giovedì 1 maggio 2025

L’uomo planetario

 Oggi i problemi che preoccupano l’umanità hanno una dimensione mondiale e si manifestano nella loro interdipendenza all’interno del sistema planetario: lavoro, risorse, diritti, giustizia, libertà, inquinamento, guerre.

Ci vorrebbe una nuova etica universale concepita però con una nuova forma di pensiero a fondamento di una paidèia più universale. Dobbiamo cominciare a pensare che si debba includere e non escludere, pensare in termini di reciprocità, non di particolarità e di superiorità. Il nuovo imperativo storico è quello di cambiare noi stessi e educarci alla convivialità delle differenze perché siamo legati tutti a un comune destino. Lo sviluppo delle conoscenze scientifiche e delle loro applicazioni  tecnologiche consegna alla responsabilità dell’uomo il futuro dell’intera specie umana e di ogni forma di vita sulla terra. Il prezzo che stiamo pagando per l’abuso delle risorse naturali ci fa capire l’interdipendenza dei problemi legati al nucleare, all’inquinamento, all’effetto serra, alla desertificazione, alla continua distruzione di specie viventi. La soluzione di questi problemi non può avvenire a livello né continentale né nazionale perché le minacce sono universali, come la bomba nucleare, ecologica, biogenetica, etnica e quindi le risposte non possono che essere universali.

 L’uomo planetario ha il senso esistenziale dell’universalità, ha il senso esistenziale della giustizia sociale su scala mondiale, dove le disuguaglianze e gli squilibri sono macroscopici, è aperto alla cultura della multietnicità, riesce a capire il pianeta e non più soltanto il proprio stato-nazione.

Esiste oggi un uomo planetario o abbiamo solo individui che non hanno ancora né la coscienza della specie né la coscienza dell’habitat? (Angela Baldi)

lunedì 28 aprile 2025

La conoscenza cosmica

 

La conoscenza cosmica dello spirito collega la festa di Pasqua al risveglio del sole, allo sbocciare del mondo vegetale, alla primavera. Come il granello di frumento immerso nella terra deve morire per ridestarsi a nuovo, così dovette addormentarsi nel corpo umano la luce astrale per venire nuovamente risvegliata. Simbolo della festa di Pasqua è il granello di frumento che si sacrifica affinché nasca una nuova pianta. E’ il sacrificio di una fase di natura per farne sorgere una nuova. Il sacrificio e il divenire si fondono nella festa di Pasqua. Tutte quelle guide dell’umanità che seppero come la vita spirituale superiore si risveglia sbocciando dalla inferiore, hanno compreso l’idea pasquale. Perciò anche Dante nella sua Divina Commedia ha rappresentato il proprio risveglio nella data del Venerdì Santo. Lo vediamo chiaramente sin dal principio del poema. La grande visione che Dante ci descrive viene collocata da lui nel suo 35° anno, nel mezzo della vita. Settant’anni formano una vita umana normale, trentacinque la metà. Il poeta assegna trentacinque anni allo sviluppo graduale dell’esperienza fisica, a quel periodo di tempo in cui l’uomo accoglie ancor sempre in sé nuove esperienze fisiche. Allora egli è maturo al fatto che all’esperienza fisica si accompagni la spirituale. Quando le forze del fisico crescenti, divenienti sono raccolte, riunite tutte quante, allora in- comincia il periodo in cui viene destato a vita l’elemento spirituale. Perciò Dante fa sorgere la sua visione nella festa di Pasqua. Il Natale celebra il primo naturale accrescersi della forza solare. La Pasqua viene posta in connessione con l’ascesa delle forze solari giunte al mezzo. Siamo nel punto centrale di primavera, nel punto della Pasqua, quando Dante pensò sé stesso a metà della vita umana e sentì sbocciare in sé medesimo la vita dello Spirito. A ragione la festa di Pasqua è fissata a metà della curva ascendente del sole, in relazione a quel punto nel tempo in cui viene risvegliata a nuovo nell’uomo la luce astrale addormentata. La forza del sole sveglia la semente che dormiva, il chicco di grano che riposa in seno alla terra; il sole è diventato simbolo di ciò che ha luogo nell’uomo quando si desta in lui quello che l’occultista chiama la luce astrale. Essa nasce nell’intimo dell’uomo. La festa di Pasqua è la festa della Risurrezione nell’intimo dell’uomo. Il pensiero di Cristo Redentore è stato messo in rapporto col pensiero cosmico.

