martedì 17 novembre 2015

Lo sfogo di Gino Strada



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Gino Strada



Gino Strada: “In 15 anni di guerra solo danni. Ci raccontano solo balle, ma in tutto questo tempo hanno solo distrutto nazioni, rafforzato i Talebani (di cui nessuno parla più) e inventato l’Isis!! “La guerra non solo è uno strumento stupido e crudele, non funziona neanche”. A dirlo è Gino Strada, fondatore di Emergency, nel corso di un’intervista a In Mezz’Ora, su Raitre, per criticare gli ultimi 15 anni di gestione delle crisi internazionali. “Questa guerra è incominciata poco dopo l’11 settembre. È stato detto, a noi cittadini, che era cominciata la guerra al terrorismo e sarebbe durata 50 anni. Bene, 15 sono già passati. E con quali risultati?
Strada evidenzia che “si sono distrutte intere nazioni, scardinata la struttura sociale, non solo politica. E l’Isis nasce proprio da lì. Davvero un grande successo … e nessuno dice niente. Serve la guerra o ha prodotto ulteriore guerra, ulteriore terrorismo? Ce li ricordiamo i talebani? Nessuno se li ricorda più, ma controllano oggi molto più di quello che controllavano prima dell’ingresso in guerra in Afghanistan”.
Il fondatore di Emergency non accetta di parlare di errori del passato, “non ci sto a liquidare 15 anni di storia così. Prima bisogna ammettere gli errori del passato. Quante balle sono state raccontate ai cittadini del mondo – prosegue Strada – Mi sono visto sventolare perfino una provetta con piscio di laboratorio per giustificare una guerra. E oggi ammettono di aver detto bugie, perfino Tony Blair”.
Gino Strada non riesce a trattenere l’emozione, poche parole per ricordare Valeria Solesin, per anni volontaria di Emergency e unica vittima italiana delle stragi di Parigi. “Siamo addolorati. Purtroppo, è un’altra vittima del terrorismo. Non mi sento di dire di più per rispetto del dolore della famiglia”.
 

giovedì 12 novembre 2015

Il Marocco si prepara ad inaugurare la più grande centrale solare del mondo (video)

 


















Il Marocco si prepara ad inaugurare " Noor", la più grande centrale solare al mondo che deve permettere al regno di accedere all'indipendenza energetica. Installato alle porte del deserto, il cantiere è costato 6 miliardi e mezzo di euro.
TF1 ha realizzato un servizio su questo sito eccezionale che fa la taglia della città di Rabat secondo essi. Occorre circa 1 h in automobile per fare il giro di tutto il sito dunque.
Sempre secondo la catena francese, è il re Mohammed VI che inaugurerà la più grande centrale solare al mondo e questo fra un mese.Grazie alle energie rinnovabili, il Marocco potrà di qui a cinque anni rispondere al 40% dei bisogni del paese e non servirà meno di 700.000 focolari.

lunedì 9 novembre 2015

Burundi, il genocidio non procede come previsto

La situazione

Internet ancora funzionante e media attenti. Ma si teme che il regime vada avanti con il suo folle piano

