai prima d’ora un alto funzionario delle Nazioni Unite aveva usato il termine genocidio con tanta nettezza. Le conseguenze - diplomatiche e morali - sono ancora da misurare, ma una cosa è certa: la verità, questa volta, è scritta nero su bianco nei registri dell’ONU.

Alfredo Facchini

 

 

 

 

lunedì 20 ottobre 2025

Da parte di tutti quelli che sono scesi in strada

 

Cara Meloni e, per conoscenza, sig. D. Trump

Cara Giorgia Meloni, così adulata dal sig. Trump, tanto da averla riconosciuta parte della sua Corte, Così felicemente precipitosa da aver affermato, una settimana fa, la gioia e l'orgoglio di essere stata co-fautrice entusiasta (lei disse l'Italia, invero, ma io mi rifiuto di essere cittadina della sua Italia) della Pace a Gaza, poi ridimensionata in Tregua, poi ancora di più ridimensionata in 'un cessate il fuoco'... cara sig.na Meloni, come scrissi qualche giorno fa, la pace goccia a goccia si squaglia, oggi abbiamo la triste certezza che la sua grande impresa associata alle fasulle e ridicole celebrazioni di Trump & c. si è squagliata come cacca sotto lo sciacquone... sa, esattamente proprio quella cacca che Trump ha immaginato di versare contro i manifestanti suoi contestatori con un filmato costruito con l'AI.

In questi giorni sulla striscia di Gaza si è solo sparato (non sperato, come lei penserebbe), sono morte solo oggi circa 40 persone, gli aiuti bloccati, i valichi chiusi, civili ammazzati e giornalisti pure, ancora e continua. Dove sono le garanzie del suo amico-partner americano?

A che cosa lei, sig.na Meloni, ha veramente contribuito (e ribadisco lei, e il suo Governo, non l'italia)? Che cosa ha veramente firmato a nome del popolo italiano? Popolo italiano che in massa le si é rivoltato contro con corpose manifestazioni propal, perchè NOI vogliamo la Pace vera, non fasulla come quella siglata con orgoglio anche da lei e che a me personalmente fa pensare a una macabra manovra per poter sterminare con più non

chalance cittadini indifesi liberati che vagabondano senza casa in mezzo alle macerie della loro vita, in cerca magari di qualche ricordo dei loro cari.

Dunque, cara sig.na Giorgia Meloni, non s'incazzi se qualcuno la chiama cortigiana di Trump, perché lei lo è, ma non, come la sua ignoranza le ha suggerito, in quanto prostituta di corte, no no, in quanto semplicemente serva del padrone del quale esegue qualunque ordine del tutto sottomessa. Fregandesene altamente di rendere conto del suo scellerato operato alla sua Nazione, costretta ad assistere al suo fallimento e alle tragiche conseguenze che, nel caso di Gaza, lei ha contribuito a generare.

La saluto, aspettando con gioia la fine dei suoi giorni!

ohh...un attimo un attimo, con lei è meglio precisare perché lei è molto abile a gridare 'al lupo al lupo' davanti a un agnello: intendo 'la fine dei suoi giorni al Governo'.

MCD

@follower @inprimopiano

 

 

venerdì 26 settembre 2025

RECALCATI VORREBBE FARCI VEDERE LA NOSTRA OMBRA PER NASCONDERE IL SUO ABISSO. di Lavinia Marchetti

 


