sabato 22 settembre 2012

POSSIAMO CONDIVIDERE TUTTI ALMENO QUESTO PROGRAMMA ?




In un periodo così difficile, l'Italia ha bisogno di un Parlamento e di un Governo con una base di consenso ampia, largamente maggioritaria nel Paese, che basi il suo consenso ed i suoi interventi sulle cose che certamente ci uniscono, a larga maggioranza, non su quelle che ci dividono.
Significa cercare di spezzare l'eterna contrapposizione tra una destra ed una sinistra comunque definite che ha di fatto paralizzato o comunque rallentato la crescita complessiva del Paese in decenni; significa avere un governo di base del Paese su temi condivisibili mantenendo invece il conflitto sugli altri temi al di fuori delle aule parlamentari, lasciando che sia la società civile con le sue strutture e con le sue forze a determinare le scelte, con un supporto organizzativo neutrale degli organi di governo. In altre parole una specie di governo tecnico ma con una base elettorale e parlamentare omogenea, non frammentata e di orientamento opposto come quella attuale.

Vediamo quindi se è possibile determinare questa base comune da condividere; qui le mie proposte, da correggere ed integrare con le vostre :

1) Conservazione dell'Euro zona e della moneta unica, non rinunciando a negoziare con i partner europei, oggi come in futuro, le condizioni di questa partecipazione collettiva.
2) Rinuncia definitiva al debito pubblico come strumento di crescita economica e di tampone delle difficoltà di bilancio dello Stato, con istituzione della legge costituzionale sul pareggio di bilancio e progressiva seppure lenta riduzione del debito pubblico dello Stato.
3)  Politica di rientro del debito pubblico detenuto da investitori esteri al fine di trasformare tale debito in una sorta di azionariato diffuso dello Stato tra i cittadini risparmiatori italiani, con remunerazione equa e concordata dei Buoni del Tesoro statale, in modo da costituire, sopratutto per i piccoli risparmiatori, una fonte sicura di equo reddito dei propri risparmi in alternativa ad altre più rischiose forme di investimento.
4) Ristrutturazione profonda della macchina politica e della pubblica amministrazione, con :
            a) Abolizione del Senato della Repubblica
      b) Camera unica, con drastica riduzione del numero dei parlamentari e dei relativi emolumenti e privilegi.
         c) Finanziamento dei partiti su base volontaria con 1 € per voto ricevuto, via SMS ; bilanci e spese trasparenti e pubblicate su Internet.
            d) Ripristino dei ruoli costituzionali di Parlamento (funzione legislativa) e Governo (funzione esecutiva). Implica un Parlamento snello, capace di legiferare su iniziativa propria, con definitivo abbandono delle decretazione governativa e revisione delle regole
parlamentari allo scopo di impedire rallentamenti ed ostruzionismi
       e) Decentramento amministrativo con redistribuzione di entrate fiscali ed uscite tra Stato, Regioni e Comuni. Significa delegare alle amministrazioni locali l'imposizione fiscale a copertura delle spese correnti delle amministrazioni, mantenendo a carico della fiscalità statale la copertura delle spese per investimenti in infrastrutture e la perequazione volta a garantire che le amministrazioni locali siano comunque in grado di assicurare sempre i servizi essenziali.
      f) Abolizione delle Province ed accorpamento delle funzioni delle Province nelle funzioni  delle Regioni e Comuni.
         g) Riforma fiscale conseguente alla redistribuzione dei compiti tra Stato, Regioni e Comuni con la creazione di aliquote fiscali separate e trasparenti per le voci di spesa pubblica più   significative come la Sanità ed altre spese. Spesa sanitaria coperta da entrate regionali con aliquota fiscale separata.
        h) Ristrutturazione della Pubblica Amministrazione a tutti i livelli, con revisione e riduzione degli incarichi manageriali (numero) e relativi emolumenti (tetto) e riorganizzazione volta  a potenziare il lavoro produttivo di valore rispetto a quello di carattere non produttivo anche se necessario, ed eliminazione delle funzioni ridondanti e meramente burocratiche. L'idea è quella di effettuare una ristrutturazione che non incida inizialmente sui livelli occupazionali, con un impegno formativo importante dei lavoratori sui nuovi incarichi. Nel tempo la pubblica amministrazione dovrà ridurre il numero di addetti.