burundi genocidio 2


Kampala – Tutto era stato calcolato. I governo illegittimo aveva sguinzagliato i falchi del CNDD-FDD in tutto il Paese per parlare con i capi quartiere, i capi zona, i capi dei distretti e dei villaggi. L’amministrazione, i prefetti erano stati istruiti. Per assicurarsi la lealtà dei capi tradizionali e degli amministratori era stato loro promesso di poter acquistare a prezzi ridicoli le terre dei oppositori inseriti nelle liste della morte una volta che i proprietari fossero scomparsi. Le masse contadine hutu aizzate contro Al-Shabaab (la minoranza tutsi burundese). Armi, birra e droghe distribuite. I quartieri ribelli circondati e l’ordine di chiudere le frontiere dato. Reparti d’élite dell’esercito terrorista ruandese FDLR (addestrati tra il 2013 e il 2014 da istruttori militari francesi presenti a Goma, capitale del Nord Kivu, Congo) pronti ad intervenire per bloccare una eventuale offensiva delle forze ribelli.
Nei febbrili giorni che hanno preceduto lo scadere del ultimatum dato all’opposizione dal pastore Nkurunziza di deporre le armi ed arrendersi, il presidente illegittimo aveva firmato 86 decreti di nomina sostituendo comandanti di compagnia, colonnelli e generali di esercito e polizia, amministratore e prefetti su cui gravavano dubbi di lealtà. Semplici militanti del CNDD sono stati nominati Ministri per sostituire quelli scappati, molti, troppi e tutti con ingenti somme di denaro pubblico. Nella Banca Centrale non c’è più traccia di una banconota. Secondo informazioni ricevute 14 alti graduati del esercito nazionale sono stati abbattuti in quanto considerati pericolosi. Tra essi vari hutu.  Notizia che non trova e forse non troverà mai una conferma ufficiale.
Il piano era semplice. Con la consapevolezza che l’ultimatum (ore 00:00 del 07 novembre 2015) non poteva essere rispettato dall’opposizione (la sola garanzia di sopravvivere per i civili burundesi è detenere un’arma) il governo avrebbe attivato il genocidio (nome in codice Kora Kora o Gokora – andiamo a lavorare) facendo credere alla comunità internazionale che si trattasse di una normale operazione di polizia per requisire le armi illegalmente detenute. Una operazione dove la polizia avrebbe riscontrato qualche resistenza e sarebbe stata costretta ad usare le manieri forti. Le migliaia di morti sarebbero state ridotte a qualche decina. Internet doveva essere interrotto e l’informazione garantita solo dalla Radio Televisione pubblica RTNB. Epurati i dipendenti democratici (ultimo il cameraman Chrisophe Nkezabahizi, trucidato assieme alla sua famiglia martedì 13 ottobre durante il massacro di Ngagara, Bujumbura), la RTNB  è stata trasformata nel organo di propaganda del genocidio: la versione burundese di Radio Mille Colline, meglio conosciuta come Radio Machete (Rwanda 1994).
L‘ultimatum non è stato rispettato dal governo. All’interno del Paese bande genocidarie hanno iniziato ad assalire e massacrare i cittadini di origine tutsi un giorno prima della scadenza. I quartieri ribelli della capitale, Cibitoke, Nyagabiga, Mutakura, e altri ancora attaccati verso le 22:00 del 6 novembre. Contemporaneamente cinque battaglioni delle truppe d’élite delle FDLR hanno ingaggiato una violentissima battaglia nelle colline di Bujumbura Rural che sovrastano la capitale per impedire alle forze di liberazione di discende su Bujumbura per liberare la popolazione in ostaggio. L’attacco ai quartieri è stato preceduto da una fuga di civili che hanno abbandonato vari quartieri della capitale.
Il regime razial nazista, incredulo, ha dovuto fronteggiare tre situazioni impreviste e stravolgenti. L’opinione pubblica internazionale ha iniziato a parlare di tentativo di genocidio. I primi sono stati quelli italiani (L’Indro e African Voices) seguiti dai media europei quali Liberation, Jeune Afrique e altri quotidiani francesi e belgi. Oltre alle testimonianze dei blogger burundesi rimasti coraggiosamente nel Paese per informare dei crimini commessi dal regime e del servizio di informazione di alcuni giornalisti indipendenti africani ed occidentali, l’attenzione dei media internazionali è stata attirata dalle imprudenti quanto deliranti dichiarazioni di genocidio come quella fatta dal Presidente del Senato Reverien Ndikuriyo e tradotta in esclusiva dal sito di informazione African Voices per il pubblico italiano. Nel promuovere l’informazione sul genocidio si è distinto in Italia il sito di informazione African Express curato dal giornalista Massimo Alberizzi tramite uno tra i più lucidi e sensati articoli sulla crisi burundese fino ad ora pubblicato e scritto dal collega  Andrea Spinelli Barrile  “Burundi sull’orlo del baratro. Si rischia un nuovo genocidio africano”. Sulla stampa africana si evidenziano le ottime analisi del giornalista Abdoulaye Bah, ex funzionario delle Nazioni Unite pubblicate sul sito di informazione Konakry Express.
