lunedì 23 giugno 2014

Sinestetici si nasce, o si diventa?

Alla scoperta del fenomeno percettivo che "mischia" le carte delle risposte sensoriali restituendo un quadro coloratissimo e particolarmente vivido della realtà: in che cosa consiste la sinestesia? La si può indurre, o imparare?

Il 90% delle esperienze sensoriali sinestetiche coinvolge i colori. Photo: agsandrew/Thinkstock
Il 90% delle esperienze sensoriali sinestetiche coinvolge i colori. Photo: agsandrew/Thinkstock

Alcune persone associano le lettere dell'alfabeto a colori precisi, i giorni della settimana a particolari forme geometriche, le parole scritte su un libro a uno specifico odore o sapore. Questo "superpotere" è un fenomeno percettivo noto come sinestesia e consiste nella fusione, in un'unica sfera sensoriale, delle percezioni di sensi distinti o - in termini più scientifici - nel sincronismo funzionale di due organi di senso o due facoltà cognitive. Interessa una ristretta fascia di popolazione (dallo 0,05% al 4%) ed è uno dei campi più misteriosi e appassionanti della ricerca neuroscientifica.

Un sinesteta può "vedere" il calendario dell'anno sotto forma di mappa tridimensionale; immaginare l'età delle persone come una curva matematica; emozionarsi fino alle lacrime sfiorando una superficie con la mano. Queste "interferenze percettive" tra un senso e l'altro sono spesso associate a eccellenti doti mnemoniche e spiccate abilità creative: la sinestesia è 7 volte più frequente in artisti, letterati e poeti, che hanno trovato il modo di condividere la bellezza sensoriale di cui sono partecipi.
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Le cause
Sulle basi fisiologiche di questo fenomeno si sta ancora indagando: le teorie più accreditate lo attribuiscono a cambiamenti nelle connessioni tra aree cerebrali. All'origine di queste esperienze potrebbe esserci la presenza di connessioni ridondanti, non eliminate durante il normale processo di "sfoltimento" delle sinapsi meno utilizzate che avviene con la crescita cerebrale; o, ancora, un'eccessiva comunicazione tra aree cerebrali contigue rispetto a quanto avviene in un cervello non sinestetico. Il fatto che un terzo dei soggetti sinestetici abbia un parente con le stesse capacità, porta anche a pensare che il fenomeno abbia una qualche componente genetica.

Ci si può allenare alla sinestesia?
Ma la sinestesia si può in qualche modo apprendere? In altre parole, volendo, potremmo diventare sinestetici? «Siamo tutti potenzialmente sinestetici: il cervello umano possiede meccanismi che permettono una fusione fra i sensi. Tali meccanismi sono nella popolazione generale latenti, così che non siamo consapevoli del loro funzionamento, mentre nel sinesteta, si suppone per fattori genetici, è come se fossero iper-attivi» spiega Nadia Bolognini, Ricercatrice di Psicobiologia e Psicologia Fisiologica presso l'Università di Milano-Bicocca, ed esperta di integrazione multisensoriale.

«L'assunzione di droghe allucinogene o antidepressivi può indurre sinestesie, per lo più temporanee. La sinestesia si può indurre anche in condizioni normali, attraverso l'ipnosi, o modificando l'eccitabilità di specifiche aree della corteccia cerebrale. Di recente abbiamo dimostrato che in soggetti non-sinestetici, la sinestesia del tocco a specchio (quella che permette di percepire sensazioni tattili alla vista di una persona che viene toccata) può essere indotta innalzando temporaneamente il livello di eccitazione di aree del cervello deputate all'elaborazione delle sensazioni corporee, attraverso una stimolazione transcranica non invasiva a corrente elettrica. Anche lesioni cerebrali da ictus o l'amputazione di arti possono determinare l'insorgenza di sinestesia».
Ad alcune forme di sinestesia (specie quelle grafema-colore) potrebbero contribuire le memorie dell'infanzia. È il caso di alcune lettere magnetiche colorate vendute da Fisher Price tra il 1972 e il 1989. Foto: Belchonock/Thinkstock
Ad alcune forme di sinestesia (specie quelle grafema-colore) potrebbero contribuire le memorie dell'infanzia. È il caso di alcune lettere magnetiche colorate vendute da Fisher Price tra il 1972 e il 1989. Foto: Belchonock/Thinkstock