E’ stata sentita una specie di antitesi tra il concetto cristiano della Pasqua e l’idea scientifico-spirituale del Karma. Quest’ultima sembra in contrasto con la Redenzione portata dal Figlio dell’Uomo. Coloro che poco capiscono della concezione fondamentale della Scienza dello Spirito, scorgono un antagonismo tra la redenzione dovuta al Cristo Gesù e il concetto del Karma. Secondo loro il pensiero di un Dio Redentore contraddice all’auto-redenzione operata dal Karma: ma essi non comprendono in maniera giusta né il pensiero pasquale della redenzione, né il pensiero karmico della giustizia. Avrebbe torto chi vedendo soffrire un altro uomo gli dicesse: "Ti sta bene, tu stesso sei la causa del tuo male!" e gli negasse aiuto per lasciare agire il karma. Sarebbe malintendere il karma, il quale ci dice: "Aiuta colui che soffre, poiché tu sei al mondo per aiutare. In modo analogo possiamo anche aiutare invece di un singolo, un’intera cerchia di uomini, e così facendo ci inseriamo nel loro karma. Se una individualità possente quale il Cristo Gesù viene in soccorso dell’umanità intera, l’olocausto che Egli fa di sé, la sua morte, agisce nel karma di tutta l’umanità. Egli aiutò a portare il karma di tutta l’umanità, e noi possiamo tener per certo che la Redenzione compiuta dal Cristo Gesù fu accolta nel karma dell’intero genere umano. Sarà proprio la Scienza dello Spirito che guiderà a comprendere veramente il concetto della Redenzione e della Resurrezione. Un Cristianesimo avvenire fonderà l’unione fra la Redenzione e il Karma. Nella vita spirituale causa ed effetto sono connessi, perciò questo sommo sacrificio deve recare i suoi effetti nella vita degli uomini. Anche il concetto di questa festa pasquale che sembra scritta nel mondo stellare, che in esso crediamo di leggere, viene reso più profondo e più sublime dalla conoscenza dello spirito. E d’altro canto ravvisiamo altresì gli arcani del pensiero di Pasqua se volgiamo lo sguardo alla nuova alba dello spirito che sorgerà nell’uomo. Al presente l’uomo vive a mezzo della vita in condizioni disordinate, confuse, prive di armonia. Ma tuttavia egli può sapere che, come il mondo è emerso dal Caos, così dalla propria interiorità oggi ancora caotica un giorno sorgerà l’armonia.

Il Redentore che vive nell’intimo dell’uomo risorgerà, simile al corso regolare dei Pianeti intorno al Sole. Egli, di fronte a ogni dissenso significherà l’unione, la suprema armonia. La solennità della Pasqua renda memore ognuno della Risurrezione dello Spirito dalla presente ottenebrata natura umana.

DR. RUDOLF STEINER


sabato 12 aprile 2025

 

George Orwell diceva:

La solitudine più terribile non è quella che deriva dall'essere soli, ma quella che deriva dall'essere fraintesi; la solitudine di stare in una stanza affollata, circondata da persone che non ti vedono, che non ti sentono, che non ti sanno la vera essenza di chi sei. E in quella solitudine, ti senti come se stessi svanendo, scomparendo nello sfondo, fino a non essere altro che un fantasma, un'ombra del te stesso di prima.

È quel dolore profondo dell'anima di essere circondato da persone - amici, familiari, colleghi - eppure sentirsi completamente invisibili. Puoi sorridere, annuire e passare attraverso i movimenti, ma dentro, senti un senso di isolamento che le parole non riescono a catturare appieno. Ti senti come se nessuno ti capisse veramente, come se le parti più vere di te fossero nascoste, lasciate non riconosciute, mentre il mondo riconosce solo la versione di te che si adatta.