La popolazione dei quartieri ribelli ha inflitto pesanti perdite alle forze della polizia e alle milizie Imbonerakure. Si parla di 200 caduti tra le forze genocidarie. Non si conoscono le vittime tra la popolazione ma il dato di fatto è innegabile. Dopo due ore di intensi combattimenti i genocidari si sono ritirati dai quartieri cercando di salvare i camerati feriti. Anche nelle campagne le masse hutu non hanno risposto come si credeva. Seppur registrati massacri di tutsi questi sembrano essere isolati. Solo qualche centinaia di contadini hutu si è unita al genocidio. La maggioranza ha preferito non prendere posizione. Questo ha costretto le milizie Imbonerakure e i terroristi ruandesi di intervenire direttamente invece di coordinare il genocidio commesso dalle masse hutu come avvenne nel Rwanda del 1994. Vedasi il massacro di Kanyosha dove 10 persone sono state brutalmente uccise e altre 20 gravemente ferite dai terroristi FDLR. Il commando autore del massacro è ora braccato dalle forze di liberazione che hanno intenzione di vendicare le vite innocenti barbaramente stroncate.
Incerta la battaglia tra le forze di liberazione e i terroristi FDLR sulle colline di Bujumbura Rural. Entrami rivendicano la vittoria. Considerando che la città non è stata attaccata dai ribelli è probabile che siano state le FDLR a riportare la vittoria. Gli ufficiali di dogana non hanno rispettato l’ordine di chiudere le frontiere. Quella del Congo tra Gatumba e Uvira è rimasta aperta, per esempio. Gli operatori delle telecomunicazioni hanno parzialmente bloccato internet ma la rete, seppur debole e con frequenti interruzioni ha continuato in un qualche modo a funzionare, permettendo alla popolazione di riceve ed inviare informazioni. Il boicottaggio del genocidio è evidente. La maggioranza silenziosa non ha prestato il fianco ai deliri di morte.
Il regime e i gerarchi delle FDLR sono allibiti dal primo insuccesso dei piani genocidari. Domenica 8 novembre è stata da loro impiegata per diramare comunicati rivolti all’esterno in cui si negavano i propositi di genocidio e rassicurazioni alle forze genocidarie disponibili che si era perso una battaglia ma non una guerra. Il secondo tentativo di genocidio è fissato per stasera, lunedì 9 novembre. Dopo aver dichiarato pubblicamente il genocidio, il regime deve ora attuarlo per poter conservare il potere.
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazione Unite è oggi in riunione straordinaria per decidere le iniziative più appropriate per intervenire sulla crisi burundese. Il Belgio e gli Stati Uniti sono per la linea dura. Il deputato europeo Louis Michel ex Ministro degli Affari Esteri del Belgio in un comunicato domanda alla Unione Europea e alla Comunità Internazionale di agire senza più ritardi ed esitazioni per evitare un nuovo genocidio nella regione dei Grandi Laghi. «Non possiamo sopportare il peso di una nostra passività come successe in Rwanda 21 anni fa. Non sarebbe tollerabile riprodurre due volte lo stesso errore» dichiara Louis Michel. Domenica si registra a Bujumbura la presenza di un inviato della Casa Bianca per discutere a porte chiuse con il regime. Secondo indiscrezioni giunte dagli ambienti politici ugandesi l’inviato americano avrebbe il compito di convincere l’ex presidente burundese ad abbandonare il potere illegalmente detenuto. Una azione che permetterebbe la pace e la creazione di un governo di unità nazionale come primo vero passo nella costruzione della democrazia  inter etnica mai registrato nella storia del travagliato paese africano.
Il presidente ruandese Paul Kagame per la prima volta è intervenuto ufficialmente sulla crisi burundese definendo oltraggioso e disumano che un presidente che si definisce anche un pastore di Dio possa ordinare il massacro generalizzato del suo popolo. «La gente muore ogni giorno. I cadaveri giacciono nelle strade. Come dei dirigenti di un paese possono autorizzare dalla mattina alla sera il massacro della loro popolazione? Che presidente è Pierre Nkurunziza costretto a nascondersi nel suo Paese? I dirigenti del Burundi si spacciano per uomini di Dio. Il presidente è un pastore evangelista convinto di essere al potere per volontà divina. Ma in quale Dio crede? Dove c’è scritto nella Bibbia che i dirigenti possono massacrare il loro popolo?» dichiara il presidente Kagame.