5)    Redistribuzione dei redditi agendo sulla leva fiscale, in modo da disincentivare la creazione di patrimoni non finalizzati ad investimenti produttivi e favorire invece l'investimento dei profitti d'impresa in crescita aziendale e creazione di posti di lavoro.
6)  Redistribuzione del peso fiscale sugli immobili scoraggiando investimenti in abitazioni non impiegate come abitazione principale.
7)  Imposizione fiscale dovuta su entrate effettive e non su titoli di credito (IVA e imposte sul reddito delle imprese da pagarsi per cassa e non per competenza).
8)  Separazione netta della situazione debitoria statale da quella delle amministrazioni locali.  Se una amministrazione locale si indebita e poi non riesce a pagare i suoi debiti, fallisce come una qualsiasi impresa privata, con tutte le conseguenze civili e penali a carico dei suoi amministratori. Lo Stato non potrà intervenire ed i cittadini dovranno responsabilmente farsi carico di ricostruire la loro amministrazione locale per rimettere in funzione i servizi locali interrotti. I cittadini debbono sentirsi responsabili di quello che fanno i loro amministratori e dovranno controllarne assiduamente l'operato al fine di impedire abusi e situazioni come quella estrema ipotizzata.
9) Riforma della RAI con una sola rete pubblica nazionale (vendita a privati delle altre reti RAI) senza pubblicità e dedicata a tematiche di interesse pubblico mentre gli spettacoli saranno lasciati alle reti private. Consiglio di amministrazione sottratto al controllo della politica ed eletto da una consulta espressione delle Parti sociali.
10)  Politica di contrasto all'evasione fiscale basata anche sul conflitto di interessi tra le parti (scarico fiscale di fatture).
11)  Istituzione dello strumento del referendum propositivo con l'obiettivo di produrre norme conseguenti a dibattiti e conflitti di interesse tra le parti sociali.
12)  Politica estera in linea con quella tradizionale dell'Italia

Quanto non coperto da questo elenco programmatico dovrà essere oggetto di dibattito propositivo tra le parti sociali che avranno il compito di produrre proposte di legge da sottoporre all'esame di una commissione parlamentare, col solo fine di strutturare le proposte in termini giuridicamente corretti prima di sottoporle, sotto forma di sommario di contenuti, a referendum popolare.
Questo metodo implica la massima partecipazione attiva delle parti sociali organizzate alle scelte di interesse collettivo e riguarda :
a) Le politiche del mercato del lavoro
b) La riforma della giustizia
c) Le politiche sociali con impatto di natura etica e religiosa
d) Le scelte urbanistiche
e) La scelta di collocazione di infrastrutture
f) Le relazioni tra le parti sociali
g) Il mondo della scuola e della formazione in genere
h) La politica di difesa nazionale e di intervento su scenari internazionale...                                                                                                        
                                                                                                          Franco Puglia - 24-5-2012

venerdì 14 settembre 2012

L'ECONOMIA GLOBALIZZATA

Una volta tanto in Anno Zero di Santoro (10.3.2011) il tema centrale non fu Berlusconi ; si sentiva il bisogno di parlare d'altro. Interlocutori di pregio (Tremonti, ecc) e tematica esistenziale (l'economia mondiale, la finanza, etc). Interventi equilibrati e nessun vero scontro di opinioni.
Ma molte cose non furono dette; perché ? Poco tempo ? No, non solo questo.
Ci sono verità talmente scomode che nessuno vuole non solo pronunciarle ma neppure pensarle, da destra a sinistra.

Per capire un mondo complesso, bisogna partire dal mondo quando era più semplice, perché gli strumenti sono mutati, ma i bisogni umani di base ed i meccanismi dei rapporti economici tra gli uomini sono immutati da millenni.
- I bisogni fondamentali : mangiare, bere, dormire, ripararsi dalle intemperie (capanna o
casa), ripararsi dal freddo (vestiti), fare sesso, riprodursi.
- I bisogni accessori : qualsiasi altra cosa, gioco, sport, arte, oggetti vari, ecc.
L'uomo primitivo uccide animali per procurarsi cibo e vestiario, poi coltiva anche la terra (cibo) e costruisce capanne ed abitazioni con i materiali che trova. Gli strumenti : le sue mani ed il suo cervello. La produttività : bassissima, perché produci solo quello che le tue mani ti consentono in una giornata di lavoro. Come faccio a migliorare la mia vita ? Costringo altri a lavorare per me (io sono più forte, uso la violenza per convincerli) oppure uso la mia forza per rubare quello che mi serve a chi ne dispone (cibo, oggetti, femmine, ecc): la guerra.

