Educare le macchine restando pronti
all’imprevedibile. L’AI vista da Cacciari
Michele Silenzi 08 apr 2025
“Oggi l’esistenza stessa dell’AI
mostra come la nostra età sia caratterizzata dal primato dell’homo technicus”.
Ma la macchina non deciderà mai da sola. Intervista al filosofo sulle sfide
della nuova tecnologia
Massimo Cacciari è senza dubbio il
più noto filosofo italiano. Il suo ultimo libro, Metafisica concreta, è un
richiamo costante a pensare e a tentare di dire ciò per cui sembra non abbiamo
parole, e che pure costituisce il tessuto stesso delle nostre esistenze: quello
sfondo illimitato e inafferrabile senza cui sarebbe il nulla piuttosto che
qualcosa, e dove la grande ricerca scientifica e la grande ricerca filosofica
convergono. Allo stesso tempo, la sua riflessione è da sempre ben piantata in
una continua attività politica, intesa sia come pratica amministrativa, sia
come attività diretta del pensiero nelle cose che fanno pulsare la nostra
quotidianità e danno forma al mondo che ci circonda giorno dopo giorno. In
questo senso, in questa doppia veste, non potevamo non interrogarlo sulla
grande questione dell’intelligenza artificiale che questo giornale, e nel suo
piccolo questo ciclo di interviste, cerca di indagare e capire nella sua
costante evoluzione.
Professor Cacciari, riflettendo
sull’intelligenza artificiale penso che la prima cosa su cui portare
l’attenzione, a livello filosofico, sia il tentativo di comprendere la
distinzione, se vi è per lei, tra intelligenza e pensiero. Si può guardare
all’intelligenza come alla “componente calcolante” della nostra ragione,
considerando invece il pensiero come la sua parte “creativa”, ossia quella che
“dà vita” a cose che altrimenti non sarebbero? Oppure ritiene questa
distinzione oziosa o errata?
“Kant parlava di tre facoltà-forze
fondamentali della nostra anima. Con la prima, strettamente connessa alle
nostre capacità di calcolo, condizione di ogni mathesis, noi legiferiamo sui
fenomeni, ta phaionomena, le cose in quanto e solo in quanto ci appaiono, e
cioè stabiliamo leggi della natura. La seconda riguarda il nostro dover essere,
indirizza secondo forme anch’esse a priori il nostro agire. Nella terza si
esprime quella componente essenziale della nostra natura per cui noi speriamo
esista una relazione essenziale tra essa e la natura “esteriore”, ovvero che la
Natura nel suo insieme abbia come suo intrinseco fine la nostra felicità. Non
resterebbe allora che chiedersi: può una Macchina presentare una tale
complessità? Se riflettiamo un po’ potremmo facilmente vedere come le opere più
straordinarie dell’uomo la manifestino, spesso drammaticamente, spesso
mostrando la disarmonia tra le sue parti. Potrebbe una Macchina interrogarsi,
come noi facciamo, intorno al problematico rapporto tra intelletto, ragione e
giudizio teleologico? Potremmo giungere a dover ammettere: non lo sappiamo. Se
il comportamento della Macchina corrispondesse al senso delle domande che ho
appena posto come potremmo decidere sulla sua “natura”? Che sia ‘natura’ è
certo, poiché nulla può esistere che non sia prodotto di Physis, ma ‘quale’
parrebbe impossibile deciderlo. Il test potrebbe svolgersi così: quali domande
porre al nostro ‘interlocutore’ tali che le sue risposte accertino che si
tratta di una Macchina? Ti angoscia la morte? Che intendi per morire? Sogni?
Come hai amato o odiato? Ma non potrebbe, se la Macchina è ‘vissuta’
abbastanza, aver imparato da noi, frequentandoci, osservandoci, tutte queste
‘passioni dell’anima’, così da saperle perfettamente imitare? (E sarebbe allora
ancora proprio parlare di imitazione?). Il self-learning non potrebbe giungere
a comportare anche questo? O il costruttore vorrà a priori renderlo
impossibile? Non credo si possa ora dare una risposta attendibile. Lo sviluppo
dell’AI, come tutte le grandi imprese del general intellect
tecnico-scientifico, è aperto all’imprevedibile. E l’imprevedibile è sempre
deinon, ha sempre in sé tremendi pericoli”.
In una recente conferenza
all’Accademia dei Lincei lei dice che la natura umana non è un dato, un fatto,
ma un fieri, un farsi. In questa ottica, esiste un limite che si possa porre
alla possibilità di una co-evoluzione tra essere umano e macchina?
“Co-evoluzione tra intelligenza e
Tecnica vi è sempre stata. Per questo la Tecnica è sempre più che un affare
tecnico. L’Homo technicus influisce sull’oeconomicus, sul politicus, sul
poeticus – e reciprocamente. A seconda delle epoche l’una dimensione può
emergere prepotentemente sulle altre e ognuna assumere forma diversa. Oggi
l’esistenza stessa dell’AI mostra come la nostra età sia caratterizzata dal
primato dell’homo technicus. E la forma specifica che la Tecnica assume in essa
è quella che ho definito faustiana: il progetto di trasformazione della stessa
intelligenza umana, più in generale: il progetto di trasformazione dello stesso
soggetto della Tecnica. In questo senso, è già del tutto possibile pensare
all’impianto nel cervello umano di dispositivi artificiali, di reti neurali
artificiali. La co-evoluzione diverrebbe allora un matter of fact”.
A volte si teme il fatto che le
macchine diventino più intelligenti di noi. Ma non lo sono già, se con
intelligenza si intende semplicemente la capacità di calcolare? E quindi non
dovremmo forse esaltare la potenza calcolante delle macchine di risolvere problemi
pratici, e semplicemente capire come utilizzarle al meglio, per quello che
potremmo chiamare, con parola desueta se utilizzata con maiuscola e priva di
connotazioni moralistiche, il Bene? Ma in tal senso, quale il destino della
politica? Ossia, nel momento in cui l’algoritmo processa tutto il calcolabile
con “esattezza”, quale lo spazio della decisione?
“Se l’AI è chiamata – e lo è ogni
giorno più profondamente – a fornire almeno la base conoscitiva di progetti e
scelte riguardanti ambiti essenziali della nostra vita, dall’amministrazione
pubblica alla sanità, dal campo della giustizia alla scuola, ecc., dovranno per
forza trovar spazio, tra gli input che la formano, anche imperativi di ordine
etico. Il comportamento oggettivamente riscontrabile dell’AI dovrà saperli
manifestare. Questo diviene allora il problema politico di fondo: quali saranno
i soggetti che ‘educheranno’ l’AI? I loro ‘padroni’? E chi sarà in grado di
controllarli, se non governarli? Quale ordine politico potrebbe non essere
costantemente in ritardo rispetto alla formidabile accelerazione del sistema,
Gestell, tecnico-scientifico-economico? Questa è la domanda esatta. La Macchina
non deciderà mai da sola – essa ha l’equivalente della nostra base genetica – e
poi su di essa impara, si evolve, si può anche trasformare – ma sempre
relativamente a quella base. Chi ha il potere di impostarla, di determinarne la
direzione fondamentale? La perfetta distopia sarebbe: il soggetto-padrone
dell’AI ne decide la struttura genetica e la Macchina autonomamente determina
la sua evoluzione epigenetica. E il sistema così formato decide sul bios, sulla
vita del nostro genere.