http://www.lindro.it/burundi-il-genocidio-non-procede-come-previsto/ 

sabato 7 novembre 2015

Burundi sull’orlo del baratro: si rischia un nuovo genocidio africano

Speciale per Africa Express
Andrea Spinelli Barrile
Roma, 6 novembre 2015
Secondo alcune fonti burundesi, definite dal giornalista italiano di base a Kampala Fulvio Beltrami “degne di fiducia”, milizie FDLR e Imbonerakure, coadiuvate da forze di polizia e bassa manovalanza hutu arruolata nelle scorse settimane nelle campagne con fiumi di birra e magnifiche promesse, starebbero preparando in queste ore l’attacco definitivo ad alcuni quartieri della capitale del Burundi Bujumbura (Nyagabiga, Murakura, Cibitoke, Ngagara), alla ricerca selettiva di cittadini burundesi di etnia tutsi.
L’ordine dato alle milizie hutu-power sarebbe di non far uscire vivo “nessun terrorista” dal Burundi e di isolare i quartieri a maggioranza tutsi, nei quali uomini, donne e bambini si starebbero mobilitando per una difesa armata con ogni oggetto offensivo possibile: armi da fuoco, machete, spranghe, martelli, una resistenza che se si giungesse allo scontro definitivo potrebbe causare molte vittime.
barricata con falò
Nel frattempo nei pressi della capitale, nel distretto di Bujumbura Rural, le forze di liberazione organizzate dalla FORSC (Forum per il Rafforzamento della Società Civile) e comandate da tre ex-generali dell’esercito, composte perlopiù da disertori burundesi, avrebbero ricevuto armamenti dai paesi vicini e starebbero muovendo sulla capitale fronteggiati da cinque battaglioni delle FDLR ruandesi, la nuova guardia personale di Nkurunziza, molto ben armati e addestrati. Nelle scorse settimane infatti alcune forze speciali dell’Esercito Popolare di Liberazione Cinese sarebbero atterrati a Bujumbura in sostegno a Pierre Nkurunziza.
Violenza e terrore, colpi di fucile automatico, granate, tintinnio di machete, odore nauseabondo di morte: Bujumbura, la capitale del Burundi, è teatro oramai da settimane di vere e proprie prove tecniche di genocidio. Il Presidente Pierre Nkurunziza, pastore protestante al suo terzo e illegittimo mandato, ha sostituito le proprie guardie del corpo con miliziani ruandesi dell’FDLR (Forze Democratiche per la Liberazione del Rwanda), già tragicamente famosi per i “100 giorni” del 1994, quando circa un milione di persone furono trucidate nel silenzio complice di tutto il mondo “civilizzato”.
Il legame tra Nkurunziza, che domenica ha inviato moglie e figli in Tanzania, e le milizie hutu-power rwandesi giunte in soccorso della spaventosa Lega Giovanile del CNDD, meglio nota come Imbonerakure (quelli che vedono lontano) addestrata da FDLR in Congo già da almeno due anni e avente funzione di milizia paramilitare del regime burundese, è oramai consolidato. Secondo molti analisti l’unico sbocco possibile, al netto di un (per ora improbabile) intervento internazionale, è quello di un nuovo genocidio.
Nkurunziza, che appare e scompare come un fantasma, è oramai alla mercè dei miliziani FDLR e mantiene l’esercizio del potere grazie a omicidi mirati, epurazioni e l’eliminazione di ogni forma di opposizione: un preludio a quello che potrebbe essere un nuovo Olocausto africano.
Proteste e agente con mitra