Continua così per secoli : si creano le classi dominanti, che hanno potere e ricchezza, grazie allo sfruttamento delle risorse di lavoro di altri (la plebe). Ma i ricchi sono pochi, la plebe è numerosa. Cambia tutto con le prime macchine (la macchina a vapore) perché diventa possibile moltiplicare il lavoro di un uomo : dove servivano 10 uomini ne basta 1.
La macchina crea ricchezza, perché moltiplica le risorse individuali. Questa ricchezza però si concentra nelle mani dei già ricchi, che disponevano dei mezzi economici per poter costruire le macchine. Tuttavia col tempo abbiamo anche una ricaduta di ricchezza sulla plebe, perché nasce il meccanismo dei consumi : chi possiede le macchine può diventare più ricco producendo più cose che qualcuno può essere interessato a comperare (prima i ricchi, poi anche altri) e serve anche più mano d'opera. Aumenta la produzione, aumentano i lavoratori industriali, una parte della ricchezza si distribuisce, aumentano i consumi. Il fenomeno si amplifica in progressione più che lineare (esponenziale) nel 20° secolo. Le imprese sono dapprima padronali (una persona o una famiglia detiene la proprietà dell'impresa) poi ad azionariato più o meno diffuso. La finanza (inizialmente confinata al ruolo di deposito di denaro o prestito, magari ad usura) si diversifica e si espande assumendo caratteristiche di complessità tali da sfuggire, nella loro interezza, anche agli addetti ai lavori.

Oggi esistono imprese in cui è quasi impossibile determinare il complesso intreccio delle quote di proprietà. La gestione dell'impresa è affidata a managers, che obbediscono a regole non etiche, e sono ingranaggi di un sistema che non ha più caratteristiche umane perché obbedisce alle regole di una astrazione (il mercato) che sono ferree. Se il manager non sta alle regole, il meccanismo lo espelle ed un altro subentra. Il manager non può essere umano: è parte di un meccanismo che era umano solo in origine.

La finanza è fine a se stessa : non ha finalità o limitazioni etiche; il suo fine è il profitto.
La produzione e la finanza si sono globalizzate: significa che la proprietà azionaria può essere ovunque, svincolata dagli interessi locali, guidata soltanto dal criterio del profitto.
Anche i singoli stati controllano sempre meno il potere della finanza e della produzione distribuite su scala trans-nazionale.

Si produce dove conviene, si delocalizza, si sfruttano le risorse disponibili laddove esistono (mano d'opera a basso costo, competenze, leggi locali favorevoli, fiscalità bassa, materie prime a minor costo, logistica, ecc.).
Le esigenze del profitto portano alle concentrazioni produttive, alle economie di scala, alla distruzione dei piccoli produttori (quando possibile) a favore delle grandi imprese.
La ricchezza si concentra nelle mani dei più ricchi e viene sottratta da quelle dei più deboli.

Questo sistema è andato in crisi perché il suo potenziale di crescita dipende dal rapporto tra il potenziale produttivo delle risorse agricole ed industriali ed i costi necessari a sostenere tale potenziale (costo di materie prime e lavoro) in funzione della capacità di assorbimento del mercato, costituito in gran parte dalle masse lavoratrici.
Il sistema sta in piedi sino a quando la maggior parte dei consumatori appartengono ad un ceto medio in grado di consumare e spendere denaro. Se il ceto medio non assorbe abbastanza consumi, il sistema va in crisi perché la plebe non è in grado di rimpiazzare questa perdita di consumi.
Se la produzione cala, c'è meno lavoro, il ceto medio diminuisce ed aumenta la plebe.
Questo fenomeno è sotto gli occhi di tutti ed è in pieno svolgimento.

