venerdì 20 giugno 2025

L'OMBELICO

 

Ho imparato qualcosa di nuovo, ho pensato di condividerla perché è molto interessante.

E lo sto facendo...

L'ombelico:

Sapevi perché mettere diversi oli sull'ombelico?

Il nostro ombelico (Nabhi) è un dono incredibile che il nostro Creatore ci ha fatto. Secondo la scienza, la prima parte creata dopo il concepimento è l'ombelico. Dopo che è stato creato, si lega alla placenta della madre attraverso il cordone ombelicale.

Il nostro ombelico è senza dubbio una cosa incredibile! Tutte le nostre vene sono collegate al nostro ombelico, il che lo rende il punto focale del nostro corpo. L'ombelico è la vita stessa!

Il "Pechoti" è dietro l'ombelico, che ha più di 72.000 vene. La quantità totale di vasi sanguigni che abbiamo nel nostro corpo è pari al doppio della circonferenza terrestre.

Sapevamo che per abbassare la temperatura ai bambini, abbiamo messo un tampone di cotone con alcool sull'ombelico, ora sappiamo che con l'olio è meglio.

L'applicazione di olio sull'ombelico cura la secchezza degli occhi, la vista scarsa, il pancreas, i talloni e le labbra screpolate, mantiene il viso lucido, i capelli più sani, per dolori alle ginocchia, brividi, letargia, dolori articolari e pelle secca. .

Applicare olio di neem sull'ombelico, per sbarazzarsi di brufoli e acne ribelli

Applicare l'olio di mandorle sull'ombelico, per aiutare a ottenere un viso luminoso

Applicare olio di senape sull'ombelico per rimuovere le labbra secche e screpolate. Inoltre manterrà il suo intestino in movimento per eliminare i batteri nocivi, ma manterrà il bene. Funziona davvero come una lieve disintossicazione.

Applicare olio di oliva o cocco per migliorare la tua fertilità.

Mantieni il cotone immerso nell'ombelico per curare raffreddore, influenza e flebo nasale. Quando un bambino ha mal di stomaco, mettiamo qualche goccia direttamente nell'ombelico e gli diamo qualche minuto di massaggio intorno all'area, il dolore guarisce. Il petrolio funziona allo stesso modo.

Mantenere una palla di cotone imbevuta di brandy nell'ombelico, per alleviare dolori mestruali e crampi

L'olio di sesamo è usato per tutti i tipi di dolori articolari. Si sa anche che fortifica le ossa. Molti genitori usano i loro figli ogni sera quando vanno a letto.

Utilizzare una quantità uguale di olio di senape e olio di zenzero per mal di stomaco, gonfiore, nausea e problemi digestivi.

L'uso di olio caldo migliora il flusso sanguigno al sistema nervoso e migliora anche il sistema immunitario. Cura la costipazione e costruisci un sistema digestivo forte. Allevia il dolore articolare.

L'olio di timo è antispasmodico, aiuta a rilassare arterie e vene, riducendo la pressione sanguigna e lo stress cardiaco. Può anche aiutare a rafforzare e tonificare i muscoli del cuore.

Come diuretico, l'olio di timo può aiutare il tuo corpo a rimuovere acqua, sale e tossine in eccesso dal tuo corpo, aiutando con peso, pressione sanguigna, digestione e altro ancora.

L'olio di timo è un espettorante, il che significa che può aiutare a rimuovere il muco dalle vie respiratorie e dai polmoni. L'olio di timo è approvato dalla Commissione E tedesca per il trattamento di bronchite, pertosse e infiammazione delle vie respiratorie superiori.

Ricorda che l'olio di timo è un composto potente e non deve essere usato direttamente sulla pelle, poiché può causare sensibilizzazione e irritazione. Prima deve essere diluito con un olio portatore (come olio d'oliva, olio di cocco o olio di mandorle)

Olio essenziale 100% puro grado terapeutico è quello che cerchi.

Anche un cotone con CDS viene messo sopra l'ombelico. Questo è per abbassare la febbre, infiammazioni, gastrite, dolori addominali, ecc.

Jackelin Laza


lunedì 16 giugno 2025

SCRIVERE POESIA TRA LE MACERIE DEL MONDO

 

Si può scrivere poesia mentre il mondo collassa?

Da giorni questa domanda si insinua nelle mie giornate come un taglio non ricucito, pulsante, mi cammina accanto, si siede con me quando provo a scrivere. Che cosa significa scrivere poesia quando cadono bombe su ospedali, quando i bambini hanno nomi che durano meno di un notiziario? La parola trema, la mano incespica sulle parole, si trattiene, lo sento, approccio, idea-pensiero-blocco, accensione neurale, segnale di stop, neurochimica della negazione. La poesia non consola, non ripara, non salva. E allora cosa le resta da fare? Tacere? Ma non come chi si volta: tacere con vergogna, con le mani sporche, con la consapevolezza che anche il silenzio ha un peso, e che a volte pesa quanto la voce, forse di più, quanto pesa la voce? Poi c'è chi scrive, noncurante, leggero, come se il peso della Storia fosse solo un passeggero tumulto del cosmo, un'esplosione solare che nessuno coglie, nessun giudizio, isolamento, arte per l'arte. Infine c'è chi scrive da dentro, dentro, in Sè, ma non per il per sé. I poeti da Gaza lo fanno. Scrivono. Denunciano. Resistono. Le loro parole grondano fumo e sangue, e hanno il coraggio che io oggi sento di non avere. Perché io, qui, al sicuro, vedo l’orrore, ma non lo sento davvero. Non lo attraverso. Lo penso, lo immagino, lo temo. E questo mi inchioda. Perché la parola, quando è troppo distante, rischia di diventare gesto estetico, forma pulita sopra lo sporco. Rischia di essere ipocrita.

Adorno, con la sua celebre sentenza sull'impossibilità della poesia dopo Auschwitz, non intendeva affermare una proibizione definitiva, ma lacerare il rapporto automatico con la forma. Dopo l’orrore, la lingua è stata compromessa. È come se il senso stesso della parola poetica avesse bisogno di essere rimesso in discussione, riformulato, frantumato. La parola diventa una escoriazione sacra, centellinata, distillata, perché il senso si perde, a me sfugge dappertutto. Per questo penso ai poeti in trincea. Ungaretti scriveva dalle buche fangose del Carso. I versi erano cortissimi, come respiri spezzati tra le cannonate. Eppure, erano versi. Erano vita aggrappata a un frammento. Penso a Wilfred Owen, a Isaac Rosenberg, a Khulood Al-Ajarma oggi, a Refaat Alareer, il cui ultimo verso è stato il suo stesso testamento. Penso a chi ha scritto col sangue sul muro, con la voce tremante prima del boato. E infine penso a me. Al mio silenzio. Alle pagine che restano bianche per giorni, mentre ascolto voci rotte da sotto le macerie. Il mio silenzio non è quiete. È inquietante paralisi. È sentire che ogni parola rischia di usurpare, di sovrapporsi, di profanare. La poesia non ci assolve mai. È il punto in cui la colpa si fa linguaggio. E in cui il linguaggio si sa, ci parla, ed è finalmente, fatalmente inadeguato.(Harte Mysia)


lunedì 9 giugno 2025

 

Si erano incontrati per la prima volta a un ballo in maschera. Lui è Vladimir Nabokov, lei Vera Slonim. Lei è una giovane ricca di fascino e di grazia, lui un poeta squattrinato. Ma nel paese dell’anima le differenze non contano. È così fu per loro. Entrambi hanno appena perso tutto a causa della rivoluzione: la casa, la lingua, la famiglia.

