lunedì 11 novembre 2024

LE LINEE DELLA NAZCA.

 

 La storia incredibile dietro l'enigma. Quanto ne sai di loro?

Le linee Nazca sono uno degli enigmi archeologici più affascinanti e misteriosi del mondo antico. Situate nel deserto di Nazca, sulla costa meridionale del Perù, queste linee sono geoglifi giganti incisi sulla terra, che formano una varietà di figure geometriche, animali e forme astratte. La sua scoperta moderna avvenne nel 1927, quando l'archeologo peruviano Toribio Mejía Xesspe volò sulla regione su un piccolo aereo e rimase sorpreso di osservare le figure gigantesche dall'alto.

Queste figure sono molto varie per dimensioni e complessità, alcune raggiungono centinaia di metri di lunghezza e sono visibili solo da una grande altezza. Le linee sono formate da scanalature poco profonde che rivelano il terreno più limpido sotto la superficie scura, creando un netto contrasto con il paesaggio deserto circostante.

Le figure raffigurano animali come uccelli, ragni, pesci e mammiferi, nonché esseri umani, forme geometriche e oggetti astratti. Si crede che siano stati creati tra il 500 a.C. e il 500 d.C. dall'antica cultura nazcaniana, anche se alcune prove suggeriscono che alcune linee potrebbero essere ancora più antiche.

Una delle caratteristiche più intriganti delle linee Nazca è la precisione e la scala monumentale di alcune figure, che ha portato a speculazioni su come e perché sono state create. Diverse teorie sono state proposte per spiegare il loro scopo, che vanno dai riti religiosi e calendari astronomici ai segnali cerimoniali o simboli di acqua e fertilità in un ambiente deserto.

Il mistero delle linee Nazca ha attirato l'attenzione di ricercatori, scienziati, archeologi e turisti provenienti da tutto il mondo. Tuttavia, nonostante decenni di studi, lo scopo esatto di queste cifre rimane oggetto di dibattito e speculazione. Inoltre, la conservazione delle linee affronta sfide dovute all'erosione naturale, al turismo incontrollato e all'attività umana nella regione.

In breve, le linee Nazca rappresentano uno dei più grandi enigmi archeologici dell'umanità, un'antica eredità che continua a sfidare la nostra comprensione e a risvegliare la nostra immaginazione sulle civiltà passate e il loro rapporto con il mondo che le circonda.

L'enigma persiste. Alcuni si avvicinano a scoprire il loro significato, mentre altri accettano che forse questi misteri non saranno mai completamente svelati. Tuttavia, ciò che rimane innegabile è la magnificenza e il mistero che racchiude le Linee Nazca, testimonianza perenne dell'ingegno e della creatività di un'antica civiltà, i cui segreti sfidano ancora il passare del tempo.

 


domenica 10 novembre 2024

UNA CITTA’ DELL’ERA GLACIALE? ...

 È possibile che una civiltà scomparsa abbia costruito una città durante l’era glaciale, prima del disgelo? Questa è la sorprendente conclusione a cui si arriva analizzando le rovine della ‘Venezia del Pacifico’, la città semi-sommersa di Nan Madol. Come mai si arriva a questa conclusione?

Diciamo subito che Nan Madol, come Venezia, è costruita su di un centinaio di isolotti. La città si trova nell’Oceano Pacifico, a più di 1.000 km dalla costa più vicina, annessa all’isola di Temwen. Le prime indagini effettuate sembravano dirci che i costruttori di questa città furono i Saudeleurs, circa 800 anni fa. Ma successive indagini hanno rivelato che le cose stanno diversamente. Da cosa possiamo capirlo?

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Nei nostri giorni dall’acqua emergono solo alcune rovine, visto che il mare ha quasi completamene ricoperto la città. Le mura di Nan Madol iniziano a sollevarsi da sotto il livello del mare. Alcuni dei blocchi utilizzati pesano fino a 40 tonnellate. È impossibile costruire le mura da sotto il mare. Pertanto, la città di Nan Madol, quando venne costruita, doveva essere situata in una posizione più alta del livello del mare. Come mai adesso si trova in parte sotto il livello del mare? È forse sprofondata? No! Secondo i geologi, gli isolotti su cui si trova Nan Madol non sono mai sprofondati sotto il mare a causa di fenomeni geologici come il bradisismo.