Memorie d'infanzia
Alcuni ricercatori dell'Università di Amsterdam sono riusciti a indurre una forma di sinestesia (la cosiddetta grafema - colore) su soggetti non sinestesici: a un gruppo di volontari è stato dato da leggere un testo con le lettere e, t, a ed s colorate, e tutte le altre nere. I soggetti hanno letto il testo normalmente, imparando inconsciamente ad associare i colori alle rispettive lettere.

In un secondo momento i ricercatori hanno mostrato alle stesse persone gli screenshot di lettere colorate, e chiesto loro di dire di che colore si trattasse. Quando il colore non era lo stesso che avevano imparato ad associare alle lettere del primo training, le risposte sono arrivate dopo qualche istante di incertezza, segno che nei loro cervelli si erano formate temporanee associazioni lettera-colore analoghe a quelle che possono vedere alcuni sinestesici.

«Alcune forme di sinestesia possono anche essere apprese, ma in questo caso sarebbe più corretto parlare di associazioni cognitive» chiarisce Bolognini. Olympia Colizoli, che fa ricerca sulla sinestesia all'Università di Amsterdam, ricorda il caso di una donna sinestesica che, tornando nella sua vecchia classe, si accorse che i colori che ella stessa associava alle lettere dell'alfabeto erano gli stessi del cartellone su cui aveva imparato a leggere. O di altri undici soggetti sinestesici che - si è scoperto - associavano alle lettere dell'alfabeto i colori che durante l'infanzia avevano visto sulle lettere magnetiche da frigo vendute da Fisher Price. Queste persone potrebbero essere state geneticamente predisposte a divenire sinestesiche, ed aver espresso le loro capacità in seguito ad associazioni apprese durante l'infanzia.

Convivenza difficile
Ciò che è certo è che, se per gli adulti alcune forme di sinestesia possono risultare piacevoli, o cognitivamente "vantaggiose", i bambini possono trovarle difficili da gestire: Colizoli ricorda, per esempio, il caso di un bambino sinestesico che trovava difficile leggere perché il colore in cui percepiva le lettere era troppo chiaro rispetto allo sfondo bianco della pagina. «La mia impressione generale è che i bambini trovino la sinestesia più distraente degli adulti, che invece hanno ormai sviluppato strategie per conviverci» conclude la ricercatrice.