Questo tipo di solitudine colpisce duramente perché non riguarda l'assenza di persone, ma l'assenza di connessione. Desideri essere vista per quello che sei veramente, per far capire a qualcuno il linguaggio della tua anima, le tue stranezze, i tuoi sogni e le complessità del tuo cuore. Ma quando vieni frainteso, ti sembra che ci sia un divario incolmabile tra il tuo mondo interiore e quello esterno. È come stare dietro una parete di vetro, sperando disperatamente che qualcuno ti guardi attraverso e ti *veda* veramente, per poi rendersi conto che ti sta guardando davanti.

In quello spazio di sentirsi sconosciuti, inizi a mettersi in discussione. Ti chiedi se dovresti cambiare, se dovresti diventare ciò che il mondo si aspetta o desidera, solo per sentire un pizzico di accettazione. Ma anche allora, la solitudine non svanisce, ma solo cresce. Perché la tragedia più profonda è la lenta dissolvenza della propria essenza, le parti di te che inizi a nascondere o a lasciare andare, semplicemente ad appartenere. Diventi un'ombra, un fantasma del te stesso vibrante che eri una volta, alla deriva silenziosa, aggrappandosi alla speranza che un giorno, qualcuno possa capire.

Ciò che rende questo tipo di solitudine così dolorosa è che non è solo il desiderio di essere amati, ma il desiderio di essere conosciuti, e amati *per* essere conosciuti. Per qualcuno che guardi le parti di te che sono incasinate, complicate, e anche rotte, e dica: "Ti vedo. Capisco. E sono qui. ” È il desiderio che qualcuno senta i sussurri più silenziosi del tuo cuore e senta le profondità della tua anima senza giudizio o aspettative.

Eppure, anche in quella terribile solitudine, c'è una forza tranquilla. C'è resilienza nel aggrapparsi alla propria essenza, anche quando sembra invisibile. C'è coraggio nel mantenere viva la tua luce, nel rifiutare di lasciare che l'incomprensione del mondo spenga il fuoco dentro di te. Puoi sentirti invisibile, ma la verità è che la tua unicità, la tua complessità, sono ciò che ti rende straordinario. Da qualche parte, qualcuno lo apprezzerà. E fino ad allora, puoi apprezzarlo.

A volte, il viaggio attraverso l'essere incompresi porta a una comprensione più profonda di se stessi. Ti insegna ad abbracciare chi sei, anche se il mondo non è pronto. Invita a trovare pace in compagnia, a coltivare le parti di te che si sentono soli e sconosciute. E, col tempo, potrai scoprire che i legami giusti - quelli che ti vedono, ti sentono e ti conoscono - arrivano quando meno te li aspetti.

Quindi, aspetta. Tieni viva la tua essenza. Rifiutati di diventare un'ombra, anche se questo significa stare da soli per un po'. Il tuo vero io merita di essere celebrato, e anche se l'attesa può sembrare lunga, la bellezza di essere pienamente conosciuti vale ogni momento. Il tuo popolo, quelli che capiscono veramente la tua anima, sono là fuori, e quando ti troveranno, la terribile solitudine inizierà a svanire. Ti renderai conto che la tua essenza non è mai stata fatta per essere nascosta. È sempre stato fatto per brillare.

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Cosa significherebbe per te sentirti veramente conosciuto e compreso da qualcuno?

 

Meraviglia della natura

 

Spettacolare questa panoramica del parco di Yellowstone! Non solo si vede la Via Lattea in tutta la sua estensione, ma si apprezza anche distintamente la luminosità verdastra dell'airglow.

L'airglow, o luminescenza notturna, è causato da un insieme di processi negli strati superiori dell'atmosfera, come la ricombinazione degli ioni che sono stati fotoionizzati dalla radiazione solare durante il giorno, la luminescenza derivante dagli urti tra i costituenti dell'atmosfera ed i raggi cosmici incidenti e la chemiluminescenza associata alla reazioni dell'ossigeno e dell'azoto con lo ione idrossido ad altezze di poche centinaia di chilometri.