Ma chi è questo ceto medio ? Si tratta di una classe sociale diversificata i cui componenti spesso non sono direttamente collegati alla produzione (non sono agricoltori oppure operai o tecnici) ma appartengono ad un terziario di servizi diversi : impiegati dell'amministrazione pubblica, avvocati, personale sanitario, artisti, politici, ecc, ecc.
Il terziario non influisce direttamente sul costo di produzione di un bene agricolo o industriale : la sua influenza è indiretta, attraverso i costi (fiscali e non) che gravano su ogni bene materiale che venga prodotto. Se il peso numerico ed economico di questa classe cresce, crescono anche i costi di produzione ed arriva un momento in cui la plebe produttiva non è più in grado di consumare a sufficienza anzi, scende sotto il livello minimo di sussistenza.
Allo stesso tempo il ceto medio (le cui risorse economiche non sono illimitate) vede ridursi il suo potenziale di acquisto a causa dell'aumento dei costi a cui lui stesso ha inconsapevolmente contribuito ed inoltre vede calare anche le sue necessità di spesa, perché dispone già di quasi tutto ciò che gli serve (casa, auto, elettrodomestici, ecc).
Quindi anche il ceto medio consuma meno, la produzione cala, scende l'impiego di mano d'opera produttiva (diretta) ma anche indiretta (meno servizi).

Per sostenere i consumi le imprese delocalizzano, per abbattere i costi, ma riducono ulteriormente la base di acquisto locale delle loro merci. Il sistema si avvita su se stesso.
La finanza viene in aiuto al ceto medio proponendo il debito : acquista oggi con i soldi che avrai domani. Viene così a crearsi la bolla di una ricchezza virtuale, che temporaneamente riesce a tenere in piedi il meccanismo economico (costruisco una casa, pagata a debito, e do lavoro alle maestranze, compro materie prime, ecc) ma poi, inevitabilmente crolla, perché è come costruire una casa pesante su una crosta sottile di terra: basta un niente perché tutto crolli. Quando parliamo di debiti, non ci sono soltanto quelli individuali, ma sopratutto quelli degli Stati (debito pubblico).

Questa analisi porta a concludere che, in assenza di cambiamenti strutturali, il sistema è destinato a collassare, senza alternative, ed anche in fretta.
Aggiungiamo a questa analisi il fatto incontestabile che il consumo di materie prime sta crescendo esponenzialmente grazie allo sviluppo a due cifre dei paesi emergenti che hanno una popolazione enorme in rapporto a quella dei paesi occidentali, ricchi ancora per poco.
Le risorse non sono inesauribili, anzi, si stanno già esaurendo. Quando le risorse scenderanno al di sotto di una certa soglia, il sistema crollerà fragorosamente, perché le popolazioni non sono in grado di rinunciare ad una serie di accessori vitali da cui sono irrimediabilmente condizionate (energia elettrica, automezzi, riscaldamento invernale, distribuzione del cibo, respirabilità dell'aria, ecc).

La crisi, prima finanziaria e poi economica, del 2008 ci è piombata addosso inattesa per i più ed ha avuto uno sviluppo negativo rapidissimo (un buco enorme) con una successiva ripresa lentissima.
Il prossimo crollo avrà caratteristiche analoghe : sarà inatteso, rapido, verticale, come un terremoto che nessuno si aspettava. Eppure è tutto ben prevedibile : la sola cosa che non sappiamo è in quanto tempo accadrà a partire da oggi, se non si operano cambiamenti strutturali. Quali cambiamenti ?

Semplice e difficile allo stesso tempo : occorre fare marcia indietro e ritornare verso il punto di partenza, in cui ciascuno consumava soltanto quello che sapeva produrre con le sue mani.
Evidentemente non si tratta di ritornare verso l'età della pietra, ma di ridimensionare drasticamente i meccanismi della globalizzazione selvaggia, che esasperano i conflitti tra chi dispone dei mezzi per crescere e chi è costretto ridurre drammaticamente la propria condizione esistenziale. La politica deve tornare ad essere il governo della Polis a favore della Polis : sono italiano, vivo in Italia, debbo lavorare per vivere, debbo consumare prevalentemente quello che produco qui, senza scivolare nell'autarchia, ma favorendo senza mezzi termini (con provvedimenti fiscali ed altro) la produzione nazionale ed il lavoro dei connazionali ; se poi una impresa, per vendere in Cina deve produrre in Cina, sta bene, lo faccia, ma ciò che produce in Cina non torna in Italia senza pagare pegno. Questo vorrà dire che una maglietta prodotta in Italia costerà 100 € invece di 20 e quindi compererò meno magliette, ma la qualità della mia vita non dipende dal numero di magliette che compro !