Così diventano l’uno la casa per l’altra. Perché casa non è dove vivi, ma dove ami. Casa è dove il cuore può ridere senza timidezza. E là dove sei felice, sei a casa. «Sì, ho bisogno di te, favola mia, perché sei la sola persona con cui possa parlare dell’ombra delle nuvole, delle canzone di un pensiero, e di come quando sono uscito ho guardato un girasole che mi ha sorriso con tutti i suoi semi.»

Condividono tutto: vita, risate, l'amore per le poesia, per le farfalle e le camminate all’aria aperta. Eppure non potrebbero essere più diversi. Lei è una donna pratica, lui un poeta. Lei tiene i piedi ben saldi a terra, lui si slancia verso il cielo. Ed è a lei che dobbiamo la pubblicazione di L... Perché dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande DONNA. Più di una volta salva il manoscritto dalle fiamme; mentre lui è tormentato e pieno di dubbi, lei è certa che quel libro sia un capolavoro.

Senza Vera, confessa Nabokov, non avrei mai scritto neppure una riga. Le dedicherà tutti i suoi libri e le scriverà, in 50 anni, più di 3000 lettere. Perché quando ti piace un fiore, lo cogli. Ma quando lo ami, lo annaffi tutti i giorni. E il senso della vita è tutto qui: nel porgere il braccio a chi ti sta accanto; nell’essere compagni e non solo amanti, amici e non solo innamorati, nell’essere non più un «tu» e un «io» ma «noi». E il noi sopravvive. Resiste. A tutto. E a ogni cosa.

Guendalina Middei, anche se voi mi conoscete come Professor X ( Tratto da «Sopravvivere al lunedì mattina con L». 



mercoledì 4 giugno 2025

 

Un applauso a questa donna STRAORDINARIA! Che ha avuto più coraggio di cento uomini assieme!

Questa donna qua si chiama Francesca Albanese, Relatrice Speciale delle Nazioni Unite, e negli ultimi DUE ANNI ha ricevuto una tonnellata di fango mediatico senza precedenti! L’hanno accusata, diffamata, calunniata, hanno cercato di farla destituire, l’hanno addirittura accusata di collusione con Hamas.

La sua colpa? Aver detto la verità, ed averla detta a voce alta, davanti ai potenti e alle lobby di turno. Francesca Albanese ha avuta il coraggio, mentre tutto il mondo stava in silenzio, di raccontare quanto stava accadendo a Gaza. Non adesso, non ieri o oggi, come le tante starlette che fanno e dicono ciò che gli permettono di dire e di fare, ma fin dal PRIMO MOMENTO. Quando la verità che stava sotto gli occhi di tutti ed era ignorata dai molti, non poteva essere detta!

«Non importa quali siano i mezzi. Se l’obiettivo è uccidere, affamare, spezzare mentalmente o fisicamente un gruppo umano, infliggendogli intenzionalmente condizioni di vita intollerabili… quello è gen#». Parole che le sono costate accuse e infami calunnie. Ma lei non ha mai mollato. Neanche per un secondo! In un mondo che ha fatto del silenzio un’arte e dell’OPPORTUNISMO uno stile di vita, Francesca ci ha mostrato che ci sono ancora persone che vogliono fare la differenza.

E queste sono le donne che mi rendono orgogliosa di essere donna! E allora oggi voglio dirti grazie. Grazie per non aver taciuto ciò che non si doveva tacere, grazie per averci mostrato che la verità non teme la propaganda e la giustizia non si piega all’intimidazione. Grazie per essere stata luce in un mondo di ombre!

Guendalina Middei, anche se voi mi conoscete come Professor X #donna #donne





 

sabato 31 maggio 2025

ALESSANDRO VOLTA: VARCO TRA I MONDI.


Quando il fulmine era ancora sussurro di Zeus e l’elettricità un arcano custodito dall’etere, Alessandro Volta calò il pensiero come un’àncora nella sostanza del cosmo.

Egli non si limitò a costruire la pila: evocò Prometeo e lo superò, rubando non il fuoco, ma il cuore stesso dell’energia.

In lui, l’indagine si fa oracolo, e l’esperimento diviene rito sacro. Come un nuovo Eraclito, seppe che tutto scorre, ma tentò l’impossibile: dare misura all’invisibile moto dell’energia.

E come Platone nel Fedro, udì l’anima del mondo vibrare tra rame e zinco.

Volta non fu uomo del suo tempo, ma varco tra i mondi: ponte tra la scienza e il mito, tra la materia e l’Idea.

La storia è da riscrivere per il suo BICENTENARIO.

by KatyaPerego.



 


giovedì 22 maggio 2025

Professor X

 Al peggio non c’è mai fine? Ve lo ricordate Tony Effe? Ecco, sapete qual è il libro più venduto in Italia? Quello di questo signore!

No, non sto scherzando. Ma tanto per farvi capire il livello di cui stiamo parlando, questo è il testo di una delle sue canzoni più famose: «Lei la comando con un joystick / Non mi piace quando parla troppo / Le tappo la bocca e me la f… Sono Tony, non ti guardo nemmeno / Mi dici che sono un tipo violento/ Però vieni solo quando ti meno.»

Ecco, questo è uno dei libri più letti e venduti in questi ultimi giorni. E allora mi dispiace dirlo, ma non è Tony Effe il problema! Perché se il suo libro e le sue canzoni ottengono milioni e milioni di ascolti e di visualizzazioni, qualche domanda bisognerebbe iniziare a farsela! Siamo circondati dalla BRUTTEZZA e ormai la gente non si scandalizza più di nulla. Ed è proprio questo il punto: in una società che chiama arte una banana appiccicata con del nastro adesivo al muro, non sono soltanto le idee e le emozioni che mancano, sono proprio i cervelli che hanno raggiunto il capolinea.

Nella società del nulla, avanza il nulla… Ed io che sono cresciuta ascoltando De Andre, Guccini, Cocciante, Battisti, che sono cresciuta leggendo Pavese, Tolstoj, la Morante, Pasolini, mi domando: ma cosa sta succedendo? Da artista, da insegnante, da scrittrice mi si spezza il cuore nel vedere il successo di questo lungo! E aggiungo un’ultima cosa. Mentre il nulla avanza, l’incoerenza le fa da padrona.

Si parla tanto di «femminismo» e poi tante cosiddette femministe di oggi hanno scelto di difendere questo signore. Perché diamocelo chiaro e tondo: non c’è nulla di più violento di queste canzoni. Nella società del nulla perfino le parole sono svuotate di senso, significato e valore. Che dire, forse Cattelan su una cosa almeno aveva ragione: siamo alla frutta. Letteralmente!