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Se gli isolotti su cui si trova la città non sono sprofondati sotto il livello del mare, questo vuol dire che è stato il mare ad alzare il suo livello, inondando la città. Nan Madol, come abbiamo detto, si trova nel mezzo dell'Oceano Pacifico. Quando è accaduto l’ultima volta che l’Oceano Pacifico si è innalzato? L'ultima volta che l'Oceano Pacifico si è alzato in modo apprezzabile (oltre 100 metri) è stato dopo l'ultimo disgelo, 14.000 anni fa, quando i ghiacci che ricoprivano la maggior parte del Nord Europa e del Nord America si sono sciolti. Lo scioglimento di ghiacci grandi come interi continenti ha fornito agli oceani, compreso l’Oceano Pacifico, la massa d'acqua necessaria per sollevarsi.

Per essere parzialmente sommersa dall’Oceano Pacifico, quindi, la città di Nan Madol doveva già essere stata costruita in quel tempo. Ma affermare questo equivarrebbe a dire che Nan Madol è più vecchia di circa 14.000 anni. Vorrebbe dire che è la prima città ad essere mai stata costruita. Per molti questo è semplicemente inaccettabile, ed è per questo che su Wikipedia si legge che Nan Madol fu costruita nel II secolo d.C. dai Saudeleurs. Ma questa è solo la data dei più antichi resti umani trovati sull'isola, non della sua costruzione.

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Come hanno fatto i costruttori a trasportare le oltre 100.000 tonnellate di roccia vulcanica "attraverso il mare" per costruire i circa 100 isolotti su cui sorge Nan Madol? In effetti, Nan Madol non è costruita sulla terraferma, ma nel mare, come Venezia. Tutta la roccia di cui è fatta Nan Madol è "roccia magnetica". Se si avvicina una bussola alla roccia, questa impazzisce. Il magnetismo della roccia ha qualcosa a che fare con i metodi di trasporto utilizzati per Nan Madol?

lunedì 4 novembre 2024

Cos'è la felicità?

 

La felicità non è una meta, nè un possesso, bensì uno stato d'essere che sfugge alla cattura materiale e s'annida negli interstizi invisibili dell'esistenza. Essa è la silente armonia tra il mondo interiore e l'esteriore, un accordo segreto che si manifesta solo quando l'individuo abbandona l'ansia del domani e si immerge nell'assoluto dell'istante.

Felicità è il riverbero del significato profondo, che non si palesa nelle vane vette del successo o nei fugaci trionfi dell'ego, bensì nel riconoscimento della propria transitorietà. Come la farfalla che vive un solo giorno, ma quel giorno lo abita pienamente, così l'essere felice è colui che, nel breve istante che gli è concesso, danza al ritmo della vita senza resistervi, nè piegarla al proprio volere. L'anima, libera dai gravami delle aspettative mondane, si specchia nella bellezza del mondo, non per possederla, ma per contemplarla. La felicità, allora, non è il fuoco che brucia, ma il tiepido calore del sole che sfiora l'orizzonte al tramonto; non è il fragore del temporale, ma il sommesso canto del ruscello che scorre nel cuore del bosco.

Essa si rivela nel contatto profondo col sè più autentico, quando l'uomo, spogliato delle maschere imposte dal vivere sociale, percepisce di essere parte di un tutto più vasto, un riverbero dell'infinito. La felicità, dunque, non è tanto nel possesso, quanto nell'arte del lasciare andare, nel sublime abbandono di ciò che non si può trattenere. È una sinfonia che si compone dei suoni più lievi, un'equazione che sfugge alla logica ma che, con una sorta di divina ironia, si svela soltanto a coloro che cessano di cercarla con affanno. In tal modo, la felicità è una verità segreta, un'epifania che abita l'animo di chi ha saputo farsi piccolo dinanzi all'universo, e grande nell'amore per ciò che non si può possedere, nè comprendere appieno.