Non basta : se per produrre tutti i beni in Italia occorrono 100 addetti e poi ci sono 1000 addetti al terziario, quei beni costeranno sempre e comunque troppo per il reddito di tutti.
La base produttiva diretta deve aumentare ed il terziario deve diminuire.
La maglietta prodotta in Italia sarà invendibile in Cina (ma chi se ne frega !). Se l'impresa vuole vendere all'estero può produrre dove le pare, ma non per il mercato interno.
Tutto questo è facile a parole, difficilissimo o quasi impossibile in pratica, anche perché in Europa non ci sono confini e le merci circolano liberamente, per non parlare dei capitali.
L'orizzonte però è necessariamente quello : muoversi in una direzione diversa porta al baratro e comunque anche una tale inversione di marcia funzionerebbe solo in parte, ammesso che si potesse attuare su scala nazionale, perché se il resto del mondo prosegue verso il baratro si porta dietro anche noi, senza scampo. Se le materie prime finiscono, anche una nostra ipotetica «autarchia» resta a bocca asciutta.
Il dramma è che ciascuno, individualmente ed a livello di nazioni, pensa solo al suo interesse a breve termine ; chi può convincere mai la Cina a rallentare il suo sviluppo ? Chi è al timone della barca pensa all'oggi ; il domani sarà un problema per altri.

Ing. Franco Puglia 
(Scritto il 30 marzo 2011 questo articolo contiene verità attualissime che ognuno di noi può verificare nella realtà quotidiana. Tratto dal gruppo FB Rinnovamento nazionale )

martedì 11 settembre 2012

Cosa fare per il lavoro ? Il mio punto di vista.

Il mercato, sotto la spinta rapida e possente dell'evoluzione tecnologica ed anche grazie all'apertura dei mercati (globalizzazione) è cambiato negli anni radicalmente e più in fretta di quanto la società italiana fosse in grado di sostenere, adeguandosi.
Oggi sia le imprese che le competenze dei lavoratori sono insufficienti, nella loro globalità, dimenticando le varie eccellenze, per dare una risposta globale a istanze di crescita che possano tradursi in aumento effettivo dell'occupazione e del PIL nazionale.
Una larga parte della popolazione attiva viene inoltre pagata da una struttura dei servizi pubblici che non produce plusvalore e grava inevitabilmente, come costo, sulla parte produttiva del paese. Occorre inoltre rendersi conto del fatto che esistono limiti oggettivi alla crescita, che questa non può essere indefinita e che potremmo essere arrivati vicino al punto di saturazione.

L'Italia, ma non solo, si trova nel pieno di una crisi economica che trae origine da :
- Divario tra reddito derivante da impieghi che generano plusvalore e reddito derivante da servizi che non generano plusvalore, ma che sostengono i consumi generali, e quindi la produzione, ma anche a spese di un indebitamento pubblico crescente e fuori controllo.
- Saturazione delle possibilità di impiego di forza lavoro in attività pubbliche o private del terziario, avanzato e non, che strutturalmente non siano idonee a produrre plusvalore.
- Migrazione delle attività produttive verso localizzazioni più remunerative rispetto a localizzazioni nazionali sempre meno convenienti per costo del lavoro, infrastrutture, rigidità normative, ecc.
- Insufficienza delle competenze richieste dal mercato del lavoro che fa capo alle imprese ancora operanti sul mercato nazionale. Se le imprese nazionali sono molto piccole, non servono esperti di relazioni sindacali, comunicazione, materie legali, ecc, ecc. Magari servono più tecnici qualificati, operai qualificati ed altre
professioni; il mercato del lavoro come si presenta oggi, causa globalizzazione e concorrenza internazionale, non riesce però a pagare a questi lavoratori un salario al livello indispensabile per assicurare l'accesso al livello di consumi atteso e neppure al livello di minimo di sostentamento.
- Saturazione dei consumi di beni in genere, rapportati al reddito medio disponibile. Chi non ha un frigorifero in casa, o un televisore, o un'auto ? Questi beni non si possono sostituire ogni anno per soddisfare alle esigenze delle imprese ed alla creazione di posti di lavoro, anche perché il reddito non c'è e se ci fosse questi beni costerebbero troppo (troppi addetti o troppo pagati per unità di prodotto).
- Speculazione sulle rendite di posizione : chi dispone di molto denaro oppure occupa posizioni protette risente meno della crisi o addirittura ne può approfittare e si arricchisce (speculazioni finanziarie, ecc) aumentando il divario tra abbienti e non, quindi aggravando lo stato di disagio e di invidia sociale.
- Proliferazione delle professioni d'assalto, che impiegano giovani senza altre prospettive concrete di lavoro per attività di vendita con procedure scorrette o truffaldine (telemarketing, vendite porta a porta, ecc).
- Dequalificazione di forza lavoro impiegata con contratti a termine o a cottimo in call centers (società, telefoniche, ecc).