E come non notare il Grand Prismatic Spring, il lago termale più grande degli Stati Uniti, dal cui bacino multicolore si solleva una nuvola di vapore?

Insomma, è uno spettacolo per gli occhi che almeno una volta nella vita vale la pena di vedere...

Massimiliano (dall'archivio gruppo Chi ha paura del buio)

Credits: Dave Lane Astrophotography



 

 

giovedì 10 aprile 2025

9 aprile 1948 il massacro sionista di Deir Yassin,

 

Fu pianificato per seminare il terrore e il panico tra la popolazione palestinese in tutte le città e paesi della Palestina, al fine di intimidire gli abitanti e obbligarli a fuggire per poter confiscare le loro case e le loro terre ad uso dei coloni ebrei. La tattica degli ebrei sionisti era di intimorire le persone indifese perché fuggissero dalle loro case per la paura di perdere la vita.

Assassinarono 250 persone. Mutilarono i corpi anche prima della morte. I criminali tagliarono membra ad alcuni e aprirono il ventre ad altri. Assassinarono bambini al petto delle loro madri indifese.

Di queste duecentocinquanta persone, a venticinque donne incinte fu conficcata una baionetta nel ventre. Mutilarono 52 bambini di fronte alle madri, dopo li assassinarono e decapitarono. Dopo assassinarono e mutilarono le madri. Circa sessanta donne e bambine furono assassinate e mutilate. Questi sono i fatti storici relativi all’orribile crimine perpetrato contro il villaggio arabo di Deir Yassin.

Nella notte tra il 9 e il 10 aprile 1948, il tranquillo paese arabo di Deir Yassin, un sobborgo di Gerusalemme, fu sorpreso dagli altoparlanti che esortavano gli abitanti ad evacuare immediatamente il paese. I paesani si svegliarono, in uno stato di confusione e paura cercarono di verificare cosa stava succedendo e si trovarono circondati da ogni parte da bande ebree. Gli ebrei approfittarono della paura e della disorganizzazione che regnavano per uccidere e mutilare persone prive di qualsiasi opportunità di difendersi.

Gli assassini non erano soddisfatti dei crimini che avevano commesso nel villaggio. Aggredirono le donne e le bambine sopravvissute e dopo avergli tolto tutti i vestiti, le fecero salire su veicoli aperti, portandole nude per le strade del quartiere ebreo di Gerusalemme, dove furono sottoposte alle beffe e agli insulti degli spettatori. Molti scattarono delle fotografie di queste donne.

mercoledì 9 aprile 2025

L'intervista

 Educare le macchine restando pronti all’imprevedibile. L’AI vista da Cacciari

Michele Silenzi 08 apr 2025

“Oggi l’esistenza stessa dell’AI mostra come la nostra età sia caratterizzata dal primato dell’homo technicus”. Ma la macchina non deciderà mai da sola. Intervista al filosofo sulle sfide della nuova tecnologia

Massimo Cacciari è senza dubbio il più noto filosofo italiano. Il suo ultimo libro, Metafisica concreta, è un richiamo costante a pensare e a tentare di dire ciò per cui sembra non abbiamo parole, e che pure costituisce il tessuto stesso delle nostre esistenze: quello sfondo illimitato e inafferrabile senza cui sarebbe il nulla piuttosto che qualcosa, e dove la grande ricerca scientifica e la grande ricerca filosofica convergono. Allo stesso tempo, la sua riflessione è da sempre ben piantata in una continua attività politica, intesa sia come pratica amministrativa, sia come attività diretta del pensiero nelle cose che fanno pulsare la nostra quotidianità e danno forma al mondo che ci circonda giorno dopo giorno. In questo senso, in questa doppia veste, non potevamo non interrogarlo sulla grande questione dell’intelligenza artificiale che questo giornale, e nel suo piccolo questo ciclo di interviste, cerca di indagare e capire nella sua costante evoluzione.