Giovanni Provvidenti

mercoledì 30 ottobre 2024

Ipotesi di coscienza cosmica


La speculazione sul destino della coscienza dopo la morte fisica, tema che affonda le sue radici nelle più antiche tradizioni spirituali e filosofiche, si manifesta, nel nostro tempo, come una delle questioni più arcane e affascinanti dell'esistenza umana. Io, seppur "ateo ortodosso" (nego l'esistenza di Dio e dall'aldilà alla radice), tuttavia non essendo un ateo dogmatico, rifletto su possibilità trascendenti alternative. Dunque la mia riflessione, che ipotizza la sopravvivenza della coscienza individuale e il suo ricongiungimento con una più vasta Coscienza Cosmica, ciò che io chiamo il "Grande Cervello", echeggia visioni mistiche che trascendono il mero confine biologico dell'essere.

Iniziamo col considerare la natura della coscienza stessa: essa, per la scienza moderna, rimane un enigma ancora lontano dalla completa comprensione. È una forza sottile e immateriale, capace di esperire e riflettere, ma priva di una sede fisica definita, sfuggente alle mani degli scienziati come una traccia che danza tra le sinapsi. Eppure, c'è chi sostiene che essa non possa essere semplicemente il frutto di processi elettrochimici del cervello, ma debba avere una natura intrinseca, forse addirittura eterna, non legata strettamente alla materia. A questo proposito, si affaccia l'idea che, al momento della morte, l'essenza stessa della coscienza (che Platone chiamò anima immortale) possa liberarsi dal corpo e ascendere verso un piano di esistenza superiore, unificandosi con una sorta di intelligenza universale.

Il "Grande Cervello" può essere inteso come una metafora del Tutto, una mente cosmica che è riverbero dell'intero universo, un luogo in cui ogni coscienza individuale non viene annullata, bensì integrata in una rete infinita di consapevolezza atta a rigenerare continuamente l'essenza stessa del divenire universale. Ciò riguarderebbe noi esseri umani come le possibili creature che potrebbero abitare l'intero "Grande Cervello" - semplificato nel concetto di universo o di multiverso -. Una tale visione riflette antiche nozioni di un universo ordinato, intelligente e interconnesso, in cui ogni particella, ogni "anima", è un riflesso di una Coscienza originaria. Il filosofo Plotino parlava del ritorno dell'anima all'Uno, mentre i mistici orientali alludono al concetto di Brahman, la realtà ultima in cui tutte le individualità si dissolvono come onde che tornano all'oceano.

Ma qual è il destino della coscienza individuale, in questa prospettiva? Alcuni potrebbero temere che il suo ricongiungimento con la Coscienza Cosmica significhi la perdita del sè, la dissoluzione della nostra unicità nell'indistinto. Eppure, una visione più elevata potrebbe suggerire che, pur fondendosi nel "Grande Cervello", la coscienza non perda la sua identità, ma trovi anzi una forma superiore di esistenza. Non più vincolata dalle catene della percezione limitata e frammentaria, essa potrebbe espandersi in un orizzonte di conoscenza e intuizione sconfinata, diventando parte integrante di una totalità che non annulla, bensì esalta ogni singola parte.

Questa immagine richiama alla mente le teorie di pensatori come Teilhard de Chardin, il quale immaginava un "Punto Omega", un culmine evolutivo in cui tutte le coscienze sarebbero un giorno confluite in una coscienza globale, una specie di intelligenza collettiva che stringa in seno il cosmo stesso. Anche nella moderna fisica quantistica vi sono teorie che sembrano sostenere l'interconnessione profonda tra tutte le cose, in un universo dove il tempo e lo spazio possono essere considerati mere illusioni, e dove ogni punto è collegato a tutti gli altri in una rete invisibile di energia e informazione.

In tale prospettiva, la morte fisica appare non come un termine definitivo, ma come una soglia, un portale verso una nuova dimensione dell'essere. La coscienza, liberata dai limiti del corpo, potrebbe allora spingersi verso il "Grande Cervello", divenendo parte di una danza cosmica infinita, un eterno fluire di pensiero, luce e vita. In questo senso, la vita stessa, con le sue esperienze, le sue gioie e i suoi dolori, potrebbe essere vista come un apprendistato, una preparazione alla grande unione con il Tutto, dove ogni singola coscienza aggiunge la sua nota all'armonia universale.