Guendalina Middei, anche se voi mi conoscete come Professor X

#cultura #tonyeffe #libri




OSHO- LA GRANDE SFIDA

 

Non rimanete attaccati al vecchio. Questo vecchio tipo di uomo si è preparato in ogni modo per commettere un grande suicidio, un suicidio universale. L’uomo vecchio è pronto a morire, ha perso la voglia di vivere. Ecco perché tutti gli stati sono pronti a fare la guerra. La terza guerra mondiale sarà una guerra totale. Nessuno ne uscirà vincitore, in quanto nessuno sopravvivrà ad essa. Non verrà distrutto soltanto l’uomo, ma l’intera vita sulla terra. State attenti. Fate attenzione ai vostri uomini politici sono tutti degli aspiranti suicidi. Attenti al vecchio condizionamento che vi divide tra indiani, tedeschi, giapponesi, americani.

L’uomo nuovo deve essere universale. Trascenderà le barriere di razza, religione, sesso, colore della pelle. L’uomo nuovo non sarà né occidentale né orientale; l’uomo nuovo pretenderà che l’intero pianeta sia la sua casa. Solo così l’umanità potrà sopravvivere e non solo sopravvivere!…

Il mondo è sempre lo stesso; è sempre stato lo stesso: sottosopra, folle, squilibrato. In realtà c’è una sola cosa nuova che è accaduta nel mondo ed è la nostra consapevolezza del fatto che siamo folli, che siamo sottosopra, che c’è qualcosa di fondamentalmente sbagliato in noi. E questa consapevolezza è una grande benedizione. Naturalmente è solo un inizio, solo l’abc di un lungo processo; è solo un seme, ma di grande significato.

Il mondo non è mai stato consapevole come lo è oggi dei modi folli in cui funziona.

È sempre stato così. In tremila anni l’uomo ha combattuto cinquemila guerre. Puoi dire forse che questa umanità è sana di mente? Non possiamo ricordarci nemmeno di un momento nella storia umana in cui le persone non si sono distrutte a vicenda in nome della religione o in nome di dio o persino in nome della pace, dell’umanità, della fratellanza universale ….

Ma oggi sta accadendo una cosa buona: almeno alcune persone giovani e intelligenti si stanno rendendo conto che tutto il nostro passato è sbagliato e che occorre un cambiamento radicale. Abbiamo bisogno di rompere con il passato. Vogliamo ricominciare dal principio, dobbiamo farlo.

L’uomo nuovo è in arrivo. Naturalmente è una minoranza, ma i nuovi mutanti sono arrivati, sono giunti i nuovi semi. E tutto dipende da voi.

OSHO “La grande sfida”




martedì 20 maggio 2025

Pensieri pomeridiani

 E' molto facile condannare gli altri per il loro comportamento. Nel momento stesso in cui si giudica, automaticamente ci si pone su un livello di superiorità. Sarebbe appena il caso di fare prima una stima dei propri errori e poi semmai guardare quelli degli altri. Si scoprirà che in fondo nessuno non ne ha mai commessi, nessuno è perfetto,e che nessuno è in grado al 100% di trovare una soluzione ai mali che affliggono il mondo. Possiamo risolvere alcuni problemi soltanto se proviamo ad essere meno arroganti e meno legati alle nostre ideologie oramai stantie, senza dimenticare la cosa più importante: apparteniamo alla stessa umanità. Apparteniamo tutti allo stesso pianeta e sarebbe appena il caso di cominciare a pensare seriamente alla sua salvezza. Il primo vero problema del mondo è quello della sua salvezza, chi dice il contrario non ha capito nulla perchè tutti gli altri problemi dipendono da questo. Chi pensa di avere la soluzione in tasca è solo qualcuno che vuole approfittare della situazione per ricavare un proprio tornaconto. Angela Baldi

mercoledì 14 maggio 2025

LA CONDIVISIONE

 

La condivisione per sua definizione è l'utilizzo in comune di una risorsa o di uno spazio, in senso stretto si riferisce all'uso congiunto o alternato di un bene finito o di un'informazione.

Il tema è strettamente intrecciato alle problematiche economiche e sociali dovute alla crisi che ha favorito il dibattito sui temi della condivisione e del solidarismo, intesi come possibili vie per risolvere molti dei problemi del mondo moderno. Sostituendosi alla competizione, all’avidità e all’egoismo, la condivisione e la cooperazione sono considerate le vie d’accesso più importanti alla felicità dei singoli e dei gruppi, essendo in grado di favorire un clima più sereno, grazie al quale può essere apprezzata meglio la bellezza delle relazioni e il rispetto per l’ambiente.

Secondo Raj Patel «Il grave dissesto del settore finanziario ha dimostrato che le più acute menti matematiche del pianeta, con il sostegno di ingenti disponibilità economiche, avevano fabbricato non tanto un motore scattante di eterna prosperità quanto un carrozzone di traffici, swap e speculazioni temerarie che inevitabilmente dovevano cadere a pezzi. A provocare la recessione non è stata una lacuna di conoscenze in campo economico, bensì l’eccesso di un particolare tipo di sapere, un’indigestione di spirito del capitalismo.>>

Al contrario è accaduto che,con la crisi, invece di inventare qualcosa di nuovo e avere il coraggio di voltare pagina, le istituzioni non hanno fatto nulla ed è in questo che s'individua la vera crisi e dalla quale bisognerebbe ripartire per ripensare il passato e mettere in discussione il rapporto che gli uomini hanno fra loro e con il mondo.

Bisognerebbe individuare nella condivisione un nuovo atteggiamento possibile per fare fronte a una crisi che non è solo economica o pertinente al mondo finanziario, ma che coinvolge direttamente il sistema dei valori etici.

La “crescita economica” non produce più benessere né migliora la qualità della vita degli individui, i quali si orienterebbero sempre di più verso una cultura del dono , un orientamento che segna una grande presa di distanza dal feticismo dell’oggetto, arrivando a considerare possibile il vivere una vita più soddisfacente e ricca di emozioni positive a partire da nuove categorie di pensiero con le quali interpretare le relazioni interpersonali e la vita sociale. La condivisione può essere una di queste categorie, favorendo la rottura di vecchi modi di pensare e una proiezione verso il futuro capace di tenere conto della dimensione collettiva e non solo quella individuale.

In chiave metafisica, mostra la capacità dell’uomo di svelare il proprio potenziale creativo e giungere alla felicità cooperando assieme agli altri uomini per la ricostruzione di ogni settore delle attività umane. Nell’accettazione del principio di condivisione risiede la risposta alla crisi politica ed economica che l’umanità sta attraversando e il primo passo per creare le condizioni sociali di un mondo più giusto. «Come prima cosa si deve imparare a essere uomini. Ed essere uomini significa riconoscere il valore della condivisione e prendere i bisogni del proprio fratello come misura per le proprie azioni, senza mai dimenticare che gli altri esistono in noi, come noi siamo negli altri»(Braggio)

I temi del dono, della solidarietà e di uno stile di vita sobrio, caratterizzato da meno consumi materiali e più ricchezza interiore, giocano un ruolo chiave che rivaluta l’uomo perché essere spirituale, capace di andare oltre il proprio ego e di dare un valore alla propria vita prendendosi cura degli altri.

Nella società attuale, invece, l’individuo è spinto costantemente a pensare prima a se stesso e a soddisfare una vasta gamma di desideri inutili.