Professor Cacciari, riflettendo sull’intelligenza artificiale penso che la prima cosa su cui portare l’attenzione, a livello filosofico, sia il tentativo di comprendere la distinzione, se vi è per lei, tra intelligenza e pensiero. Si può guardare all’intelligenza come alla “componente calcolante” della nostra ragione, considerando invece il pensiero come la sua parte “creativa”, ossia quella che “dà vita” a cose che altrimenti non sarebbero? Oppure ritiene questa distinzione oziosa o errata?

“Kant parlava di tre facoltà-forze fondamentali della nostra anima. Con la prima, strettamente connessa alle nostre capacità di calcolo, condizione di ogni mathesis, noi legiferiamo sui fenomeni, ta phaionomena, le cose in quanto e solo in quanto ci appaiono, e cioè stabiliamo leggi della natura. La seconda riguarda il nostro dover essere, indirizza secondo forme anch’esse a priori il nostro agire. Nella terza si esprime quella componente essenziale della nostra natura per cui noi speriamo esista una relazione essenziale tra essa e la natura “esteriore”, ovvero che la Natura nel suo insieme abbia come suo intrinseco fine la nostra felicità. Non resterebbe allora che chiedersi: può una Macchina presentare una tale complessità? Se riflettiamo un po’ potremmo facilmente vedere come le opere più straordinarie dell’uomo la manifestino, spesso drammaticamente, spesso mostrando la disarmonia tra le sue parti. Potrebbe una Macchina interrogarsi, come noi facciamo, intorno al problematico rapporto tra intelletto, ragione e giudizio teleologico? Potremmo giungere a dover ammettere: non lo sappiamo. Se il comportamento della Macchina corrispondesse al senso delle domande che ho appena posto come potremmo decidere sulla sua “natura”? Che sia ‘natura’ è certo, poiché nulla può esistere che non sia prodotto di Physis, ma ‘quale’ parrebbe impossibile deciderlo. Il test potrebbe svolgersi così: quali domande porre al nostro ‘interlocutore’ tali che le sue risposte accertino che si tratta di una Macchina? Ti angoscia la morte? Che intendi per morire? Sogni? Come hai amato o odiato? Ma non potrebbe, se la Macchina è ‘vissuta’ abbastanza, aver imparato da noi, frequentandoci, osservandoci, tutte queste ‘passioni dell’anima’, così da saperle perfettamente imitare? (E sarebbe allora ancora proprio parlare di imitazione?). Il self-learning non potrebbe giungere a comportare anche questo? O il costruttore vorrà a priori renderlo impossibile? Non credo si possa ora dare una risposta attendibile. Lo sviluppo dell’AI, come tutte le grandi imprese del general intellect tecnico-scientifico, è aperto all’imprevedibile. E l’imprevedibile è sempre deinon, ha sempre in sé tremendi pericoli”.

In una recente conferenza all’Accademia dei Lincei lei dice che la natura umana non è un dato, un fatto, ma un fieri, un farsi. In questa ottica, esiste un limite che si possa porre alla possibilità di una co-evoluzione tra essere umano e macchina?

“Co-evoluzione tra intelligenza e Tecnica vi è sempre stata. Per questo la Tecnica è sempre più che un affare tecnico. L’Homo technicus influisce sull’oeconomicus, sul politicus, sul poeticus – e reciprocamente. A seconda delle epoche l’una dimensione può emergere prepotentemente sulle altre e ognuna assumere forma diversa. Oggi l’esistenza stessa dell’AI mostra come la nostra età sia caratterizzata dal primato dell’homo technicus. E la forma specifica che la Tecnica assume in essa è quella che ho definito faustiana: il progetto di trasformazione della stessa intelligenza umana, più in generale: il progetto di trasformazione dello stesso soggetto della Tecnica. In questo senso, è già del tutto possibile pensare all’impianto nel cervello umano di dispositivi artificiali, di reti neurali artificiali. La co-evoluzione diverrebbe allora un matter of fact”.

A volte si teme il fatto che le macchine diventino più intelligenti di noi. Ma non lo sono già, se con intelligenza si intende semplicemente la capacità di calcolare? E quindi non dovremmo forse esaltare la potenza calcolante delle macchine di risolvere problemi pratici, e semplicemente capire come utilizzarle al meglio, per quello che potremmo chiamare, con parola desueta se utilizzata con maiuscola e priva di connotazioni moralistiche, il Bene? Ma in tal senso, quale il destino della politica? Ossia, nel momento in cui l’algoritmo processa tutto il calcolabile con “esattezza”, quale lo spazio della decisione?