giovedì 19 giugno 2014

La democrazia (digitale) semplicemente non funziona

La democrazia (digitale) semplicemente non funziona

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Chi scrive, sia chiaro, è uno strenuo difensore dell'Articolo 21 della Costituzione che, come tutti sappiamo, recita in breve: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili».
Chi scrive, inoltre, è un giornalista che ne ha frequentate di redazioni, locali o telematiche, ed ha visto cosa c'è dietro la vecchia e polverosa macchina del "mestiere". Cose che voi umani, come chiosa il celebre monologo di Roy Batty nel film Blade Runner, non potreste immaginare. Badate bene, ho detto voi umani, non noi giornalisti, che apparteniamo a un'altra razza, e siamo accomunati dalle stesse sanguinolente vicissitudini.
Chi scrive, infine, è un giovane editore che ha scommesso sulle potenzialità dei nuovi mezzi di comunicazione in un'era di cambiamento, che ha visto soccombere il vetusto quanto affascinante amico cartaceo, compagno di mille avventure (dal libro degli esercizi delle vacanze alla rivista della sala d'aspetto del dentista) per far spazio al più immediato e freddo digitale. Computer, cellulari, smartphone, tablet, strumenti che hanno messo l'informazione alla portata di tutti, e nel modo più rapido possibile.
Non si è trattato, però, di una semplice transizione di supporti, ma di una vera e propria rivoluzione dei ruoli, che ha consentito a tutti gli utenti della rete di prendere coscienza della possibilità di esprimere e far valere le proprie opinioni in rete, e di scegliere per sé il tipo di cultura preferita.
Premesso questo, chi scrive ha tristemente preso atto, tuttavia, che questa rivoluzione digitale, o meglio questa democrazia digitale, purtroppo, non funziona. L'informazione alla portata di tutti è sacrosanta, ed ha avuto tanti di quei pro che non abbiamo nessuna intenzione di metterli in discussione.  Sui contro, tuttavia, ci riserviamo qualche piccola considerazione. 
Non tutti gli utenti del web, come le persone al mondo, condividono la stessa cultura. C'è chi si fa condizionare dal contesto geografico in cui vive, chi dalla situazione politica, chi dagli ideali che condivide, dai gruppi d'appartenenza, chi dalle amicizie e dai fini/scopi che ci si prefigge. Il che non sempre (ma quasi) porta a risultati molto soddisfacenti.
La radiocronaca de "La Guerra dei Mondi" di Orson Welles del 1938, di fatto, gettò nel panico gli Stati Uniti: «"Buon Dio, dall'ombra sta uscendo qualcosa di grigio che si contorce come un serpente. Eccone un altro e un altro ancora. Sembrano tentacoli. Ecco, ora posso vedere il corpo intero. È grande come un orso e luccica come cuoio umido. Ma il muso! È... indescrivibile. Devo farmi forza per riuscire a guardarlo. Gli occhi sono neri e brillano come quelli di un serpente. La bocca è a forma di V e della bava cade dalle labbra senza forma che sembrano tremare e pulsare. Il mostro, o quello che è, si muove a fatica. Sembra appesantito... forse la gravità o qualcos'altro. La cosa si solleva. La folla indietreggia. Hanno visto abbastanza. È un'esperienza straordinaria. Non riesco a trovare le parole... porto il microfono con me mentre parlo... Devo sospendere la trasmissione finché non avrò trovato un nuovo posto di osservazione. Restate in ascolto, per favore, riprenderò fra un minuto..."».

Gli 'mmerecani del grande Albertone, tratti in inganno forse dalla potenzialità del nuovo strumento, le voci registrate, i rumori di sottofondo, le urla che echeggiano in strada, la descrizione accurata quasi stessero assistendo in prima persona all'evento, o forse dal fatto che venne sospesa la consueta trasmissione delle canzoni, credettero alla bufala dell'invasione aliena a tal punto da rintanarsi nei propri "rifugi antiatomici", che nell'immaginario collettivo, formatosi attraverso i film di fantascienza, altro non sono che vecchi e polverosi scantinati con le conserve della nonna, il tosaerba e la bici dei piccoli. 
Erano altri tempi, la comunicazione e l'informazione percorrevano ben altri sentieri. Oggi quei sentieri si sono trasformati in autostrade telematiche, ci si aspetterebbe di sentire che le cose siano cambiate. Ed invece no, per niente.
Per farla breve, al fatto che tutti abbiano ottenuto la possibilità di esprimere ciò che si pensa o ciò che si ritenga vero non è conseguita una crescita di cultura, di documentazione e di veridicità. Tutto può essere: il sole è giallo ma anche verde (l'ho guardato attraverso i nuovi ray-ban che ho comprato apposta per sfoggiarli la notte in discoteca), sono le 12.00 ma anche le 21.00 (ho l'orologio al contrario, e dimostrami che il mio lato è sbagliato), il pompelmo bianco è acido ma anche dolce (l'ho assaggiato dopo un limone, prova a farlo tu e vediamo come la pensi). Insomma, anche le realtà più palesi sono diventate meramente soggettive.
In questa realtà caotica dove tutto può essere il contrario di tutto c'è, tuttavia, chi non si limita ad esternare le sue idee, ma ne fa un vero e proprio business. Mi è capitato qualche settimana fa di leggere un post di Facebook (la biblioteca ideale per chi vuole non-documentarsi), condiviso da un mio amico, dal titolo: "DAL 1 APRILE I ROM VIAGGERANNO GRATIS SUI MEZZI DI TRASPORTO PUBBLICO": «Un aiuto concreto ai tanti Rom che usano il trasporto pubblico per poter mendicare e trovare il giusto sostentamento per una vita dignitosa. Un impegno per garantire a tutti la fondamentale libertà di sopravvivenza. Questo provvedimento continua sulla strada intrapresa dal nostro Governo in questa fase di profonda crisi». Questo il commento del Presidente della Commissione Pari Opportunità della Camera - Beneamati PD - al provvedimento che dal primo aprile consentirà a tutti i Rom con regolare carta d’identità  di viaggiare gratuitamente e mendicare legalmente su tutti i mezzi del trasporto pubblico nazionale. Il decreto, che ha previsto nell’ultimo patto di stabilità uno stanziamento di 320 milioni l’anno fino al 2015, è stato approvato il 27 gennaio scorso e dovrebbe coinvolgere più di 300 mila Rom. Per la minoranza Rom l’esenzione coprirà tutte le tratte nazionali».