Questo paradosso si spiega con il fatto che la società cosiddetta «sviluppata» si basa sulla produzione massiccia di decadenza, cioè su una perdita di valore e un degrado generalizzato sia delle merci, che l’accelerazione dell’«usa e getta» trasforma in rifiuti degli uomini, elusi e licenziati dopo l’uso, dai presidenti e manager ai disoccupati, agli homeless, ai barboni e altri rifiuti umani.

L’odierno sistema economico sottolinea l’importanza di sostituire ai valori della società mercantile quelli dell’altruismo, della reciprocità, della convivialità e del rispetto dell’ambiente.

L’economista Jeremy Rifkin individua nella Terza rivoluzione industriale la via verso un futuro più equo e sostenibile, dove centinaia di milioni di persone in tutto il mondo produrranno energia verde a casa, negli uffici e nelle fabbriche, e la condivideranno con gli altri, proprio come adesso condividono informazioni tramite Internet.

Il punto è che l’aumento della connettività ci sta rendendo sempre più consapevoli di tutti i rapporti che compongono un mondo così complesso e vario. Una nuova generazione sta cominciando a vedere il mondo sempre meno come un deposito di beni da espropriare e possedere, e sempre più come un labirinto di relazioni cui accedere. (Angela Baldi)

Bibliografia

Raj Patel- Il valore delle cose e le illusioni del capitalismo

Gianpaolo Fabris- La società post-crescita

Jeremy Rifkin, La civiltà dell’empatia


giovedì 1 maggio 2025

L’uomo planetario

 Oggi i problemi che preoccupano l’umanità hanno una dimensione mondiale e si manifestano nella loro interdipendenza all’interno del sistema planetario: lavoro, risorse, diritti, giustizia, libertà, inquinamento, guerre.

Ci vorrebbe una nuova etica universale concepita però con una nuova forma di pensiero a fondamento di una paidèia più universale. Dobbiamo cominciare a pensare che si debba includere e non escludere, pensare in termini di reciprocità, non di particolarità e di superiorità. Il nuovo imperativo storico è quello di cambiare noi stessi e educarci alla convivialità delle differenze perché siamo legati tutti a un comune destino. Lo sviluppo delle conoscenze scientifiche e delle loro applicazioni  tecnologiche consegna alla responsabilità dell’uomo il futuro dell’intera specie umana e di ogni forma di vita sulla terra. Il prezzo che stiamo pagando per l’abuso delle risorse naturali ci fa capire l’interdipendenza dei problemi legati al nucleare, all’inquinamento, all’effetto serra, alla desertificazione, alla continua distruzione di specie viventi. La soluzione di questi problemi non può avvenire a livello né continentale né nazionale perché le minacce sono universali, come la bomba nucleare, ecologica, biogenetica, etnica e quindi le risposte non possono che essere universali.

 L’uomo planetario ha il senso esistenziale dell’universalità, ha il senso esistenziale della giustizia sociale su scala mondiale, dove le disuguaglianze e gli squilibri sono macroscopici, è aperto alla cultura della multietnicità, riesce a capire il pianeta e non più soltanto il proprio stato-nazione.

Esiste oggi un uomo planetario o abbiamo solo individui che non hanno ancora né la coscienza della specie né la coscienza dell’habitat? (Angela Baldi)

lunedì 28 aprile 2025

La conoscenza cosmica

 

La conoscenza cosmica dello spirito collega la festa di Pasqua al risveglio del sole, allo sbocciare del mondo vegetale, alla primavera. Come il granello di frumento immerso nella terra deve morire per ridestarsi a nuovo, così dovette addormentarsi nel corpo umano la luce astrale per venire nuovamente risvegliata. Simbolo della festa di Pasqua è il granello di frumento che si sacrifica affinché nasca una nuova pianta. E’ il sacrificio di una fase di natura per farne sorgere una nuova. Il sacrificio e il divenire si fondono nella festa di Pasqua. Tutte quelle guide dell’umanità che seppero come la vita spirituale superiore si risveglia sbocciando dalla inferiore, hanno compreso l’idea pasquale. Perciò anche Dante nella sua Divina Commedia ha rappresentato il proprio risveglio nella data del Venerdì Santo. Lo vediamo chiaramente sin dal principio del poema. La grande visione che Dante ci descrive viene collocata da lui nel suo 35° anno, nel mezzo della vita. Settant’anni formano una vita umana normale, trentacinque la metà. Il poeta assegna trentacinque anni allo sviluppo graduale dell’esperienza fisica, a quel periodo di tempo in cui l’uomo accoglie ancor sempre in sé nuove esperienze fisiche. Allora egli è maturo al fatto che all’esperienza fisica si accompagni la spirituale. Quando le forze del fisico crescenti, divenienti sono raccolte, riunite tutte quante, allora in- comincia il periodo in cui viene destato a vita l’elemento spirituale. Perciò Dante fa sorgere la sua visione nella festa di Pasqua. Il Natale celebra il primo naturale accrescersi della forza solare. La Pasqua viene posta in connessione con l’ascesa delle forze solari giunte al mezzo. Siamo nel punto centrale di primavera, nel punto della Pasqua, quando Dante pensò sé stesso a metà della vita umana e sentì sbocciare in sé medesimo la vita dello Spirito. A ragione la festa di Pasqua è fissata a metà della curva ascendente del sole, in relazione a quel punto nel tempo in cui viene risvegliata a nuovo nell’uomo la luce astrale addormentata. La forza del sole sveglia la semente che dormiva, il chicco di grano che riposa in seno alla terra; il sole è diventato simbolo di ciò che ha luogo nell’uomo quando si desta in lui quello che l’occultista chiama la luce astrale. Essa nasce nell’intimo dell’uomo. La festa di Pasqua è la festa della Risurrezione nell’intimo dell’uomo. Il pensiero di Cristo Redentore è stato messo in rapporto col pensiero cosmico.

E’ stata sentita una specie di antitesi tra il concetto cristiano della Pasqua e l’idea scientifico-spirituale del Karma. Quest’ultima sembra in contrasto con la Redenzione portata dal Figlio dell’Uomo. Coloro che poco capiscono della concezione fondamentale della Scienza dello Spirito, scorgono un antagonismo tra la redenzione dovuta al Cristo Gesù e il concetto del Karma. Secondo loro il pensiero di un Dio Redentore contraddice all’auto-redenzione operata dal Karma: ma essi non comprendono in maniera giusta né il pensiero pasquale della redenzione, né il pensiero karmico della giustizia. Avrebbe torto chi vedendo soffrire un altro uomo gli dicesse: "Ti sta bene, tu stesso sei la causa del tuo male!" e gli negasse aiuto per lasciare agire il karma. Sarebbe malintendere il karma, il quale ci dice: "Aiuta colui che soffre, poiché tu sei al mondo per aiutare. In modo analogo possiamo anche aiutare invece di un singolo, un’intera cerchia di uomini, e così facendo ci inseriamo nel loro karma. Se una individualità possente quale il Cristo Gesù viene in soccorso dell’umanità intera, l’olocausto che Egli fa di sé, la sua morte, agisce nel karma di tutta l’umanità. Egli aiutò a portare il karma di tutta l’umanità, e noi possiamo tener per certo che la Redenzione compiuta dal Cristo Gesù fu accolta nel karma dell’intero genere umano. Sarà proprio la Scienza dello Spirito che guiderà a comprendere veramente il concetto della Redenzione e della Resurrezione. Un Cristianesimo avvenire fonderà l’unione fra la Redenzione e il Karma. Nella vita spirituale causa ed effetto sono connessi, perciò questo sommo sacrificio deve recare i suoi effetti nella vita degli uomini. Anche il concetto di questa festa pasquale che sembra scritta nel mondo stellare, che in esso crediamo di leggere, viene reso più profondo e più sublime dalla conoscenza dello spirito. E d’altro canto ravvisiamo altresì gli arcani del pensiero di Pasqua se volgiamo lo sguardo alla nuova alba dello spirito che sorgerà nell’uomo. Al presente l’uomo vive a mezzo della vita in condizioni disordinate, confuse, prive di armonia. Ma tuttavia egli può sapere che, come il mondo è emerso dal Caos, così dalla propria interiorità oggi ancora caotica un giorno sorgerà l’armonia.