Giovedì 5 novembre il primo vicepresidente della repubblica Gaston Sindimwo ha usato parole durissime nei confronti di oppositori e società civile: “Siete stati avvertiti, useremo tutti i mezzi: anche gli aerei. Che i leader politici avvertano i loro sostenitori: non c’è più spazio per le polemiche, la ricreazione è finita”. Parole che fanno tremare i polsi in vista della fine dell’ultimatum alla resa, che scade il domani 7 novembre, dato dal governo agli oppositori, e che fanno il paio con quelle del Presidente del Senato Révérien Ndikuriyo, il quale, intervenendo pubblicamente e non sapendo di essere registrato, ha sbraitato: “Il giorno in cui sentirete la parola ‘lavoro’ vedrete la differenza! […] vedrete la differenza quando (la polizia, nda) riceverà l’ordine di lavorare”.
Ndikuriyo ha l’arduo compito di reclutare, nei quartieri, nei villaggi e fino alle zone più remote del paese, manovalanza per le violenze: con lui Pascal Nyabenda, presidente dell’Assemblea Nazionale, gira il paese promettendo alla popolazione hutu la confisca dei beni ai tutsi e la loro redistribuzione, uno stipendio dignitoso, la rivalsa etnica finale. Nell’immediato il regime fornisce ai contadini fiumi di birra, memori della saggezza che l’uomo bianco ha saputo esportare in tutto il mondo, aizzando masse di ubriachi ignoranti plagiati dall’odio etnico profuso dal regime: “Kora! Kora!” urlano loro le milizie FDLR.
La questione è legata alle tempistiche: in forte ritardo, anche la comunità internazionale, dall’Unione Africana alle Nazioni Unite fino all’Unione Europea, ha espresso profonda preoccupazione e intimato al regime di Nkurunziza di cessare le violenze sulla popolazione. Tempo concesso: 30 giorni.
Un’infinità, se consideriamo che era il 03 aprile 2014 quando Parfait Onanga-Anyanga dell’Ufficio delle Nazioni Unite in Burundi informava Jeffrey D. Feltman, sotto segretario al quartier generale delle Nazioni Unite a New York, dell’avvenuta distribuzione di armi e uniformi di esercito e polizia ai giovani miliziani Imbonerakure: quel rapporto però non ha sortito alcun effetto, almeno fino a questo momento.
poliziotto e gas
Sono mesi che le Imbonerakure, con l’esercito burundese prima e con le milizie FDLR poi, rispondono con la violenza alle richieste della popolazione: la situazione ha continuato a deteriorarsi, i morti sono oramai già migliaia e ogni giorno i quartieri Mutakura, Cibotoke, Ngarara Musaga, Jabe della capitale Bujumbura vivono intensi attacchi sotto le granate, nel terrore di assassini e rastrellamenti. In particolare la violenza si sta scatenando contro i tutsi burundesi, una violenza non solo fisica ma anche verbale.
Nell’operazione mediatica di copertura del nuovo genocidio africano il linguaggio ha infatti un ruolo essenziale: i tutsi (gli “scarafaggi” del 1994) vengono oggi definiti sui media burundesi “terroristi Al-Shebab”, come i jihadisti somali, Nkurunziza sembra aprire al dialogo (lunedì 2 novembre in un discorso alla televisione nazionale) ma non con i suddetti “terroristi”. Le parole più emblematiche sono però quelle del presidente del Senato, che quando usa il termine “lavoro” richiama proprio alla parola d’ordine che diede il via al genocidio in Ruanda nel 1994: sulle pagine Facebook di alcuni sostenitori hutu-power del regime burundese compaiono sempre più spesso fotografie di machete ben affilati recanti status del tipo: “Le elezioni sono finite, ora andiamo al lavoro”.
Allo stesso modo, la cautela con cui il resto del mondo si sta pronunciando contro Nkurunziza è figlia proprio dalla terminologia: “genocidio” è una parola, nella regione dei Grandi Laghi, da pronunciare con le dovute cautele perché riapre ferite mai completamente rimarginate: il rischio di una deflagrazione dell’odio etnico nella regione avrebbe conseguenze inimmaginabili.