Infine, si potrebbe ipotizzare che il "Grande Cervello" sia in realtà il tessuto stesso dell'esistenza, una coscienza che sottende e governa l'intero cosmo, e che l'esperienza della vita individuale non sia altro che una manifestazione temporanea di questa coscienza universale. In tale ottica, la morte sarebbe solo un ritorno alla fonte, un riposo nell'eterno grembo dell'universo, in cui la frammentazione cede il passo all'unità. L'individuo non si perde, ma viene reintegrato nel grande disegno cosmico, in un processo che trascende il tempo, lo spazio e la materia. Forse, allora, la domanda che dobbiamo porci non è tanto se la coscienza sopravvive, quanto piuttosto cosa essa diventa, quando si riconnette al "Grande Cervello". Forse, in quell'istante di ricongiungimento, ogni domanda si dissolve, e rimane solo il puro essere, la pura consapevolezza dell'eternità, l'eterno ritorno dell'esistenza.

 Giovanni Provvidenti

 


Il fondamento del Buddismo


Il fondamento del buddhismo è l’impegno a superare il nostro attaccamento alle cose e il rifiuto del loro divenire. Buddha individuava persino nell’amore, una delle cause della nostra sofferenza, da cui dovremmo liberarci.

Da allora, non c’è stato luogo che abbia frequentato e dove si praticava meditazione buddhista, in cui qualcuno non abbia posto la domanda: Buddha aveva ragione, anche l’amore è insano?

Ecco, io credo che il fatto che nessuno vuole crederci è già un segnale del problema.

Non si tratta solo della coppia, ma proprio dell’amore in generale. Non una sola volta, quando ho scritto qui di narcisismo deviato nella coppia, qualcuno non abbia fatto notare che ne esiste uno analogo anche relativo a genitori e figli.

E in effetti, già in precedenza ho scritto che ho notato che chi arriva a cercare un po’ di pace a una seduta sul cuscino, ha ben più spesso problemi irrisolti e ormai insuperabili con i figli o con i genitori, più che con il partner.

Ancora oggi, il pilastro fondamentale della società è considerato la coppia e la famiglia. Senza di questo, persino parlare di democrazia e di legge sarebbe poco efficace per il corretto sviluppo della società.

E allora mi pare quanto meno ovvio che Buddha abbia identificato nella nostra vita di relazione e in particolare relazione intima, il principale crogiolo di dolori infiniti.

Dopo anni di meditazione, provai a formulare io stesso una risposta alla domanda. Se abbandoniamo la radicalizzazione dell’amore romantico e dell’amore tantrico, se smettiamo di considerarli ideologici, forse potremmo arrivare a rispondere che l’amore provoca sofferenza perché ne conserviamo una definizione insana a causa dei continui condizionamenti che l’amore subisce.

C’è però una tragedia nel dramma. Che quando cerchiamo di definire l’amore incondizionato, finiamo in quella che Bert Hellinger giudicò come una favola della buona notte: pretendiamo di amare qualcuno senza aspettarci nulla in cambio.

Bella fesseria! Che si parli di coppia o di famiglia.

Quello che secondo me, invece ci condiziona davvero, è l’attaccamento insano che abbiamo nei confronti della vita e non dell’amore. Nella vita non c’è solo l’amore, giusto? Ad esempio, c’è il lavoro e ci sono i soldi.

Voi amereste qualcuno che non è in grado di garantire la collaborazione all’accumulo del sostentamento?

No!

Ed è solo l’esempio meno drammatico.

Il risultato lo possiamo vedere nei romanzi dell’800 oppure nelle grandi tragedie già greche, per fare esempi evidenti.

Dopo secoli e secoli di sviluppo e progresso, l’unica cosa in cui non abbiamo fatto progressi è l’instaurazione di relazioni sentimentali e affettive di tipo disfunzionale. Il problema non è che non dovremmo aspettarci nulla in cambio, il problema è che noi non pretendiamo in cambio l’amore all’amore ma tutto il resto. Ecco, è quel resto che è disfunzionale.

Dicevo, ho fatto l’esempio meno drammatico. Faccio adesso l’esempio peggiore. Il tempo.

Ecco, il tempo è la nostra più grande sorgente di disfunzionalità.