Il Redentore che vive nell’intimo dell’uomo risorgerà, simile al corso regolare dei Pianeti intorno al Sole. Egli, di fronte a ogni dissenso significherà l’unione, la suprema armonia. La solennità della Pasqua renda memore ognuno della Risurrezione dello Spirito dalla presente ottenebrata natura umana.

DR. RUDOLF STEINER


sabato 12 aprile 2025

 

George Orwell diceva:

La solitudine più terribile non è quella che deriva dall'essere soli, ma quella che deriva dall'essere fraintesi; la solitudine di stare in una stanza affollata, circondata da persone che non ti vedono, che non ti sentono, che non ti sanno la vera essenza di chi sei. E in quella solitudine, ti senti come se stessi svanendo, scomparendo nello sfondo, fino a non essere altro che un fantasma, un'ombra del te stesso di prima.

È quel dolore profondo dell'anima di essere circondato da persone - amici, familiari, colleghi - eppure sentirsi completamente invisibili. Puoi sorridere, annuire e passare attraverso i movimenti, ma dentro, senti un senso di isolamento che le parole non riescono a catturare appieno. Ti senti come se nessuno ti capisse veramente, come se le parti più vere di te fossero nascoste, lasciate non riconosciute, mentre il mondo riconosce solo la versione di te che si adatta.

Questo tipo di solitudine colpisce duramente perché non riguarda l'assenza di persone, ma l'assenza di connessione. Desideri essere vista per quello che sei veramente, per far capire a qualcuno il linguaggio della tua anima, le tue stranezze, i tuoi sogni e le complessità del tuo cuore. Ma quando vieni frainteso, ti sembra che ci sia un divario incolmabile tra il tuo mondo interiore e quello esterno. È come stare dietro una parete di vetro, sperando disperatamente che qualcuno ti guardi attraverso e ti *veda* veramente, per poi rendersi conto che ti sta guardando davanti.

In quello spazio di sentirsi sconosciuti, inizi a mettersi in discussione. Ti chiedi se dovresti cambiare, se dovresti diventare ciò che il mondo si aspetta o desidera, solo per sentire un pizzico di accettazione. Ma anche allora, la solitudine non svanisce, ma solo cresce. Perché la tragedia più profonda è la lenta dissolvenza della propria essenza, le parti di te che inizi a nascondere o a lasciare andare, semplicemente ad appartenere. Diventi un'ombra, un fantasma del te stesso vibrante che eri una volta, alla deriva silenziosa, aggrappandosi alla speranza che un giorno, qualcuno possa capire.

Ciò che rende questo tipo di solitudine così dolorosa è che non è solo il desiderio di essere amati, ma il desiderio di essere conosciuti, e amati *per* essere conosciuti. Per qualcuno che guardi le parti di te che sono incasinate, complicate, e anche rotte, e dica: "Ti vedo. Capisco. E sono qui. ” È il desiderio che qualcuno senta i sussurri più silenziosi del tuo cuore e senta le profondità della tua anima senza giudizio o aspettative.

Eppure, anche in quella terribile solitudine, c'è una forza tranquilla. C'è resilienza nel aggrapparsi alla propria essenza, anche quando sembra invisibile. C'è coraggio nel mantenere viva la tua luce, nel rifiutare di lasciare che l'incomprensione del mondo spenga il fuoco dentro di te. Puoi sentirti invisibile, ma la verità è che la tua unicità, la tua complessità, sono ciò che ti rende straordinario. Da qualche parte, qualcuno lo apprezzerà. E fino ad allora, puoi apprezzarlo.

A volte, il viaggio attraverso l'essere incompresi porta a una comprensione più profonda di se stessi. Ti insegna ad abbracciare chi sei, anche se il mondo non è pronto. Invita a trovare pace in compagnia, a coltivare le parti di te che si sentono soli e sconosciute. E, col tempo, potrai scoprire che i legami giusti - quelli che ti vedono, ti sentono e ti conoscono - arrivano quando meno te li aspetti.

Quindi, aspetta. Tieni viva la tua essenza. Rifiutati di diventare un'ombra, anche se questo significa stare da soli per un po'. Il tuo vero io merita di essere celebrato, e anche se l'attesa può sembrare lunga, la bellezza di essere pienamente conosciuti vale ogni momento. Il tuo popolo, quelli che capiscono veramente la tua anima, sono là fuori, e quando ti troveranno, la terribile solitudine inizierà a svanire. Ti renderai conto che la tua essenza non è mai stata fatta per essere nascosta. È sempre stato fatto per brillare.

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Cosa significherebbe per te sentirti veramente conosciuto e compreso da qualcuno?

 

Meraviglia della natura

 

Spettacolare questa panoramica del parco di Yellowstone! Non solo si vede la Via Lattea in tutta la sua estensione, ma si apprezza anche distintamente la luminosità verdastra dell'airglow.

L'airglow, o luminescenza notturna, è causato da un insieme di processi negli strati superiori dell'atmosfera, come la ricombinazione degli ioni che sono stati fotoionizzati dalla radiazione solare durante il giorno, la luminescenza derivante dagli urti tra i costituenti dell'atmosfera ed i raggi cosmici incidenti e la chemiluminescenza associata alla reazioni dell'ossigeno e dell'azoto con lo ione idrossido ad altezze di poche centinaia di chilometri.

E come non notare il Grand Prismatic Spring, il lago termale più grande degli Stati Uniti, dal cui bacino multicolore si solleva una nuvola di vapore?

Insomma, è uno spettacolo per gli occhi che almeno una volta nella vita vale la pena di vedere...

Massimiliano (dall'archivio gruppo Chi ha paura del buio)

Credits: Dave Lane Astrophotography



 

 

giovedì 10 aprile 2025

9 aprile 1948 il massacro sionista di Deir Yassin,

 

Fu pianificato per seminare il terrore e il panico tra la popolazione palestinese in tutte le città e paesi della Palestina, al fine di intimidire gli abitanti e obbligarli a fuggire per poter confiscare le loro case e le loro terre ad uso dei coloni ebrei. La tattica degli ebrei sionisti era di intimorire le persone indifese perché fuggissero dalle loro case per la paura di perdere la vita.

Assassinarono 250 persone. Mutilarono i corpi anche prima della morte. I criminali tagliarono membra ad alcuni e aprirono il ventre ad altri. Assassinarono bambini al petto delle loro madri indifese.