Ho letto l’articolo di Massimo Recalcati (Ringrazio M.Pia Ghirotti per la segnalazione) su Repubblica di ieri, intitolato “I corpi invisibili degli ostaggi”. È un testo che mette in scena un paradosso: il linguaggio della psicoanalisi viene usato come ornamento per una tesi politica già confezionata. Freud viene evocato come marchio di profondità, ma il metodo freudiano, indagare ciò che è rimosso, decifrare i lapsus, anticipare le obiezioni, non appare mai. Al suo posto troviamo una retorica moralistica che, invece di svelare il diniego, lo riproduce. E qui entra in gioco un meccanismo subdolo: Recalcati apre il suo articolo con una sequenza di domande e risposte che suonano come una confessione preventiva. «Credi che il massacro di Gaza sia proporzionato al 7 ottobre? No, non lo credo. Credi che sia giustificato affamare una popolazione? No, non lo credo». Così si assolve in anticipo, per poi introdurre la domanda che gli interessa davvero: «Perché Hamas non li libera?». Qui agisce un trucco collaudato: si costruisce un paravento di concessioni iniziali. Così si ottiene una patente morale e la domanda successiva appare neutra. È una tecnica di inoculazione. Prima si anticipa l'obiezione e ci si autoassolve. Poi si sposta il fuoco dove conviene. Il lettore abbassa le difese e si identifica con quell'equilibrio apparente. Dal punto di vista clinico prende forma il diniego: si riconosce l'orrore, poi si omette l'essenziale. L'esito è un effetto tunnel: tutto converge sulla sua domanda, il resto scivola fuori campo.

Recalcati scrive:

“Ma, soprattutto, perché Hamas non li libera?”

Questa domanda, che egli propone come rivelazione, ignora la cronologia reale. Il 20 e il 23 ottobre 2023 quattro ostaggi vengono liberati per ragioni umanitarie, con la mediazione di Qatar ed Egitto. A novembre, con una tregua prolungata giorno dopo giorno, 105 ostaggi israeliani sono stati scambiati con 150 prigionieri palestinesi. Nei mesi seguenti altri rilasci si sono arenati per condizioni aggiunte imposte da Israele. Parlare di corpi “invisibili” è dunque un artificio: quegli stessi corpi sono stati al centro di trattative, di elenchi, di negoziati quotidiani. Invisibili non sono mai stati, e due settimane fa la cronaca ha parlato per giorni interi dell’ostaggio trovato nel tunnel, con fotografie ripetute ovunque a riempire le prime pagine, rilanciate da testate come Haaretz, Yedioth Ahronoth, Corriere della Sera e la Repubblica tra il 9 e il 12 settembre 2025, con titoli e servizi quotidiani.

Prosegue:

“La loro liberazione non avrebbe ottenuto almeno il cessate il fuoco immediato?”

Chissà dove ha vissuto fino ad ora Recalcati. Forse legge solo Repubblica e pure male. Infatti qui la deformazione diventa palese. Ogni liberazione ha coinciso con tregue temporanee, mai con la fine della guerra. Gli atti del gabinetto israeliano parlano chiaro: pause di pochi giorni, poi bombardamenti ripresi con più violenza. Parlare di cessate il fuoco come conseguenza automatica della liberazione degli ostaggi è ridicolo. Netanyahu non ha mai mostrato interesse reale per la loro sorte, se non come pedine utili a proseguire l’offensiva e a zittire le critiche interne. Trasformare la pace in un gesto unilaterale di Hamas significa assolvere chi ha scelto consapevolmente la prosecuzione del conflitto e sacrificare la vita degli ostaggi al calcolo politico.

Scrive ancora:

“Assenza assordante a sinistra di questa domanda.”

L’assenza non c’è mai stata. I familiari degli ostaggi hanno manifestato a Tel Aviv e in molte città israeliane. Le organizzazioni internazionali hanno lanciato appelli. La questione è entrata nelle cronache quotidiane. Anzi, la sproporzione è stata opposta: i giornali, anche quelli che si definiscono di sinistra, hanno dato spazio quotidiano agli ostaggi, fino alla saturazione, ad nauseam. Per mesi, fino alla saturazione, ogni titolo li evocava. Semmai, il tema rimosso è stato il genocidio in corso a Gaza. Per un anno e mezzo (tranne due giornali: il fatto e il manifesto, e pochissime trasmissioni tv) decine di migliaia di morti palestinesi sono stati espunti dal dibattito pubblico, relegati a note marginali o censurati del tutto. Recalcati inverte la realtà: gli ostaggi sono stati visibilissimi, i palestinesi cancellati, per questo adesso c'è bisogno di parlarne e anche per un fattore numerico oserei dire piuttosto rilevante.