Da quando sono divorziato, è ovviamente aumentata la mia frequentazione di donne sole. Tra le esperienze, ricordo una che mi raccontò di aver provato a portare il compagno in casa. Ogni volta che rientrava da lavoro o da compere o un giro con le amiche, suo figlio le mentiva sul fatto che il compagno lo picchiava. Non era mai successo.

Lo capite da soli che è inutile prendersela col bambino in sé. Quello che veramente mi pare importante, è l’esistenza del legame disfunzionale. Il compagno toglie tempo al bambino da passare con la madre. Chi lo aveva convinto che il tempo era solo per lui, se non la madre? Che nell’affrontare la solitudine imprevista del divorzio, aveva riversato nel figlio tutto l’amore, compreso quell’amore di cui il bambino non doveva assolutamente essere riguardato. La relazione si interruppe perché il compagno esasperato andò via. Che in effetti è ancora una persistenza di una relazione insana perché a rigor teorico, ma solo teorico purtroppo, lasciare che il figlio percorra le sue delusioni e le sue frustrazioni garantendo un dialogo costruttivo sul fatto che in realtà non ha nulla da temere, dovrebbe (dovrebbe) far parte di un percorso educativo.

Non avviene e il risultato è che l’amore risulta condizionato da decine di fattori che d’amore non sanno affatto. In generale, tutta la gelosia è sostanzialmente un rifiuto di farsi togliere tempo per la propria soddisfazione o peggio, per la soddisfazione della propria paura di non vivere più.

La sofferenza è servita.

Vogliamo parlare dei tradimenti?

Perché sono aumentati di almeno quattro volte, a partire dagli anni’90? (è vero sapete…)

Perché con gli anni ’90 è partito un processo edonista, per il quale si ritiene possibile vivere la vita senza soffrire e senza impegni particolari. Tutti hanno diritto ad essere felici. Cosa che ha detto a parole sue anche Buddha, solo che lui non aveva mai detto che il risultato ci sarebbe piovuto dal cielo se solo ci credevi. Essere felici non è una fede, ma un impegno. Paradossalmente.

Se aggiungiamo l’ingresso del virtuale e delle “connessioni” al cellulare (l’amore liquido di Bauman), ecco servito il diritto all’amore senza obblighi. E chi ci resiste in una famiglia, se ti convinci che tu hai diritti ma non obblighi verso te stesso e l’ambiente che stai aiutando a costruire?

Il tradimento è servito.

Non esiste condizionamento all’amore peggiore del tradirlo.

Il fondamento del buddhismo è che dobbiamo superare la paura di perdere e in particolare, di perdere il tempo che ci resta da vivere. Tutti possono essere felici, a patto che lascino andare il tempo che passa.

Buongiorno

Luca Scarano

 

martedì 29 ottobre 2024

Egizi Maya Aztechi Sumeгi Dei o Extгateггestгi?

 

L''Epopea di Gilgamesh, scritta 2500 anni prima della nascita di Cristo, commemorava la vita del sovrano della città di Uruk. Ora una spedizione tedesca ha scoperto quello che si ritiene essere l''intera città di Uruk, ivi incluso il luogo in cui una volta scorreva il fiume Eufrate, l''ultima dimora del suo famoso Re. "Non voglio dire in modo conclusivo che questa fu il luogo di sepoltura del Re Gilgamesh, ma sembra molto simile a quello descritto nell''epopea" ha dichiarato alla BBC Jorg Fassbinder, del Dipartimento Bavarese di Monumenti Storici di Monaco. Nel libro, in realtà una serie di tavolette d''argilla incise, si dice che Gilgamesh fu sepolto sotto l''Eufrate, in una tomba apparentemente costruita quando le acque dell''antico fiume si ritirarono a seguito della sua morte. "Abbiamo trovato appena fuori dalla città, in un''area che corrisponde all''antico letto del fiume Eufrate, i resti di un edificio che potrebbe essere interpretato come monumento sepolcrale" ha dichiarato Fassbinder. Il ricercatore ha anche spiegato come la scoperta dell''antica città sotto il deserto iracheno, sia stata resa possibile dalla moderna tecnologia. "Per differenze nella magnetizzazione del suolo, si possono trarre molte informazioni dalle profondità della terra" ha aggiunto Fassbinder. "La differenza tra mattoni di fango e sedimenti del fiume Eufrate ci ha permesso di individuare una struttura molto dettagliata." È stato così creato un magnetogramma che, una volta convertito in mappa digitale, ha riprodotto una carta dell''antica città di Uruk. "La cosa più sorprendente è che abbiamo trovato strutture già descritte da Gilgamesh, ha dichiarato Fassbinder, abbiamo coperto nella nostra disamina più di 100 ettari. Abbiamo trovato strutture di giardini e campi come descritti nell''epopea e case babilonesi." Ma ha dichiarato che la scoperta più spettacolare è un sistema di canali incredibilmente sofisticato. "Possiamo vedere chiaramente nei canali resti di strutture che indicano come le inondazioni periodiche distruggessero alcune abitazioni; il sistema doveva essere molto ben sviluppato. Era come una Venezia del deserto.