Di queste duecentocinquanta persone, a venticinque donne incinte fu conficcata una baionetta nel ventre. Mutilarono 52 bambini di fronte alle madri, dopo li assassinarono e decapitarono. Dopo assassinarono e mutilarono le madri. Circa sessanta donne e bambine furono assassinate e mutilate. Questi sono i fatti storici relativi all’orribile crimine perpetrato contro il villaggio arabo di Deir Yassin.

Nella notte tra il 9 e il 10 aprile 1948, il tranquillo paese arabo di Deir Yassin, un sobborgo di Gerusalemme, fu sorpreso dagli altoparlanti che esortavano gli abitanti ad evacuare immediatamente il paese. I paesani si svegliarono, in uno stato di confusione e paura cercarono di verificare cosa stava succedendo e si trovarono circondati da ogni parte da bande ebree. Gli ebrei approfittarono della paura e della disorganizzazione che regnavano per uccidere e mutilare persone prive di qualsiasi opportunità di difendersi.

Gli assassini non erano soddisfatti dei crimini che avevano commesso nel villaggio. Aggredirono le donne e le bambine sopravvissute e dopo avergli tolto tutti i vestiti, le fecero salire su veicoli aperti, portandole nude per le strade del quartiere ebreo di Gerusalemme, dove furono sottoposte alle beffe e agli insulti degli spettatori. Molti scattarono delle fotografie di queste donne.

mercoledì 9 aprile 2025

L'intervista

 Educare le macchine restando pronti all’imprevedibile. L’AI vista da Cacciari

Michele Silenzi 08 apr 2025

“Oggi l’esistenza stessa dell’AI mostra come la nostra età sia caratterizzata dal primato dell’homo technicus”. Ma la macchina non deciderà mai da sola. Intervista al filosofo sulle sfide della nuova tecnologia

Massimo Cacciari è senza dubbio il più noto filosofo italiano. Il suo ultimo libro, Metafisica concreta, è un richiamo costante a pensare e a tentare di dire ciò per cui sembra non abbiamo parole, e che pure costituisce il tessuto stesso delle nostre esistenze: quello sfondo illimitato e inafferrabile senza cui sarebbe il nulla piuttosto che qualcosa, e dove la grande ricerca scientifica e la grande ricerca filosofica convergono. Allo stesso tempo, la sua riflessione è da sempre ben piantata in una continua attività politica, intesa sia come pratica amministrativa, sia come attività diretta del pensiero nelle cose che fanno pulsare la nostra quotidianità e danno forma al mondo che ci circonda giorno dopo giorno. In questo senso, in questa doppia veste, non potevamo non interrogarlo sulla grande questione dell’intelligenza artificiale che questo giornale, e nel suo piccolo questo ciclo di interviste, cerca di indagare e capire nella sua costante evoluzione.

Professor Cacciari, riflettendo sull’intelligenza artificiale penso che la prima cosa su cui portare l’attenzione, a livello filosofico, sia il tentativo di comprendere la distinzione, se vi è per lei, tra intelligenza e pensiero. Si può guardare all’intelligenza come alla “componente calcolante” della nostra ragione, considerando invece il pensiero come la sua parte “creativa”, ossia quella che “dà vita” a cose che altrimenti non sarebbero? Oppure ritiene questa distinzione oziosa o errata?

“Kant parlava di tre facoltà-forze fondamentali della nostra anima. Con la prima, strettamente connessa alle nostre capacità di calcolo, condizione di ogni mathesis, noi legiferiamo sui fenomeni, ta phaionomena, le cose in quanto e solo in quanto ci appaiono, e cioè stabiliamo leggi della natura. La seconda riguarda il nostro dover essere, indirizza secondo forme anch’esse a priori il nostro agire. Nella terza si esprime quella componente essenziale della nostra natura per cui noi speriamo esista una relazione essenziale tra essa e la natura “esteriore”, ovvero che la Natura nel suo insieme abbia come suo intrinseco fine la nostra felicità. Non resterebbe allora che chiedersi: può una Macchina presentare una tale complessità? Se riflettiamo un po’ potremmo facilmente vedere come le opere più straordinarie dell’uomo la manifestino, spesso drammaticamente, spesso mostrando la disarmonia tra le sue parti. Potrebbe una Macchina interrogarsi, come noi facciamo, intorno al problematico rapporto tra intelletto, ragione e giudizio teleologico? Potremmo giungere a dover ammettere: non lo sappiamo. Se il comportamento della Macchina corrispondesse al senso delle domande che ho appena posto come potremmo decidere sulla sua “natura”? Che sia ‘natura’ è certo, poiché nulla può esistere che non sia prodotto di Physis, ma ‘quale’ parrebbe impossibile deciderlo. Il test potrebbe svolgersi così: quali domande porre al nostro ‘interlocutore’ tali che le sue risposte accertino che si tratta di una Macchina? Ti angoscia la morte? Che intendi per morire? Sogni? Come hai amato o odiato? Ma non potrebbe, se la Macchina è ‘vissuta’ abbastanza, aver imparato da noi, frequentandoci, osservandoci, tutte queste ‘passioni dell’anima’, così da saperle perfettamente imitare? (E sarebbe allora ancora proprio parlare di imitazione?). Il self-learning non potrebbe giungere a comportare anche questo? O il costruttore vorrà a priori renderlo impossibile? Non credo si possa ora dare una risposta attendibile. Lo sviluppo dell’AI, come tutte le grandi imprese del general intellect tecnico-scientifico, è aperto all’imprevedibile. E l’imprevedibile è sempre deinon, ha sempre in sé tremendi pericoli”.

In una recente conferenza all’Accademia dei Lincei lei dice che la natura umana non è un dato, un fatto, ma un fieri, un farsi. In questa ottica, esiste un limite che si possa porre alla possibilità di una co-evoluzione tra essere umano e macchina?

“Co-evoluzione tra intelligenza e Tecnica vi è sempre stata. Per questo la Tecnica è sempre più che un affare tecnico. L’Homo technicus influisce sull’oeconomicus, sul politicus, sul poeticus – e reciprocamente. A seconda delle epoche l’una dimensione può emergere prepotentemente sulle altre e ognuna assumere forma diversa. Oggi l’esistenza stessa dell’AI mostra come la nostra età sia caratterizzata dal primato dell’homo technicus. E la forma specifica che la Tecnica assume in essa è quella che ho definito faustiana: il progetto di trasformazione della stessa intelligenza umana, più in generale: il progetto di trasformazione dello stesso soggetto della Tecnica. In questo senso, è già del tutto possibile pensare all’impianto nel cervello umano di dispositivi artificiali, di reti neurali artificiali. La co-evoluzione diverrebbe allora un matter of fact”.

A volte si teme il fatto che le macchine diventino più intelligenti di noi. Ma non lo sono già, se con intelligenza si intende semplicemente la capacità di calcolare? E quindi non dovremmo forse esaltare la potenza calcolante delle macchine di risolvere problemi pratici, e semplicemente capire come utilizzarle al meglio, per quello che potremmo chiamare, con parola desueta se utilizzata con maiuscola e priva di connotazioni moralistiche, il Bene? Ma in tal senso, quale il destino della politica? Ossia, nel momento in cui l’algoritmo processa tutto il calcolabile con “esattezza”, quale lo spazio della decisione?