E c’è un’altra omissione che pesa. Mi chiedo: quanti prigionieri palestinesi senza processo conosce Recalcati? A dicembre 2024, i dati ufficiali registravano 3.327 persone in detenzione amministrativa, trattenute senza accuse formali, mentre il totale dei detenuti palestinesi raggiunge i 9.619 (fonte: B’Tselem). In alcune stime recenti, si parla di 3.600 detenuti senza processo nei carceri israeliani (fonte: Anadolu Agency). Non sono ostaggi questi? Torturati e ammazzati senza che nessuno lo saprà mai? Tra i minori, il 41% è trattenuto in detenzione amministrativa, senza che vengano presentate accuse (fonte: Defence for Children International – Palestine). Eppure, Recalcati non li nomina. Quei corpi non visibili nella sua analisi non sono “fantasmi”: sono detenuti sotto legge militare, in silenzio giudiziario, nell’ombra della macchina statale. Se li ignoriamo, l’ombra non la proiettiamo su Hamas, ma su chi interpreta la psicoanalisi come catechismo e rimuove i corpi che non servono alla sua messa in scena.

Il passo più discutibile è quello in cui afferma:

“Difendere la causa del popolo palestinese non impone la detenzione degli ostaggi se non per fare di quello stesso popolo il martire sacrificale di una ideologia di morte.”

Qui non c’è più neanche il tentativo di un'analisi psicoanalitica. C’è solo moralismo astorico. Insomma, si può anche tacere qualche volta se non si conosce l'argomento. Scrive un libro dietro l'altro, parla di tutto, ogni tanto, su un fatto, può dire: non ne so abbastanza per scriverci un articolo in prima pagina di un quotidiano nazionale. Poi penso che è La repubblica e revoco il mio disappunto. il metodo che uno psicoanalista dovrebbe seguire: mostrare come la lingua dei governi funzioni da diniego. Invece Recalcati preferisce feticizzare un’ombra, spostando il discorso sul nemico.

Cita Elvio Fachinelli:

“Dove è finito il corpo di Lin Piao?”

Fachinelli (1935–1989) è stato uno dei più originali psicoanalisti italiani. Negli anni Settanta, quando la sinistra italiana taceva sulla sorte oscura di Lin Biao, successore designato di Mao morto in un misterioso incidente aereo, Fachinelli pose la domanda scomoda. Quel corpo sparito rappresentava il rimosso di una fede ideologica. Citare Fachinelli oggi avrebbe senso se si volesse smascherare le rimozioni effettive: le frasi di ministri israeliani che definiscono i palestinesi “animali umani”, le dichiarazioni di Blinken che bollano l’accusa di genocidio come “meritless”, le parole di Cameron che la liquidano come “nonsense”, o di Tajani che la riduce a “carneficina”. Questo è il terreno su cui la psicoanalisi dovrebbe agire: mostrare come la negazione funzioni da marchio, come il “no” riveli proprio ciò che si vuole espellere.

Lo scambio Gilad Shalit del 2011, un soldato israeliano liberato in cambio di 1027 prigionieri palestinesi, dimostra che la logica dello scambio è parte costante della storia del conflitto. Gli scambi del 2023–2025 confermano la stessa regola. Parlare di ostaggi come fantasmi significa ignorare una prassi consolidata, e cancellare la documentazione, si chiama politica, in un conflitto dove i civili non esistono...

Ecco allora il vero rovesciamento: mentre i governi negano il genocidio di Gaza con formule eufemistiche, Recalcati inventa un’ombra che non esiste. Gli ostaggi sono stati raccontati ogni giorno. I palestinesi uccisi e i prigionieri senza processo sono stati rimossi per più di un anno. Non era un'ombra era un occultamento deliberato di un genocidio: un abisso di ombre. La psicoanalisi, se vuole davvero entrare nel discorso pubblico, deve mostrare questo diniego collettivo, non fabbricare spettri.