“Se l’AI è chiamata – e lo è ogni giorno più profondamente – a fornire almeno la base conoscitiva di progetti e scelte riguardanti ambiti essenziali della nostra vita, dall’amministrazione pubblica alla sanità, dal campo della giustizia alla scuola, ecc., dovranno per forza trovar spazio, tra gli input che la formano, anche imperativi di ordine etico. Il comportamento oggettivamente riscontrabile dell’AI dovrà saperli manifestare. Questo diviene allora il problema politico di fondo: quali saranno i soggetti che ‘educheranno’ l’AI? I loro ‘padroni’? E chi sarà in grado di controllarli, se non governarli? Quale ordine politico potrebbe non essere costantemente in ritardo rispetto alla formidabile accelerazione del sistema, Gestell, tecnico-scientifico-economico? Questa è la domanda esatta. La Macchina non deciderà mai da sola – essa ha l’equivalente della nostra base genetica – e poi su di essa impara, si evolve, si può anche trasformare – ma sempre relativamente a quella base. Chi ha il potere di impostarla, di determinarne la direzione fondamentale? La perfetta distopia sarebbe: il soggetto-padrone dell’AI ne decide la struttura genetica e la Macchina autonomamente determina la sua evoluzione epigenetica. E il sistema così formato decide sul bios, sulla vita del nostro genere.

giovedì 3 aprile 2025

L’obbedienza cieca è l’origine dei più grandi mali dell’umanità.

 Oggi risuona nuovamente la chiamata alle armi. Credevamo che il mondo omerico con la sua celebrazione della forza e del “coraggio sul campo di battaglia” appartenesse a un lontano, remoto passato, quando l’umanità era più primitiva, più feroce, più brutale. Ma già due millenni fa c’era chi era insensibile a tali richiami. Si tratta del poeta Archiloco di Paro che abbandonò lo scudo nel bel mezzo della battaglia. La scelta di gettare lo scudo rappresenta una rottura con i valori del mondo omerico, dove ciò che contava era soprattutto l’onore e il desiderio di gloria.

Archiloco descrive la brutalità della guerra non celandola dietro artefici poetici, e la guerra, perduta ogni valenza epica, si mostra davanti agli occhi del poeta nella sua indecente nudità, mentre quest’ultimo rivolge la sua attenzione alla vita, che capisce essere più preziosa di qualsiasi cosa.

Il vero eroe è il disertore, colui che dice “no” alla guerra, colui che si rifiuta di obbedire, ciecamente obbedire, agli ordini dei suoi superiori diventando in tal modo un assassino, un Caino moderno. Cosa dissero infatti i carcerieri dei lager? Come si difesero i mediocri funzionari dell’apparato nazista? Non avevamo altra scelta, non potevamo agire diversamente, obbedivano a delle direttive. Ecco l’eterna giustificazione di chi abdicando alla propria umanità, alla propria coscienza, alla propria dignità di essere pensante in grado di discernere il bene del male, rinuncia al proprio essere uomo per trasformarsi in un ingranaggio del sistema.

Si possono compiere le peggiori atrocità ed essere convinti al tempo stesso di avere la coscienza a posto. Ciò accade quando accogliamo, senza averle sottoposto al vaglio della nostra coscienza, idee, atteggiamenti, pratiche condivise che proprio per il fatto di essere condivise ci paiono naturali. È questa la banalità del male di cui parla Anna Arendt: l’incapacità di pensare, di sentire, il piegare la propria coscienza alle leggi ed alle direttive imposte dall’alto, giuste o sbagliate che siano non fa differenza.

G.Middei, anche se voi mi conoscete come Professor X (Cari amici, se volete mi potete seguire anche su Instagram, dove pubblicherò contenuti inediti, mi trovate la come “IlprofessorX”)

#società #socialmedia #filosofia