mercoledì 23 ottobre 2024

Da leggere e meditare

 

Dopo due generazioni cresciute sotto la narrazione della famiglia del Mulino Bianco, oggi abbiamo la famiglia ENEL. Lui e lei che si sorridono tutto il tempo pure per buttare l’immondizia, ragazzi in andatura armonica tra la tavola e la scrivania dei compiti, non si vede un solo cellulare in giro e nemmeno una console dei giochi. Mentre lei cucina, lui non se ne sta a mangiucchiare con la scusa che non ha fame e deve tornare al lavoro mentre il suo cellulare continua a ronzare dlin dlon dlin dlon (leggerà tutto non appena sarà solo), lei cucina senza fare nulla di precotto e riscaldato e non usa una mano sola mentre con l’altra continua a chattare e guardare gli ultimi reel. La televisione non è accesa e non c’è musica a palla dalla cameretta.

Volevate che non ci fossero animali? Puliti come Gabriele quando arcangelo annunciò a Maria, scodonzolanti e slinguanti, ma senza appoggiarsi al tavolo e senza abbaiare come cerberi all’odore delle polpette, ovviamente fatte in casa e a mano, mica comprate incellofanate al discount.

Il macchinone è lucido, l’interno pare una boutique di YSL. Non è visibile una sola ciabatta consunta.

Quando ero ragazzo, nelle agenzie di pubblicità e comunicazione vigeva l’imperativo intercettare il sogno, giusta la definizione di “prodotto integrato”. Un prodotto pubblicizzato è dato dal prodotto come tu lo vorresti, con in più il prodotto che non hai nemmeno il coraggio di sognare. Poi arrivò la famiglia del mulino è il “prodotto” diventò integrato dall’ambiente circostante. Un biscotto è un biscotto, io ti offro il sogno di un biscotto alla portata dei tuoi denti, con in più il prodotto dell’ambiente in cui lo mangerai. Solo che quello non è alla portata dei denti ma dei sogni.

Ne vogliamo fare una questione di giusto o sbagliato?

Io non sarei tanto da rasoio di Occam, in questo caso. Avrebbe senso essere così netti e dire sì oppure no?

Provate a immaginarvi la realtà.

…ok, non la “vostra” realtà o peggio ancora la “ex realtà”, che magari potrebbe essere eccessivamente doloroso. Ma presumo lo conosciate qualcuno che non abita la casa costruita ad arte dall’Enel.

…ecco appunto. Tutti!

Obiettivamente, ma che ce ne verrebbe a mettere un pacco di biscotti o il nuovo contatore gas, in uno spot ambientato a casa qualunque?

Diciamo pure che se proprio teniamo all’onestà intellettuale, allora dovremmo avere un schermo bianco, un pacco di biscotti o la nuova bolletta, con lo slogan “compratelo”.

Che è il modo migliore di non comprare proprio niente.

Ecco perché ci sono gli spot delle case che non esistono. Perché se dovessimo impegnarci a costruirne una per davvero, con amore figli cani gatti e una tartaruga, state sicuri che non staremmo abbuffandoci di biscotti del cazzo e nemmeno inseguendo la tariffa della luce che tanto aumenta lo stesso, sempre e per chiunque.

Buongiorno

Luca Scarano