Gli ostaggi hanno diritto di tornare a casa. I palestinesi hanno diritto di sopravvivere. La psicoanalisi deve illuminare ciò che viene negato, non ciò che già occupa le prime pagine. Deve servire a leggere la lingua del potere, non a rafforzarla. Altrimenti resta soltanto una predica che invoca fantasmi e lascia intatto il massacro. A volte si fa più bella figura a tacere

 

sabato 13 settembre 2025

MONI OVADIA

 MONI OVADIA: IPOCRITI, FINGONO CHE IL COLPEVOLE SIA IL SOLO NETANYAHU, DOPO 77 ANNI DI PERSECUZIONI PER SFRATTARE E ANNIENTARE IL POPOLO PALESTINESE

Troppo comodo, prendersela con il solo Netanyahu: come se fosse l'eccezione, anziché la regola (il potere violento che da quasi un secolo lavora per sfrattare e annientare i palestinesi). «Netanyahu è il cattivo? Perché, gli altri cosa hanno fatto? La Naqba l'ha fatta Ben Gurion, l'ha fatta Golda Meyr. Ben Gurion fece distruggere 500 villaggi palestinesi con un gesto della mano. Tutti i trucchi sono stati usati per depredare il popolo palestinese. C'era un progetto che appariva bello, quello del rimboschimento di quella terra: si chiamava Keren Kemet Israel, ma la sua verità è che volevano celare tutte le devastazioni e seppellire i morti che non si potevano dichiarare».

La voce dell'ebreo sefardita Salomon Ovadia, per tutti Moni, si leva stentorea come in un teatro greco: esprime dolore, sdegno, pietà. L'indignazione per la macelleria in corso rivaleggia con il furore di fronte ai sepolcri imbiancati, i governi europei sottomessi al padrone, i cittadini dormienti che assistono immobili allo sterminio, senza anestesia, di un'intera popolazione. Raccomanda il grande intellettuale ebreo: «Usate limpidamente, serenamente, la parola genocidio: perché di questo si tratta. E la cosa è talmente chiara che il primo a sdoganarla, nell'ambiente israeliano, è stato il massimo esperto di Olocausto in Israele, il professor Ramos Goldberg, che in un testo di 20 righe ha ripetuto la parola “genocidio” sei volte, e l'ultima volta ha scritto “genocidio intenzionale”».

Insiste Moni Ovadia: «Non è stato un errore, una perdita di controllo. No, questo era lo scopo: cancellare un popolo, con tutti i mezzi possibili; deportando i palestinesi, distruggendo tutta la loro cultura, tutta la loro istruzione». Niente sconti: «È dalle origini, il problema: perché quando ti presenti con lo slogan “una terra senza popolo per un popolo senza terra” vuol dire che ti vuoi sbarazzare di quel popolo che non vedi». Il popolo che non vuoi vedere, che vorresti non fosse mai esistito. Il popolo che stai letteralmente cancellando, anche con il miraggio beffardo dei due Stati: con Gaza ormai ridotta in macerie e la stessa Cisgiordania sbranata giorno per giorno dalla ferocia dei coloni.

Uno di loro, il fanatico Yigal Amir, arrivò a uccidere Rabin, l'unico leader israeliano disposto a fare la pace. «Un complotto ben costruito»: in cabina di regia «la feccia della destra ultra-reazionaria», non ostacolata da «una sedicente sinistra imbelle, incapace, bugiarda, ipocrita e complice», che ha rinunciato a pretendere verità e giustizia. Per Moni Ovadia, siamo precipitati «nella più atroce delle barbarie»: lo sterminio in atto tortura ogni giorno le coscienze ancora vive e condanna chi tace per pavidità e opportunismo.

«L'umanità ha impiegato secoli, millenni, per arrivare alla carta dei diritti universali dell'uomo; e i cosiddetti democratici occidentali hanno fatto carne di porco della legalità internazionale. Qui si tratta di scegliere: civiltà o barbarie. Di questo passo, un domani, quando oseremo invocare i diritti umani di fronte ai crimini dei peggiori dittatori, quelli ci diranno: “Ma state zitti, buffoni. Che cosa avete fatto con la Palestina? Non avete più titolo per parlare”. Noi dobbiamo guadagnarcelo di nuovo, questo titolo».