“Se l’AI è chiamata – e lo è ogni giorno più profondamente – a fornire almeno la base conoscitiva di progetti e scelte riguardanti ambiti essenziali della nostra vita, dall’amministrazione pubblica alla sanità, dal campo della giustizia alla scuola, ecc., dovranno per forza trovar spazio, tra gli input che la formano, anche imperativi di ordine etico. Il comportamento oggettivamente riscontrabile dell’AI dovrà saperli manifestare. Questo diviene allora il problema politico di fondo: quali saranno i soggetti che ‘educheranno’ l’AI? I loro ‘padroni’? E chi sarà in grado di controllarli, se non governarli? Quale ordine politico potrebbe non essere costantemente in ritardo rispetto alla formidabile accelerazione del sistema, Gestell, tecnico-scientifico-economico? Questa è la domanda esatta. La Macchina non deciderà mai da sola – essa ha l’equivalente della nostra base genetica – e poi su di essa impara, si evolve, si può anche trasformare – ma sempre relativamente a quella base. Chi ha il potere di impostarla, di determinarne la direzione fondamentale? La perfetta distopia sarebbe: il soggetto-padrone dell’AI ne decide la struttura genetica e la Macchina autonomamente determina la sua evoluzione epigenetica. E il sistema così formato decide sul bios, sulla vita del nostro genere.

giovedì 3 aprile 2025

L’obbedienza cieca è l’origine dei più grandi mali dell’umanità.

 Oggi risuona nuovamente la chiamata alle armi. Credevamo che il mondo omerico con la sua celebrazione della forza e del “coraggio sul campo di battaglia” appartenesse a un lontano, remoto passato, quando l’umanità era più primitiva, più feroce, più brutale. Ma già due millenni fa c’era chi era insensibile a tali richiami. Si tratta del poeta Archiloco di Paro che abbandonò lo scudo nel bel mezzo della battaglia. La scelta di gettare lo scudo rappresenta una rottura con i valori del mondo omerico, dove ciò che contava era soprattutto l’onore e il desiderio di gloria.

Archiloco descrive la brutalità della guerra non celandola dietro artefici poetici, e la guerra, perduta ogni valenza epica, si mostra davanti agli occhi del poeta nella sua indecente nudità, mentre quest’ultimo rivolge la sua attenzione alla vita, che capisce essere più preziosa di qualsiasi cosa.

Il vero eroe è il disertore, colui che dice “no” alla guerra, colui che si rifiuta di obbedire, ciecamente obbedire, agli ordini dei suoi superiori diventando in tal modo un assassino, un Caino moderno. Cosa dissero infatti i carcerieri dei lager? Come si difesero i mediocri funzionari dell’apparato nazista? Non avevamo altra scelta, non potevamo agire diversamente, obbedivano a delle direttive. Ecco l’eterna giustificazione di chi abdicando alla propria umanità, alla propria coscienza, alla propria dignità di essere pensante in grado di discernere il bene del male, rinuncia al proprio essere uomo per trasformarsi in un ingranaggio del sistema.

Si possono compiere le peggiori atrocità ed essere convinti al tempo stesso di avere la coscienza a posto. Ciò accade quando accogliamo, senza averle sottoposto al vaglio della nostra coscienza, idee, atteggiamenti, pratiche condivise che proprio per il fatto di essere condivise ci paiono naturali. È questa la banalità del male di cui parla Anna Arendt: l’incapacità di pensare, di sentire, il piegare la propria coscienza alle leggi ed alle direttive imposte dall’alto, giuste o sbagliate che siano non fa differenza.

G.Middei, anche se voi mi conoscete come Professor X (Cari amici, se volete mi potete seguire anche su Instagram, dove pubblicherò contenuti inediti, mi trovate la come “IlprofessorX”)

#società #socialmedia #filosofia

 

lunedì 24 marzo 2025

Dall'archivio di Giovanni Provvidenti.

 Il "fanciullo" e il suo egoismo necessario

La fanciullezza è quello stato di beatitudine istintiva che  ci fa apparire tutto naturale, necessario, privo di colpa. È l'innocenza di chi non ha più bisogno di dire a se stesso e agli altri: "questo è morale, questo è immorale, perciò questa è la mia colpa, questa è la mia innocenza"; è uno stato d'animo che considera ogni cosa mondana dal punto di vista del gioco, che è la vera necessità del "fanciullo". Il bambino, per esempio, prende sul serio il gioco, è già maturo per considerarlo la sua necessità, la sua dimensione vitale atemporale e aspaziale: infatti egli agisce e opera dimenticandosi del tempo che scandisce se stesso e dello spazio che occupa