È in questo contesto che vanno inserite le misure volte a rendere il mercato del lavoro più dinamico ed inserito in una prospettiva di crescita possibile, nei soli e pochi settori dove una crescita è ancora immaginabile.

Il lavoro non è un diritto naturale, semmai è un dovere di tutti. Il lavoro non lo creano le parti sociali sui tavoli dei convegni : il lavoro lo danno le imprese, perché ne hanno bisogno. Le imprese esistono se hanno un mercato di sbocco e se possono produrre plusvalore, su quel o quei mercati di sbocco, con le risorse umane di cui possono disporre (lavoratori).
Vale per le merci e vale per i servizi: quindi niente lavoro, se non ci sono mercati di sbocco, niente lavoro se non ci consumatori per le merci/servizi che si vogliono offrire, e niente consumatori se questi ultimi non hanno un reddito sufficiente per accedere a quelle merci/servizi. Perciò occorre in primo luogo chiedersi :
- Cosa possiamo produrre e vendere ?
- A chi vendiamo quello che produciamo ? Mercato nazionale ? Estero ? Entrambi ?
- Quindi quali attività cerchiamo di incoraggiare con tutti i mezzi e quali no ?
- Quello che pensiamo di produrre è ad alto valore aggiunto oppure no ? In altre parole: si tratta di attività che possono pagare ai lavoratori salari commisurati col tenore di vita a cui aspiriamo o siamo abituati, oppure no ?

Stabilito il cosa vogliamo produrre, si tratta di favorire la creazione di imprese,
o il rafforzamento di quelle esistenti. Come :
- offrendo una manodopera qualificata per le funzioni che queste aziende richiedono
- offrendo una sufficiente flessibilità della manodopera, per convincere le imprese che non saranno ingessate e potranno adeguarsi facilmente ai cambiamenti del mercato.
Questo implica purtroppo la possibilità di licenziare il personale con relativa facilità ma pagando un indennizzo di licenziamento (come per i dirigenti) in funzione della anzianità di servizio. Non occorrono contratti speciali : contratti standard per tutti, senza lacci e lacciuoli, ma istituendo un reato penale per il lavoro nero, a carico del datore di lavoro. Se il contratto è equo va bene per tutti. Se l'impresa sopravvive soltanto con lavoro nero, che si trasferisca in altri paesi.

In quali settori promuovere lo sviluppo possibile :
- Energie alternative : di energia abbiamo ed avremo sempre bisogno; le tecnologie
per la produzione ed il trattamento e trasformazione di energia si possono vendere
anche all'estero.
- Trasporti : un'economia dinamica richiede trasporti veloci e sicuri, tanto per quanto
attiene ai mezzi di trasporto pubblico (aerei, treni, bus) che privati (rete stradale)
- Trattamento dei rifiuti : lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti è un problema
planetario e le tecnologie che lo consentono sono indispensabili a livello nazionale,
ma sono anche esportabili.
- Turismo : esiste ancora margine per la valorizzazione e lo sfruttamento del turismo
nazionale ed internazionale nel nostro paese.
- Tecnologie dell'informazione e comunicazione, elettronica, ecc. Qui probabilmente
abbiamo perso tutti i treni da un pezzo a favore di altri paesi ma si potrebbero
individuare delle nicchie.
- Strumentazione elettro-medicale : l'evoluzione di queste tecnologie nel corso degli
anni è stata incredibile. Si dovrebbe indagare quanto spazio abbiamo ancora in
questo campo.