Ancora: «Non si illudano, gli indifferenti. Gramsci ce l'ha insegnato: sono i più detestabili, i più vigliacchi, perché non si assumono responsabilità. Lo stesso Dante disprezza gli ignavi: “Non ti curar di lor, ma guarda e passa”. Ebbene, chi oggi tace di fronte all'abominio verrà giudicato lo stesso: i suoi figli o i suoi nipoti gli sputeranno in faccia, per esser stato così vigliacco». Per Moni Ovadia, siamo di fronte a una barbarie mai vista, di fronte a cui è obbligatorio reagire: «Non so se avete visto la manifestazione di Amsterdam, la manifestazione di Parigi. Tocca anche a noi italiani. Eravamo paradigma di lotta: che cazzo ci è successo? Dobbiamo diventare decine di milioni, in strada. Tocca a ognuno di noi».

E che dire, di fronte a questi leader dell'Europa che si accorgono solo adesso del problema? «Da 77 anni il popolo palestinese è perseguitato, assassinato, torturato, espropriato, vessato. Dov'erano questi signori?». Militante da quarant'anni nell'ebraismo anti-sionista, Moni Ovadia rivela: «Ho ricevuto insulti, maledizioni, minacce (anche di morte). Adesso li voglio vedere in faccia, questi moderati. Non c'è peste peggiore della moderazione. Qui i moderati ci hanno regalato la mafia, la 'ndrangheta e la camorra, ci hanno regalato la complicità in tanti crimini, il Vietnam e poi la Libia, l'Iraq, l'Afghanistan, la Siria».

«Sapete, si calcolano in 55-60 milioni le vittime dell'imperialismo statunitense e dei suoi servi leccapiedi. E poi hanno anche il coraggio di parlare del comunismo...». Riguardo a Gaza, la misura è colma: «È arrivato il momento di non accettare, su questa questione, nessun understatement. Hanno fatto una delle cose più raccapriccianti: hanno deciso il momento in cui comincia la storia, cioè il 7 ottobre, come se prima non ci fosse stato niente. Le uccisioni di bambini palestinesi, gli arresti arbitrari, i furti di terra e di acqua, i massacri, le segregazioni...».

Moni Ovadia compirà 80 anni l'anno prossimo, ma sembra un giovane leone. «Fate attenzione, perché quando cala la tensione è facile dire “Be', adesso va un po' meglio”. No, non c'è “un po' meglio”». Sono stati oltrepassati tutti i limiti. «Non so se avete visto quella donna palestinese che camminava, sola, in mezzo a una strada tra le macerie. L'hanno polverizzata. Le hanno sparato addosso qualcosa, e lei si è dissolta in una nuvola di polvere. Sperimentano queste armi, sapete, anche perché non puoi seppellire la polvere. E così non possono più avere neanche quella pietas che c'era fin dai tempi della Guerra di Troia: avere il corpo del proprio caro, per piangerlo».

Moni Ovadia su Il Fatto Quotidiano, video:




IL MONDO QUANTISTICO

 

Negli ultimi decenni, la fisica quantistica ha rivoluzionato il nostro modo di concepire la realtà. Osservazioni su scala subatomica hanno minato certezze radicate da secoli e aperto nuove domande non solo sul mondo fisico, ma anche sul ruolo della mente nella costruzione della realtà. La relazione tra mente e materia, indagata da scienza e filosofia, appare oggi più che mai attuale.

IL MONDO QUANTISTICO: UN LUOGO DI PROBABILITÀ E OSSERVAZIONE.

La fisica quantistica nasce ufficialmente agli inizi del Novecento. Nel 1927, Werner Heisenberg formulò il principio di indeterminazione, secondo il quale è impossibile conoscere con precisione sia la posizione sia la velocità di una particella subatomica. Un aspetto centrale è il ruolo dell’osservatore. In un famosissimo esperimento, (il Gatto di Schrödinger), Erwin Schrödinger espose il paradosso controintuitivo che una particella (o addirittura un gatto) potesse esistere in stati sovrapposti, contemporaneamente vivo e morto, fino all’atto dell’osservazione.