Premesso che non c'è alcun Presidente della Commissione Pari Opportunità della Camera e che quel Beneamati si chiami in realtà Benamati, la notizia condivisa da numerosi blog non riscontra il minimo fondamento istituzionale, e a meno che non la si sia voluta celare per evitare di scaldare gli animi dei facinorosi italiani e quindi gridare al complotto nazionale, è da considerarsi bufala, come molte bufale vengono condivise in numerosi gruppi e/o pagine Facebook volti a "difendere la vera libertà d'opinione". Dietro queste notizie montate ad hoc c'è sia chi ci guadagna con i propri blog, pagato dalle pubblicità a click e visite, sia chi vuole alimentare un clima di odio razziale nei confronti degli immigrati, ai quali vengono concessi tutti i privilegi (non pagare il biglietto dell'autobus, non pagare le tasse, notti in alberghi lussosi) a discapito del popolo italiano. C'è chi inoltre le strumentalizza per fini politici giocandosi la carta del populismo e della viralità a tante stelle, chi ne fa una battaglia ideologica personale, contro la quale nessuno può nulla.
Se questa è l'epoca del progresso, c'è tanto da rivedere. Il poter fare non si traduce conseguentemente in saper fare solo perché tutto sembra alla nostra portata, ed il credere di conoscere perché ciò che riteniamo giusto viene condiviso da tante persone non fa di noi dei docenti, fa di noi dei politici. E visto lo scenario attuale, non ne farei tanto un motivo di vanto.

Molti di queste verità deliranti trasmesse dalla democrazia digitale dovrebbero consigliare gli autori di fare visita al Tempio di Apollo a Delfi, dove sull'achitrave del portale viene riportato il motto fatto proprio da Socrate: ΓΝΩΘΙ ΣΕΑΥΤΟΝ - Conosci te stesso.