Strumenti principali di intervento per l'occupazione giovanile e femminile:

- Formazione scolastica e post scolastica orientata ai settori di sviluppo programmati
- Contratto unico di lavoro a tempo indeterminato ma con possibilità di risoluzione del
rapporto di lavoro e indennità di licenziamento.
- Amortizzatori sociali per compensare i periodi eventualmente intercorrenti tra un
lavoro e l'altro, compensati da lavori socialmente utili per la collettività. Nessun
giovane deve essere pagato per starsene a casa a guardare la TV.
- Istituzione del reato di sfruttamento del lavoro per chi assume lavoratori al di fuori
delle regole generali e delle eccezioni previste.
- Potenziamento dei servizi per conciliare lavoro e famiglia; servono essenzialmente
centri di assistenza per l'infanzia (leggi asili nido) con diffusione capillare sul
territorio e costi a carico della collettività (Comune).
- Per le aziende, specialmente quelle piccole, la maternità di una lavoratrice è un
grosso problema. Non deve essere l'azienda a farsi carico di un problema personale
di un lavoratore, ma la società nel suo complesso. L'assenza di una lavoratrice in
maternità può essere un problema superabile (lavoro facilmente sostituibile) ma in
molti casi non è così.
Non si può fare di tutta l'erba un fascio; vanno previste le due situazioni :
a) lavoro sostituibile da altra lavoratrice con contratto a termine; costi di maternità
(stipendio) a carico della collettività. Reintegro del posto di lavoro alla fine del
periodo.
b) lavoro non sostituibile con contratto a termine. Occorre consentire all'impresa, se
lo desidera, il licenziamento della lavoratrice, con le normali indennità di
licenziamento, ma in questo caso la collettività dovrà offrire alla lavoratrice un
compenso per la perdita del lavoro pari ad almeno 12 mesi di stipendio, oltre al
periodo di maternità, per darle il tempo di trovare poi un altro lavoro.
- Estendere il part-time agevolato e volontario;
- Introdurre un'imposizione fiscale sulle persone fisiche sulla base del reddito familiare
medio, mantenendo le aliquote vigenti. Con un figlio il reddito totale prodotto nella
famiglia si divide per tre, con due figli a carico per quattro, ecc. Se il reddito
complessivo della famiglia è di 32'000 € annui (lordo) ed hanno 2 figli, il reddito
medio scende a 8'000 € pro capite e quindi la famiglia è esente da imposte sul
reddito.

Il precariato nel mondo del lavoro dipende spesso anche dalla qualità del lavoro: se il lavoratore fa un lavoro facilmente sostituibile, la sua precarietà è comunque elevata.
Se il lavoratore ha specifiche competenze importanti per il datore di lavoro, il suo lavoro è stabile, almeno quanto l'azienda. Non è sempre vero (scuola, università) ma più spesso è così.
La precarietà strutturale si elimina uniformando tutti i contratti di lavoro come a tempo indeterminato ma senza vincoli al licenziamento ed istituendo il reato di sfruttamento del lavoro per le imprese che usino altre forme sfruttamento del lavoro, al di fuori delle regole.
Si combatte inoltre favorendo le attività produttive che creano competenze e penalizzando quelle che sfruttano il lavoro senza creare competenze.

Rafforzare le politiche attive del mercato del lavoro.

Il mondo del lavoro è soggetto a grandi cambiamenti e a crescente mobilità. È quindi necessario, nell’ottica della “flexsecurity” europea, coniugare le misure di sostegno al reddito con politiche attive indirizzate a favorire le transizioni professionali e la ricollocazione al lavoro delle persone a maggior rischio di esclusione come gli ultra 50enni coinvolti nelle ristrutturazioni industriali. A questi fini appare indispensabile il potenziamento dei servizi pubblici per l’impiego e la collaborazione con quelli privati. Un ruolo centrale in queste politiche è ricoperto dalla formazione che va quindi riorganizzata, qualificata e resa permanente così da facilitare l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro, specie in una fase come l’attuale caratterizzata dalla riorganizzazione dell’apparato produttivo e dalla trasformazione del lavoro stesso.
In un’economia e in una società fondate sulla conoscenza, il costante aggiornamento culturale e delle competenze acquista un rilievo tale da legittimare la proposta di fare della formazione un diritto di ogni singolo lavoratore lungo tutto l’arco della vita.