Il Rwanda, sostenuto dall’Uganda, accusa il Burundi di offrire protezione alle milizie genocidarie FDLR, tra le quali si nascondono molti generali complici e autori del genocidio del 1994, e di averle integrate con forze hutu-power fresche mentre il Burundi accusa il Ruanda di nascondere ex-funzionari e avversari politici scappati all’estero.
Nel frattempo le FDLR soffiano sul fuoco dell’odio etnico, risvegliando il ricordo della guerra civile burundese nel dittatore Nkurunziza: in tal senso, tornano alla mente le parole che lo stesso Nkurunziza pronunciò in un’intervista rilasciata nel 2004 all’agenzia stampa IRIN: “Nel 1995, l’esercito tutsi attaccò il campus ed uccise 200 studenti. Essi tentarono di uccidere anche me. Gli attaccanti spararono alla mia automobile ma riuscii a fuggire. Diedero fuoco alla mia auto. A quel punto mi arruolai come soldato nel CNDD-FDD. Questa guerra ci fu imposta, non l’abbiamo iniziata noi”, ricordava l’allora segretario generale del partito, che l’anno successivo sarebbe diventato presidente. Oggi centinaia di migliaia di burundesi, sopratutto tutsi ma anche moltissimi hutu che si oppongono al regime di Nkurunziza, affollano i campi profughi nella Repubblica Democratica del Congo, in Tanzania e in Ruanda.
Manifestanti e cartellone
Lo spettro ruandese è vivo oggi più che mai nei piani del regime burundese: Nkurunziza, lo raccontano i fatti, sembra determinato a non dialogare in nessun modo con gli oppositori, vuoi per il timore di una vendetta delle FDLR vuoi per una strategia politica dissennata. Secondo David Gakunzi, intellettuale burundese che vive in Francia intervistato dal quotidiano Liberation, fin dall’inizio della crisi il regime ha fatto di tutto per rinfocolare l’odio tra hutu e tutsi con un sapiente lavoro fatto di omicidi mirati sia di oppositori che di “nemici interni” definiti “animali traditori” in kirundi e “terroristi” in lingua francese.
Mentre di giorno il paese cerca di prendere fiato, di notte le violenze imperversano ovunque: tutsi torturati e uccisi, intere famiglie massacrate, oppositori hutu pestati e arrestati. Secondo il giornalista Fulvio Beltrami, che riporta i racconti di testimoni oculari, pochi giorni fa un corteo funebre di ritorno dal funerale di un giovane ragazzo assassinato dalla polizia è stato attaccato a Buringa, nel comune di Gihanga vicino all’aeroporto di Bujumbura, dalle FDLR ruandesi che hanno compiuto una carneficina: sedici persone sono state uccise sul posto, altre portate nei campi e decapitate. L’ordine al massacro è stato dato dal colonnello Desire Nduwamahoro, comandante delle unità anti sommossa della polizia.
Questo episodio, apparentemente di scarsa rilevanza, è in realtà solo l’apice del formicaio: intere zone del paese sono isolate e il regime ha creato tutti i presupposti, sociali, mediatici e militari, per scatenare l’inferno a partire dalla scadenza dell’ultimatum: sabato 7 novembre.
Ufficialmente l’obiettivo sarà il disarmo di chi non ha obbedito all’ordine di resa (armandosi proprio per contrastare il regime hutu-power), con fantomatiche promesse di amnistia dopo qualche mese di campi di riabilitazione: la storia degli ultimi 20 anni e i protagonisti nella storia recente del Burundi suggeriscono però un rischio molto più alto, in termini di vite umane.
Tra l’8 e il 10 novembre prossimi il Burundi potrebbe trasformarsi in una fossa comune di dimensioni inimmaginabili: il tempo “concesso” dalla comunità internazionale è infinitamente lungo, vista la manifesta intenzione di “terminare il lavoro” per Natale, e sembra che il regime non abbia comunque alcuna intenzione di cedere.
Andrea Spinelli Barrile
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