La teoria quantistica ha sconcertato i fisici. Einstein reagì con il celebre aforisma: “Dio non gioca a dadi con l’universo”. Ma successivamente anche lui dovette arrendersi alla bizzarria quantistica. Nei decenni successivi, personalità come Niels Bohr e John Wheeler hanno studiato più a fondo il legame tra osservazione e realtà. Wheeler descriveva l’universo quantistico con la frase: “L’osservatore pone l’ultima pietra”.

LA QUESTIONE DELLA MENTE: CREATRICE O INTERPRETE?

Il dibattito sulla mente come “creatrice” della realtà fisica affonda le sue radici non solo nella scienza, ma anche nella filosofia. La metafisica occidentale non è nuova a speculazioni sulla relazione tra mente e materia. Già Platone immaginava un mondo di “idee pure” a cui la materia doveva la propria forma. Descartes, secoli dopo, tracciò una netta divisione tra mente (res cogitans) e materia (res extensa).

Oggi alcune prospettive quantistiche sembrano riavvicinare queste due dimensioni. Roger Penrose, matematico e fisico britannico, ha avanzato l’ipotesi che la coscienza umana possa avere un’origine quantistica. Con il neurofisiologo Stuart Hameroff, Penrose ha ipotizzato che i microtubuli nelle cellule cerebrali siano responsabili di processi quantistici fondamentali. Secondo questa teoria, la coscienza stessa potrebbe essere frutto di interazioni quantistiche non locali.

Amit Goswami, ex professore di fisica teorica, spinge il ragionamento ancora oltre. Goswami definisce la coscienza come materia primordiale dell’universo. Nella sua visione, la mente non si limita a osservare la realtà: la crea. “La realtà emerge dalla coscienza”, afferma. Questo paradigma si avvicina a idee spirituali antiche, come quelle del Vedānta, dove il Brahman (la pura coscienza) è origine e sostanza dell’universo.

GLI ESPERIMENTI CHE UNISCONO SCIENZA E FILOSOFIA.

Un esperimento cruciale per comprendere la relazione mente-realtà è il “double-slit experiment”. (Esperimento della doppia fenditura). Nel test, una particella passa attraverso due fenditure e, sullo schermo, crea un modello d’interferenza tipico delle onde. Tuttavia, quando uno strumento misura il percorso della particella, l’interferenza scompare. La particella si comporta come una particella “solida”, e attraversa una sola fenditura. Questo fenomeno dimostra come l’atto di osservare influisca sulla natura della realtà.

La relazione tra mente e materia affascina non solo gli scienziati, ma anche artisti e pensatori. Nella letteratura, autori come Jorge Luis Borges hanno esplorato il confine fra realtà e percezione. In racconti come “Il giardino dei sentieri che si biforcano”, Borges delinea un universo dove la realtà si sdoppia con ogni scelta, creando infiniti mondi paralleli. Un’idea che oggi risuona nella teoria dei “multiversi” proposta da Hugh Everett, altro noto fisico quantistico.

L’arte e la filosofia orientale, in particolare, hanno da secoli anticipato il dialogo tra mente e materia. Nel buddismo, il concetto di Śūnyatā (vacuità) suggerisce che la realtà non possiede un’esistenza intrinseca ed è co-creata dalla mente. Questo anticipa, in un certo senso, le intuizioni della fisica quantistica moderna.

UN MISTERO APERTO.

La relazione tra mente e materia resta uno dei misteri fondamentali dell’esistenza. La fisica quantistica fornisce strumenti straordinari per esplorarla, ma non risponde a tutto. Forse, come suggerisce il cosmologo Max Tegmark, la coscienza e la realtà appartengono a un “matematical universe” – una struttura dove la mente e la materia condividono un linguaggio comune fatto di schemi e numeri.

Rimane, tuttavia, una certezza: il mistero della mente e la sua interazione con il mondo fisico non è solo una questione scientifica. È una finestra aperta verso i confini del mistero umano, là dove filosofia, scienza e spiritualità si incontrano. Un luogo dove materia e mente danzano in una coreografia ancora in gran parte da comprendere.

Bruno Del Medico