«Non c'è niente di più terribile di un'ignoranza attiva» ma questo non l'ho letto su un blog, lo diceva Johann Wolfgang Goethe.
 

venerdì 6 giugno 2014

Un presidente povero in Uruguay: la storia silenziosa di Pepe Mujica


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Per quanto la sua esistenza sia taciuta dalla maggior parte dei quotidiani italiani, il Presidente dell’Uruguay Josè Mujica, Pepe per gli amici, è un uomo in carne e ossa. Difficile da credersi se si analizza la persona un po’ più a fondo e soprattutto se la si inserisce in un contesto istituzionale.
Nelle ultime settimane il Presidente torna a far parlare di sé per tre notizie, che ne evidenziano l’eccezionalità.
I primi giorni di maggio Josè Mujica ha preso la decisione di ritirare la sicurezza negli stadi. Questo ha anticipato la fine del campionato, rivelando la volontà del Presidente di denunciare con chiarezza la violenza ed il razzismo che la fanno da padrone nel mondo del calcio, in Uruguay, così come in moltissimi altri Paesi del mondo. Pochi giorni dopo, segue la richiesta ufficiale che cinquanta bambini siriani vengano accolti nella residenza presidenziale di Colonia, a 200 Km dalla capitale Montevideo. Secondo quanto riferito dal ministro degli esteri Luis Al magro, l’iniziativa esprime la volontà di “offrire una possibilità di uscita ai bambini e alle vedove perché abbiano una condizione di vita migliore.” Il 15 maggio scorso il New York Times riferisce, infine, il desiderio del Presidente uruguayano di accogliere nel Paese sudamericano sei detenuti di Guantanamo. Si tratta di quattro siriani, un Palestinese e un tunisino. Ai fini della concreta realizzazione del trasferimento, Mujica ha incontrato il presidente statunitense Barack Obama. Nel caso in cui l’ accordo venga raggiunto, l’Uruguay passerebbe alla storia per essere la prima nazione al mondo ad accogliere detenuti provenienti dalla tristemente famosa prigione made in U.S.A.  Nel leggere queste notizie, sembra di avere davanti agli occhi un santo più che un presidente; o forse sarebbe meglio dire “sicuramente non un politico”, visti soprattutto gli standard cui siamo abituati nel nostro Paese.
Il Presidente guerrigliero
‘Pepe’ Josè Mujica ha 78 anni. Figlio di un imprenditore agricolo, cresce nutrendo grande amore per la terra e la vita di campagna. Agli inizi degli anni ’60 milita nelle file del famoso gruppo armato dei Tupamaros. In seguito alla sconfitta politica e militare del fronte rivoluzionario, diventa un prigioniero del regime e rimane in carcere per quindici anni, dodici dei quali trascorsi in isolamento. “Peggio della solitudine c’è solo la morte e quando si resta soli a lungo, come lo sono stato io, bisogna difendersi dalla pazzia” ha detto, ricordando quegli anni. Viene liberato nel 1985 e fonda il Movimento per il Potere Popolare. Dal 1994 al 2010 è deputato, quindi senatore. Nel 2008 è nominato ministro dell’Agricoltura dall’allora presidente della Repubblica Tabarè Vazquez. Eletto presidente nel novembre del 2009, ha assunto i pieni poteri nel marzo del 2010.
L’Uruguay di Pepe
L’Uruguay è un piccolo Paese; un minuscolo puntino in quella terra vasta e problematica che è l’America del Sud, continente che è patria di grandi letterati e uomini di cultura. Marquez, Borges, Amado, solo per citarne alcuni. L’Uruguay è la seconda nazione più piccola dell’America Latina, dopo il Suriname. Nel discorso tenuto in occasione del G20 del 2012 in Brasile, il Presidente Mujica ha così descritto la sua terra: “ Appartengo ad un piccolo Paese dotato di molte risorse naturali. Nel mio Paese ci sono poco più di 3 milioni di abitanti. Ma ci sono anche 13 milioni di vacche, tra le migliori al mondo e circa 8 o 10 milioni di meravigliose pecore; è esportatore di cibo, di latticini, di carne. È una pianura e quasi il 90% del suo territorio è sfruttabile.” Quando manca meno di un anno alla fine del mandato presidenziale (Mujica cesserà di essere presidente