e non si pone domande esistenziali di bene o di male, di buono o di cattivo, di giusto o ingiusto, perché sa ridere del tragico come del buffo. Il bambino non sa che cos'è etico o antietico, e se gli si impone un costume, una convenzione o un'abitudine morale, lo si violenta nelle sue intenzioni più innocenti e naturali, più recondite, è come se gli si reprimessero i suoi impulsi primigeni, che poi sono quegli stessi impulsi necessari per la sua crescita e formazione del carattere. Certo, per un bambino la disciplina è d'uopo in un contesto sociale collettivo, purché sia graduale e non tenda soltanto alla repressione. Il bambino soffre le repressioni, egli vuole soltanto essere felice e ridere: Il bambino SA RIDERE! E Saper ridere anche da adulti come l'innocente fanciullo è una grande serietà, una grande maturità. In verità non è seria nè matura l'ipocrita e deleteria commedia sociale e, spesso, personale, di coloro i quali non prendono troppo sul serio il gioco e pensano che la serietà sia anzitutto il lasciarsi trasportare dal fiume inesorabile delle età e "invecchiare" - spesso invecchiare anzitempo poiché anzitempo ci si è consegnati al "superfluo bisogno sociale" - o diventare "saggi", come se crescere dovesse voler dire inevitabilmente lasciarsi il fanciullo alle spalle e considerare maturo l'atto del "tribunale interiore", come se già non ci fossero i "tribunali esteriori" a farci sentire pesante l'esistenza; mi riferisco agli impenitenti dispensatori di giudizi e pregiudizi, ai dispensatori di valori e ideali, nonché di ideologie. I tribunali interiori sono quei luoghi terribili che occupano un territorio del tutto privato e personale dove ogni azione diviene l'imputata da giudicare, da giudicare in base a ciò che si è imparato a riconoscere come morale o immorale: l'essere ligi a quella sorta di amplesso spirituale che diviene flagellazione metafisica: poichè ci fa sentire sempre colpevoli di qualche cosa. In crisi senza posa verso qualche idolo sociale o culturale. Ma il "fanciullo", colui che considera l'innocenza dell'individuo il viandare nei sentieri della necessità, prescinde da siffatti tribunali e giudizi e non valuta in basa a un pregiudizio, ma in base alla necessità appunto. In base a un egoismo del tutto fisiologico. Anzi nemmeno si pone la domanda di cosa sia necessario per lui, perché lo sente, lo avverte istintivamente, fisiologicamente, e di conseguenza agisce. Ma non è propriamente un essere irrazionale assuefatto a un relativismo di maniera: il suo agire è sì istintivo, semplice, naturale, ma si fonda sulla prospettiva che egli ha di stesso, ma soprattutto sulla propria consapevolezza. Processa tale prospettiva e si rapporta col proprio io e con gli altri nella misura in cui il suo egoismo fisiologico comprende un bisogno di autoconservazione e dà a se stesso ciò che ritiene utile per il suo benessere. "Cosa è utile e buono per me?", egli chiede a stesso, e agisce di conseguenza. È un egoismo che non si pone domande e non cerca risposte, appunto perché non si sa tale, ma che riconosce istintivamente una necessità. Naturalmente tale individuo è consapevole di vivere nel bene e nel male mondano, nel buono e nel cattivo umano, nel giusto e nell'ingiusto che sitano dinanzi all'ingresso dei tribunali interiori come esteriori, non li può mica eludere e vivere tra essi come un imbelle o un ebete! Tuttavia riconosce, indovina la strada per superarli e non lasciarsi trattenere dalle soavi vocine di sirena di coloro che dicono: "cresci e guarda la realtà a te d'intorno; non sei più un bambino e non vivi in un mondo straniero, non puoi vivere alieno a te stesso: non sei diverso da noi", e lo vorrebbero sempre riportare indietro, al tutto uguale, al loro "altruismo", alla loro realtà quotidiana, come se la realtà fosse solo quella che loro vedono, vivono! Il "fanciullo" è quel tipo di individuo che considera l'altruismo: o un atto di mera magnanimità o un atto di mera privazione sacrificale, altrimenti non lo considera affatto e si tiene ben stretto il suo egoismo necessario. Il bambino, ad esempio, quando dà non dà per costrizione? Solo quando ne sente e ne avverte la necessità dà con mero slancio di generosità - senza peraltro chiedersi se è stato un gesto generoso o sacrificale: dona e basta ed è felice di averlo fatto, e sorride. SA RIDERE! E quando soffre cerca istintivamente ragioni per il proprio malessere interiore e nello stesso tempo cerca ogni via per trarsene fuori, perché vuole tornare a giocare e a ridere, AD ESSER SERIO E SERENO E MATURO PER LA SUA NECESSITÀ. E perché un individuo adulto non dovrebbe considerare la vita un gioco, una risata, persino quando la vita diventa dolore? "Saper ridere" persino del dolore più profondo eleva l'animo fino allo spirito libero! Ma perché si possa ridere ed esser liberi, cioè elevati e guardare alle tragedie mondane come fossero uno spettacolo, si deve prima santificare l'egoismo! Giovanni Provvidenti

 

 

domenica 23 marzo 2025

I Sumeri e il loro straordinario lascito

 I Sumeri furono una delle civiltà più avanzate e influenti dell’antichità, fiorendo tra il 4000 e il 2000 a.C. nella regione della Mesopotamia (attuale Iraq). Le loro innovazioni hanno avuto un impatto duraturo sulla storia dell’umanità. Tra le loro invenzioni documentate figurano:

1. La scrittura cuneiforme (Schriftsprache), il primo sistema di scrittura conosciuto

2. La ruota

3. Il sistema di irrigazione

4. L’agricoltura organizzata

5. La matematica, con un sistema sessagesimale (basato sul 60)

6. Il calendario lunare

7. La città-stato, con un’organizzazione sociale complessa

8. Gli ziqqurat, grandi strutture religiose e amministrative

9. I codici di legge, come il Codice di Ur-Nammu e il successivo Codice di Hammurabi

10. La letteratura, tra cui l’Epica di Gilgamesh, il più antico poema epico conosciuto

11. La navigazione fluviale

12. La produzione di mattoni cotti per la costruzione

13. La metallurgia del bronzo

14. La produzione della birra, con ricette documentate

15. Il sistema contabile basato su tavolette di argilla

16. Le prime scuole (Edubba), per la formazione degli scribi

17. La burocrazia governativa

18. L’architettura monumentale

19. L’astronomia, con la registrazione dei moti celesti

20. La musica e la costruzione di strumenti musicali

I Sumeri e l’astronomia

I Sumeri svilupparono un sistema avanzato di osservazione astronomica, fondamentale per la creazione del calendario e per il culto religioso. Tuttavia, l’idea che avessero mappe dettagliate del sistema solare come lo conosciamo oggi è una speculazione moderna senza fondamento archeologico. Alcune tavolette cuneiformi mostrano rappresentazioni del cielo e dei pianeti visibili a occhio nudo (Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno), ma non prove di una conoscenza precisa di Urano, Nettuno o Plutone.

Chi erano gli Anunnaki?

Gli Anunnaki erano un gruppo di divinità venerate dai Sumeri, Accadi, Babilonesi e Assiri. Il termine significa “coloro che discendono dal cielo” o “progenie del dio Anu” e indicava esseri divini con ruoli diversi nella mitologia mesopotamica. Le principali fonti su di loro provengono da testi religiosi e letterari, tra cui l’Epica di Gilgamesh, l’Atrahasis (che narra un diluvio simile a quello biblico) e l’Enuma Elish, il poema della creazione babilonese.

Negli anni ’70, lo scrittore Zecharia Sitchin reinterpretò i testi sumerici in chiave fantascientifica, sostenendo che gli Anunnaki fossero esseri extraterrestri provenienti dal pianeta Nibiru, che avrebbero creato gli esseri umani per sfruttarli come forza lavoro. Tuttavia, questa teoria non ha alcun riscontro accademico ed è considerata pseudoscienza.

Somiglianze con altre mitologie

Alcuni studiosi hanno notato similitudini tra la mitologia mesopotamica e altre tradizioni antiche, ma ciò si spiega con la diffusione culturale tra civiltà vicine. Ad esempio:

• Mitologia egizia: il dio Ra viaggia nel cielo con la sua “nave solare”, un concetto simbolico legato al ciclo del sole.

• Mitologia indù: i Vimana, menzionati nei testi sanscriti, sono descritti come carri celesti, ma non esistono prove che fossero navi spaziali reali.

• Dogon del Mali: il mito della stella Sirio è stato spesso reinterpretato in chiave aliena, ma la loro conoscenza di Sirio B è stata probabilmente influenzata da contatti con astronomi moderni.

• Culture precolombiane: Incas, Aztechi e Maya veneravano dèi solari, ma non esistono connessioni dirette con i Sumeri.

Il mistero del film “Anunnaki”

Nel 2006, il regista Jon Gress iniziò la produzione di una trilogia cinematografica intitolata Anunnaki, ispirata alle teorie di Sitchin. Tuttavia, il progetto fu interrotto e il film non venne mai distribuito. La spiegazione ufficiale è la mancanza di finanziamenti, ma alcuni teorici della cospirazione sostengono che il film sia stato bloccato per evitare che diffondesse una “verità scomoda”. Non esistono prove a supporto di questa ipotesi.

Conclusione

I Sumeri furono una civiltà straordinaria, la cui eredità ha plasmato il mondo moderno. Tuttavia, le teorie sugli Anunnaki come esseri extraterrestri derivano da interpretazioni moderne senza basi storiche o scientifiche. Sebbene affascinanti, queste idee rientrano più nella fantascienza che nella realtà archeologica.

Baisi Francesco