Il ruolo delle parti sociali

La contrattazione collettiva concorre anch’essa alla creazione di maggiore e migliore occupazione. Da qui l’importanza per il Paese di un sistema di relazioni industriali moderno ed efficiente che riconosca nel contratto nazionale lo strumento irrinunciabile per la tutela generale delle condizioni di lavoro, ma che estenda e valorizzi la contrattazione di secondo livello così da tener conto delle specifiche esigenze produttive ed organizzative delle singole imprese e allo stesso tempo di permettere miglioramenti salariali legati alla produttività.
Per un efficace funzionamento delle relazioni industriali sono necessarie regole condivise tra le parti che garantiscano certezza ed esigibilità agli accordi sottoscritti e nel contempo riconoscano pienamente i diritti sindacali in azienda a tutte le organizzazioni rappresentative dei lavoratori.

Per imprese di grandi dimensioni, il cui impatto economico ed occupazionale sul territorio non è trascurabile, si potrebbe introdurre il criterio della condivisione con i rappresentanti dei lavoratori e delle altre parti sociali (Comune, Regione, Consumatori) non tanto delle scelte imprenditoriali, quanto delle opzioni alternative a tali scelte.
Chiarisco : se un'impresa decide di delocalizzare una produzione non glie lo puoi impedire, ma puoi concordare che una tale scelta possa essere attuata soltanto dopo un negoziato preventivo con le parti sociali, allo scopo di determinare se le motivazioni della scelta non possano venire cambiate da nuovi accordi con le parti sociali stesse. Caso Marchionne insegna. (Franco Puglia pubblicato su FB -Gruppo Rinnovamento Nazionale)

domenica 2 settembre 2012

I PROVVEDIMENTI DEL GOVERNO CENTRALE: CHE BOMBE INTELLIGENTI!

Di fronte alle difficoltà che Italia ed Europa stanno affrontando per risanare anni di economia e spesa pubblica allegra, il Gargano è chiamato a versare un contributo spropositato e illogico senza che la politica faccia sentire la sua voce per mediare fra interessi diversi, rinunciando di fatto a svolgere quel ruolo sacrosanto di rappresentanza e difesa delle comunità locali. Il Gargano nulla ha avuto in tempo di vacche grasse e in tempo gramo viene chiamato a una vera e propria spoliazione che acuisce le difficili condizioni di vita e di prospettive senza nessuna garanzia di ristoro o risarcimento.

Il Governo nazionale con una rapidità e sordità, degne dei tempi di guerra, vara due pesanti provvedimenti caricandoli sulle spalle di un Gargano già piegato da ritardi, trascuratezze e vacuità politica: la soppressione dello storico tribunale di Lucera, e di conseguenza la sede staccata di Rodi, marginalizzando, complicando e di fatto negando il diritto di giustizia a un vasto territorio e alla vasta platea di cittadini garganici che in questa sede esercitavano un fondamentale diritto costituzionale.

Ancora più inaudito, arrogante e carico di rischi il provvedimento del Ministero dell’Ambiente di autorizzare la trivellazione dei fondali dell’Adriatico, al largo delle isole Tremiti, contro la volontà più volte espressa dalle popolazioni rivierasche, giustamente allarmate per i numerosi e imprevisti stravolgimenti di un ecosistema fragile e complesso e per una economia che per secoli ha difeso il mare e nel mare ha trovato ragioni di vita. Di fronte a questi provvedimenti la nostra politica, vecchia, stanca, vacua, tace. Preoccupata di salvare se stessa di fronte all’opinione pubblica furibonta e lontana che chiede più concretezza e fatti.

Il Gargano ha bisogno di donne, uomini e una politica che spieghi e faccia argine contro lo svuotamento e lo stravolgimento delle proprie ragioni, dei propri diritti e delle scelte di vita. Contrasti e rovesci, i provvedimenti di un Governo sordo. Ricordando agli studiosi della Bocconi che il Gargano nulla ha avuto in tempo di vacche grasse e oggi chiede di essere ascoltato e lasciato in pace.

Michele Angelicchio. (tratto da Punto di Stella-Mensile d’informazione del Gargano)