nel marzo 2015 ed ha espresso la volontà di non essere rieletto) è possibile tirare le somme, seppure ancora parziali, di questi anni di governo. Mujica è uomo e politico. Nel corso del suo mandato, la natura dell’uomo semplice e progressista sembra aver prevalso sulla carica istituzionale. Mujica, l’essere umano, memore delle lotte per il salario minimo e le 8 ore lavorative, è colui che vive in austerità. Dello stipendio di 150.000 dollari all’anno, ha deciso di riscuotere il 10% (1.250 $ al mese). Il restante 90% è devoluto ad una Fondazione amministrata dal Movimento di Partecipazione Popolare che supporta le piccole e medie imprese e le NGOs operative per il sostegno dei più poveri del Paese. Questa discreta somma è sufficiente a garantire a Mujica una vita dignitosa, ma priva di eccessi, che conduce nella dacia di proprietà della moglie Lucìa Topolansky dove coltiva verdure. L’austerità dell’individuo si fonde con il politico in un connubio quasi sincretico in merito alla scelta di una politica economica basata sulla solidarietà sociale. Fra le iniziative prese è particolarmente significativa quella in merito alla legalizzazione del consumo, della produzione e della distribuzione della Marijuana. Una legge che arriva a distanza di soli due anni dalla scelta di legalizzare l’aborto (2012) e ad appena un anno dalla legalizzazione dei matrimoni omossessuali (2013). Le politiche economiche e sociali dell’Uruguay non possono, però, essere sintetizzate in queste sole tre leggi. A partire dal 2005 (anno della vittoria alle elezioni della coalizione dei partiti di sinistra) fino al 2014, le politiche sociali del Frente Amplio hanno riportato gran parte della popolazione ad una qualità di vita dignitosa, dopo una gravissima recessione. Ciò è stato possibile grazie ad alcune iniziative come la creazione di un valido sistema pensionistico e di un buon sistema sanitario pubblico e l’introduzione di un salario minimo (360$). In nove anni la disoccupazione è scesa del 6,5% e l’analfabetismo si è azzerato. Queste e molte altre scelte governative hanno reso oggi l’Uruguay una nazione all’avanguardia: motivo per cui l’Economist ha scelto di nominarla Paese dell’anno 2013.
Non è tutto oro quello che luccica
Mujica il presidente elogiato, stimato, beatificato. Mujica il San Francesco dei presidenti.
‘Pepe’ Mujica non è solo il santo ma anche il politico ed è il politico a prevalere se si considerano alcune spinose questioni quali il progetto della miniera di ferro Artirì, la cui costruzione comporta un pesante danno per l’ambiente. È necessario poi sottolineare come, a fronte di una netta diminuzione della povertà media, le disuguaglianze sociali sono però aumentate; il narcotraffico imperversa in Uruguay e molti abitanti non si dicono del tutto soddisfatti del Presidente. Le critiche sono principalmente rivolte all’inefficienza dello Stato nel gestire le questioni dell’educazione scolastica e della sicurezza pubblica. Spesso, quando guardiamo ad un politico, chiunque esso sia ed indipendentemente dalla carica che riveste, il confine tra l’esercizio del ruolo e il suo essere autenticamente uomo si confonde. Nel suo esistere come politico Mujica, si dimostra, invece, uomo. “L’uomo non governa oggi le forze che ha sprigionato, ma sono queste forze che governano l’uomo, ed anche la nostra vita. Perché noi non siamo nati solo per svilupparci. Siamo nati per essere felici” ha detto in Brasile, il presidente uruguayano. Mujica sa insegnare l’esistenza semplice di chi vive con poco e sa viverci bene. E quanto poco può sembrare anche solo un piccolo appezzamento di terra agli occhi di chi ha vissuto per dodici anni in un buco di prigione senza poter parlare con nessuno se non con i topi? Il presidente dell’Uruguay è un rivoluzionario e il suo valore aggiunto è quello di essere riuscito a fare il rivoluzionario saggio da politico, non solo da uomo.(Cecilia di Mario)

 iMille.org – Direttore Raoul Minetti